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Voce principale: Jean Sylvain Bailly.
Jean Sylvain Bailly ritratto da Jean-Laurent Mosnier (1789).
Firma di Jean Sylvain Bailly.

Il pensiero di Jean Sylvain Bailly potrebbe essere descritto in termini di duplice attrazione di scetticismo e credenza. Questi furono i due poli tra i quali fluttuava il suo pensiero. Qualche volta, come nell' Éloge de Leibnitz, egli era attratto dallo scetticismo. Altre volte invece, come nell' Histoire de l'astronomie ancienne e nelle Letters a Voltaire, sotto l'influenza di Court de Gébelin, egli lo respinse. A Voltaire scrisse: «Il dubbio deve avere limiti; non tutte le verità possono essere provate come verità matematiche».[1] Bailly sapeva comunque certamente dubitare ed essere scettico quando la ragione lo richiedeva. La partecipazione all'indagine ufficiale sul mesmerismo ne fu una prova, e gli permise anche di dissipare l'illusione che fosse un frère illuminé.

Contesto generale: il grand ordre

L'ottimismo naïve che portò alla rivoluzione francese era basato su una curiosa miscela di razionalismo e di illuminismo. È una leggenda ormai superata che i grandi philosophes - Montesquieu, Voltaire, Diderot, e Rousseau - fecero la rivoluzione. Questi leader culturali, teorizzatori della libertà politica, erano tutti morti da almeno dieci anni quando essa avvenne. La rivoluzione infatti fu fatta da una generazione successiva di uomini che, ovviamente, furono molto influenzati dalle idee di questi grandi filosofi, ma il cui pensiero era spesso molto meno chiaro, perché caratterizzato dai ripetuti tentativi di risolvere il dilemma essenziale del XVIII secolo, quello del progresso e del primitivismo, della pietà e del Pirronismo. L'umore filosofico di questa generazione trova espressione in quella che vari critici contemporanei chiamano grand ordre. Il grand ordre denota una filosofia di riforma basata sulla convinzione nella perfettibilità dell'uomo, nella virtù e nella felicità del mondo primitivo, nella corruzione e nella sofferenza del mondo moderno, e quindi nel bisogno pressante di una totale rivoluzione. La rivoluzione prevista dal grand ordre sarebbe servita per riportare letteralmente in auge, ovvero per ripristinare, l'età dell'oro attraverso la dissipazione dei pregiudizi, degli errori, della superstizione e con lo sviluppo delle arti, delle scienze, del commercio e dell'agricoltura. Era una filosofia eclettica, che differiva dal pensiero di Voltaire principalmente per l'assenza di scetticismo e da quella di Rousseau per l'assenza di qualunque valore morale reale.

Numerosi critici moderni si sono occupati di uno o più aspetti del grand ordre; tra questi Carl Becker in The Heavenly City of the Eighteenth Century Philosophers, Auguste Viatte in Les Sources occultes du Romantisme, Auguste Le Flamanc in Les Utopies prérévolutionnaires e Daniel Mornet in Les Origines intellectuelles de la Révolution française 1715-1787.

Gli schemi utopistici della Francia prerivoluzionaria attraevano numerosi uomini illuminati, perché erano basati sulla scienza e sulla storia e perché indicavano di essere autentiche documentazioni delle grandi leggi cosmiche che, in qualche modo, legittimavano questa tensione a risalire all'origine stessa del mondo. I progenitori del grand ordre furono in effetti, sul lato razionalista, Cartesio, Newton, Leibnitz, Voltaire, e Buffon - gli scienziati, gli archeologhi e gli storici. Ma il grand ordre è stato anche strettamente legato alle società mistiche, i Rosacroce, i massoni, i seguaci di Swedenborg, e i quietisti, che predicavano la dottrina della chiesa interiore, del cripto-cattolicesimo e del millenarismo.

Non ci fu nessun grande leader del grand ordre e nessuno strumento per la sua propagazione. Il più curioso genio del grand ordre fu forse Antoine Court de Gébelin, la cui dottrina è stata definita da Bernard Faÿ come una miscela di «razionalismo filosofico e sentimentalismo filantropico». Come razionalista egli fu anche amico e collega di Benjamin Franklin e Voltaire; come mistico collaborò con Louis Claude de Saint-Martin, l'elegante e criptico teurgo di Lione.

Jean Sylvain Bailly, più conosciuto come presidente dell'Assemblea nazionale e primo sindaco di Parigi, era un discepolo di Court de Gébelin. Scienziato ed illuminista, conservatore e rivoluzionario, Bailly combinava le forze contraddittorie della sua generazione. Nato in un ambiente essenzialmente artistico, egli abbandonò l'arte per studiare la Fisica Newtoniana. Sotto la guida di Alexis Clairaut e Nicolas-Louis de Lacaille divenne un astronomo rispettato ed ottenne un ampio riconoscimento in tutta Europa per le sue ricerche sui satelliti di Giove. Ma, attratto dal mistero dell'antica astronomia, egli abbandonò gradualmente i telescopi in favore della penna da storico. Tra il 1775 e il 1787 egli pubblicò cinque grandi volumi sulla storia dell'astronomia antica e moderna, e tre lavori più brevi in cui cercò di ritracciare il percorso di sviluppo dell'uomo nel quale egli sostenne la teoria di un'età dell'oro primitiva. I lavori accademici di Bailly gli permisero di ricevere numerosi onori pubblici, inclusa l'appartenenza all'Académie royale des sciences, all'Académie française e all'Académie des inscriptions, così come accademie in Italia, Olanda, Germania, e Svezia. Allo stesso tempo però, le sue "speculazioni selvagge" sull'antichità lo coinvolsero in una serie di dispute scientifiche e letterarie in cui frequentemente Bailly si ritrovava a difendere l'indifendibile visione di Court de Gébelin e per questo motivo fu tacciato di essere un frère illuminé da alcuni philosophes; così ad esempio lo accusava il suo grande nemico all'accademia delle scienze Nicolas de Condorcet

L'investigazione sul magnetismo animale, con cui si screditò Mesmer, riportò Bailly di nuovo in contatto con la ricerca scientifica controllata, assieme a scienziati del calibro di Benjamin Franklin, Antoine-Laurent de Lavoisier o Joseph-Ignace Guillotin. La partecipazione alla stesura dei rapporti sull'Hotel-Dieu consolidarono la reputazione di Bailly come un campione riformista, e quando la rivoluzione scoppiò, egli fu tra i primi a servire la causa pubblica.

Impregnato dalle nozioni dell'Illuminismo, Bailly credeva che la Ragione potesse governare la rivoluzione, e fu sorpreso e mortificato nello scoprire sulla sua pelle che invece non era così. La sua ascesa dall'Assemblea elettorale di Parigi attraverso la presidenza prima del Terzo Stato, poi dell'Assemblea nazionale, per arrivare infine al municipio di Parigi terminarono improvvisamente quando, a Campo di Marte, ordinò alle truppe di sparare sulla folla. Due anni più tardi, all'inizio del Terrore, Bailly pagò per i suoi «crimini» con la testa.

La storia di Bailly è la storia di un savant del XVIII secolo, della sua erudizione, delle sue illusioni, del suo ottimismo e del suo fallimento; ed è la storia della realizzazione inconsapevole di una rivoluzione. Da uomo riflessivo, Bailly credeva nel concetto di progresso; la scienza lo ha portato ad accettare la sempre crescente egemonia dell'uomo sulla natura, e ad identificare questa egemonia con la felicità.

Era, però, troppo incline a ridurre le complessità della vita a semplici principi primi, sebbene accettasse l'impossibilità di dimostrare tutto come «verità matematica». Era infatti convinto che l'età dell'oro fosse esistita e sebbene sapesse che non poteva dimostrarlo rigorosamente, cercò in ogni modo di convincere e di convincersi della veridicità delle sue ipotesi. Era anche convinto, ugualmente, che essa sarebbe ritornata, e la rivoluzione fu per lui, come per molti altri contemporanei, il raggiungimento di questo sogno mistico/razionale, e fu la messa in atto, la creazione vera e proria, del grande ordre. Anche Bailly, infatti, da uomo del suo tempo, visse in sé l'eclettismo riformistico del grand ordre, e né subì la mistico-razionalistica contraddittorietà.

Il concetto di "rivoluzione scientifica"

Il concetto di "rivoluzione scientifica" emerse nel XVIII secolo proprio nei lavori di Bailly, che lo interpretò come un processo a due fasi: una prima, ovvero la distruzione di un sistema concettuale accettato; una seconda, ovvero la costruzione di un nuovo sistema.[2]

Gli scritti di Bailly pubblicati nel decennio antecedente alla Rivoluzione francese mostrano il grado che il concetto di "rivoluzione" aveva raggiunto nelle scienze, ovvero quella forma in cui, con delle variazioni, continuò ad essere percepito anche nel XIX secolo.[2] Nella sua Histoire de l'astronomie moderne Bailly descrive rivoluzioni scientifiche di ogni sorta e grandezza. Queste variano dall'ambito delle innovazioni rivoluzionarie nella progettazione e nell'uso dei telescopi, fino all'elaborazione del sistema copernicano e alla filosofia naturale di Newton.[2] A proposito degli ammodernamenti tecnici dei telescopi Bailly aveva in mente i miglioramenti dovuti all'aggiunta del mirino e, soprattutto, l'uso di calibri ad alta precisione come i micrometri, risalenti agli inizi del XVII secolo.[2]

A proposito di ciò Bailly scrive:

(francese)
«Cette perfection ajoutée aux instrumens, cette exactitude dans la pratique, influa sur toutes les observations, et d'une manière assez marquée pour produire une révolution. [...] Cette révolution, l'idée de cette application heureuse, fut, selon les uns, le bienfait de Picard et d'Auzout.»
(italiano)
«Questa perfezione raggiunta dagli strumenti, questa precisione nella pratica, influenzò tutte le osservazioni in maniera abbastanza marcata da produrre una rivoluzione. [...] Questa rivoluzione, l'idea di questa applicazione felice, fu dovuta, secondo alcuni, alla bravura di Picard e d'Auzout.»

Nel passaggio Bailly loda gli astronomi Jean-Felix Picard, per l'invenzione del micrometro, e Adrien Auzout per i miglioramenti ad esso apportati.[2]

Bailly discute delle rivoluzioni del passato e della sua epoca, prefigurando anche rivoluzioni future.[2] In realtà egli non predisse alcuna rivoluzione in larga scala ma solo piccole rivoluzioni: in primo luogo l'introduzione di nuovi strumenti e di nuovi metodi computazionali (che riducessero al minimo le approssimazioni) — riprendendo quello che era già stato il sogno di Leibniz per i calcolatori — e l'invenzione di nuovi metodi di integrazione.[2] Non solo, Bailly predisse che prima o poi si sarebbe costruito un moderno rimpiazzo per l'orologio a pendolo.[2]

Già durante il Basso Medioevo, il termine "rivoluzione" incominciò ad acquisire particolari significati.[2] Non solo denotava il movimento dei corpi celesti attraverso orbite chiuse (o il tempo con cui il circuito dell'orbita veniva completato) ma anche una qualunque rotazione o un qualunque girare attorno o all'indietro rispetto a qualcosa, dalla rotazione circolare della ruota fino al senso figurativo del "ripensare", "riconsiderare", "ricordare".[2]

Al tempo del Rinascimento, la parola "rivoluzione" acquisì un significato più ampio. Incominciò ad includere anche il riferimento ad ogni ricorrenza periodica (o semiperiodica) ed eventualmente ad ogni gruppo di fenomeni che accadono in una serie ordinata di stadi ciclici. Ad esempio i flussi e i riflussi della marea, fino ad eventi sociopolitici come l'ascesa o la caduta delle civiltà e delle culture, iniziarono ad essere definiti "rivoluzioni". Tutti questi usi del termine erano ovviamente collegati al senso primario che la parola possedeva in astronomia e in geometria.[2]

 
Niccolò Copernico

Inoltre gli autori che, alla fine del XVII secolo parlavano di "rivoluzione" negli affari politici, economici e sociali, molto spesso avevano in mente una qualche forma di restauro, una sorta di "ritorno" ad una situazione d'origine, antecedente o, al più, il completamento di un ciclo. Locke, ad esempio, usò il termine "rivoluzione" solo due volte, ed in entrambi i casi riferendosi ad un ciclo politico che culminava con il ritorno ad uno stato precedente, o - relativamente agli stati costituzionali - il ripristino di antiche norme costituzionali.[2]

Anche nei lavori di Bailly è presente il vecchio concetto di rivoluzione ciclica, visto in ambito scientifico, assieme però ad un uso completamente nuovo del termine per indicare un cambiamento radicale e drammatico in campo scientifico, il più delle volte effetto del lavoro e dei pensieri di una singola persona, o di un piccolo gruppo di individui.[2] È il concetto, chiaramente elaborato, di una rivoluzione a "due fasi", applicabile alle rivoluzioni scientifiche in larga scala, in cui - secondo Bailly - c'è prima la distruzione di un sistema concettuale accettato, seguita poi dalla costruzione di un nuovo sistema.[2]

Ad esempio, anche se Bailly non usa la vera e propria espressione di "rivoluzione copernicana", non lascia alcun dubbio sul fatto che una delle più grandi rivoluzioni nel campo scientifico fu inaugurata (se non, addirittura, compiuta) da Copernico. Copernico, secondo Bailly, è il responsabile dell'introduzione di un nuovo, «esatto» sistema universale, proprio come Ipparco doveva essere accreditato come il fondatore di un «vero» sistema dell'astronomia. Bailly infatti definisce Copernico come «il rivoluzionario dell'astronomia fisica e l'autore del vero sistema del mondo»[4] e Ipparco come «il fondatore dell'astronomia vera [...] o almeno il suo restauratore» facendo intendere che le conoscenze astronomiche sarebbero potute anche appartenere ad un popolo antichissimo, la cui cultura, anche in ambito scientifico ed astronomico, andò perduta e che Ipparco, con i suoi studi, poté però far rinascere, almeno parzialmente.[2][5]

Bailly disse che un passo radicale fu fatto all'epoca di Copernico: si rese necessario, per l'uomo, dimenticare i moti che potevano effettivamente essere visti all'apparenza, al fine di essere in grado di credere in quei movimenti che invece in quei moti che non possono essere percepiti dall'uomo direttamente attraverso i sensi.[2]

(francese)
«Il faut oublier le mouvement que nous voyons, pour croire à celui que nous ne sentons pas. C'est un homme seul qui ose le proposer... ce n'est pas tout: il falloit détruire un systême reçu... et renverser le trône de Ptolémeé. Un esprit séditieux donne le signal et la révolution s'opère. Copernic avoit apperçu la vrai semblance du systême, il osa secouer le joug de l'autorité, et il debarrassa l'humanité d'un long préjugé qui avoit retardé tous les progrès.»
(italiano)
«Dobbiamo dimenticare il movimento che vediamo, a credere in ciò che non percepiamo. C'è stato un uomo solo che ha osato proporlo... e non è tutto: è stato necessario distruggere il sistema precedente... e rovesciare il trono di Tolomeo. Uno spirito sedizioso dà il segnale e la rivoluzione si verifica. Copernico aveva raggiunto la vera sembianza del sistema, aveva osato spezzare il gioco dell'autorità tolemaica, e liberò così l'umanità da un lungo pregiudizio che aveva ritardato ogni progresso.»

Copernico quindi aveva adempiuto alle due funzioni necessarie che, secondo le norme implicite di Bailly, qualificavano il suo lavoro come una rivoluzione.[2] Egli minò l'autorità del vecchio (e accettato) sistema, istituendone uno migliore al suo posto. Per Bailly faceva poca differenza il fatto che il sistema copernicano non fosse altro che il ripristino del vecchio sistema di Aristarco («il sistema di Copernico non fu una creazione, ma un'adozione»[7] precisa Bailly nell'Histoire, puntualizzando che «l'opinione secondo cui è il sole che riposa al centro del mondo con la Terra in movimento attorno ad esso [...] è un'idea trasmessa da Filolao e adottata da Aristarco»[8]); quello che contava era solo il fatto che Copernico avesse rovesciato il giogo dell'autorità tolemaico-aristotelica istituendo un sistema dell'universo diverso da quello che «aveva ricevuto gli omaggi per quattordici secoli».[9]

Il concetto di Bailly di una rivoluzione a due stadi è ancora più evidente in un'altra delle sue presentazioni del lavoro di Copernico. Infatti, nel descrivere brevemente il passaggio dell'astronomia dai greci agli arabi, e dagli arabi agli europei, che avevano cominciato per primi a coltivare veramente questa scienza, Bailly scrive:

(francese)
«Waltherus, Regiomontanus, an Allemagne, construisirent des instrumens et renouvelèrent les observations. A chaque nouveau domicile, la science étoit assujettie à un nouvel examen; les connoissances transmises étoient vérifiées: mais à cette époque il se fit une grande révolution qui changea tout. Le génie de l'Europe se fit connoître et s'annonça dans Copernic.»
(italiano)
«Bernard Walther e Regiomontano, in Germania, costruirono nuovi strumenti e rinnovarono le osservazioni. Ogni qualvolta cambia sede, la scienza è soggetta ad un nuovo esame; le conoscenze trasmesse in altri paesi devono essere verificate: ma a quel tempo ci fu una rivoluzione che cambiò tutto. Il genio d'Europa si fece conoscere e si annunciò in Copernico.»

Nell'annunciare, per di più, che «Copernico aveva fatto un grande passo verso la verità» Bailly indica che «la distruzione del sistema tolemaico è stato un preliminare indispensabile, e questa prima rivoluzione ha preceduto tutte le altre».[11] Anche se Bailly non scrive espressamente che Copernico creò o iniziò una rivoluzione, non vi è alcun dubbio - dal testo, e soprattutto dalla frase precedente - che questa era la spina dorsale del suo discorso.[2] Non solo, è molto probabile che quella di Bailly è stata una delle prime volte in cui, in un testo scritto, si è fatto riferimento ad una rivoluzione scientifica associata a Copernico.[2]

In più di un capitolo della sua storia, inoltre, Bailly fa riferimento alla filosofia naturale di Newton in termini rivoluzionari. Così, dopo aver elogiato Newton per la sua modestia (a proposito della prefazione alla prima edizione dei Principia), Bailly scrive:

(francese)
«Newton, plus qu'aucun homme, eut besoin de se faire pardonner son élévation; il avoit pris un vol si extraordinaire, il redescendoit avec des vérités si nouvelles, qu'il falloit ménager les esprits, qui auroient pu repousser ces vérités. Newton renversoit ou changeoit toutes les idées. Aristote et Descartes partageoient encore l'empire, ils étoient les précepteurs de l'Europe: le philosophe Anglois détruisit presque tous leurs enseignemens, proposa une nouvelle philosophie; cette philosophie a opéré une révolution. Newton a fait, mais par des voies plus douces et plus justes, ce qu'ont tenté quelquefois en Asie les conquérans qui ont usurpé le trône; ils ont voulu effacer le souvenir des règnes précedens, pour que leur règne servît d'époque, pour que tout commençât avec eux. Mais ces entreprises de l'orgueil et de la tyrannie ont été le plus souvent sans fruit; elles ne réussissent qu'à la raison et à la vérité, qui obtiennent cet avantage sans y prétendre.»
(italiano)
«Newton, più di ogni altro uomo, ha bisogno di essere perdonare la sua elevazione; ha preso un volo così straordinario, è ridisceso con delle verità così nuove, che gli fu necessario accompagnare gli spiriti, che altrimenti avrebbero potuto respingere queste verità. Newton inverti o modificò tutte le idee della sua epoca. Aristotele e Cartesio condividevano ancora il dominio [scientifico e culturale], erano i precettori d'Europa: il filosofo inglese distrusse quasi tutti i loro insegnamenti proponendo una nuova filosofia; questa filosofia ha generato una rivoluzione. Newton ha fatto, ma in un modo più morbido e giusto, ciò che hanno tentato qualche volta in Asia i conquistatori che hanno usurpato il trono; volevano cancellare la memoria dei regni precedenti, affinché il loro regno fosse epocale, affinché tutto ricominciasse con loro. Ma queste imprese d'orgoglio e di tirannia sono state generalmente infruttuose; esse non possono che riuscire se spinte dalla ragione e dalla verità, che ottengono questi vantaggi senza pretenderli.»

L'uso, in questo passaggio, di un'ampia panoplia assortita di una metafora politica è ben evidente nell'immagine dei conquistatori che usurpano e spazzano via con violenza ogni traccia dei loro predecessori, un'immagine che contrasta invece la ragione e la verità con le quali si è mosso Newton. Ma, ancora, è da notare che anche in questo caso, con Newton, per Bailly la rivoluzione scientifica agisce in due stadi.[2]

 
Sir Isaac Newton

Bailly avverte i suoi lettori, però, che anche se «il libro dei Principia di Newton erano destinati a generare una rivoluzione nell'astronomia» era tuttavia vero che «questa rivoluzione non avvenne improvvisamente».[2][13]

Bailly però, apparentemente, non sembra aver applicato consistentemente i suoi "standard" nell'attribuire la dignità di "rivoluzione" ad altre radicali innovazioni in astronomia. Due esempi lampanti di innovatori geniali dell'astronomia che, per Bailly, comunque non meritavano il titolo di "rivoluzionari", furono Keplero e Galileo che comunque Bailly elogia come grandissimi «benefattori dello spirito umano».[2]

Anzi, il concetto di "rivoluzione scientifica a due fasi" non viene sempre adottato da Bailly. Le due fasi sono presenti nell'illustrazione di Bailly delle grandi rivoluzioni associate a Copernico e Newton, ma non alle rivoluzioni associate all'invenzione del micrometro, né per le altre innovazioni tecniche, anche quelle predette da Bailly.[2] Potrebbe sembrare che il concetto di "rivoluzione scientifica a due stadi" fosse un requisito solo per le rivoluzioni in larga scala, come l'introduzione di un nuovo sistema universale (Copernico), o di una nuova filosofia naturale, e di una nuova dinamica e meccanica celeste (Newton).[2] Ma Bailly non attribuisce la qualifica di "rivoluzione" — expressis verbis — al lavoro di Ipparco, di Galileo o di Keplero.[2] Per descrivere Keplero e Galileo Bailly continua ad usare metafore e immagini storico-politiche. Dopo una vivida descrizione dei risultati di Keplero, Bailly si rivolge a Galileo, e riferendosi ad entrambi scrive: «Tutti e due onorati da scoperte fondamentali, tutti e due ugualmente benefattori dello spirito umano, si elevarono alla stessa altezza e condivisero la stessa ammirazione degli uomini, come in precedenza i Cesari di Roma, seduti su due troni simili, hanno condiviso l'impero del mondo».[14]

Keplero per Bailly ha soddisfatto la qualifica della "doppia fase" rivoluzionaria, dal momento che aveva prima «distrutto tutti gli epicicli che Copernico aveva lasciato sussistere» prima di introdurre i propri concetti di orbite ellittiche e di moto secondo le tre leggi di Keplero.[2] Bailly si esprime sulla sua importanza, scrivendo «il privilegio dei grandi uomini è quello di cambiare le idee, e di annunciare le verità, e diffondono la loro influenza ai restanti secoli. Per questi due titoli Keplero merita di essere guardato come uno dei grandi uomini che sono apparsi sulla terra».[15] In effetti Keplero è, per Bailly, «il vero fondatore dell'astronomia moderna».[15] Nonostante tutto ciò Bailly comunque, inspiegabilmente, non considera che il lavoro di Bailly avesse costituito una "rivoluzione". E lo stesso vale per Galileo Galilei, che prima dovette distruggere le nozioni aristoteliche universalmente accettate sul moto (includendo anche la distinzione tra il moto naturale e violento e la «ridicola», secondo Bailly, distinzione tra i corpi "naturalmente" pesanti e quelli "naturalmente" leggeri) prima di introdurre le sue leggi del moto accelerato e dei gravi, la risoluzione e la composizione del moto (ad esempio come trovare la traiettoria parabolica dei proiettili).[16] Ma tutto ciò apparentemente, anche in questo caso, non meritava per Bailly, la designazione di "rivoluzione".[2]

La stessa sorte è toccata a Cartesio. È degno di nota il fatto che, anche se Bailly apprezzava pienamente i notevoli contributi scientifici di Cartesio, non ha comunque trovato le innovazioni cartesiane degne di essere considerate rivoluzionarie.[2] Bailly infatti riteneva che le osservazioni astronomiche fatte ponessero naturalmente la questione delle cause: «È stata un'idea sublime l'aver osato applicare le leggi del movimento generale dell'universo alle leggi del movimento dei corpi terrestri. Questa idea appartiene esclusivamente ai secoli moderni ed è dovuta principalmente a Cartesio».[2] Naturalmente, per Bailly, la teoria dei vortici di Cartesio era una cattiva spiegazione del peso e, in generale, del sistema del mondo, ma Bailly insistette sul merito di questa teoria perché voleva fornire, almeno, una spiegazione meccanica del mondo.[2] Inoltre, Bailly scrive che «ha scoperto che lo stesso meccanismo fa muovere corpi nel cielo e sulla superficie della terra; sebbene non abbia compreso questo meccanismo, non dobbiamo dimenticare che questo nuovo e grande pensiero è il frutto del suo genio. Quello che Cartesio ha proposto, Newton lo ha rispettato. Non bisogna rubare nulla alla gloria di questo grande uomo anzi, bisogna rendergli giustizia».[2][17] Per Bailly in ogni caso «se Cartesio ha aperto la strada ad altre scoperte grazie sue invenzioni geometriche, Keplero ha comunque ha lasciato più verità fisiche di lui. Cartesio ha osato di più, e la sua audacia è la misura della sua forza, lui non ha mai mancato di essere sempre più saggio; infatti sembrava ignorare i finti fatti accettati del suo tempo».[2][18]

In alcune occasioni, Bailly palesa anche la sua convinzione in un processo ciclico nello sviluppo dell'astronomia. Così una rivoluzione, anche per Bailly, potrebbe significare, in alcune occasioni, il ritorno ad una vecchia idea o un vecchio concetto o addirittura ad un vecchio principio.[2]

Bailly astutamente osserva che non si può assumere sempre che una qualche idea non sia "rivoluzionaria" soltanto perché la stessa idea era stata ipotizzata in precedenza e poi abbandonata. L'esempio che dà è abbastanza curioso: «La terra è uno sferoide, e la sua figura assomiglia a quella di un uovo. Varrone aveva già fatto una comparazione, senza dubbio in conseguenza di qualche idea superstiziosa degli antichi. La teologia pagana supponeva che il mondo avesse la forma di un uovo; questa non è la prima volta che la superstizione e il profondo sapere, pur per cammini opposti, siano giunti alle stesse conclusioni».[19]

Un'espressione più completa di cambiamento attraverso una rivoluzione ciclica è presentata da Bailly all'inizio del secondo volume della sua Histoire:

(francese)
«...En écrivant cette histoire, nous appercevons d'un côté que les hommes, persuadés de la simplicité du mécanisme de l'univers, tendent constamment à cette idée, même en s'en écartant: nous voyons de l'autre [côté] que cette idée est une des plus antiques qui nous ait été conservée. La conclusion naturelle est que nous retournons au terme d'où nous sommes partis: telle est notre marche, nous parcourons toujours un cercle. Mais ce terme, ce premier commencement des travaux connus, devoit être lui-même la fin d'une révolution. La simplicité n'est pas essentiellement un principe, un axiôme, c'est le résultat des travaux; ce n'est pas une idée de l'enfance du monde, elle appartient à la maturité des hommes; c'est la plus grande des vérités que l'observation constante arrache à l'illusion des effets: ce ne peut être qu'un reste de la science primitive.»
(italiano)
«Nello scrivere questa Histoire, vediamo da un lato che gli uomini di scienza, convinti della semplicità del meccanismo dell'universo, tendono costantemente a questa idea [di semplicità], anche scartando altre idee più complesse: vediamo dall'altro lato che questa idea è una delle più antiche che abbiamo conservato. La conclusione naturale è che alla fine torniamo dove siamo partiti: questa è la nostra attività, attraversiamo sempre un cerchio. Ma questo termine, questo primo inizio delle opere conosciute, doveva essere sé stesso la fine di una rivoluzione. La semplicità non è essenzialmente un principio, né un assioma, è il risultato di un lavoro; non è un'idea dell'infanzia del mondo, appartiene alla maturità degli uomini; è la più grande delle verità che l'osservazione costante strappa all'illusione degli effetti: questo non può essere che il resto di una scienza primitiva»

Il fatto che Bailly fosse a conoscenza del possibile processo di sviluppo ciclico nelle rivoluzioni scientifiche, così evidente a chiunque praticasse astronomia, non diminuisce comunque la convinzione con cui egli usa il termine "rivoluzione" anche in questi casi.[2] Così il concetto di rivoluzione come fenomeno caratterizzato da un cambiamento a due stadi piuttosto che ciclico non è così netto e anzi, entrambe le definizioni - secondo Bailly - possono coesistere, purché però il cambiamento generato sia di notevole entità.[2] Poi, dal momento che l'astronomo francese utilizza questa parola nella sua Histoire de l'astronomie moderne, si può concludere che da quel momento in poi la parola "rivoluzione" e il suo nuovo, più ampio, significato divennero pienamente accettati nell'ambito della storia della scienza e dell'analisi della crescita dei concetti scientifici, dei metodi scientifici, e dei sistemi di idee.[2]

Nel passaggio, inoltre, Bailly lascia intendere uno dei concetti più importanti della sua analisi storica della scienza: Bailly credeva che l'antica astronomia dei Caldei, degli Indiani, e dei Cinesi non fosse altro che un insieme di «macerie» della scienza di un «popolo anteriore» di cui si erano perse quasi completamente le tracce nel corso della storia. Questo popolo, per Bailly, «era stato distrutto da una grande rivoluzione».[21] La perdita delle idee astronomiche di questa antica civiltà poteva essere avvenuta, per Bailly, «solo a causa di una grande rivoluzione che ne distrusse gli uomini, le città, le conoscenze, non lasciando che detriti». Secondo Bailly, «tutto concorda nel provare che questa rivoluzione ha avuto luogo sulla Terra...».[22] Nella Table generale des matieres, ovvero l'indice, che copre sia i tre volumi della sua Histoire de l'astronomie moderne sia il singolo volume della Histoire de l'astronomie ancienne, i riferimenti a questa "rivoluzione" antichissima precedono addirittura i riferimenti alle rivoluzioni scientifiche dell'astronomia.[2]

Concezione storica e mitica

  Voce principale: Concezione storica di Bailly.

Durante la sua vita Bailly riuscì ad incarnare in sé sia l'establishment scientifico illuminista sia il processo rivoluzionario francese: insieme a Nicolas de Condorcet, suo grande rivale presso l'Accademia delle Scienze, Bailly era uno dei pochi rivoluzionari ad avere prima acquisito notorietà come philosophe e poi in campo politico. Ma la carriera di Bailly da intellettuale percorsa sia in ambito scientifico-astronomico, sia in ambito politico, mostra anche un nutrito interesse verso la storia e soprattutto illustra anche il tentativo da parte sua di trovare punti di convergenza tra la ricerca empirica e la speculazione mitologica. Condorcet infatti faceva riferimento al suo collega come «frère illuminé», alludendo alle presunte simpatie massoniche e metafisiche di Bailly, l'astronomo era ugualmente interessato sia di scienza sia di antiche tradizioni mitiche. Questo lato degli interessi di Bailly, sembrerebbe effettivamente in contraddizione con i suoi studi scientifici e fu per questo criticato dai suoi detrattori.[23][24]

 
Voltaire che legge, Jacques Augustin Catherine Pajou, olio su tela, 1811.

Bailly era affascinato dal mondo preistorico, dal mondo mitico, soprattutto dalla tradizione di Atlantide. Questa sua attività di ricerca parallela fu, molto probabilmente, ispirata dall'opera a nove volumi di Court de Gébelin, Monde primitif, che pretendeva di descrivere in maniera dettagliata ed enciclopedica un mondo antico, preistorico ma abitato da una civiltà sofisticata e tecnologicamente avanzata.[23][24] Il progetto di de Gébelin si era anche legato al mondo semi-segreto della massoneria francese: molte delle caratteristiche e delle usanze che lui attribuiva all'antica civiltà descritta nella sua opera sembravano progettate più che altro per fornire una secolare e venerabile genealogia ai vari rituali massonici. Questa influenza massonica è un po' meno evidente nel caso di Bailly, anche se ci sono prove che testimoniano la sua presenza nella prestigiosa Loge des Neuf Sœurs, a cui erano appartenuti Benjamin Franklin, lo stesso de Gébelin, l'astronomo Jérôme Lalande, e anche (sebbene solo per qualche settimana prima di morire) Voltaire. La loggia in effetti univa vari rappresentanti dell'empirismo settecentesco e degli storici versati nella speculazione mitologica.[23][24]

Fu sotto questo duplice egida di scienza e speculazione mitologica che Bailly decise di abbandonare in parte l'osservazione astronomica al fine di concentrarsi sugli studi di storia e di mitologia e di scavare a fondo alle radici mitiche gli inizi della scienza, del progresso tecnologico ed anche delle conoscenze astronomiche.[23][24] Il suo primo lavoro di questo tipo, vagamente ispirato all'Essai sur les mœurs et l'esprit des nations di Voltaire, fu l'Histoire de l'astronomie ancienne, depuis son origine jusqu'à l'établissement de l'école d'Alexandrie del 1775. Un altro libro, simile, fu anche l'Histoire de l'astronomie moderne, depuis la fondation de l'école d'Alexandrie jusqu'àl'époque de 1730, apparso invece - come già ricordato - in due volumi nel 1779. In questi scritti Bailly formulò la tesi per la quale sarebbe diventato famoso: pre-datando alcuni casi e studi astronomici documentati dalle civiltà del passato, sostenne l'ipotesi che dovesse esistere una civiltà preesistente, "antidiluviana", che prima delle altre aveva eccelso in campo astronomico. Solo l'esistenza di questa civiltà precedente avrebbe infatti potuto spiegare come mai gli indiani, i caldei, i persiani e addirittura i cinesi avevano potuto sviluppare conoscenze e pratiche astronomiche intorno allo stesso periodo (3000 a.C.).[23] La tesi di una grande inondazione globale (l'episodio biblico del "diluvio universale") era ancora largamente accettata dalla comunità scientifica nel XVIII secolo: ad esempio Nicolas Boulanger, nella sua Antiquité dévoilée (1756), aveva tentato addirittura di dimostrarlo scientificamente adducendo varie prove geologiche; anche lui, come Bailly, aveva ipotizzato l'esistenza di una sofisticata civiltà antidiluviana. Bailly unì questa tradizione biblica con un altro classico mito legato all'oceano, il mito di Atlantide. Basandosi in gran parte sugli scritti di Platone, Bailly sostenne che la storia raccontata da Crizia nell'omonimo dialogo platonico, doveva essere presa alla lettera.[23]

Ma Bailly aveva introdotto un elemento importante in questa storia: invece di situare Atlantide nel suo omonimo mare, l'oceano Atlantico, oppure in Estremo Oriente, dove lo stesso Voltaire l'aveva posizionata, Bailly reputò più consistente l'ipotesi che Atlantide si trovasse oltre il lontano nord, al di sopra del circolo polare artico. Del resto a Bailly le osservazioni di alcuni eventi astronomici, che si trovavano negli annali e nei documenti dei vari popoli meridionali dell'Asia, sembravano invece più legati a delle indagini svolte a latitudini più elevate. Così aveva ipotizzato luogo sul globo in cui vissero i popoli primitivi di Atlantide, ovvero il Polo Nord, diversamente dall'ipotesi di Voltaire In passato, inoltre, secondo la tesi baillyiana, questa zona avrebbe conosciuto un clima molto più permissivo e perciò sarebbe stata più facilmente abitabile; e in più solo questo sito settentrionale avrebbe potuto spiegare i costanti ritornelli mitologici e le usanze comuni a tutte le tradizioni religiose delle civiltà antiche: spiegabili perché in realtà tutte le civiltà deriverebbero dall'unico ceppo comune atlantideo. Da questo luogo infatti, gli Atlantidei migrati a Sud, si stabilirono in India, per poi trasferirsi ad Ovest, oltrepassando e colonizzando dopo l'India, anche l'Egitto, la Grecia, per arrivare, infine, in Europa. Prefigurando Hegel, Bailly affermò che: «lo scettro della scienza deve essere stato tramandato da un popolo all'altro» (Histoire, 3). Il movimento di queste conoscenze scientifiche però, diversamente da come Hegel riterrà, non era avvenuto da est a ovest, ma, per Bailly, da nord a sud.[23][24]

Secondo Bailly, perciò, le popolazioni dell'Asia non erano state che eredi delle conoscenze di questo popolo antlantideo settentrionale, che aveva già sviluppato un'astronomia molto precisa. I cinesi e gli indiani, tanto rinomati per il loro apprendimento scientifico, non sarebbero stati per lui che semplici depositari.

Uno dei primi destinatari del lavoro di Bailly fu Voltaire stesso, che riconobbe la plausibilità delle sue tesi con una lettera incoraggiante (anche se leggermente sarcastica), che Bailly pubblicò assieme alla loro conseguente corrispondenza epistolare nella prefazione del libro del 1777, Lettres sur l'origine des sciences, et sur celle des Peuples de l'Asie, destinato proprio a Voltaire.[23][24] In questo testo, Bailly cercò di confutare la convinzione di Voltaire sul fatto che i brahmani fossero il più antico popolo del mondo e che, come Voltaire sosteneva, c'era ancora un grande paese, vicino a Benares, dove l'età dell'oro di Atlantide continuava ad esistere (Voltaire aveva sviluppato questa idea nella sua breve storia La princesse de Babylone). Bailly invece insistette per individuare Atlantide molto più a nord, localizzandola nella mitica terra di Iperborea, la cui capitale era Thule.[23][24] Questa terra doveva essere quella che aveva ospitato l'età dell'oro di cui poeti e storici antichi, come Erodoto o Esiodo, avevano narrato.[23][24]

Anche se intanto Voltaire era morto prima che potesse rispondergli dopo la pubblicazione, Bailly comunque pubblicò un ulteriore libro per difendere la sua tesi, le Lettres sur l'Atlantide de Platon et sur l'histoire de l'ancienne Asie (1779).[23][24]

Successive speculazioni sulle tesi di Bailly

 
Alfred Rosenberg

L'eredità lasciata da Bailly continuò a vivere anche dopo la sua morte. La sua tesi di una "Atlantide Iperborea" era stata sonoramente respinta in un primo momento. Ad esempio Jules Verne in qualche modo voleva anche prendere in giro Bailly in 20.000 leghe sotto i mari (1869), quando i suoi personaggi scoprirono la "vera" Atlantide nell'Oceano Atlantico. Ma una donna, Helena Blavatsky, prese molto sul serio le idee di Bailly. Blavatsky fu una delle teorizzatrici della teosofia, una dottrina mistico-filosofica, il cui credo fu precisato nel suo libro La dottrina segreta (1888). In questo lavoro ermetico, Blavatsky rispolverò la teoria di Bailly (citandolo addirittura ventidue volte[23]), e incorporò l'ipotesi di un "Atlantide Iperborea" all'interno di una storia fantastica che coinvolgeva i vari continenti e varie razze umane e semiumane. Atlantide era rappresentata come un continente polare che si estendeva dall'attuale Groenlandia fino alla Kamčatka e il suo destino si legò a quello di una razza particolarmente controversa: gli ariani, una razza superiore, seconda in ordine di tempo, costituita da giganti androgini dalle fattezze mostruose. Quando gli ariani migrarono a sud verso l'India, scaturì da loro una "sub-razza", quella dei semiti. Il mito di un "Atlantide Iperborea" fece così ingresso all'interno delle ideologie ariane ed antisemite della fine del XIX secolo.[23][24]

La teoria di Bailly-Blavatsky trovò sostegno tra alcuni degli ideologi ariani viennesi più fantasiosi.[25] Furono proprio questi circoli, come la società "Thule" (che prendeva il nome della mitica capitale di Iperborea), che fecero derivare molte teorie antisemite e ariane dal lavoro mitologico di Blavatsky, e indirettamente da Bailly. I membri della società Thule, in particolare, sono stati fondamentali nell'aiutare Adolf Hitler (che probabilmente aveva letto alcuni libri dei teosofi ariani viennesi quando viveva in Austria) nel fondare il NSDAP, il partito nazista. Uno di loro, Alfred Rosenberg, compagno vicino a Hitler durante gli anni in cui questi stette a Monaco di Baviera, aveva posto il mito di un Atlantide Iperborea al cuore di un suo voluminoso tomo dottrinale, Der Mythus des 20. Jahrhunderts (Il mito del XX secolo) del 1930.[25] Rosenberg iniziò questo lavoro assumendo come vera la passata esistenza di Atlantide nel lontano nord, riproponendo la tesi baillyiana:

(inglese)
«All in all, the old legends of Atlantis may appear in new light. It seems far from impossible that in areas over which the Atlantic waves roll and giant icebergs float, a flourishing continent once rose above the waters and upon it a creative race produced a far-reaching culture and sent its children out into the world as seafarers and warriors. But even if this Atlantis hypothesis should prove untenable, a prehistoric Nordic cultural center must still be assumed.»
(italiano)
«Tutto sommato, le antiche leggende su Atlantide possono apparire in una nuova luce. Sembra tutt'altro che impossibile che nelle zone in cui scorrono le onde dell'Atlantico e in cui fluttuano iceberg giganti, un continente fiorente sia salito una volta al di sopra delle acque e su di esso, una razza creativa abbia prodotto una cultura lungimirante e abbia inviato i suoi figli nel mondo, come marinai e guerrieri. Ma se anche questa ipotesi di Atlantide dovesse rivelarsi insostenibile, un preistorico centro culturale nordico comunque dovrebbe essere ancora supposto.»

Il mito di un "centro culturale nordico" ha permesso poi a Rosenberg, a partire da questa ipotesi, di accreditare la razza ariana come artefice tutte le grandi conquiste culturali nella storia umana: in momenti diversi nel tempo (in coincidenza con le più grandi fioriture della civiltà), gli ariani discesero dalla loro madrepatria nordica per realizzare le loro prospettive di vita nei climi meridionali.[25] La "prova" della superiorità ariana così poggiava su questa situazione geografica chiave: solo se posizionati nel Circolo Polare Artico gli Ariani avrebbero potuto reclamare plausibilmente ogni responsabilità sia per le realizzazioni orientali sia per quelle occidentali.[23][24][25]

Vi sono notevoli differenze tra Bailly e le interpretazioni di Rosenberg del mito di Atlantide Iperborea, e chiaramente non ha senso considerare Bailly un precursore del nazismo. Va però detto che egli non fu nemmeno totalmente innocente, pur muovendosi in un'ottica tipicamente illuministica.[23][24] Uno dei pochi storici contemporanei ad aver analizzato la preistoria speculativa di Bailly, Dan Edelstein, ha commentato: «Senza razionalizzare con esattezza la sua teoria, Bailly ha comunque cercato di dare il merito del progresso culturale orientale, all'Europa». Costruendo l'ipotesi di un popolo nordico responsabile per i successi culturali e tecnici dell'India e dell'Oriente, secondo Edelstein Bailly «ha con ultimo fine onorato il progresso e la superiorità occidentale, pur lodando i brahamani». L'Europa e soprattutto quella illuminata, insomma, è stata - per Bailly - il vero successore di Atlantide.[24][25] Con queste teorie, pur con tutte le successive differenze e i travisamenti, Bailly ha inconsapevolmente fornito ai movimenti nazionalisti più tardi, una potente narrazione e un valido materiale teorico che autorizzò in qualche modo un certo numero di ideologie razziste.[23][24][25]

Pensiero politico

Nella sua visione politica, Bailly sembra avvicinarsi a Voltaire, che sarebbe diventato più in là il suo nume tutelare, a Montesquieu e, soltanto in alcuni passaggi, Rousseau.[26] La visione contrattualistica invece riprende per certi aspetti John Locke.[27]

Una "monarchia costituzionale"

Grazie al materiale contenuto nelle sue Mémoires, abbiamo alcune informationi sulle visioni politiche di Bailly alla vigilia della Rivoluzione francese. Egli fu di sicuro profondamente influenzato dalle teorie politiche dell'Illuminismo. André Morellet elenca, in parte a torto, Bailly come uno dei membri più fortemente rivoluzionari dell'Accademia di Francia (infatti va detto che le dichiarazioni di Morellet erano comunque influenzate dalle sue tendenze ultramonarchiche).[28]

Bailly era certamente insoddisfatto dell'autocratica ed irresponsabile monarchia francese. Oltre ad essere estremamente critico nei confronti del ministro delle Finanze Brienne e del controllore generale Calonne, Bailly rimproverò l'Assemblée des notables che si era riunita nel 1787 per il fatto che si era preoccupata solo dei propri privilegi ed interessi.

Bailly esaltò solo successivamente Necker e il re, Luigi XVI, come uomini responsabili per aver chiamato gli Stati Generali, e, quindi, per aver fornito alla nazione francese i mezzi per recuperare i propri diritti. Il suo ideale politico, che continuò ad avere durante tutto il periodo rivoluzionario, era la monarchia costituzionale, con un'autorità divisa tra il re e un'assemblea rappresentativa.

Anche se Bailly continuava a pronunciarsi sulla necessità di una riforma del sistema politico, egli era intimo con molti uomini influenti negli ambienti di corte e con i membri degli Stati privilegiati che favorirono il perpetuarsi dell'ancient régime. Il re stesso, Luigi XVI, lo conosceva e quando fu informato della sua elezione agli Stati Generali, espresse la sua soddisfazione per la scelta di un uomo così onesto.[29] L'abate Maury, membro ultraconservatore dell'Assemblea nazionale, era in buoni rapporti con Bailly e gli suggerì di unire le forze quando entrambi furono eletti agli Stati Generali.[29] Villedeuil, ministro di stato, e Breteuil, che sostituì Necker per alcuni giorni durante la presa della Bastiglia, erano entrambi inclusi nel cerchio delle amicizie di Bailly.[29]

Una visione più approfondita della carriera di Bailly nel periodo prerivoluzionario rivela comunque un uomo fortemente legato alla monarchia e ben poco incline a demolirla. Ad esempio, quando gli fu chiesto di contribuire ad alcune voci della Encyclopédie, rifiutò per il fatto che il governo si oppose al progetto.[30] Nei suoi scritti egli era sempre molto circospetto e fu accusato a più riprese di debolezza e di servilismo verso l'autorità.[30] Quando la sua Histoire de l'astronomie fu attaccata come un lavoro anti-cristiano, il governo francese balzò in difesa di Bailly e ordinò al giornalista di ritirare la sua accusa.[30] Il favore del governo permise a Bailly di ottenere una posizione minore nel governo municipale di Parigi nel 1777.[31] Ci sono state indicazioni di pressione da parte della corte nella sua elezione all'Académie française, ed ottenne l'appartenenza alla Académie des inscriptions et belles-lettres attraverso decreto reale.[30] Inoltre Bailly ereditò dal padre la carica di custode della collezione d'arte reale, e quando quell'ufficio fu soppresso nel 1783, Bailly comunque continuò a ricevere una pensione annua di 1600 lire, che rappresentava l'ammontare dei ricavi dall'ufficio. Ha anche ricevuto un'altra rendita pari a 2400 lire all'anno per i suoi "meriti scientifici".[32] Dal 1787, Bailly fu ufficialmente accolto nella corte, col titolo di segretario della Contessa di Provenza.[33]

E soprattutto, in quanto re, Bailly lo vede come l'incarnazione della legge e il simbolo della volontà popolare. «Un re è la legge resa vivente» scrive Bailly.[34] Questi infatti, nella sua ora più rivoluzionaria, quando divenne prima presidente dell'Assemblea nazionale e poi sindaco di Parigi, non perse mai il suo rispetto per la legge, che egli considerava come un'estensione dei principi naturali. Secondo Bailly il sistema monarchico era, in una visione contrattualistica della storia ispirata da Locke, il compromesso che la saggezza umana aveva ideato tra gli eccessi dell'anarchia e quelli del dispotismo. Il monarca era il principale agente della legge. Se anche avesse potuto comandare tutto, era perché avrebbe comunque dovuto rappresentare la somma totale della volontà popolare; se tutti erano obbligati ad obbedirgli, era perché «loro stessi se l'erano proposto».[35] Questa cessione dei diritti della popolo alla volontà di un singolo individuo dipendeva dunque un patto, un vincolo sacro che imponeva al popolo di obbedire al monarca e al monarca di obbedire al popolo. Il monarca quindi aveva l'obbligo di essere giusto, buono e illuminato. In questo tratto la dottrina politica di Bailly riecheggia con forza quella di Montesquieu, Voltaire e Rousseau.[27]

Bailly elogia Carlo anche per la sua alta moralità. Il re infatti, in quanto incarnazione universale della legge, deve vivere egli stesso secondo una legge morale interiore, in modo che la sua condotta sia esemplare davanti al popolo. Qui, in effetti, si può leggere una previsione di quelle che poi sarebbero state le politiche che Bailly avrebbe portato avanti come sindaco di Parigi.[27] Altri motivi di elogio furono: la soppressione, da parte del re, del vizio nella capitale; il suo incoraggiamento all'agricoltura, all'industria e al commercio; e il suo interesse per l'educazione e l'apprendimento. Sull'importanza dell'educazione e della cultura, ben dimostrata dal re, Bailly scrive:

(francese)
«Il fonde cette bibliothèque aujourd'hui si fameuse et si magnifique. Rois... n'oublièz pas qu'il y chercha la vérité! C'est là qu'elle existe pure et sans mélange: non dans l'histoire qui a divinisé les tyrans, qui a flétri de grands hommes, mais dans les écrits des sages de tous les siècles.»
(italiano)
«Ha fondato questa biblioteca ormai così famosa e così bella. Oh [che] re... si deve ricordare che ha anche cercato la verità! Quella [verità] che è pura e genuina: [e l'ha cercata] non nella storia che ha divinizzato i tiranni, o che ha fatto appassire i grandi uomini, ma negli scritti dei saggi di tutte le epoche.»

Nel passaggio Bailly fa riferimento alla fondazione della prima Bibliothèque du roi presso il tour de la librairie dell'antico Louvre.[37]

La diatriba contro la guerra

Ma Carlo V era anche un re guerriero, e Bailly, non esattamente un militarista, afferma: «Il ferro è malauguratamente l'arbitro delle nazioni».[38] Per giustificare comunque le guerre di Carlo, Bailly le interpretò come difensive, condannando al tempo stesso le guerre di aggressione e gli ingrandimenti territoriali.[27]

(francese)
«J'entends s'élever la voix des partisans de la gloire, de cette vaine gloire qui fait le malheur du monde: ils demandent pourquoi la vérité ne permet pas de mêler à des titres si beaux le titre de conquerant. Pourquoi? C'est que le bienfaiteur des hommes ne peut en être le destructeur! [...] N'est-ce pas dans le choc des empires que le despotisme s'élève, et que les chaînes de l'humanité s'appesantissent? [...] Nous ne sommes plus au temps où des essaims barbares sortaient des glaces du nord. [...] C'était alors qu'il fallait un guerrier pour fonder un empire; mais cet empire est-il fondé, c'est au sage qu'il appartient de le rendre heureux. Si la nature n'eût fait que des héros, la terre eût été bientôt deserte.»
(italiano)
«Sento salire le voci dei sostenitori della gloria [militare], di questa vana gloria che genera la sfortuna del mondo: chiedono perché la verità non mescola con dei titoli così belli il titolo di "conquistatore". Perché? Perché il benefattore degli uomini non può anche esserne il distruttore! [...] Non è forse nello scontro tra gli imperi che il dispotismo si rinforza, e le catene dell'umanità si sovraccaricano? [...] Non siamo più ai tempi in cui sciami di barbari giungevano dai ghiacci del nord. [...] È stato allora che serviva un guerriero per fondare un impero; ma questo impero ormai è stato fondato, ed è il saggio che ha il compito di renderlo felice. Se la natura avesse creato solo degli eroi [di guerra], la terra sarebbe stata presto deserta.»

Bailly afferma, polemizzando contro gli effetti nefasti della guerra, che «se la natura avesse creato solo degli eroi di guerra, la terra sarebbe stata presto deserta».[39] Perciò un re che voglia dirsi «benefattore degli uomini non può anche esserne il distruttore», non può essere, cioè, un re-conquistatore che attui infausti conflitti.[39]

L'antirazzismo di Bailly

Pensiero economico

Bailly inoltre si preoccupa particolarmente degli aspetti economici del regno di Carlo e analizza in dettaglio le sue politiche fiscali. Carlo è lodato per aver recuperato i doni eccessivi, dati in forma di terra e subsides (sussidi), con cui i suoi predecessori avevano acquistato l'appoggio della nobiltà. Allo stesso tempo l'autore fa risferimento alla raccolta equa ed efficiente delle tasse, che era stata a lungo fonte di corruzione e di spoliazioni del tesoro nazionale.[27]

Inoltre, il re è elogiato perché praticò l'economia di stato in tempi prosperi e la spesa pubblica in tempi di sventura.[27] Bailly è ansioso di vedere lo governo economizzare, senza però per questo impedire al re di essere generoso se vuole: «la saggezza decide il momento in cui l'economia diventa una virtù».[40]

Bailly si rende conto che una spesa pubblica intelligente può creare capitali di ricchezza e appianare i punti di massima causate da alternanza tra periodi di scarsità e abbondanza. «L'imposta non è mai pesante quando è destinata alle spese della nazione, rifluisce la nazione stessa e va ad alimentare la fonte da dove è venuta».[40]

Per quanto riguarda il valore monetario della valuta, Bailly mostra degli istinti conservatori, ammettendo che è preferibile difendere le ampie fortune dalle incursioni dell'inflazione.[27] L'inflazione, infatti, calcolata per consentire allo Stato di far fronte ai propri impegni, per Bailly non poteva che avere effetti disastrosi per l'economia: serviva solo per rovinare i creditori a beneficio dei debitori. Gli effetti sarebbero stati nefasti: i poveri sarebbero diventati troppo potenti; il tesoro dei ricchi sarebbe diventato il loro oro; il commercio sarebbe entrato in crisi, e la fede delle persone (in tutti i sensi) sarebbe stata scossa. Carlo viene elogiato anche perché, a differenza dei suoi predecessori, evitò l'imprudenza di emettere denaro a basso valore che Bailly definisce una «risorsa vergognosa e momentanea».[41]

Le idee economiche di Bailly sono riconducibili, forse, a due opere economico-filosofiche che erano apparse nel 1763: il libro dell'abate Nicolas Baudeau Idées d'un citoyen sur l'administration des finances du roi (pubblicato ad Amsterdam) e il libro di Roussel de la Tour La Richesse de l'état. Questi due autori proponevano modi e mezzi fattibili per tagliare le spese ed aumentare le entrate e chiedevano specificatamente l'abolizione di numerosi privilegi feudali e i numerose tecniche di riscossione che favorivano la ricchezza delle famiglie nobiliari a svantaggio della nazione.[27]

Bailly non era certamente un economista rivoluzionario nel 1767, né era un esperto banchiere come Necker, ma l'insinuazione di tali idee economiche in un Éloge dedicato ad un sovrano francese è la prova evidente che egli era bene informato in materia economica, e su di essa aveva delle idee molto precise. Bailly, ormai, aveva capito infatti che numerosi mali dell'economia dipendevano dall′ancien régime e dagli antichi retaggi e privilegi, soprattutto di natura economica, che erano concessi ai nobili, e che non potevano che sfavorire il sistema economico nazionale.[27]

Note

  1. ^ Jean Sylvain Bailly, Lettres sur l'Atlantide de Platon.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z aa ab ac ad ae af ag ah ai aj ak I. Bernard Cohen, The Eighteenth-Century Origins of the Concept of Scientific Revolution, in Journal of the History of Ideas, vol. 37, n. 2, 1976, pp. 257–288, DOI:10.2307/2708824, JSTOR 2708824.
  3. ^ Histoire de l'astronomie moderne, II, 6, XVII, 272-273.
  4. ^ Histoire de I'astronomie moderne, I, volume 9, I, 337
  5. ^ Histoire de I'astronomie moderne, I, volume 3, I, 78
  6. ^ Histoire de l'astronomie moderne, I, 9, III, 337.
  7. ^ Histoire de I'astronomie moderne I, libro 9, XXI, 363
  8. ^ Histoire de I'astronomie moderne I, libro 3, II, 78
  9. ^ Histoire de I'astronomie moderne I, libro 9, III, 337
  10. ^ Histoire de l'astronomie moderne, III, Discours VI ("Resume general"), prima parte "Des progres que l'astronomie a faits", 320
  11. ^ Histoire de l'astronomie moderne III, Discours VI ("Resume general"), prima parte "Des progres que l'astronomie a faits", 321
  12. ^ Histoire de l'astronomie moderne, II, libro 12, XLII, 560-561
  13. ^ Histoire de l'astronomie moderne, volume II, libro 13, I, 579
  14. ^ Histoire de l'astronomie moderne, 2, libro 1, XLIX, 75-76
  15. ^ a b Histoire de l'astronomie moderne, 2, libro 1, I-II-III, pp. 2-5
  16. ^ Histoire de l'astronomie moderne, II, libro 2, II, 79
  17. ^ Histoire de l'astronomie ancienne, "Discours préliminaire", XI
  18. ^ Histoire de l'astronomie moderne, II, 4, XI, 192
  19. ^ Histoire de l'astronomie moderne, II, libro 12, XXVI, 519
  20. ^ Histoire de l'astronomie moderne, II, libro 1, I, pp. 3-4
  21. ^ Histoire de l'astronomie ancienne, libro 1, XII, pp. 18-19
  22. ^ Histoire de l'astronomie ancienne, libro 2, XXVI, 59
  23. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q Jean-Sylvain Bailly (1736-1793) by Dan Edelstein
  24. ^ a b c d e f g h i j k l m n (EN) Dan Edelstein, Studies in Eighteenth-Century Culture, 2006.
  25. ^ a b c d e f (EN) Nicolas Goodrick-Clarke, The Occult Roots of Nazism: Secret Aryan Cults and Their Influence on Nazi Ideology, 1985.
  26. ^ Il catalogo della biblioteca di Bailly mostra che questi possedeva tutte le opere di Montesquieu, Rousseau, e Voltaire così come di numerosi altri pensatori contemporanei; però si deve pur sempre ricordare che tutto ciò rappresenta lo stato della biblioteca alla fine della sua carriera e non al periodo in questione.
  27. ^ a b c d e f g h i Edwin Burrows Smith, Jean Sylvain Bailly: Astronomer, Mystic, Revolutionary (1736-1798), American Philosophical Society (Philadelphia, 1954).
  28. ^ Abbé Morellet, Mémoires inédits de l'Abbé Morellet sur le dix-huitème siècle et sur la Révolution, précédés de l'éloge de l'Abbé Morellet par M. Lemontey ( Paris, 1822), I, 424.
  29. ^ a b c Bailly, Mémoires, I
  30. ^ a b c d Berville, in Bailly, Mémoires, I
  31. ^ Jean François Robinet, gen. ed., Dictionnaire historique et biographique de la Révolution et de l'Empire (1789-1815) (Paris, 1899), I, 86.
  32. ^ Archives parlementaires de 1787 à 1860. Recueil complet des débats législatifs et politiques des chambres françaises, imprimé par ordre du Senat et de la Chambre des Députés. Première série (1787 à 1799), 2nd ed., (Paris, 1867-1913), XIII, 379
  33. ^ Sepet, "Jeu de Paume", Revue des questions historiques, XLIX, 512.
  34. ^ Bailly, Eloge de Charles V, 1: 9
  35. ^ Ibid., 1: 3
  36. ^ Ibid., 1: 21
  37. ^ Un inventario di questa biblioteca fu scritto e pubblicato da Van-Praet nel 1835
  38. ^ Jean Sylvain Bailly, Discours et mémoires, 1: 20
  39. ^ a b c Jean Sylvain Bailly, Discours et mémoires, 1: 23-25.
  40. ^ a b Bailly, Eloge de Charles V, 1: 17
  41. ^ Ibid., 1: 18