Fermo e Lucia

romanzo storico, scritto da Alessandro Manzoni tra il 1821 e il 1823 e mai pubblicato in vita dall'autore; a lungo considerato la prima redazione de I promessi sposi, è piuttosto da ritenersi un'opera a sé stante

Il Fermo e Lucia è un romanzo storico, scritto da Alessandro Manzoni tra il 1821 e il 1823 e mai pubblicato in vita dall'autore. A lungo considerato la prima redazione de I promessi sposi, è piuttosto da ritenersi un'opera a sé stante.

Fermo e Lucia
Altro titoloGli sposi promessi
Pagina iniziale del capitolo I nel secondo manoscritto autografo de Gli sposi promessi, 1823-1825 (Milano, Biblioteca Nazionale Braidense)[1].
1ª ed. originale1821-1823
Genereromanzo
Sottogenereromanzo storico
Lingua originaleitaliano
AmbientazioneLombardia, 1628-1630
ProtagonistiFermo Tramaglino e Lucia Mondella
AntagonistiDon Rodrigo
Altri personaggiDon Abbondio, il Conte del Sagrato, Federigo Borromeo, la monaca di Monza, Agnese, fra Cristoforo, Perpetua, conte Attilio, conte zio, i bravi

Fase redazionale

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L'idea del romanzo risale al 24 aprile 1821[N 1][3], quando Manzoni cominciò la scrittura del Fermo e Lucia[N 2], componendo in circa un mese e mezzo i primi due capitoli e la prima stesura[N 3] dell'Introduzione. Interruppe però il lavoro per dedicarsi all'Adelchi, al progetto poi accantonato della tragedia Spartaco e all'ode Il cinque maggio. Dall'aprile del 1822 il Fermo e Lucia fu ripreso con più lena e portato a termine il 17 settembre 1823[N 1][6]. Il Manzoni dichiarò, nella lettera all'amico Claude Fauriel del 3 novembre 1821[7], di aver cominciato una nuova creazione letteraria caratterizzata dalla tendenza al vero storico[8]. L'oggetto della vicenda fu offerto al Manzoni dalla lettura di libri e documenti riguardanti episodi realmente accaduti all'epoca dei fatti raccontati, che sono centrali per lo sviluppo della trama[N 4]. La seconda redazione del romanzo, con il titolo Gli sposi promessi, è databile tra il 1823 e il 1825[1].

Il legame con Il cinque maggio e con l'Adelchi

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Per la vicinanza della loro stesura la tragedia, il carme in morte di Napoleone e il romanzo mostrano affinità tematiche molto evidenti, come lo sviluppo della Provvidenza, della vanità delle cose umane rispetto alla grandezza di quelle celesti e la negatività ontologica della realtà, dominata dal binomio oppressi-oppressori: quest'ultima concezione maturata nel soggiorno parigino del 1819-1820, grazie alla conoscenza dello storico Augustin Thierry[11]. Ermengarda, tanto quanto Napoleone e gli umili del romanzo manzoniano sono, seppur nelle loro diversità biografiche ed esistenziali, soggetti alla legge dell'oppressione che regna nella realtà storica dell'umanità:

«Te collocò la provida
Sventura in fra gli oppressi:
Muori compianta e placida;
Scendi a dormir con essi:
Alle incolpate ceneri
Nessuno insulterà.»

La «provida sventura» di Ermengarda, che è stata liberata dal dolore per il ripudio dell'amato Carlo per giungere alla pace celeste, non è dissimile dalla sorte dell'imperatore francese che, attraverso la dura prova dell'esilio e la riflessione sulla vanità delle conquiste militari[13], è salvato dalla "disperazione" per mezzo della "valida man pietosa" che lo prese e lo portò con sé nei campi eterni[14].

Il concerto operato dalla Provvidenza nella redenzione degli oppressi dalla negatività della storia regna nell'intera economia del romanzo: le conversioni di fra Cristoforo, del Conte del Sagrato (l'Innominato), della monaca di Monza e lo sviluppo umano di Fermo (Renzo) durante le sue traversie e l'incontro finale con don Rodrigo mostrano come, nei disegni di Dio, i vari protagonisti raggiungano quella purificazione che li innalza al di sopra delle tragiche vicende di cui sono stati ora gli oppressi ora gli oppressori a seconda dei casi[15].

Lo stesso Augustin Thierry «rappresenta per Manzoni il campione della ricerca documentaria e filologica, in massima parte destinata alla scoperta di quella storia sociale che si prospettava essere un'affascinante novità intellettuale»[16]. Tale storia sociale, indagata con il metodo storico-filologico ed espressa nel Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, vera e propria base storiografica per il dramma dell'Adelchi, trova la massima espressione nel Fermo e Lucia e quindi ne I promessi sposi[17].

Originalità e limiti

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Il Fermo e Lucia non va considerato come laboratorio di scrittura utile a preparare il terreno al futuro romanzo, bensì come un'opera autonoma, dotata di una propria struttura narrativa del tutto indipendente dalle successive elaborazioni[18]. Rimasto per molto tempo inedito – fu pubblicato soltanto nel 1916, a cura di Giuseppe Lesca, con il titolo Gli sposi promessi[19] –, il Fermo e Lucia viene oggi guardato con grande interesse.

Nei quattro tomi del Fermo e Lucia si ravvisa però un'opera irrisolta innanzitutto a causa delle scelte linguistiche dell'autore che, ancora lontano dalle soluzioni maturate nel corso di tutti gli anni 1820 e 1830 fino alla pubblicazione della seconda e definitiva edizione de I promessi sposi, crea una prosa in cui s'intrecciano e si alternano tracce di lingua letteraria, elementi dialettali, latinismi e prestiti di lingue straniere[20]: nella prima stesura[N 3] dell'Introduzione Manzoni definì la lingua usata «un composto indigesto di frasi un po' lombarde, un po' toscane, un po' francesi, un po' anche latine»[21]. Oltre all'aspetto linguistico, il Fermo e Lucia differisce profondamente da I promessi sposi per la struttura narrativa più pesante, dovuta alla mancata scorrevolezza dell'intreccio, dominato dai frequenti interventi dell'autore e dai racconti dettagliati delle vicende di alcuni personaggi (quasi «una cooperativa di storie e "biografie"»[22]), specialmente della monaca di Monza[18].

La funzione del romanzo

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Manzoni, nella sua lettera Sul romanticismo al marchese Cesare Taparelli d'Azeglio del 1823, aveva dichiarato esplicitamente che la funzione della letteratura è di orientare i lettori secondo tre coordinate estetico-paideutiche precise:

«Il principio, di necessità tanto più indeterminato quanto più esteso, mi sembra poter esser questo: che la poesia o la letteratura in genere debba proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto, e l'interessante per mezzo.»

Nel caso del romanzo storico, il fine morale deve passare attraverso un racconto veritiero (o almeno verisimile), in cui, grazie all'infusione della finzione narrativa, si rende attraente e piacevole per il lettore la vicenda narrata. L'obiettivo è quello di elevare moralmente chi legge il romanzo, eliminando qualsiasi parte sconveniente o che possa, in qualche modo, turbare la sensibilità di determinati lettori. Questo proposito risulta dalle stesse parole del Manzoni:

«Ma ponete il caso, che questa storia venisse alle mani per esempio d'una vergine non più acerba, più saggia che avvenente (non mi direte che non ve n'abbia), e di anguste fortune, la quale perduto già ogni pensiero di nozze, se ne va campucchiando quietamente, […]; ditemi un po' che bell'acconcio potrebbe fare a questa creatura una storia che le venisse a rimescolare in cuore quei sentimenti, che molto saggiamente ella vi ha sopiti. Ponete il caso, che un giovane prete il quale coi gravi uficj del suo ministero, colle fatiche della carità, con la preghiera, con lo studio, attende a sdrucciolare sugli anni pericolosi che gli rimangono da trascorrere, ponendo ogni cura di non cadere, […] si ponga a leggere questa storia: giacché non vorreste che si pubblicasse un libro che un prete non abbia da leggere: e ditemi un po' che vantaggio gli farebbe una descrizione di quei sentimenti ch'egli debba soffocare ben bene nel suo cuore, […].»

Il romanzo, dunque, deve tendere a scopi, che si rivelino utili alla società: «Concludo che l'amore è necessario a questo mondo: ma ve n'ha, quanto basta, […]. Vi hanno altri sentimenti dei quali il mondo ha bisogno, e che uno scrittore secondo le sue forze può diffondere un po' più negli animi: come sarebbe la commiserazione, l'affetto al prossimo, la dolcezza, l'indulgenza, il sacrificio di se stesso: […]»[23].

Edizioni

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Esplicative

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  1. ^ a b «24 Ap.le 1821» e «17 7bre 1823» sono le date apposte rispettivamente all'inizio e alla fine del primo manoscritto autografo anepigrafo del Fermo e Lucia[2].
  2. ^ Titolo non ideato dal Manzoni, ma emerso per la prima volta in una lettera del 3 aprile 1822 di Ermes Visconti a Gaetano Cattaneo: «Non ci manca altro se non che Walter Scott gli traduca il Romanzo di Fermo e Lucia quando l'avrà fatto»[4][5].
  3. ^ a b Nell'edizione originale postuma del Fermo e Lucia a cura di Giuseppe Lesca (1916), così come in quelle a cura di Alberto Chiari e Fausto Ghisalberti (1954) e a cura di Barbara Colli, Paola Italia e Giulia Raboni (2006), la stesura dell'Introduzione che contiene le riflessioni linguistiche dello scrittore è considerata la prima, mentre in Margherita Centenari, «In quel caos di carte»: i manoscritti manzoniani tra filologia e catalogazione (PDF), in Annali manzoniani, ser. 3, vol. 2, 2019, pp. 69-96, in particolare pp. 86-87, ISSN 2611-3287 (WC · ACNP) è ritenuta la seconda, ovvero una stesura intermedia tra quella riportata come Appendice B in Lesca, pp. 792-798 e quella contenuta nel secondo autografo de Gli sposi promessi[1].
  4. ^ Ad esempio, dagli atti del processo contro Paolo Orgiano, svoltosi nel 1605-1607, che forse Manzoni ebbe modo di leggere, emergono casi analoghi, quali il rapimento di Fiore Bertola, giovane sposa di Vincenzo Galvan, da parte dei bravi del signorotto[9] e il tentativo d'impedire, con minacce al promesso sposo e al curato, il matrimonio tra Lorenzo Veronese e Lorenza Zavoia, protetti da padre Ludovico Oddi[10].
  5. ^ Epistolario, I, lett. 91, pp. 277-317, in particolare p. 306. Tale frase è contenuta nella redazione originaria della missiva, non destinata alla pubblicazione, mentre non fu ripetuta in quella rielaborata e ridotta del 1870.

Bibliografiche

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  1. ^ a b c Alessandro Manzoni, Gli sposi promessi, 1823-1825, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Manz.B.III-IV.
  2. ^ Alessandro Manzoni, [Fermo e Lucia], 24 aprile 1821-17 settembre 1823, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Manz.B.II.
  3. ^ Caretti, p. 43.
  4. ^ Carteggio, II, lett. 294, p. 18.
  5. ^ Nigro, 2002, p. XLIII.
  6. ^ Stella, p. 658.
  7. ^ Epistolario, I, lett. 77, pp. 211-223.
  8. ^ Mezzanotte, p. XIV.
  9. ^ Povolo, p. 20.
  10. ^ Povolo, p. 21.
  11. ^ Tellini, 2007, p. 114:
    «Questa prospettiva d'una storia senza eroi, sconosciuta agli storici ancien régime […] porta alla ribalta la sorte dei conquistati. Per Manzoni una tale storiografia dei vinti è sussidio prezioso per una conoscenza critica che si addentri nella parte nascosta e recondita degli eventi politici.»
  12. ^ Alessandro Manzoni, Adelchi. Tragedia con un Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia, Milano, per Vincenzo Ferrario, 1822, p. 127, SBN TO0E007876.
  13. ^ Bellini, p. 524
    «Forse il vero spazio in cui la Provvidenza fa le sue prove non è se non quello, immenso e turbato, della "vita interiore dell'uomo".»
  14. ^ Il cinque maggio, vv. 85-96.
  15. ^ Momigliano, pp. 203-204.
  16. ^ Sberlati, p. 50.
  17. ^ Sberlati, pp. 50-52.
  18. ^ a b Ferroni, 1991, pp. 161-162.
  19. ^ Ghidetti, p. XVIII.
  20. ^ Tellini, 2007, p. 170.
  21. ^ Fermo e Lucia, Introduzione, p. 7.
  22. ^ Nigro, 2002, p. XLV.
  23. ^ Fermo e Lucia, tom. II, cap. I, p. 157.

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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