Italia romana
Il concetto di Italia è un'invenzione della civiltà romana. Si estese gradualmente dalla moderna Calabria, suo luogo d'origine, fino a giungere alle Alpi designando in tale modo l'intera penisola italiana. A partire dai tempi di Diocleziano questa denominazione incluse anche le isole. L'Italia romana era un territorio vasto e contrassegnato da una notevole varietà etnica e sociale che, pur conservando forti particolarismi locali, subì sin dalla fine della Repubblica romana un processo di unificazione sotto un unico regime giuridico. Si stima che in Italia vivessero all'inizio del VI secolo a.C. all'incirca 3 milioni di abitanti, saliti a 5 milioni nel 14 d.C., dato che non comprende gli schiavi e gli stranieri (peregrini) presenti nella penisola, il cui numero faceva salire la popolazione totale a 8-10 milioni, ma solo i cittadini di pieno diritto. Durante il principato di Augusto Roma raggiunse il milione di abitanti.
Italia romana | |||||
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Informazioni generali | |||||
Nome ufficiale | (LA) Italia | ||||
Capoluogo | Roma 1.000.000 abitanti (durante il principato di Augusto) | ||||
Altri capoluoghi | Mediolanum, Ravenna | ||||
Dipendente da | ![]() ![]() ![]() | ||||
Amministrazione | |||||
Forma amministrativa |
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Evoluzione storica | |||||
Inizio | VII secolo a.C. | ||||
Causa | Conquiste avvenute durante l'età regia di Roma | ||||
Fine | 476 d.C. | ||||
Causa | Caduta dell'Impero romano d'Occidente | ||||
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Cartografia | |||||
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La sottomissione delle popolazioni italiche e l'unificazione di questi popoli in un'entità geografica identificabile con l'attuale penisola italiana, richiese a Roma una serie di guerre di conquista e di colonizzazioni lunghe e difficili. Le tappe principali furono la conquista del primato sul Latium vetus durante l'intera epoca regia e poi l'assoggettamento della penisola dall'Arno allo stretto di Messina durante il primo periodo repubblicano (fino al 264 a.C.). Roma procedette poi a sottomettere anche i territori celti a nord degli Appennini grazie alla conquista della Gallia Cisalpina (dal 222 al 200 a.C.) per poi assoggettare le limitrofe popolazioni di Veneti (a oriente) e Liguri (a occidente) fino a raggiungere la base delle Alpi. L'Italia romana ebbe termine il 476 d.C. con la caduta dell'Impero romano d'Occidente.
In epoca repubblicana il territorio romano della penisola italiana era formato da cittadini di pieno diritto, dalle colonie di diritto latino e dai socii e foederati. Seguì poi l'Italia augustea divisa in undici regiones e infine, a partire da Diocleziano, la Diocesi d'Italia, che fu divisa sotto Costantino I in Italia Suburbicaria e Italia Annonaria. Da un punto di vista urbanistico, e in riferimento alla costruzione delle infrastrutture, fu soprattutto l'Italia, rispetto alle altre province romane, ad essere privilegiata da Augusto, che vi costruì una fitta rete stradale e abbellì le città della penisola dotandole di numerose strutture pubbliche, come fori, templi, anfiteatri, teatri e terme. Il capoluogo dell'Italia romana fu Roma, che lo restò de iure anche quando le città di riferimento della penisola diventarono Mediolanum e Ravenna, che assunsero il ruolo di capitali dell'Impero romano d'Occidente de facto, rispettivamente, dal 286 d.C. al 402 d.C. e dal 402 d.C al 476 d.C.
Generalità
Come suggerisce lo storico italiano Giovanni Brizzi, il concetto di Italia è un'invenzione di Roma antica.[1] La nascita in Italia del senso di nazione, poi tanto evocato durante il Risorgimento, e l'origine dello stesso concetto di popolo italiano, sono stati sintetizzati da Giulio Giannelli con queste parole, richiamando l'unificazione della penisola italiana durante l'epoca romana[2]:
Si può forse osservare come la nozione di Italia romana sia una nozione dinamica, in divenire fino all'età augustea. Infatti se inizialmente esisteva un'Italia greca (limitata al meridione italiota), un'altra etrusca (separata dagli Appennini, dal mondo gallico e greco), esiste senz'altro una prima Italia romana, che conicideva inizialmente con la grande regione costiera occidentale, compresa tra l'Etruria settentrionale e l'ager Campanus, e che nella concezione di Appiano di Alessandria, escludeva i Sanniti.[1][3] Episodio chiave per quella che si avviava a diventare l'Italia romana fu certamente la vittoria romana sui Latini nella guerra degli anni 341-338 a.C., che portò allo scioglimento definitivo della lega latina.[4]
Territorio
Dei confini dell'Italia parlava Antioco di Siracusa (V secolo a.C.) nella sua opera Sull'Italia,[5] il quale la identificava con l'antica Enotria. A quel tempo si estendeva dallo stretto di Sicilia, fino al golfo di Taranto (ad est) ed al golfo di Posidonia (ad ovest).[6] In seguito, con la conquista romana dei secoli successivi, il termine Italia venne ampliato a tutti i territori a sud della catena delle Alpi, comprendendo, pertanto, anche la Liguria (fino al fiume Varo) e l'Istria fino a Pola.[6] Di fatto tutti i suoi abitanti furono considerati Italici e Romani.[6]
È importante notare che fino al 292 d.C., la Sicilia e le isole di Corsica e Sardegna non erano considerate come parte dell'Italia. Soltanto sotto Diocleziano, le provincie di Sicilia e Sardegna e Corsica verranno annesse alla "Diocesi Italiciana".[7]
Il territorio di Roma crebbe di pari passo con le conquiste operate nei secoli, a partire dai 983 km2 al momento della cacciata dei Tarquini (509 a.C.), per raggiungere i 3.098 km2 poco prima dell'inizio della guerra latina (341-338 a.C.).[8] Con la definitiva vittoria romana sui Sanniti (298-290 a.C.), al controllo della federazione romana rimanevano esclusi solo i territori dei Bruzi, dei Greci Italioti nel meridione italico, e nel settentrione il tratto più remoto dell'Etruria e la Gallia cisalpina a nord degli Appennini. Il territorio romano raggiunse in questo periodo una superficie di 13.000 km2 circa, mentre quello dei socii era costituito da 62.000 km2. Si trattava ormai del quarto stato per estensione territoriale, tra quelli che si affacciavano sul Mare Mediterraneo, vale a dire dopo la Siria seleucide, l'Egitto tolemaico e l'impero di Cartagine.[9]
Poco prima della prima guerra punica (264 a.C.), al momento della fondazione di Ariminum (nel 268 a.C.), la superficie dei territori annessi a Roma era giunta a circa 27.000 km2.[8] Dato che un terzo dei nuovi territori era di proprietà dello stato, la superficie dell'ager publicus era costituita da più di 800.000 ettari, determinando il moltiplicarsi sia dei piccoli poderi degli agricoltori liberi attraverso le assegnazioni viritane, sia la formazione di grandi proprietà terriere da parte delle classi sociali elevate. Al termine della conquista romana della Gallia Cisalpina (190 a.C. circa), il territorio della federazione romana raggiunse i 55.000 km2.[8] I dati interessanti sono poi nell'89 a.C., al termine della guerra sociale, quando l'Italia romana raggiunse i 160.000 km2 e poi nel 49 a.C. i 237.000 km2 grazie alla lex Roscia che concedeva il Plenum ius ai cittadini della provincia della Gallia Cisalpina.[8]
Popolazione
L'Italia romana era un territorio vasto e contrassegnato da una notevole varietà etnica e sociale, che, pur conservando dei forti particolarismi locali, subì sin dalla fine della repubblica un processo di unificazione sotto un unico regime giuridico. Si stima che in Italia vivessero all'inizio del VI secolo a.C. all'incirca 3 milioni di abitanti, di cui: 130.000 Lucani, 450.000 Messapi, 200.000 Bruzi, 200.000 Campani, 300.000 Sanniti e 250.000 Osci.[10] A questi si aggiungevano all'incirca 600.000 Etruschi ed 1 milione di cittadini greci.[11]
Tito Livio racconta[12] come, nel 459 a.C. (in effetti fa riferimento al consolato di Quinto Fabio Vibulano e Lucio Cornelio Maluginense Uritino), si sia concluso il decimo censimento ab Urbe condita, dal quale risultarono 117.319 cittadini romani.[13] Durante la terza guerra sannitica, nel 294 a.C., il nuovo censimento contò ben 262.321 cittadini.[14] Pochi anni più tardi, nel 289 a.C., al termine dell'ultima guerra sannitica, i cittadini erano aumentati a 272.000 unità.[15]
Alla vigilia della prima guerra punica (nel 265 a.C.), i cittadini aumentarono notevolmente fino a raggiungere le 382.234 unità.[16] Pochi anni prima che terminasse questa prima guerra per l'egemonia del Mediterrano occidentale (nel 247 a.C.), i cittadini erano diminuiti a 241.212,[17] ad un livello inferiore alla fine della grande guerra sannitica.[15] Il punto più basso venne però raggiunto durante la guerra annibalica (nel 209 a.C.) con soli 137.108 cittadini a causa delle numerose disfatte subite (in primis Canne dove perirono non meno di 60/70.000 soldati romani/italici[18]) e della defezione di parte dei socii soprattutto nel meridione italico.[19]
Una volta terminata la seconda guerra punica con la vittoria di Roma (202 a.C.), la ripresa fu lenta e graduale a causa delle continue guerre di conquista della parte orientale del Mediterraneo, tanto da far segnare 258.318 cittadini nel 189 a.C.,[20] 269.015 nel 174 a.C.,[21] 312.805 nel 169 a.C.[22] per poi raggiungere 394.336 cittadini quasi un secolo dopo la sconfitta di Annibale (115 a.C.),[23] e comunque pari al risultato riscontrato alla vigilia della prima guerra punica.[16]
Un dato estremamente interessante e importante è quello fornitoci da Livio che, a pochi anni dalla fine della guerra sociale (86 a.C.) e poi dopo la fine della dittatura di Lucio Cornelio Silla (70 a.C.), vide censiti rispettivamente 463.000 e 910.000 cittadini romani, molti dei quali erano italici a cui da poco era stata concessa la cittadinanza.[8][24][25] Mentre l'incremento demografico al tempo di Augusto, dopo una notevole politica di colonizzazione compiuta da lui e dal padre adottivo, Gaio Giulio Cesare, fu rilevato tramite tre censimenti: i cittadini erano 4.063.000 nel 28 a.C.,[26] 4.233.000 nell'8 a.C.[26] e 4.937.000 nel 14 d.C.[26] dato che è da considerarsi comprensivo anche di donne e bambini, non ovviamente della popolazione schiava o degli stranieri (peregrini) presenti nella penisola, il cui numero faceva salire la popolazione totale a 8-10 milioni.[8] Durante il principato di Augusto Roma raggiunse il milione di abitanti.
Il declino demografico dell'Italia viene collocato, nella sua forma più grave, a partire dalla peste antonina (165-180). Il focolaio scoppiò di nuovo nove anni dopo, secondo lo storico romano Cassio Dione, e causò fino a 2.000 morti al giorno a Roma, un quarto degli infettati.[27] La peste imperversò nell'impero per quasi 30 anni, facendo secondo le stime tra i 5 e i 30 milioni di morti, Italia compresa.[28] La malattia uccise circa un terzo della popolazione in alcune zone, e decimò l'esercito romano.[29]
Statuto
Periodo repubblicano (509 - 31 a.C.)
Possedimenti romani
Colonie latine
Alleati di Roma (socii)
I possedimenti romani abbracciavano i territori centrali della penisola italica e le coste tirreniche. Le colonie latine erano sparse in località strategiche, mentre gli alleati erano concentrati nelle montagne interneCon l'ascesa di Roma ebbe, così, inizio il primo processo di unificazione culturale e politica della penisola italica. I territori acquisiti mediante la guerra passavano alla proprietà del popolo romano ed erano definite perciò ager publicus, il quale veniva assegnato, in proprietà o in affidamento, a comunità attraverso la fondazione di colonie o a singoli (viritim). La fondazione di più di trecento colonie, città stato che dipendevano direttamente dal potere centrale di Roma,[9] i cui cittadini provenivano dal Lazio e legate a Roma da trattati che ne regolamentavano il commercio, la difesa e i rapporti esteri, giocò un ruolo chiave nella trasmissione dell'identità culturale romana nelle regioni in cui venivano istituite.[30]
La federazione romana andò via via ampliandosi nel corso dei secoli, andando a comprendere soluzioni amministrative e politiche differenti.
- Della cittadinanza romana optimo iure (di pieno diritto), ne godettero sia l'Urbs e il territorio circostante, oltre alle colonie civium Romanorum ed ai territori distribuiti viritim (per lotti di terra a titolo personale), senza la necessità di dover fondare nuovi centri urbani, ed infine i municipia optimo iure. In quest'ultima categoria rientrano tra i più antichi centri del Latium vetus, come Aricia, Lanuvio, Lavinio, Nomentum, Pedum e Tuscolo, che avevano acquisito questo titolo dopo la guerra latina (341-338 a.C.) e venendo così incorporati nell'ager Romanus, lo Stato romano in senso stretto.[4][9] I cittadini romani costituivano una categoria privilegiata rispetto a tutte le altre. Essi, quali membri del corpo civico, non solo partecipavano a tutte le attività cittadine,[31] ma beneficiavano di garanzie giudiziarie particolari e dal 167 a.C. (dopo Pidna) furono esentati dal pagamento del tributum, l'imposta diretta; opartecipavano, inoltre, alla divisione del bottino di guerra, alle assegnazioni agrarie e alle distribuzioni frumentarie.[32]
- Come poc'anzi sopra si è accennato, accanto all'istituto della colonia esistevano le assegnazioni viritane del territorio: l'ager publicus veniva affidato non a città, come al momento della fondazione di una colonia, ma a singoli, dipendenti direttamente da Roma; un caso frequente era quello di soldati che, dopo la fine del servizio militare, ottenevano un appezzamento.[33] E grazie alle assegnazioni viritane, il numero delle tribù rustiche aumentò da 21 in età più atica a 29 nel 314 a.C.. Al centro poi di territori spesso assai vasti e prive di nuclei urbani, vennero formandosi dei conciliabula (luoghi di aggregazione), i cui capi, magistri, avevano una giurisdizione seppure limitata dell'area circostante. Questo sistema permetteva di risolvere problemi di natura giuridica e amministrativa nelle varie località, non invece quelli di natura elettorale.[9]
- Vi erano quindi le 17 le colonie latine (almeno fino al 291 a.C.), destinate a vigilare i punti fondamentali della federazione romana e legate tutte a Roma da trattati. Alle vecchie città latine si andarono ad aggiungere le nuove colonie latine, fondate grazie all'iniziativa di Roma e formate da cittadini romani e alleati. Erano composte anche da ex cittadini che spesso le preferivano alle colonie romane, pur sapendo che, seppur mantenevano i diritti civili, la lontananza da Roma ne avrebbe reso difficile il loro utilizzo. L'appartenere ad una colonia latina spesso consentiva di migliorare il proprio status sociale, grazie al fatto di ricevere importanti porzioni di terra, entrando a far parte di un importante centro cittadino di recente fondazione. Si trattava di centri più popolosi rispetto alle colonie romane, formati da non meno di 2.500 fino a un massimo di 20.000 famiglie.[34][35]
- La caratteristica di queste colonie erano che, di fronte alla richiesta anche di un singolo colono di essere reintegrato nel precedente stato giuridico di cittadino romano, bastava trasferirsi nell'Urbe e far richiesta di fronte ad un censore, per divenire o tornare ad essere un cittadino romano. Potevano, pertanto, da questo momento in poi dare il proprio voto nelle varie assemblee, anche se solo in un collegio a sorte per volta.[35] La caratteristica fondamentale di queste colonie latine, non fu tanto la sua connotazione etnica, ma una condizione giuridica differente rispetto a quella dei cittadini romani. Era concesso loro lo ius connubii, lo ius commercii e lo ius migrandi. Questo genere di comunità, vecchie o nuove che fossero, era obbligata a fornire truppe a Roma in caso di guerra. I Latini, infine, ottennero il diritto di voto nelle assemblee romane ogni qual volta si fossero trovati a Roma nel momento in cui i comizi erano stati convocati, votando di volta in volta in una tribù estratta a sorte. Questa pratica fu registrata per la prima volta nel 212 a.C., durante la seconda guerra punica.[34][32]
- Altra e differente condizione era quella della civitas sine suffragio (cittadini senza diritto di voto), anche se con il tempo questo genere di comunità venne poi trasformata progressivamente in civitas optimo iure (cittadini con diritto di voto). Nella categoria dei municipia sine suffragio erano inseriti quei popoli che avessero mostrato, almeno nei ceti dirigenti, di volersi integrare con Roma, sebbene negli strati più umili della popolazione non ci fosse ancora questa predisposizione. Questa condizione particolare «consigliava un processo di integrazione cauto e graduale», dove i nuclei cittadini non solo favorivano il controllo su genti amiche della Repubblica romana, ma potevano anche contribuire ad immettere nuove forze vitali nel ceto dirigente romano (nobilitas). Si trattava di una integrazione «dolce» e graduale. A queste realtà locali si permetteva di avere magistrature, istituzioni e lingua nativa, quasi illudendo la popolazione di avere ancora una qualche indipendenza dal potere centrale di Roma; era concesso anche lo ius connubii, lo ius commercii e lo ius migrandi; offriva alle aristocrazie locali, seppure in modo più lento rispetto ai Latini, la possibilità di ottenere la cittadinanza, accedere alle cariche pubbliche ed entrare in senato.[35][34] Queste comunità avevano l'obbligo di fornire contingenti di truppe a loro spese e pagare un tributum.[36]
- Ultima condizione della federazione romana era quella di socii. Solo pochi potevano vantare condizioni paritarie, almeno formalmente, con Roma. I più avevano sottoscritto un foedus iniquum (trattato ineguale), accettando di fatto l'egemonia di Roma. Si trattava delle città di Tibur e Praeneste nel Latium vetus, che erano state private dello ius connubii, ius commercii e ius migrandi;[34] Aletrium e Verulae tra gli Ernici; Ferentinum tra i Volsci; Teanum Sidicinum e tutti i Sidicini. A queste prime comunità si aggiunsero poi anche quelle di Falerii, Volsinii, Vulci, Arretium (Arezzo), Perusia (Perugia), Clusium (Chiusi) e Rusellae (Roselle) tra gli Etruschi; i Marsi, i Peligni, i Marrucini, i Frentani, gli Umbri (non però Foligno e Spoleto), i Picenti lungo l'appennino centrale; Neapolis (Napoli), Nola, Abella e la federazione di Nuceria Alfaterna in Campania; Arpi, Canusium e Teanum Apulum tra gli Apuli; i Sanniti dopo la cessione di Atina e Venafro.[37] I socii poi erano obbligati a mantenere a proprie spese i contingenti alleati che fornivano a Roma in caso di guerra.[32] Ciò permise all'Urbe di non attirarsi l'odio degli abitanti di queste città-stato alleate, ottenendo un aiuto diretto e concreto tramite le armate fornite dagli stessi, senza quindi essere costretta a dover riscuotere un tributo diretto di notevole entità.[34]
Successivamente alla guerra sociale (91-89 a.C.), che vide tutta l'Italia centrale e meridionale ribellarsi a Roma, la stessa alla fine fu costretta a concedere la cittadinanza romana a tutti gli abitanti della penisola a sud del fiume Arno col criterio dello ius soli. Già alla fine della Repubblica, l'Italia era unita sotto un solo regime giuridico.[24] La concessione della cittadinanza romana portò:
- ad una larga diffusione del diritto romano[24] in tutta la penisola e ne accelerò la sua romanizzazione;[38]
- alla formazione di clientele anche enormi in Italia, come quelle di Gneo Pompeo Strabone nel Picenum;[38]
- all'ingresso nella classe dirigente romana di cittadini provenienti da colonie e municipi italici, potendo così accedere alle diverse magistrature ed al senato di Roma.[38]
Nel 49 a.C., la cittadinanza venne estesa anche ai Galli cisalpini e ai Veneti attraverso la Lex Roscia,[39] andando a coronare la tanto attesa integrazione sociale dell'intera penisola italica, divenendo di fatto tutti gli Italici, Romani a tutti gli effetti.[6][40] Sette anni più tardi, mentre una nuova guerra civile era in atto, nel 42 a.C., la nuova provincia della Gallia cisalpina fu abolita e l'Italia romana venne ad inglobare tutti i territori a sud delle Alpi, e divenne a pieno titolo parte d'Italia. Non dimentichiamo che le sue città avevano già ottenuto la cittadinanza romana da Cesare sette anni prima.[40]
Periodo alto imperiale (30 a.C. - 285 d.C.)
Con l'avvento dell'impero Augusto provò a riorganizzare le città della penisola in base a criteri etnici, linguistici nonché geografici, probabilmente a causa del fallimento del precedente sistema organizzativo in tribù territoriali. Non si hanno certezze riguardo alla finalità dell'organizzazione dell'Italia in regiones; tra le ipotesi più probabili c'è che le regiones dovessero costituire il nuovo quadro per i censimenti o per il sistema fiscale. Come riferito da Plinio il vecchio nella sua Naturalis Historia, Augusto riorganizzò l'Italia suddividendola in 11 regioni:
- Regio I Latium et Campania
- Regio II Apulia et Calabria
- Regio III Lucania et Bruttii
- Regio IV Samnium
- Regio V Picenum
- Regio VI Umbria et ager Gallicus
- Regio VII Etruria[41]
- Regio VIII Aemilia
- Regio IX Liguria,[42]
- Regio X Venetia et Histria
- Regio XI Transpadana[43]
Svetonio e le Res Gestae Divi Augusti parlano della fondazione di ben 28 colonie in Italia da parte di Augusto.[44][45] Riconobbe, in un certo qual modo, l'importanza di queste colonie, attribuendo diritti uguali a quelli di Roma, permettendo ai decurioni delle colonie di votare, ciascuno nella propria città, per l'elezione dei magistrati di Roma, facendo pervenire il loro voto nell'Urbe, il giorno delle elezioni.[44]
Al tempo di Tiberio (14-37 d.C.), fu assegnata al senato di Roma la giurisdizione in campo religioso e sociale su tutta l'Italia.[46] Lo stesso imperatore, nel 19, rese illegale i culti caldei e giudaici, e coloro che li professavano furono costretti all'arruolamento o espulsi dall'Italia.[46]
Sotto Traiano (98-117), sia in Italia che nelle province, il vecchio governo di tipo municipale comincia a non reggere più. Oggi, tuttavia, questa visione dell'evergetismo imperiale come espressione di una volontà di dominio diretto sulle città non è più condivisa da tutti gli studiosi. Il lavoro di F. Jacques ha mostrato infatti la distanza che separava l'autorità imperiale dall'autogoverno della città anche in questo periodo. Ciò non esclude, in ogni caso, che l'amministrazione imperiale mantenesse controllate le città.
Per rafforzare questo controllo, Adriano assegnò l'Italia a quattro consolari portanti il titolo di legati propretori, utilizzato per i governatori delle province. Il moto di protesta sollevato nel senato, che era rappresentante dei vari municipi d'Italia, lesi nella loro autonomia garantita da secoli, fece sì che la misura fosse annullata dal suo successore, Antonino Pio. L'Italia aveva ancora in questo periodo la forza necessaria a rivendicare la propria dignità di regione egemone dell'impero, ma questo stato di cose sarebbe durato poco di fronte ad imperatori provinciali più determinati.
La riforma di Adriano rispondeva tuttavia ad una reale esigenza: le regioni dell'Italia avevano bisogno di un'amministrazione più gerarchizzata, in particolare nel campo della giustizia civile. Per ovviare a questa necessità, Marco Aurelio creò nel 165 d.C. i giuridici (iuridici), che esercitavano nei distretti dal taglio geografico abbastanza mutevole. La zona localizzata nei 100 miglia intorno a Roma dipendeva dal prefetto della Città, che vide le sue prerogative aumentate sotto i Severi. Fuori da questa zona, e per gli affari gravi o che toccavano gli interessi dell'imperatore, o ancora alle domande di mantenimento dell'ordine, potevano intervenire i prefetti del pretorio, come avvenne verso il 168, quando costrinsero la città di Saepinum a rispettare il diritto dei pastori transumanti.
Il sistema amministrativo dell'Italia imperiale rimase distinto da quello delle province fino all'epoca di Diocleziano. Le province erano infatti territori governati da magistrati delegati dal potere centrale,[47] mentre l'annessione e poi l'amministrazione dell'Italia si era articolata per secoli attraverso la fondazione di colonie romane e latine, la sottoscrizione di alleanze con socii e la confisca del territorio (ager publicus).
Periodo tardo imperiale (285 a.C. - 476 d.C.)
Sotto Costantino I (314), la diocesi d'Italia fu suddivisa in due partizioni amministrative o vicariati, ognuna governata da un vicarius: l'Italia Suburbicaria e l'Italia Annonaria.[7] In realtà le fonti dell'epoca, come il Laterculus Veronensis e la Notitia Dignitatum, attestano che de jure l'Italia continuava ad essere suddivisa in una sola diocesi, la dioecesis Italiciana, a sua volta suddivisa in due vicariati.[48] Comunque, essendo Italia Annonaria e Italia Suburbicaria rette ognuna da un vicarius (la massima autorità civile di una diocesi), esse sono spesso dette impropriamente diocesi in quanto de facto lo erano pur non essendolo de jure.
Il capoluogo dell'Italia romana fu Roma, che lo restò de iure anche quando le città di riferimento della penisola diventarono Mediolanum e Ravenna, che assunsero il ruolo di capitali dell'Impero romano d'Occidente de facto, rispettivamente, dal 286 d.C. al 402 d.C. e dal 402 d.C al 476 d.C.
Evoluzione delle regioni dell'Italia romana
EVOLUZIONE DELLE REGIONI DELL'ITALIA ROMANA | ||||||||||||||
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prima della fondazione di Roma |
Umbria (Umbri)
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fino al 509 a.C. | Latium romano
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Campania antica (Campani)
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Etruria (Etruschi)
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Umbria (Umbri)
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Piceno (Piceni)
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Sannio (Sanniti)
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Lucania-Bruzio (Lucani e Bruzi)
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Apulia (Iapigi, Dauni, Peucezi e Messapi)
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Sicilia (Cartaginesi e Greci)
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Sardegna (Sardi e Cartaginesi)
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dal 264 a.C. | Pianura padana (Liguri, Celti, Veneti e Etruschi )
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Italia romana
territorio formato da cittadini di pieno diritto (es. colonie romane) e cittadini sine suffragio (es. i municipia), le colonie di diritto latino, gli alleati (tra cui l'ager gallicus) |
Lucania-Bruzio (Lucani e Bruzi)
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Apulia (Iapigi, Dauni, Peucezi e Messapi)
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Sicilia (Cartaginesi e Greci)
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Sardegna (Sardi e Cartaginesi)
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dal 241 a.C. | Occupazione romana dal 222 a.C. circa
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Italia romana (idem)
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dall'89/88 a.C. (fine guerra sociale) | Occupazione romana
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Italia romana (cittadini romani)
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Sicilia (provincia)
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Sardegna (provincia)
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dal 49 a.C. | Gallia cisalpina (provincia di cittadini)
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Italia romana (cittadini)
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Sicilia (provincia)
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Sardegna (provincia)
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dal 42 a.C. | Italia romana (cittadini)
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Sicilia (provincia)
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Sardegna (provincia)
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dal 7 d.C. (Italia augustea) | Sicilia (provincia)
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Sardegna (provincia)
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dal 292 d.C. (Diocleziano) | ||||||||||||||
dal 314 (Costantino I) |
Storia
Mappa del Latium vetus |
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La sottomissione delle popolazioni italiche e l’unificazione di questi popoli in un'entità geografica identificabile con l'attuale penisola italica, richiese a Roma una serie di guerre di conquista e di colonizzazioni lunghe e difficili. Le tappe principali furono, la conquista del primato sul Latium vetus durante l’intera epoca regia e poi la conquista della penisola dall'Arno allo stretto di Messina durante il primo periodo repubblicano (fino al 264 a.C.).
A partire poi dalla prima guerra punica (264-241 a.C.) i territori soggetti al dominio romano andarono a comprendere anche Sicilia (241 a.C.), Sardegna e Corsica (238 a.C.), isole trasformate in province.[49][50]
Ancora nel III secolo a.C., nonostante l'opera di conquista dell'Italia da parte di Roma fosse quasi ultimata, non vi esisteva ancora un sentimento di appartenenza comune. Fu la seconda guerra punica (218-202 a.C.) a porne le basi. Dopo la sconfitta di Annibale (202 a.C.), i romani si rivalsero infatti sui popoli che, pur essendo sottomessi a Roma, si erano ribellati e coalizzati con Cartagine. Alcune città del sud Italia furono rase al suolo, mentre i pochi Galli rimasti nella Gallia cispadana furono completamente annientati.
Inoltre, moltissime comunità, sia del nord che del sud, furono forzatamente sradicate dalla loro patria natia e deportate altrove.[51][52] I Liguri Apuani, ad esempio, furono deportati in massa (47.000 persone) nel Sannio e nella Campania.
Il processo di romanizzazione e di omogeneizzazione della penisola iniziò a questo punto a dare i suoi frutti. Nel Meridione, ad esempio, gli aristocratici italici iniziarono a organizzare matrimoni misti con le aristocrazie romane ed etrusche, al fine di creare intrecci coniugali che garantissero la strutturazione di legami di sangue in tutta la penisola. Questi legami ebbero talmente tanto successo che, a partire dal I secolo a.C., numerosi personaggi politici di primo piano potevano annoverare tra i loro antenati famiglie etrusche, sannite, umbre e via discorrendo.[53]
In concomitanza poi con la guerra annibalica, Roma procedette a sottomettere anche i territori celti a nord degli Appennini della Gallia cisalpina (dal 222[54] al 200 a.C.[55]) e poi delle limitrofe popolazioni di Veneti (a oriente) e Liguri (a occidente) fino a raggiungere la base delle Alpi.
Con la seconda metà del II secolo a.C. gli alleati italici (socii) iniziarono a chiedere la cittadinanza romana, che però ottennero dopo una dura e sanguinosa guerra sociale nell’89 a.C. Fu l'ultimo e fondamentale passo dell'integrazione italica nel mondo romano, e dunque della conseguente fusione delle varie culture etniche in un un'unica identità politica e culturale. Gli Italici si coalizzarono contro Roma (Velleio Patercolo scrive addirittura «tutta l'Italia si levò contro Roma»[56]) e, se da un lato la coalizione italica perse la guerra, ottenne ugualmente la tanto agognata cittadinanza romana.[6] Fu al termine di questa «grande guerra» (come la definì Diodoro Siculo[57]), che le differenze fra l'Italia e le province si fecero più evidenti.
Nel 49 a.C., la cittadinanza romana venne estesa anche ai Galli cisalpini e ai Veneti attraverso la Lex Roscia (49 a.C.),[58] mentre nel 42 a.C. la nuova provincia venne abolita e l'Italia romana venne ad inglobare tutti i territori a sud delle Alpi, e divenne a pieno titolo parte d'Italia. Non dimentichiamo che le sue città avevano già ottenuto la cittadinanza romana da Cesare sette anni prima.[59]
Questi ultimi due eventi coronarono la tanto attesa integrazione sociale dell'intera penisola italica, divenendo di fatto tutti gli Italici, Romani a tutti gli effetti.[6][60] La concessione della cittadinanza aveva permesso a Roma in questi secoli di Repubblica, di diffondere ovunque la propria lingua, i costumi, le istituzioni.
Con la fine del periodo delle guerre civili, Ottaviano Augusto intraprese la conquista delle valli alpine (dalla Valle d'Aosta fino al fiume Arsia in Istria). In seguito alla conquista dell'intero arco alpino, divise l’Italia in 11 regioni (7 d.C. circa).[43]
Difesa ed esercito
Legioni romane
Durante la seconda guerra punica (218-202 a.C.), numerose furono le legioni dislocate sul territorio italico, a partire dal 218 a.C., quando il console P. Cornelio Scipione[61] si recò nella Gallia cisalpina con due legioni e tre alae di socii italici[62] a difendere i confini settentrionali contro l'avanzata di Annibale, scontrandosi con l'esercito cartaginese prima al Ticino[63] e poi alla Trebbia.[64] E dopo la terribile disfatta di Canne (216 a.C.), si arrivarono a schierare fino a 25 legioni complessive, molte delle quali sul suolo italico (ben 16, oltre a 4 in Sicilia e 2 in Sardegna), come risulta dalla tabella riassuntiva qui sotto:
E se allo scoppio della guerra civile tra Cesare e Pompeo (49 a.C.), vi erano in Italia una decina di legioni (due delle quali a Luceria in Apulia e almeno 4 tra Piceno e Marsi),[88] nel 44 a.C., alla morte di Cesare,[89] una legione romana era collocata in Sardegna ed una a Capua (la VII[90]), mentre tre probabilmente in Gallia Cisalpina nei pressi di Aquileia.[91]
Con la riforma augustea dell'esercito romano, la "spina dorsale" dell'esercito romano, rimase la legione, in numero di 28 (25 dopo Teutoburgo). Ogni legione era composta di circa 5.000 cittadini, in prevalenza Italici (attorno al 65%, per lo più provenienti dalla Gallia Cisalpina, rispetto ad un 35% di provinciali, muniti anch'essi di cittadinanza romana), per un totale di circa 140.000 uomini (e poi circa 125.000),[92] che si rinnovavano con una media di 12.000 armati all'anno. Le legioni erano arruolate fra i circa 4.000.000 di cittadini romani.[26]
Sappiamo che nel 66,[93] al tempo dell'imperatore Nerone, fu arruolata la legio I Italica[94] e ricevette le aquile il 20 settembre[95] in previsione di una spedizione in oriente;[96] fu costituita da reclute nate in Italia e alte almeno sei piedi romani (1,77 metri circa, poiché un piede corrispondeva a 29,65 cm), che l'imperatore chiamava la "Falange di Alessandro Magno".[97] Ricevette il nome di Italica e fu acquartierata in Mesia inferiore.[94]
La posizione egemonica dell'Italia, anche in campo militare, cominciò a declinare già a partire dal I secolo. Le legioni, oramai stanziate stabilmente lungo le frontiere dell'impero, iniziarono ad essere reclutate direttamente nelle regioni dove servivano, soprattutto a partire da Adriano. Il reclutamento italico nelle legioni ebbe un'importante riduzione a partire da Vespasiano, anche se rimase largamente maggioritario il contributo italico sia nella guardia pretoria, che le coorti urbane, sia tra gli ufficiali e i centurioni (80% nel II secolo) dell'esercito schierato lungo le frontiere.[98] Rappresentò, quindi, un'eccezione il reclutamento delle due nuove legioni, II e III Italica sotto Marco Aurelio, in seguito all'invasione germanica del 170 in territorio italico,[94] o la IV Italica reclutata da Alessandro Severo per la guerra persiana.[99][100]
Guarnigioni di Roma
Le guarnigioni di Roma furono riorganizzate da Augusto in nove coorti pretorie nel 27-26 a.C. (da I a IX, il cui simbolo era lo scorpione), inizialmente posizionate quasi tutte nei dintorni di Roma (a parte 3)[101][102] e nelle più importanti città italiane (tra cui Aquileia). La scelta di nove coorti fu dettata dalla necessità di non far apparire la presenza a Roma di una legione, composta da 10 coorti, che sarebbe stata considerata contraria alla sacralità della città[102] e che, per la legge del tempo di Silla, proibiva la presenza di armati nella penisola italica (nella parte sottoposta all'autorità di diretta dei magistrati di Roma). Si trattava della guardia personale a difesa dell'Imperatore, la cui origine sembra sia derivata dalla Repubblica, quando i pretori erano accompagnati da un piccolo gruppo di armati.
Per questi motivi Augusto volle che questo corpo di truppa fosse scelto tra i migliori soldati dell'intero esercito romano (di provenienza per lo più dall'Italia centrale), posto sotto il comando di uno o due prefetti di rango equestre (a partire dal 2 a.C.),[103] e dove Mecenate se ne può considerare, in un certo modo, il più antico prefetto.[104] I due prefetti avevano come collaboratori, un tribuno per singola coorte, provenienti per lo più dal primpilatus (entrando a far parte di diritto dell'ordine equestre). Nel 13 a.C. il servizio fu fissato in dodici anni, e poi nel 5 d.C. a sedici, con una paga inizialmente di 1,5 volte quella di un normale legionario,[105] poi di molto superiore.
Vi è da aggiungere che Augusto volle anche una "personale guardia del corpo", per una maggior sicurezza sua e della sua famiglia imperiale, quasi fosse "privata" (in numero compreso tra i 100 ed i 500 armati), reclutati tra i Calagurritani fino alla sconfitta di Antonio e poi tra le popolazioni germaniche dei Batavi (Germani corporis custodes),[101][105] i quali furono però sciolti dopo la clades variana del 9, e poi ricostituiti poco prima della morte dello stesso imperatore.[106] Nel 68 questo corpo fu definitivamente sciolto dall'Imperatore Galba, poiché li riteneva fedeli al precedente imperatore Nerone, morto da poco. Questa decisione provocò un profondo senso di offesa nei confronti dei Batavi, i quali poco dopo si rivoltarono l'anno seguente.[107]
Vi erano, inoltre, 3 coorti urbane di 500 armati ciascuna (create nel 13 a.C., con la numerazione di X, XI e XII, in successione a quelle pretorie), le quali avevano funzioni di polizia "diurna" ed ordine pubblico,[108][109] ed affidate ad un Praefectus urbi dell'ordine senatoriale. Ognuna di esse era comandata da un tribuno e da sei centurioni, e non è impossibile che comprendessero anche soldati a cavallo nei loro ranghi. Ecco come descrive Svetonio la loro missione:
A queste furono aggiunte nel 6, altre 7 coorti milliarie di vigili, militarizzate anch'esse e formate per lo più da liberti,[110] a cui erano affidate le 14 regioni della città di Roma, con il compito di polizia "notturna" e di vigilare sui possibili incendi, a quel tempo molto frequenti.[106] Erano dislocati un po' ovunque nella città, equipaggiati con lampade per i servizi di ronda notturna, secchi, scope, sifoni per la lotta contro il fuoco. Erano comandate da un praefectus vigilum, affiancato da un tribuno e sette centurioni per singola coorte.[106]
L'imperatore Settimio Severo (193 - 211) costituì per la prima volta una "riserva strategica" in prossimità di Roma di quasi 30.000 armati:[111]
- nei Castra Albana, fu alloggiata un'intera legione, la II Parthica;[111]
- il numero degli effettivi della guardia pretoriana venne aumentato da 5.000 a 10.000;[111]
- fu triplicato il numero di armati delle coorti urbane, passando da 2.000 a 6.000;[111]
- a cui si devono sommare i 3.500 Vigiles e ai 1.000 equites singulares.[111]
Classis
Anche la flotta fu riorganizzata (tra il 27 ed il 23 a.C.) con marinai che rimanessero in servizio in modo permanente per almeno 26 anni,[112] grazie al valido collaboratore di Augusto, Marco Vipsanio Agrippa. Inizialmente fu dislocata in Gallia Narbonense a Forum Iulii,[102][113] in seguito fu divisa in varie flotte:
- le due basi principali e permanenti si trovavano in Italia ed erano a Miseno (Classis Misenensis con 50 navi e 10.000 marinai classiarii), per la difesa del Mediterraneo occidentale, e a Ravenna (Classis Ravennatis) per la difesa di quello orientale;[101] ognuna delle due "squadre navali" era poi sottoposta ad un prefetto, dove il praefectus classis Misenis risultava più alto in grado del praefectus classis Ravennatis.[102]
- oltre a tutta una serie di flotte provinciali a supporto delle armate di terra, sia di mare, come in Egitto (Classis Alexandrina); sia lungo i maggiori fiumi come il Reno (Classis Germanica[114]) ed il Danubio-Sava-Drava (Classis Pannonica).
- Classis Misenensis
La Classis Misenensis, successivamente Classis Praetoria Misenensis Pia Vindex,[115] aveva il compito di controllare la parte occidentale del Mediterraneo.[116] Istituita da Augusto intorno al 27 a.C., era di stanza a Miseno, porto naturale nel golfo di Napoli.[117][118] I Romani sfruttarono ad arte la naturale conformazione del porto, che consiste in una doppia baia (una interna ed una esterna), adibendo gli spazi più interni ai cantieri e al rimessaggio delle navi, mentre quelli più esterni come porto propriamente detto.[119] La flotta ebbe poi alcuni suoi distaccamenti nei principali porti del Mediterraneo, come ad esempio nel mar Egeo a Il Pireo (presso Atene),[120] e a Salona.[121]
Le navi della flotta rimanevano al sicuro nella base in autunno e inverno: la navigazione iniziava il 10 marzo[122] con la festa detta Isidis Navigium in onore della dea egizia Iside, patrona del mare, dei marinai e delle attività marinare.
La residenza del prefetto della flotta di Miseno sorgeva su quello che oggi è l'isolotto di Punta Pennata (allora collegato alla costa), dove sono presenti alcune evidenze archeologiche risalenti al periodo romano.[119] Nel 79, il prefetto della flotta misenate era Gaio Plinio Secondo, meglio conosciuto come Plinio il Vecchio. Plinio, secondo il nipote, morì durante l'eruzione del Vesuvio del 79, nel tentativo di salvare alcuni cittadini in difficoltà.[123]
Il velarium (sistema di teloni retrattili che coprivano il Colosseo) era azionato da un distaccamento della Classis Misenensis, che era alloggiato nei castra misenatium, accampamenti situati nei pressi del grande Anfiteatro Flavio.[127] L'imperatore Costantino I, nel 330, creò una nuova flotta praetoria a Costantinopoli.
Gli effettivi in armi erano circa 10 000 tra legionari ed ausiliari, ed erano acquartierati nella cittadella di Miseno,[128] nei pressi della quale aveva sede la Schola Militum dove i legionari apprendevano e si esercitavano tanto nelle tattiche della guerra navale quanto in quelle tradizionali della guerra campale.
- Classis Ravennatis
La Classis Ravennatis, successivamente rinominata Classis Praetoria Ravennatis Pia Vindex, fu istituita da Augusto intorno al 27 a.C.[117][118] Era di stanza a Ravenna ed era la seconda flotta dell'Impero per importanza. Aveva il compito di sorvegliare la parte orientale del Mediterraneo.[129]
Il porto di Classe era simile per conformazione a quello di Miseno, ma nel suo complesso non era del tutto naturale. Si racconta che potesse contenere fino a 250 imbarcazioni.[130] Le lagune, interne rispetto alla costa, erano unite al mare tramite un sistema di dune costiere sopraelevate tagliate da un canale, la "Fossa Augusta",[131] che, prolungato verso nord, congiungeva Ravenna alla laguna veneta e al sistema portuale di Aquileia. Lungo la fossa ed attorno ai bacini si potevano vedere arsenali e depositi a perdita d'occhio; lo sviluppo delle banchine raggiungeva i 22 chilometri, estensione ragguardevole se si pensa che alcuni porti europei hanno raggiunto queste dimensioni solo nell'ultimo secolo.[132] A Ravenna, la basilica di Sant'Apollinare in Classe, quando fu costruita nella prima metà del VI secolo, era in riva al mare. Il nome "in Classe" indica appunto la vicinanza a quelli che erano i cantieri navali della flotta imperiale.[133]
La flotta ebbe poi alcuni suoi distaccamenti nei principali porti del Mediterraneo, come ad esempio nel mare Adriatico ad Aquileia[134] e a Salona nell'Illirico.[135] Come la flotta di Miseno, parte di quella di Ravenna fu trasferita nel 330 a Costantinopoli da Costantino. Anche per la flotta ravennate il numero degli effettivi si aggirava intorno ai 10 000 tra legionari e ausiliari.[128]
Fortezze, forti e fortini
Numerose furono le città fortezza dislocate nell'intera penisola italiana, poste in località strategiche, pronte a difendere il territorio circostante della federazione romana contro qualsiasi genere di minaccia, interna o esterna. Si trattava delle colonie romane o di diritto latino,[9] basti pensare ad una tipica struttura a forma di castrum (accampamento militare), quale la città di Aosta (Augusta Praetoria).[136]
In epoca alto-imperiale, la fortezza dove vennero alloggiate da Tiberio (20-23 ca.) le 9 coorti della guardia pretoriana e le 3 delle coorti urbane a Roma, erano i cosiddetti castra praetoria (un campo di 440 x 380 metri, pari a 16,72 ha, ad ovest del quale fu approntata un'area per le esercitazioni);[137][138] mentre presso i castra Albana venne posizionata la Legio II Parthica al tempo di Settimio Severo, quale riserva strategica a difesa del territorio italico e dello stesso imperatore che risiedeva ancora a Roma.[111]
In epoca tardo-imperiale, tra le fortezze romane presenti in Italia degne di nota, fu l'Arx Romana di Mediolanum, che si trovava appena fuori da Porta Romana[139]. L'Arx Romana, in particolare, era situata sulla sommità di una piccola collina (arx, in latino, significa "rocca, "fortezza", ma anche "altura", "sommità", "luogo elevato")[140]. Il sistema difensivo di Mediolanum era costituito anche da altre tre fortezze, il Castrum Vetus, il Castrum Portae Novae e il Castrum Portae Jovis[139].
In particolare, il Castrum Portae Jovis, che prendeva il nome dall'omonima porta, iniziò a rivestire, a partire dal 286, quando Mediolanum diventò capitale dell'Impero romano d'Occidente, anche la funzione di Castra Praetoria, ovvero di caserma dei pretoriani, reparto militare che svolgeva compiti di guardia del corpo dell'imperatore[141]. Nella stessa area dove sorgeva il Castrum Portae Jovis venne costruito, in epoca medievale, il Castello di Porta Giovia, che fu poi trasformato nel moderno Castello Sforzesco[142].
Geografia politica ed economica
Maggiori centri italici
Quello che segue è un elenco delle principali civitas, municipium e vicus presenti nella penisola italiana:
Risorse economiche
A partire dalle conquiste dell'Italia greca del principio del III secolo a.C. (in particolare Taranto e Siracusa) e poi di quelle del mediterranee (inizio del II secolo a.C.) fino al tempo di Cesare, il saccheggio di paesi come il regno di Macedonia e la Grecia (dal 197 al 146 a.C.), Cartagine (146 a.C.), il regno di Pergamo lasciato a Roma in eredità (133 a.C.), il regno del Ponto dopo le campagne contro Mitridate (88-62 a.C.), la Siria seleucide conquistata da Pompeo (64-63 a.C.) e la Gallia prima meridionale e poi Comata da parte di Cesare (125-50 a.C.), portò nelle casse di Roma «così numerose spoglie provenienti da nazioni opulente che l'Urbe non fu capace di contenere il frutto delle sue vittorie».[145][146]
Questo flusso di oro e opere d'arte portò un enorme movimento di capitali in una città che fino a quel momento era stata legata prevalentemente all'attività agricola. Oltre poi ai bottini di guerra si aggiungevano anche le indennità di guerra imposte ai paesi conquistati e i nuovi tributi fatti pagare dai provinciali. Ciò produsse non solo un aumento dei salari e del costo della vita, con conseguenze soprattutto sul ceto sociale più povero, ma portarono anche alla svalutazione del denario. A tutto ciò si aggiunga un afflusso di masse di schiavi imponente, basti pensare che dopo la conquista di Cartagine vennero deportati 50.000 prigionieri di guerra e dopo le guerre contro Cimbri e Teutoni vennero immessi sul mercato cittadino ben 140.000 schiavi.[145]
Il fatto poi che questa politica di conquista dell'area mediterranea portò progressivamente a tenere lontani dal suolo italico i cittadini-soldati-agricoltori che prestavano servizio nell'esercito romano per lunghi anni, comportò profonde trasformazioni nell'agricoltura italica, riducendo le produzioni cerealicole (per l'afflusso di grano straniero e provinciale e quindi di scarso interesse commerciale) a vantaggio della coltura di piantagioni di ulivo e viti. I piccoli contadini furono così costretti a vendere i loro terreni, che ormai si andavano concentrando nelle mani di pochi e grandi latifondisti, con il conseguente esodo rurale e proletarizzazione della popolazione urbana e in particolare di Roma, oppure a cambiare le loro pratiche rurali, con conseguente aumento dei costi, andando a produrre soprattutto di olio e vino.[145]
Al tempo di Augusto l'Impero romano dominava su una popolazione di circa 55 milioni di persone (di cui 8-10 in Italia) su una superficie di circa 3,3 milioni di chilometri quadrati. Rispetto ai tempi moderni, la densità era piuttosto bassa: 17 abitanti per chilometro quadrato, i tassi di mortalità e natalità molto elevati e la vita media non superava i 20 anni. Solo un decimo della sua popolazione viveva nelle sue 3 000 città, più in particolare: 3 milioni circa abitavano nelle quattro città più grandi (Roma, Cartagine, Antiochia e Alessandria), di questi almeno un milione abitava nell'Urbe. Secondo calcoli approssimativi il prodotto interno lordo di quell'Impero era a quell'epoca attorno ai 20 miliardi di sesterzi e caratterizzato da vertiginose concentrazioni di ricchezze.
Il reddito annuale dell'imperatore era attorno ai 15 milioni di sesterzi, quello dei 600 senatori ammontava a circa 100 milioni (0,5 per cento del Pil), il 3 per cento dei percettori di redditi godeva del 25 per cento delle ricchezze prodotte. L'Italia, centro dell'Impero augusteo, godeva di una posizione privilegiata: grazie alle nuove conquiste di Augusto poteva disporre di nuovi grandi mercati di approvvigionamento (grano, in primo luogo, proveniente dalla Sicilia, dall'Africa, dall'Egitto) e di nuovi mercati di sbocco per le proprie esportazioni di vino e olio; le terre confiscate alle popolazioni sottomesse erano immense e dalle province arrivavano tributi in moneta e in natura (bottini di guerra, milioni di schiavi, tonnellate d'oro).[148]
L'economia italica era florida: agricoltura, artigianato e industria ebbero una notevole crescita, che permise l'esportazione dei beni verso le province, basti qui ricordare il celebre vino Falerno e le lucerne in terracotta Fortis o la terra sigillata aretina, tutti prodotti che mantennero una sorta di monopolio mondiale fino al II secolo.[149]
Per quanto riguarda i singoli territori, l'economia dell'Italia nord occidentale si basava principalmente su un'agricoltura caratterizzata da abbondanti raccolti e su un'intensa attività estrattiva che era localizzata soprattutto in Valle d'Aosta e nei dintorni di Ivrea e Vercelli[150].
Con un importante provvedimento, l'imperatore Domiziano (81 - 96) si dimostrò attento alla situazione produttiva dell'Impero e in particolare dell'Italia. Emanò un decreto che vietava l'aumento della coltivazione della vite in Italia e imponeva la distruzione di metà delle coltivazione nelle province. La decisione, pare fu presa per convertire terreni alla coltivazione di cereali, in modo tale da evitare rischi di carestia. In concreto si trattò di un provvedimento protezionista che favorì i produttori italici di vino, quando l'economia Italica iniziava a declinare difronte alla concorrenza delle province.
Traiano (98 - 117), per ovviare al declino dell'agricoltura italica, impose ai senatori di investire in Italia almeno un terzo dei loro capitali. Pose dei limiti all'emigrazioni dalla penisola, tentando di incentivare la presenza del ceto imprenditore e della manodopera in un'Italia che stava perdendo la sua centralità e che stava per avviarsi ad una fase di declino. Traiano fece bruciare i registri delle tasse arretrate (raffigurato in quest'atto nei Plutei della Curia) per alleggerire la pressione fiscale sulle province e abolì alcune tassazioni che gravavano sui provinciali e gli italici; poté così creare una sorta di cassa risparmio popolare che concedeva prestiti ai piccoli contadini e imprenditori romani che in tal modo beneficiarono di larghe concessioni; vennero poi favorite le prime cooperative e associazioni dei mestieri.
Ancora a Traiano si deve l'Institutio Alimentaria, provvedimento preso nel 103 in favore dei bambini bisognosi dell'Italia romana.[151] L'imperatore, che passò alla storia come optimus princeps, prelevò dal suo patrimonio personale le somme necessarie a garantire un avvenire sereno a centinaia di bambini bisognosi, legittimi e illegittimi, soprattutto nelle campagne. Tracce storiche dell'avvenimento sono rimaste sull'Arco di Traiano di Benevento, dove è raffigurata la distribuzione di viveri ai bambini poveri per via dell'institutio; gli stessi episodi sono rappresentati nel Foro Romano.
Peso teorico dei Denari: da Cesare a Commodo (180-193) | ||||||
---|---|---|---|---|---|---|
Denario | Cesare | Augusto (post 2 a.C.) |
Nerone (post 64) |
Traiano | Marco Aurelio (post 170) |
Commodo |
Peso teorico (della lega): in libbre (=327,168 grammi) | 1/84
|
1/84
|
1/96
|
1/99
|
1/100
|
1/111
|
Peso teorico (della lega): in grammi | 3.895 grammi
|
3.895 grammi
|
3.408 grammi
|
3.305 grammi[152]
|
3.253 grammi
|
2.947 grammi[153]
|
% del titolo di solo argento: | 98%
|
97%
|
93,5%[154]
|
89,0%[154]
|
79,0%[155]
|
73,5%[154]
|
Peso teorico (argento): in grammi | 3,817 grammi
|
3,778 grammi
|
3,186 grammi
|
2,941 grammi
|
2,570 grammi[155]
|
2.166 grammi
|
A lungo la critica vide il quadro di un'Italia romana in declino a partire dalla fine del II secolo, toccata da un grave crisi economica e dallo spopolamento e, infine, incapace di opporre resistenza alla concorrenza delle province. Tuttavia, mentre è vero che alcune province seppero assicurarsi alcuni ambiti del mercato, perché percepirono per prime alcune esigenze, è difficile estrapolare un quadro generale e valido per tutto l'Impero. Un esempio di questi casi è quello delle ceramiche sigillate, la cui produzione si spostò da Arezzo alle Gallie; lo spostamento delle produzioni di ceramiche dall'Italia in Gallia corrispondeva anche alla presenza della domanda dei legionari accampati sul confine del Reno; si trattava di un esercito di oltre centomila uomini, considerando gli ausiliari, cui vanno aggiunti donne, schiavi e altre persone al seguito. In Italia erano rimaste invece solo nove coorte pretorie, tre coorti urbane e sette di vigili non militarizzati. Altri studiosi, come Moses Finley, minimizzano l'importanza globale di queste produzioni nell'economia antica, prevalentemente agraria.
Una parte dei ricercatori considera infine lo spostamento dei siti di produzione come rivelatori di spostamenti economici più importanti ma meno visibili di quelli trattati dalle fonti. Questa prospettiva si basa sull'idea che alcuni cantieri di produzione, un tempo floridi, si trovarono a subire una fortissima concorrenza, nello stesso periodo in cui l'intera economia italica si trovava ad affrontare gli stessi problemi. È il caso della villa Settefinestre verso Cosa che vede le sue produzioni declinare, fino all'abbandono verso il 160 - 170. È tuttavia rischioso generalizzare la situazione storica di una sola regione, per quanto brillantemente ricostruita, e considerarla valida per tutta l'Italia. Altre aree, mostravano infatti maggior dinamismo economico, come la zona di Aquileia e in generale l'Italia settentrionale.
Che le importazioni dalle province superassero di gran lunga le esportazioni dall'Italia nella loro direzione non comporta necessariamente un declino dell'Italia, ma piuttosto le dimensioni sproporzionate del mercato romano-italico, foraggiato dalle imposte raccolte in provincia e redistribuite come salari e donativi ai funzionari, o le spese non lievi della corte imperiale e dei più ricchi senatori, mentre la situazione tecnologica rendeva i trasporti marittimi a lunga distanza più economici dei trasporti terrestri a media distanza. L'Italia da sola, inoltre, non poteva produrre abbastanza da nutrire Roma con il suo milione di abitanti, tanto più che la coltivazione del grano era poco remunerativa rispetto all'olivo e alla vite; le importazioni massicce, soprattutto alimentari, non bilanciate dalle esportazioni rendono conto di un declino.
Antonino Pio fece dono al popolo ed all'esercito di una somma a noi sconosciuta, oltre a donare alimenti ai fanciulli più bisognosi, per onorare la moglie Faustina maggiore.[156] E durante un successivo congiarium (nel 145), furono donati a ciascun abitante di Roma 100 denari (pari a 400 sesterzi), per celebrare il matrimonio tra la figlia Annia Faustina ed il futuro erede al principato, Marco Aurelio.[157] Si racconta che alla morte della moglie Faustina, Antonino la divinizzò e le intitolò un nuovo alimenta, il Puellae Faustinae, e un tempio nel Foro Romano, diventato dopo la morte dello stesso nel 161, il tempio di Antonino e Faustina.
L'Imperatore Marco Aurelio donò un congiarium al popolo, quando diede al figlio Commodo la toga virile nel 175.[158] Due anni più tardi nel 177, quando associò al trono il figlio, attribuendogli la tribunicia potestas, organizzò un nuovo congiarium con spettacoli gladiatori.[159] Il figlio Commodo distribuì un nuovo congiarium al popolo di ben 725 denarii durante il suo regno (180-192).[160]
Marco, appena salito al trono nel 161 fu costretto a ridurre il titolo d'argento del denario dall'83,5% al 79% (percentuale di purezza). Pochi anni più tardi, nel 168, rivalutò il denario, incrementando il suo titolo dal 79% all'82% — passando da 2.57 grammi a 2.67 grammi. Ma due anni più tardi fu costretto di nuovo a tornare al precedente titolo a causa della guerra germanica e della conseguente crisi militare lungo le frontiere settentrionali.[155]
Principali vie di comunicazione
I nomi di queste strade (tutte ancora attive) derivano dal nome dei magistrati (solitamente un censore, ma poteva essere anche un console, come nei casi delle vie Flaminia ed Emilia) che ne ordinarono la costruzione. In altri casi il nome deriva dalla località cui termina la strada stessa; ad esempio Via Ardeatina che porta da Roma ad Ardea, Via Anagnina ad Anagni, Via Tuscolana al Tuscolo. In altri casi ancora, dall'utilizzo che se ne faceva. La via Salaria ad esempio è così chiamata perché vi si trasportava il sale.
In seguito, Augusto privilegiò l'Italia anche attraverso la costruzione di una fitta rete stradale e di numerose strutture pubbliche urbane(foro, templi, anfiteatri, teatri, terme...), fenomeno noto come evergetismo augusteo. Plinio il Vecchio racconta che da Augusta Praetoria, fino a Rhegium (nell'attuale Calabria), passando da Roma e Capua, si potevano incontrare strade per 1.020 miglia.[161]
Le principali vie di comunicazioni, elencate in ordine cronologico, erano:
- Via Salaria (VIII secolo a.C.): da Roma al Mare Adriatico (nelle Marche).
- Via Ostiense (VII secolo a.C.): da Roma a Ostia
- Via Ardeatina (VII secolo a.C.): da Roma ad Ardea
- Via Campana (VII secolo a.C.): da Roma al Mar Tirreno passando dalle saline di Ostia.
- Via Labicana (418 a.C.): da Roma verso sud-est per Labicum, formando un sistema con la Praenestina
- Via Latina (IV secolo a.C.): attraversava la zona degli Ernici, il Liri, il Volturno e si collegava poi a Casilinum con la via Appia.
- Via Veientana (IV secolo a.C.): strada etrusca che seguiva il percorso della Via Cassia fino a Tomba di Nerone, poi si distaccava per raggiungere Veio.
- Via Appia (312 a.C.): da Roma a Brindisi (264 a.C.) passando da Capua, Benevento e Taranto.
- Via Ariminensis (III secolo a.C.) da Arretium ad Ariminum
- Via Clodia (III secolo a.C.): da Roma alla Toscana formando un sistema con la Cassia.
- Via Tiburtina (286 a.C.) da Roma a Tivoli, e Via Tiburtina Valeria, il suo prolungamento fino a Pescara.
- Via Nomentana (280 a.C.): da Roma a Nomentum, nei pressi dell'attuale Mentana (anche detta "via Ficulensis" perché inizialmente limitata a Ficulea)
- Via Flaminia (220 a.C.): da Roma a Rimini.
- Via Amerina (241 a.C.): da Roma a Ameria passando da Perugia
- Via Aurelia (241 a.C.): da Roma a Pisa.
- Via Pompeia (210 a.C.): periplo della Sicilia (certamente lungo la dorsale orientale Messina - Siracusa).
- Via Valeria (202 a.C.): da Messina a Lilibeo.
- Via Emilia (187 a.C.): partiva dalla Via Flaminia a Rimini e giungeva a Piacenza passando da Bologna. In epoca imperiale è stata prolungata fino ad Aosta, passando per Milano, Novara, Vercelli, Ivrea e Verres. Il tratto da Milano verso Piacenza, lungo 600 m, era chiamato Via Porticata per via della presenza di portici con colonne.
- Via Flaminia minor (187 a.C. circa), strada militare da Arezzo a Claterna vicino Bologna
- Via Cassia (171 a.C.): da Roma alla Toscana passando dall'Etruria interna.
- Via Postumia (148 a.C.): da Genova ad Aquileia.
- Via Caecilia (142 a.C. o 117 a.C.): dalla Via Salaria verso la costa adriatica raggiungendo Amiternum e Hatria (oggi Atri).
- Via Popilia (132 a.C.): portava da Capua a Reggio Calabria.
- Via Popilia-Annia (132 a.C. - 131 a.C.): portava da Rimini ad Aquileia
- Via Annia (131 a.C.): da Adria ad Aquileia passando da Padova.
- Via Fulvia (125 a.C.): da Derthona (Tortona) a Augusta Taurinorum (Torino)
- Via Quinctia (123 a.C.): da Fiesole e Firenze a Pisa
- Via Emilia Scauri (109 a.C.), prolungava la Via Aurelia da Luna fino a Genova e Vada Sabatia.
- Via Severiana Augusta (I secolo a.C.): da Milano al Passo del Sempione (nota anche come via Mediolanum-Verbannus)
- Via Aurelia (75 a.C.): da Padova ad Asolo.
- Via Salaria Picena (31 a.C.): strada litoranea che collegava la Via Flaminia alla Via Salaria partendo da Fanum Fortunae e arrivando in località Castrum Truentinum nei pressi di Porto d'Ascoli.
- Via Claudia Augusta (15 a.C.): collegava la Venetia alle rive del Danubio
- Via Gemina (14 a.C.): da Aquileia ad Emona.
- Via Julia Augusta (13 a.C.): da Piacenza, passando per la riviera ligure di ponente, giungeva in Gallia ad Arles, dove si congiungeva con la Via Domizia.
- Via Regina (12 a.C.): strada che collegava Milano a Como passando per Desio e Seregno. Da qui percorreva il lato orientale del lago di Como e proseguiva poi come Via Mala.
- Via Flavia (78 d.C.): partiva da Tergeste (Trieste) e, costeggiando il litorale istriano, passava per Pola e Fiume; giungeva infine in Dalmazia, ma si è supposto che dovesse originariamente prolungarsi sino alla Grecia.
- Via Domiziana (95 d.C.): da Mondragone a Pozzuoli.
- Via Portuense (I secolo d.C.): da Roma alla foce del Tevere
- Via Severiana (198 d.C.): che collegava Portus (odierna Fiumicino) a Terracina.
- Via Traiana (II secolo d.C.): costruita da Traiano (109 d.C.) in alternativa alla vecchia via Appia, collegava Benevento a Brindisi e passava prossima all'Adriatico.
- Via Cornelia (270 d.C.) da Roma (Porta Cornelia, presso il Vaticano) a Caere, dove si congiungeva con l'Aurelia.
- Strada delle cento miglia (III secolo d.C.): strada militare, collegava Parma a Luni.
- Via Collatina (?): da Roma a Collatia.
- Via Gallica (?): collegava Torino con Milano e Milano con Venezia (SS.11)
- Via Iulia Augusta (?): collegava Aquileia con il Norico passando per Iulium Carnicum e il passo di Monte Croce Carnico.
- Via Laurentina (?): da Roma a Lavinio.
- Via Novaria-Sibrium-Comum (?): da Novara a Como passando per il Seprio
- Via Praenestina (?): da Roma a Praeneste (anche detta "via Gabina")
- Via Salaria Gallica (?): strada intervalliva tra Forum Sempronii (Fossombrone) e Asculum (Ascoli Piceno) (nell'odierna regione Marche)
- Via Sara (?): collegava Sestri Levante con Ghiare di Berceto.
- Via Satricana (?): da Roma a Satricum.
- Via Sorana (?): connetteva Alba Fucens e la via Tiburtina Valeria con la via Latina attraverso Sora e la Valle del Liri.
- Via Sublacense (?): dalla via Valeria alla villa di Nerone a Subiaco.
- Via Traiana Calabra (?): prolungamento della via Traiana da Brindisi ad Otranto.
- Via Traiana Nova (?): percorso alternativo alla Via Cassia nel tratto tra Volsinii Novi e Chiusi.
- Via Trionfale (?): da Roma a Veio.
- Antica Strada Regina (?): da Milano a Cremona.
Arte e architettura
Monumenti di Roma
- Anfiteatro castrense
- Campo Marzio
- Castra Praetoria
- Circo di Nerone
- Circo Massimo
- Colonna Aureliana
- Colosseo
- Emporium
- Fori Imperiali
- Foro Romano
- Mausoleo di Adriano
- Mura aureliane
- Mura serviane
- Naumachia Augusti
- Palazzi imperiali
- Pantheon
- Stadio di Domiziano
- Teatro di Marcello
- Teatro di Pompeo
- Tempio del Divo Claudio
- Tempio di Giove Ottimo Massimo
- Terme di Caracalla
- Terme di Costantino
- Terme di Diocleziano
- Terme di Tito
- Terme di Traiano
Urbanistica
Rispetto alle province fu soprattutto l'Italia ad essere privilegiata da Augusto, che vi costruì una fitta rete stradale e abbellì le città dotandole di numerose strutture pubbliche (fori, templi, anfiteatri, teatri, terme..)[162] e di uffici di raccolta tributari.[44] Esempio degno di nota è Mediolanum, per cui Augusto predispose un vero e proprio piano regolatore dotato di una certa complessità, compilato tra la fine del I secolo a.C e l'inizio del I secolo d.C., in base al quale fu prevista l'evoluzione dell'antico abitato celtico in città romana, la cui struttura urbanistica fu conservata per secoli[163].
Circhi
- Circo romano di Aquileia
- Circo di Bovillae
- Circo romano di Catania
- Circo romano di Milano
- Circo romano di Montaperti
- Circo romano di Palermo
- Stadio di Antonino Pio
- Circo Massimo
- Circo di Massenzio
- Circo di Nerone
- Circo Flaminio
- Stadio di Domiziano
- Circo Variano
- Circo romano di Siracusa
Ponti
In Italia sono diversi i ponti che hanno conservato archi, piloni o fondamenta di epoca romana, oppure rifatte sullo stesso luogo con materiali di reimpiego dal precedente ponte romano, o per le quali si conosce dalle iscrizioni l'esistenza di un ponte romano ora scomparso; si tratta di ponti veri e propri, di viadotti e di frangicorrente (o rostri).
Ville
- Villa Magna
- Villa romana delle Mura di Santo Stefano
- Villa romana della Consolata
- Villa di Traiano
- Villa di Faragola
- Villa romana di Avezzano
- Villa della Pisanella
- Villa Settefinestre
- Villa di Domiziano (Castel Gandolfo)
- Villa Arianna (Stabia)
- Villa San Marco (Stabia)
- Villa romana di Capo Castello
- Villa di Domiziano (Sabaudia)
- Villa romana di Cottanello
- Villa romana di Desenzano del Garda
- Villa dei Papiri
- Villa di Orazio
- Villa romana di San Giovanni in Palco
- Villa di Pompeo
- Villa romana di Marsicovetere
- Villa romana a Moruzzo
- Villa del Tellaro
- Villa di Masseria Ciccotti
- Villa di Patti
- Villa romana del Casale
- Villa romana di Pollena Trocchia
- Villa dei Misteri
- Villa Imperiale (Pompei)
- Villa romana del Varignano
- Villa romana della Linguella
- Villa romana delle Grotte
- Villa romana delle Saturo
- Villa di Augusto
- Villa romana di Russi
- Villa romana di Realmonte
- Villa dei Quintili
- Villa dei Sette Bassi
- Villa di Livia
- Villa Matutia
- Grotte di Catullo
- Villa di Tiberio
- Villa di Tigellio
- Villa Adriana
- Villa di Poppea (Oplonti)
- Villa Sora (Torre del Greco)
- Villa romana di Torvaianica
Cupole
I Romani furono i primi nella storia dell'architettura a realizzare cupole e creare enormi e ben definiti spazi interni. Le cupole vennero introdotte nelle maggiori costruzioni romane: terme, palazzi, mausolei, chiese e solo più tardi nei teatri. Anche le semi-cupole vennero adottate nel campo dell'architettura (per esempio per coronare un'abside nell'architettura cristiana). Le cupole furono costruite a partire dal I secolo a.C. a Roma e successivamente nelle provincie romane del Mar Mediterraneo.
Cisterne
Le cisterne sono state usate prevalentemente per l'uso di acquedotti, terme o basilari per la Marina militare romana.
Note
- ^ a b Brizzi 2012, p. 94.
- ^ Giannelli 1965, pp. 199-200.
- ^ Appiano, Guerra annibalica, VII, 8.
- ^ a b Geraci & Marcone 2017, p. 114.
- ^ Strabone, VI, 1.4.
- ^ a b c d e f Strabone, V, 1.1.
- ^ a b Cfr. La riorganizzazione amministrativa dell'Italia. Costantino, Roma, il Senato e gli equilibri dell'Italia romana, su treccani.it.
- ^ a b c d e f Le Glay, Voisin & Le Bohec 2002, p. 115.
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- ^ Livio, III, 24.
- ^ Livio, Periochae, 3.4.
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- ^ a b Livio, Periochae, 11, 10.
- ^ a b Livio, Periochae, 16, 5.
- ^ Livio, Periochae, 19, 7.
- ^ Polibio, III, 117
- ^ Livio, Periochae, 27, 10.
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- ^ a b c Le Glay, Voisin & Le Bohec 2002, p. 122.
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