Proteste in Iran del 2017-2018

Le proteste pubbliche ebbero luogo in diverse città dell’Iran a partire dal 28 dicembre 2017 e continuarono fino all'estate del 2018, sono talvolta anche chiamate come Le proteste di Dey.[12]

Proteste in Iran del 2017-2018
Proteste a Teheran
Data28 dicembre 2017 – agosto 2018
LuogoIran (bandiera) Iran
Causa
  • Difficoltà economiche[1]
  • Corruzione governativa[1]
  • Opposizione al coinvolgimento iraniano nei conflitti regionali[1]
  • Opposizione al governo iraniano[2]
  • Opposizione al governo autocratico di Ali Khamenei
  • Opposizione alla Legge sull’hijab obbligatorio
  • Violazioni dei diritti umani
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
Decine di migliaia [3][4]Decine di migliaia di poliziotti e militari[5]
Perdite
23/25 vittime [6] [7]
4,972 arresti [8][9]
1 poliziotto [10][11]
Voci di sommosse presenti su Wikipedia

La prima protesta si svolse a Mashhad, la seconda città iraniana per popolazione, inizialmente focalizzata sulle politiche economiche del governo; quando le proteste si diffusero in tutto il Paese, il loro raggio d’azione si ampliò fino a includere l’opposizione politica al governo teocratico dell’Iran e alla sua Guida Suprema di lungo corso, Ali Khamenei.[13] L’opinione pubblica iraniana espresse la propria rabbia con un vasto repertorio di slogan contro il regime e la sua leadership. Secondo il Washington Post,[14] gli slogan e gli attacchi dei manifestanti contro edifici governativi scossero un sistema che aveva poca tolleranza per il dissenso, con alcuni dimostranti che arrivarono persino a gridare «Morte al dittatore!» — riferendosi alla Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei — e a chiedere alle forze di sicurezza di unirsi a loro.

Le proteste segnarono la sfida interna più intensa al governo iraniano dai tempi delle proteste post-elettorali del 2009.[15] Il 2018 vide le dimostrazioni di opposizione più grandi e gravi dalla crisi del 2009, che scossero le fondamenta stesse del regime. Tuttavia, queste proteste differivano dal Movimento Verde per partecipanti, cause, obiettivi e slogan.[16][17] A differenza del 2009, le proteste del 2017-2018 rimasero senza un leader e un sistema organizzativo centralizzato.[18][19] Alcuni analisti suggeriscono che le proteste fossero una conseguenza delle politiche economiche sfavorevoli adottate dal presidente iraniano Hassan Rouhani, mentre altri le attribuiscono alla crescente insoddisfazione per il regime teocratico e la Guida Suprema.[2][20][21] Rouhani riconobbe l’8 gennaio 2018 che «il popolo aveva domande di natura economica, politica e sociale».[22][23][24]

Secondo le autorità iraniane, le proteste divennero violente in alcune parti del Paese e la televisione di Stato riferì che i manifestanti avevano attaccato stazioni di polizia, personale e installazioni militari, appiccando incendi.[25][26] Al 2 gennaio 2018, almeno ventuno manifestanti e due membri delle forze di sicurezza erano stati uccisi. Inoltre, secondo Mahmoud Sadeghi, parlamentare riformista di Teheran, furono arrestati 3.700 dimostranti, sebbene le cifre ufficiali fossero molto più basse.[8][9][27][10] Il 5 gennaio 2018, quattro relatori speciali delle Nazioni Unite esortarono il governo iraniano a riconoscere e rispettare i diritti dei manifestanti e a porre fine al blocco di Internet.[28]

In risposta alle proteste, migliaia di sostenitori del governo parteciparono a manifestazioni pro-governative in più di una dozzina di città iraniane.[29]

Contesto

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L'attuale regime iraniano salì al potere in seguito alla Rivoluzione iraniana del 1979, che vide la deposizione della dinastia Pahlavi a favore di una Repubblica islamica teocratica guidata dalla Guida suprema Ruhollah Khomeini.[30][31]

Dal 1989, Ali Khamenei governa l’Iran come Guida suprema, risultando il secondo capo di Stato in carica da più tempo in Medio Oriente (dopo il sultano Qaboos dell’Oman) e il secondo leader iraniano più longevo dell’ultimo secolo, dopo lo scià Mohammad Reza Pahlavi.[32][33][34][35]

Il presidente iraniano Hassan Rouhani, rieletto nel 2017, aveva promesso numerosi cambiamenti, come una maggiore prosperità economica e un’apertura in politica estera; tuttavia, nel sistema di governo iraniano il suo potere decisionale è limitato rispetto a quello di Khamenei.[22][36][37]

Nel 2006, a seguito delle preoccupazioni internazionali sul programma nucleare del governo, fu imposto all’Iran un articolato regime di sanzioni internazionali. Nel 2015 l’Iran raggiunse un accordo sul nucleare con le grandi potenze mondiali in cambio di un alleggerimento economico. Molti iraniani speravano che la fine delle sanzioni portasse prosperità; tuttavia i benefici non raggiunsero la media della popolazione.[38] Al contrario, i vantaggi del sollievo dalle sanzioni andarono soprattutto alle imprese statali e al colosso commerciale Setad Ejraï Farman Imam, controllata dalla Guida suprema Ali Khamenei,[39][40] stimati da Reuters in 95 miliardi di dollari nel 2013.[41][42] Nel 2017, secondo la Camera di commercio iraniana, il 33% degli iraniani viveva sotto la soglia di povertà e il divario tra ricchi e poveri si era ampliato.[43] Secondo Hamid Panah della CNN, tali sviluppi dell’economia contribuirono ad alimentare le proteste[39] che posero l’accento anche sulla corruzione governativa.[44]

 
Il presidente Hassan Rouhani tra i lavoratori della miniera di Yurt, che protestarono contro la cattiva gestione del governo.

«La scintilla iniziale delle proteste è stato un improvviso aumento dei prezzi dei generi alimentari. Si ritiene che gli oppositori oltranzisti di Rouhani abbiano istigato le prime manifestazioni nella conservatrice città di Mashhad, nell’Iran orientale, cercando di indirizzare la rabbia popolare contro il presidente. Ma, man mano che le proteste si sono diffuse di città in città, la reazione si è rivolta contro l’intera classe dirigente.» - Associated Press, 6 gennaio[45]

Per deviare le critiche sull’economia, per settimane Rouhani aveva contestato i finanziamenti pubblici alle istituzioni religiose, considerate la base di potere dei conservatori; secondo i media internazionali, alcuni analisti ritengono che i conservatori abbiano dato avvio alle proteste per mettere in imbarazzo lo stesso Rouhani.[46] Per molti iraniani, lo sviluppo è stato lento nonostante la promessa del presidente di risanare l’economia.[47]

I manifestanti espressero la propria opposizione ai tagli ai sussidi su carburante e trasferimenti in denaro, contenuti nella proposta di bilancio 2018 presentata a metà dicembre, che suscitò ampia indignazione; l’hashtag #pashimanam («ci pentiamo» [cioè: ci pentiamo del nostro voto per Rouhani]) divenne virale nel Paese.[48] Il generoso finanziamento governativo dei Guardiani della rivoluzione non fu toccato,[49] e vi furono forti aumenti per le fondazioni religiose, che non sono tenute a dichiarare come spendono i fondi e sono «strettamente legate a potenti religiosi e spesso fungono da macchine di clientelismo e propaganda per consolidare il loro potere».[45] Inoltre, i manifestanti chiesero spiegazioni sul perché il governo avesse speso ingenti somme in altre aree del Medio Oriente, anziché investire quel denaro all'interno della nazione.[50]

Le proteste del 2017-2018 furono le più vaste in Iran dall’ondata del 2009.[15]

Cronologia

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Città colpite per prime dalle proteste, giorno per giorno:

     Rosso: 28 dicembre

     Arancione: 29 dicembre

     Giallo: 30 dicembre

Le proteste iniziarono a Mashhad il 28 dicembre 2017 e si diffusero in oltre 140 città di ogni provincia dell’Iran nell’arco di due settimane. Le manifestazioni furono avviate da folle che protestavano in tutto il Paese, inclusa Mashhad, la seconda città più popolosa. Le proteste si estesero a oltre 70 città e cittadine,[51] tra cui Nishapur, Kashan, Kerman, Kermanshah, Kashmar, Rasht, Isfahan, Arak, Bandar Abbas, Ardabil, Qazvin, Hamedan, Sari, Babol, Amol, Shahinshahr, Shahrekord, Shiraz, Khorramabad, Zanjan, Gorgan, Zahedan, Urmia, Dorud, Yazd e Shahrud.[52] Secondo CNBC, ci furono proteste diffuse in 80 città iraniane.[53]

In alcune manifestazioni, i dimostranti hanno provocatoriamente gridato "Reza Shah, benedetta la tua anima", un riferimento a Reza Shah, leader dell’Iran tra il 1925 e il 1941 e fondatore della dinastia Pahlavi, deposta con la rivoluzione del 1979 che portò all’instaurazione dell’attuale governo.[54][55][56][57] I manifestanti hanno inoltre gridato slogan elogiativi nei confronti dell’ex scià deposto Mohammad Reza Pahlavi,[58] e di suo figlio ed ex erede al trono, l’esiliato Reza Pahlavi. I manifestanti hanno chiesto le dimissioni di Khamenei,[55] oltre ad aver strappato[59] e dato alle fiamme manifesti di Khamenei a Teheran. I dimostranti hanno anche gridato: "Khamenei, vergognati, lascia in pace il Paese!"[55] e "morte al dittatore".[60] Altri slogan includevano: "Il popolo è povero mentre i mullah vivono come dei".[61]

Dicembre 2017 – gennaio 2018

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Le proteste in Iran scoppiarono il 28 dicembre 2017. Diverse folle furono viste protestare in tutto il paese, compreso a Mashhad, la seconda città più popolosa, e nella capitale, Teheran, dove si tenne una protesta con diverse centinaia di persone. Vi furono anche proteste a Neyshabour, Kashmar, Yazd e Shahroud.[52] Le proteste sarebbero state organizzate attraverso applicazioni di messaggistica sui social media. Le folle furono viste intonare slogan come «Non vogliamo una Repubblica Islamica!», «morte a Rouhani», e «morte al dittatore».[62]

Le proteste iniziarono come manifestazioni contro le difficoltà economiche e l’aumento dei prezzi di beni e derrate alimentari, ma «si trasformarono rapidamente» in contestazioni contro il coinvolgimento dell’Iran in Medio Oriente e contro il governo stesso.[52][62][63]

Le manifestazioni continuarono anche venerdì dopo il tramonto. Le proteste si diffusero in diverse grandi città, tra cui Rasht, Isfahan, Ahvaz, Qom, Sari, Zahedan e Qazvin.[64] Un piccolo numero di persone fu arrestato a Teheran.[65]

Il 30 dicembre le proteste si intensificarono: tre persone furono uccise e altre ferite da colpi d’arma da fuoco delle Guardie Rivoluzionarie durante manifestazioni notturne nell’Iran centrale.[66] Poiché quel sabato coincideva con l’anniversario della Manifestazione filogovernativa del 30 dicembre 2009 in Iran, circa 4.000 persone parteciparono a un raduno filogovernativo a Teheran.[67] Secondo la televisione di Stato, raduni filogovernativi si tennero complessivamente in 1.200 città e paesi.[68] Nello stesso tempo, per la prima volta i disordini antigovernativi raggiunsero Teheran, dove studenti dell’Università di Teheran intonarono slogan antigovernativi prima di essere dispersi dalla polizia antisommossa.[68] All’Università di Teheran furono strappati poster di Khamenei.[59] L’accesso a Internet venne interrotto in varie zone del Paese, compresa gran parte di Teheran.[69]

Il ministro dell’interno iraniano Abdolreza Rahmani Fazli avvertì che coloro che «disturbano l’ordine e infrangono la legge devono essere responsabili del loro comportamento e pagarne il prezzo». Rahmani Fazli dichiarò alla televisione di Stato che «paura e terrore saranno sicuramente affrontati».[70]

Le proteste antigovernative continuarono per il quarto giorno consecutivo. A Teheran vi furono alcune manifestazioni sparse e le famiglie dei manifestanti arrestati si radunarono davanti alla prigione di Evin.[70] Quella domenica altre 200 persone furono arrestate a Teheran e 10 nella provincia dell’Azerbaigian Occidentale.[71]

Rouhani, nei suoi primi commenti dopo giorni di manifestazioni, affermò che il popolo ha il diritto di protestare ma sottolineò che violenza, vandalismo e slogan politici incendiari devono essere evitati, poiché peggiorano soltanto le condizioni del popolo.[70]

Secondo i resoconti dei media statali iraniani, non confermati da fonti indipendenti, alcuni dimostranti armati tentarono di prendere il controllo di stazioni di polizia e basi militari, ma furono respinti dalle forze di sicurezza.[72] Fu confermata la morte di 10 persone durante gli scontri della notte di domenica.[73]

Le proteste continuarono il lunedì a Teheran e in altre città del paese.[74] I media statali riportarono che un membro delle forze di sicurezza governative fu ucciso da colpi d’arma da fuoco durante le proteste del 1º gennaio.[11]

Gli scontri notturni, avvenuti tra il 31 dicembre ed il 1° gennaio, tra i manifestanti e forze di sicurezza causarono altre nove morti. La televisione di Stato riportò che sei di queste morti avvennero dopo che dei rivoltosi avevano tentato di assaltare una stazione di polizia a Qahdarijan con l’intento di rubare armi.[75] Inoltre, un bambino di 11 anni e un giovane di 20 anni furono uccisi nella città di Khomeinishahr, e un membro delle Guardiani della rivoluzione fu ucciso a Najafabad. Tutti e tre furono colpiti con fucili da caccia.[10]Dopo cinque giorni dall’inizio delle proteste, già più di 550 persone erano state arrestate.[27][76] Il 90% degli arrestati aveva meno di 25 anni.[77][78]

Manifestanti davanti all’ambasciata iraniana a Ginevra.

Il 3 gennaio ci furono manifestazioni sporadiche in tutto l’Iran. Nella città di Malayer le proteste iniziarono dopo il tramonto e gli slogan presero di mira la Guida Suprema. Video online mostrarono anche manifestazioni nella città settentrionale di Noshahr, con i manifestanti che gridavano «morte al dittatore».[79][80] Il generale Mohammad Ali Jafari, comandante dei Guardiani della rivoluzione, inviò forze nelle province di Hamadan, Esfahan e Lorestan, ma successivamente dichiarò che il numero dei manifestanti era di circa 1.500 nella singole località e di circa 15.000 in tutto il Paese.[81][80] Durante le giornate di protesta i cittadini iraniani residenti all'estero organizzarono manifestazioni di sostegno nei confronti dei manifestanti in Iran. Questi raduni si tennero in città come Stoccolma, Atene, Berna e Colonia.[79]

Secondo un annuncio del ministero dell’intelligence iraniano del 4 gennaio, tre membri dell’IRGC furono uccisi mentre smantellavano una "cellula terroristica" antigovernativa nella città nordoccidentale di Piranshar. Secondo l’IRGC, la cellula, in possesso di armi ed esplosivi, era incaricata di attentati e omicidi di civili innocenti in Iran per intensificare i disordini.[82][83] Giovedì 4 gennaio si tennero manifestazioni antigovernative nelle città di Sanandaj, Bukan, Kamyaran, Dezful, Ahvaz e Rasht.[84]

Intanto diversi esperti dell'ONU sui diritti umani sollecitarono l’Iran a rispettare i diritti dei manifestanti e a porre fine alla repressione di Internet.[28]

I Guardiani della rivoluzione dichiararono che il popolo e le forze di sicurezza, inclusi la polizia religiosa del Basij, la polizia e il Ministero dell’Intelligence, avevano sconfitto i disordini. L’IRGC accusò Stati Uniti, Regno Unito, Israele, Arabia Saudita, Mojahedin del Popolo Iraniano e monarchici di essere responsabili dei disordini; mentre per il quinto giorno consecutivo si tennero raduni filogovernativi contro le proteste.[85] Tuttavia, secondo un articolo del The Wall Street Journal, i segni di disordini persistevano, con decine di video diffusi sui social media che mostravano roghi di documenti governativi.[86]

Secondo un rapporto di Al-Quds Al-Arabi, un giornale pan-arabo attivo a Londra, l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad potrebbe essere stato arrestato in Iran e posto agli arresti domiciliari con l’approvazione della Guida Suprema Ali Khamenei, per "istigazione alla violenza", dopo aver criticato il governo in carica durante le proteste.[5][87]

Il 7 gennaio 2018, Sina Ghanbari, un ragazzo di 23 anni arrestato durante le proteste, fu trovato morto nella prigione di Evin per cause non sono mai state specificate.[88]La deputata iraniana, Tayebeh Siavoshi, successivamente dichiarerà che il manifestante si era suicidato in prigione.[89]

L'8 gennaio, circa 2.000 di manifestanti con cartelli raffiguranti Reza Pahlavi II marciarono a Los Angeles, che ospita una grande comunità di iraniani espatriati, per mostrare sostegno alle proteste ant-regime in Iran.[4][90][4]

Raduni filogovernativi

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Le proteste di dicembre coincisero con la manifestazione annuale di commemorazione delle Manifestazioni filogovernative del 30 dicembre 2009 in Iran, conosciuta come "Manifestazione del 9 Dey", tenutasi il 30 dicembre, a cui parteciparono 4.000 persone in sostegno al governo.[67][91][92]

Il 3 gennaio, migliaia di contro-manifestanti marciarono in raduni filogovernativi in varie località dell'Iran, raduni che vennero trasmessi dalla televisione nazionale,[93] contro il presunto coinvolgimento degli Stati Uniti nei disordini.[94] Secondo il The Washington Post, i raduni apparivano come «raduni organizzati dallo Stato»,[95] mentre l’agenzia vicina ai Guardiani della rivoluzione, Fars News Agency, li descrisse come «l’esplosione rivoluzionaria del popolo iraniano contro i trasgressori della legge».[93]

I raduni filogovernativi continuarono anche nei giorni seguenti in diverse città iraniane. Reuters descrisse queste manifestazioni come «messe in scena».[96]

Agosto 2018

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Dopo la fine delle proteste a gennaio, la situazione sembrò tornare alla normalità nei mesi successivi, ma il 1º agosto 2018, nuove proteste si verificarono in diverse città iraniane. Le manifestazioni iniziarono a Esfahan e continuarono a Karaj. La nuova ondata di proteste ebbe origine dall’insoddisfazione e dalla delusione per le condizioni economiche in deterioramento e per la percezione di corruzione governativa. In video circolati sui social media, presumibilmente girati nella città di Gohardasht, un sobborgo di Karaj, decine di manifestanti furono visti nelle strade dare fuoco a veicoli della polizia e gridare «Morte al dittatore». La polizia rispose con gas lacrimogeni. L’autenticità dei video non poté essere verificata immediatamente. I veicoli della polizia furono bersagliati e i dimostranti lanciarono pietre, intonando slogan contro il regime. L’insoddisfazione crebbe insieme all’opposizione di piazza.[97]

Il 2 agosto esplosero proteste anche in altre città iraniane, tra cui Mashhad, Shiraz e Teheran. I manifestanti furono nuovamente accolti da una risposta violenta da parte degli apparati di sicurezza dello stato.[98]

Il 3 agosto, proteste di piazza ebbero luogo nella capitale Teheran e in altre nove città: Ahvaz, Hamedan, Isfahan, Karaj, Kermanshah, Mashhad, Shiraz, Urmia e Varamin. Alcuni rapporti di giornalisti cittadini riferirono che le forze di sicurezza iraniane tentarono di disperdere le manifestazioni con gas lacrimogeni e con pestaggi e arresti. Tuttavia, non vi furono resoconti attendibili su quanti iraniani sono stati feriti o arrestati dalle autorità. I manifestanti presero di mira anche una scuola religiosa nella provincia di Karaj, vicino a Teheran, ed anche in questo caso alcuni manifestanti furono arrestati e dispersi con la forza utilizzando gas lacrimogeni. Il 4 agosto vi furono scontri e pestaggi tra manifestanti e forze di sicurezza. I dimostranti marciarono gridando «Morte al dittatore» mentre chiedevano la caduta del governo a causa della crisi economica e dei disordini politici. Quando i disordini diffusi entrarono nel quinto giorno, 50 persone furono arrestate dalle forze di sicurezza e le proteste vennero definitivamente represse con la forza.[99]

Vittime

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Nei primi quattro giorni di proteste, 12 manifestanti furono uccisi in scontri con le forze di sicurezza.[73] Il 1º gennaio, i media statali riportarono la morte di un membro delle forze di sicurezza a Teheran, dopo essere stato colpito con un fucile da caccia.[11] Al 2 gennaio, il bilancio complessivo delle vittime era di 21 manifestanti. La televisione di Stato riferì che sei persone furono uccise a seguito di un fallito assalto a una stazione di polizia.[75] Tra i morti vi furono cinque persone a Qahderijan e sei a Tuyserkan.[61] Alcuni giornalisti riportarono che le forze di sicurezza tentarono di picchiare i manifestanti e di usare gas lacrimogeni, secondo VOA News.[100]

 
La polizia iraniana durante le proteste.

Il 9 gennaio 2018, il The Guardian e Amnesty riportarono che tre detenuti erano morti mentre erano in custodia nella prigione di Evin a Teheran.[101][102] Amnesty riferì di altri due detenuti morti in custodia rispettivamente ad Arak e Dezfoul.[102] Funzionari giudiziari iraniani confermarono la morte di Arak e una delle morti di Evin, dichiarando che si trattava di suicidi.[103] Il procuratore locale di Arak dichiarò all’agenzia Mizan che filmati video, non diffusi, mostravano il manifestante morto mentre si accoltellava da solo.[104]

Molti iraniani, inclusi alcuni parlamentari, misero in dubbio la dichiarazione delle autorità secondo cui due morti in custodia erano «suicidi» e un’altra morte riguardava un «terrorista» ucciso in scontri con le forze di sicurezza. Secondo l’Agenzia di stampa degli studenti iraniani (ISNA), un gruppo di parlamentari chiese un’indagine su queste morti, affermando che parenti e testimoni oculari avevano contestato la versione ufficiale.[105]

Secondo il quotidiano francese Le Monde, in totale 25 persone morirono durante queste manifestazioni.[106]

Accuse di tortura

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Secondo Fox News, centinaia di manifestanti, inclusi familiari dei detenuti, protestarono davanti alla prigione di Evin chiedendo informazioni sui loro cari che, secondo i manifestanti, venivano torturati all’interno.[107] La Casa Bianca definì «preoccupanti» i resoconti di torture e morti in carcere che giungevano dall'Iran.[108]

A metà dicembre 2018, la famiglia di Vahid Sayadi Nasiri, un prigioniero politico nel carcere di Qom, dichiarò ai giornalisti che era morto. Nasiri era stato in sciopero della fame per settimane prima di morire in prigione. Vahid Sayadi Nasiri era stato arrestato nel 2015 per aver insultato la Guida Suprema Ali Khamenei.[109] Il 13 dicembre 2018 un portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Robert Palladino, annunciò che gli Stati Uniti condannavano il regime iraniano per la «morte inconcepibile» di Vahid Sayadi Nasiri, morto in sciopero della fame in carcere. Nasiri era stato arrestato con la forza quattro mesi prima e non aveva avuto accesso a un avvocato.[110]

Danni alle proprietà pubbliche

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Danni a una stazione della Tehran Bus Rapid Transit durante le proteste del gennaio 2018.

Il 30 dicembre 2017, la Tasnim News Agency riportò che cinquanta manifestanti avevano danneggiato le stazioni della Tehran Bus Rapid Transit.[111] Secondo il rapporto del sindaco di Teheran, Mohammad Ali Najafi, i danni alle proprietà pubbliche a Teheran «non furono così gravi» e riguardarono soltanto alcune stazioni della BRT e alcuni cassonetti dell’immondizia che furono incendiati.[112]

A Dorud, secondo la Mehr News Agency, il 31 dicembre 2017 i manifestanti attaccarono il personale e danneggiarono i camion dei vigili del fuoco.[113] In un altro episodio, sempre a Dorud, due persone morirono quando un camion dei pompieri dirottato si scontrò con un’auto, secondo i media statali.[114][115][116][117] Il The Washington Post riportò che in alcuni casi i manifestanti avevano attaccato stazioni di polizia ed edifici governativi.[118] L’Agenzia di stampa della Repubblica Islamica affermò che armi e uniformi militari tra i manifestanti erano state sequestrate dalle guardie di sicurezza iraniane.[119]

Risposta del governo

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Inglese vietato nella scuola primaria

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Le scuole primarie in Iran sospesero l’insegnamento della lingua inglese dopo le proteste di massa di gennaio. Khamenei aveva già precedentemente affermato che ciò apriva la strada a una «invasione culturale» dei valori occidentali, esprimendo profonda preoccupazione nel 2016 per la diffusione dell’inglese fino alle scuole dell’infanzia.[120][121][122]

Copertura mediatica e censura

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In dichiarazioni del ministro dell’interno iraniano Abdolreza Rahmani Fazli, l’uso improprio dei social media stava «causando violenza e paura» fra la popolazione, aggiungendo inoltre che «tali comportamenti saranno schiacciati».[123] Al canale televisivo statale, Islamic Republic of Iran News Network, fu vietato di realizzare servizi riguardanti le proteste.[124]

I resoconti delle organizzazioni mediatiche indipendenti in Iran furono limitati.[123] Tuttavia, i media statali iraniani diffusero i commenti di Rouhani sulle proteste, nei quali affermava che «il popolo ha il diritto di criticare», ma che le autorità non avrebbero tollerato comportamenti antisociali e che la critica è «diversa dalla violenza e dalla distruzione delle proprietà pubbliche».[125]

Internet

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In alcune regioni, i fornitori di servizi internet in Iran, che sono direttamente controllati o strettamente legati ai Guardiani della rivoluzione, le quali rispondono direttamente alla Guida Suprema, bloccarono l’accesso a internet in diverse città mentre le proteste continuavano in tutto il Paese.[126] In precedenza, diverse reti satellitari in Iran erano state oscurate, e in alcune aree sia la rete internet e che quella telefonica erano stati interrotti.[127] Anche le VPN, che avevano offerto un accesso alternativo a internet per la popolazione iraniana, furono tutte disattivate.[48]

Secondo il BGP Stream di OpenDNS, il 1º gennaio 2018 il traffico internet iraniano calò di quasi il 50%.[128][129] Nel frattempo, il numero di iraniani che hanno fatto uso del software TOR è aumentato significativamente durante le proteste, per cercare di aggirare la censura.[130]

Telegram

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Il servizio di messaggistica Telegram ebbe un ruolo centrale nella diffusione delle notizie sulle proteste e servì come principale piattaforma di coordinamento per i manifestanti.[131] Il 30 dicembre, il governo iraniano chiese la chiusura di un canale Telegram chiamato Amad News (AMAD è l'acronimo di Agaahi, “consapevolezza”, Mobaareze, “lotta” e Democracy), gestito dal giornalista Ruhollah Zam, che aveva invitato all’uso di esplosivi artigianali contro le forze di sicurezza. La richiesta fu accettata da Telegram, poiché il contenuto violava anche i termini di servizio e le regole della piattaforma, e il suo CEO Pavel Durov fu criticato per aver acconsentito.[132] Il canale fu riattivato il giorno successivo con un titolo diverso (Sedaye Mardom, cioè “Voce del popolo”) dopo che l’amministratore che aveva pubblicato il messaggio violento era stato rimosso.[133] Il 31 dicembre, il governo iraniano bloccò l’accesso a Telegram dopo che la piattaforma aveva rifiutato di chiudere un altro canale.[134] Il CEO Pavel Durov twittò che «le autorità iraniane stanno bloccando l’accesso a Telegram per la maggioranza degli iraniani dopo il nostro rifiuto pubblico di chiudere telegram.me/sedaiemardom e altri canali di protesta pacifica».[135]

Il governo revocò le restrizioni su Telegram il 13 gennaio 2018.[136][137] ma tornò a imporre restrizioni permanenti dopo la fine di aprile 2018.[138][139][140]In seguito al ban di Telegram il governo iraniano creò un’altra versione dell’app, chiamata Talagram o Telegram Golden, e un ulteriore clone denominato Hotgram, dotati di censura rafforzata e nuove funzioni.[141]

Arresti ed esecuzioni

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Entro il 14 gennaio, oltre 440 manifestanti arrestati durante i disordini di Teheran erano stati rilasciati, secondo quanto dichiarato dal procuratore di Teheran, Abbas Jafari Dolatabadi.[142][143]

Il 19 febbraio, il parlamentare iraniano Mohammad Kazemi dichiarò che un tribunale di grado inferiore a Malayer aveva condannato un ragazzo quindicenne a cinque anni di prigione per aver strappato la bandiera della Repubblica Islamica dell’Iran in una piazza cittadina durante le proteste.[144]

Mostafa Salehi, un manifestante accusato di aver ucciso un membro delle forze paramilitari iraniane durante le proteste del 2017–2018, fu giustiziato nel 2020 nella provincia di Esfahan.[145]

Il 14 ottobre 2019, i Pasdaran annunciarono di aver attirato Ruhollah Zam in Iran e di averlo arrestato, sebbene secondo altre fonti fosse stato arrestato in Iraq da funzionari dell’intelligence e consegnato all’Iran sulla base dell’accordo di estradizione tra i due Paesi firmato nel 2011.[146][147] Nel giugno 2020, un tribunale iraniano lo dichiarò colpevole di «corruzione sulla terra» per aver gestito un popolare forum anti-governativo, che secondo le autorità aveva istigato le proteste iraniane del 2017–2018. Fu condannato a morte ed è stato giustiziato il 12 dicembre 2020[148][149][150].

Opinioni sulle proteste

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Un uomo protesta contro la situazione economica a Saipa.

Il politico e economista conservatore iraniano, Ahmad Tavakkoli, attribuì le proteste alle condizioni economiche vissute dai poveri, per le quali accusò l’amministrazione Rouhani, le politiche del Fondo Monetario Internazionale e i problemi causati dalla mancata regolamentazione delle istituzioni finanziarie.[151] Sadegh Zibakalam, accademico e commentatore riformista, attribuì le proteste alle speranze perdute dei giovani iraniani istruiti e disoccupati, i quali si sentivano traditi dalle promesse di cambiamento dell’amministrazione Rouhani. Egli ritenne inoltre che l’uso di slogan monarchici fosse solo un modo dei giovani per esprimere la propria rabbia contro l’establishment, non un reale sostegno alla dinastia Pahlavi; dichiarò di comprendere le rimostranze dei manifestanti ma le considerava controproducenti.[152] Secondo il The Guardian, le proteste comprendevano per lo più lavoratori iraniani sotto i 25 anni.[153]

Lo scrittore iraniano Majid Mohammadi individuò tre cause per le proteste: corruzione governativa, difficoltà economiche e autoritarismo religioso. A suo avviso, quest’ultimo era il bersaglio più evidente, poiché i manifestanti avevano maturato la convinzione che la velayat-e faqih, la dottrina politico-religiosa su cui si base l'Iran, fosse determinata a mantenere lo status quo e non disponibile a nessuna riforma.[154]

Secondo Trita Parsi, fondatore e presidente del National Iranian American Council, i principali partecipanti a queste proteste erano diversi da quelli coinvolti nelle Proteste post-elettorali in Iran del 2009-2010. Parsi suggerì che i manifestanti fossero soprattutto disillusi dal Movimento di riforma iraniano o che non lo avessero mai sostenuto. Egli aggiunse che i riformisti iraniani erano stati sorpresi dalle proteste e non avevano espresso sostegno ai manifestanti.[17]

Il giornalista e commentatore politico statunitense Bret Stephens scrisse che «le vere democrazie non vivono nella paura del proprio popolo», riferendosi alla repressione dei manifestanti e alla censura di Internet. Secondo lui, una delle ragioni per cui i manifestanti chiedevano le dimissioni di Khamenei era la frustrazione per il suo controllo di un’organizzazione finanziaria chiamata “Setad”, che nel 2013 valeva almeno 95 miliardi di dollari (secondo un rapporto Reuters).[42][155] Secondo Al Jazeera, i leader iraniani avevano accusato i media stranieri di aver esagerato la portata delle proteste.[156]

Il commentatore del The New York Times Roger Cohen sostenne che «Trump ha ragione, questa volta, sull’Iran»,[157] scrivendo che, anche se il sostegno di Trump ai manifestanti «può sembrare vuoto», aveva ragione a twittare che la «ricchezza dell’Iran viene saccheggiata» da un «regime brutale e corrotto».[157] Philip H. Gordon, senior fellow in politica estera statunitense presso il Council on Foreign Relations, scrisse invece nello stesso giornale che la cosa migliore che il Presidente degli Stati Uniti potesse fare per sostenere gli iraniani era «stare zitto e non fare nulla», sostenendo che se «Trump facesse saltare l’accordo e reimponesse le sanzioni, non farebbe un favore all’opposizione, ma darebbe agli iraniani un motivo per stringersi intorno al governo che altrimenti potrebbero disprezzare».[158]

Elliott Abrams, ex Assistente segretario di Stato degli Stati Uniti durante l’amministrazione Reagan, criticò il The New York Times il 31 dicembre per quella che considerava una copertura fuorviante delle proteste in Iran. Secondo lui, i resoconti giornalistici avevano ridotto il valore delle proteste, limitandolo alla sola dimensione economica, mentre gli slogan indicavano che la portata politica delle manifestazioni era altrettanto significativa.[159]

Secondo Scott Waldman, il cambiamento climatico potrebbe aver contribuito a innescare le proteste, poiché l’Iran soffre di una serie di gravi siccità dagli anni ’90, di tempeste di sabbia e della cattiva gestione delle risorse idriche. L’aumento delle temperature potrebbe essere una causa sottostante delle difficoltà economiche che portarono alle proteste.[160]

Rudy Giuliani, avvocato personale di Trump, suggerì che le proteste di giugno in Iran fossero «orchestrate» dall’esterno del Paese, affermando che: «quelle proteste non stanno avvenendo spontaneamente. Stanno avvenendo grazie a molti dei nostri uomini in Albania [che ospita una base del MEK Iran] e a molti dei nostri uomini qui e in tutto il mondo».[161]

In una ricerca pubblicata nel Journal of International Affairs nel 2020, Saeed Ghasseminejad e altri suoi colleghi sostennero che le proteste in Iran del 2017 avevano segnato un passaggio dalla riforma alla rivoluzione, nel senso di mirare al rovesciamento della Repubblica Islamica. Essi identificarono cinque fattori — «geografia, demografia, livelli di violenza, organizzazione/coesione e slogan delle proteste» — come prove di questo passaggio.[162]

Reazioni

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Nazionali

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  • Khamenei attribuì i disordini ai «nemici» della Repubblica Islamica, affermando: «Negli eventi degli ultimi giorni, i nemici dell’Iran stanno impiegando ogni mezzo a loro disposizione, inclusi denaro, armi e supporto politico e di intelligence, per coordinare i problemi contro l’ordine islamico».[163]
  • All’inizio del 2018, Rouhani telefonò al presidente francese Emmanuel Macron per chiedergli di agire contro i Mojahedin del Popolo Iraniano (MEK), un gruppo dell’opposizione iraniana in esilio con base a Parigi, accusandoli di fomentare i recenti disordini.[164]
  • Rouhani dichiarò che gli iraniani hanno un diritto inalienabile di esprimere le proprie critiche sui problemi del Paese, aggiungendo che le proteste non dovrebbero svolgersi in modo da far sentire le persone minacciate nella vita e nella rivoluzione. Chiese alle forze di sicurezza di evitare l’uso della violenza «come hanno fatto finora». Riguardo al sostegno espresso dal presidente degli USA Trump ai manifestanti, disse: «quest’uomo negli Stati Uniti che oggi finge di avere simpatia per il nostro popolo dovrebbe ricordare che è stato lui a definire mesi fa la nazione iraniana “terrorista”. Quest’uomo, che è totalmente contro gli iraniani, non ha il diritto di provare simpatia per il popolo dell’Iran».[165]
  • Il portavoce del ministero degli Esteri, Bahram Qassemi, rispose ai tweet di Trump affermando che «il popolo iraniano non tollera gli slogan opportunistici e ipocriti dei funzionari statunitensi», e che «la Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran stabilisce strutture democratiche per la tutela legale dei diritti civili e la possibilità di perseguire tali richieste nell’ambito della legge è pienamente possibile».[166][167]
  • Ali Shamkhani, segretario del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale dell'Iran, affermò che Stati Uniti, Regno Unito e Arabia Saudita stavano incitando i disordini attraverso l’uso di hashtag e campagne sui social media.[168]
  • Il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica emise una dichiarazione impegnandosi a monitorare da vicino «futuri atti di sedizione» e che, «sostenendo la Velayat-e faqih, non permetterà che alcun danno sia inflitto al Paese».[169]
  • L’ex portavoce del ministero degli Esteri Hamid Reza Asefi disse che l’Arabia Saudita stava cercando di sfruttare e abusare di quelle che definì «manifestazioni civili e libertà di espressione», sostenendo che il regime saudita stava tentando di incitare al caos in Iran per i propri fini politici. Aggiunse che il popolo e il governo iraniano non avrebbero mai permesso all’Arabia Saudita o ad altri Paesi di approfittare delle proteste o interferire nelle questioni interne dell’Iran. Sostenne inoltre che le proteste non erano contro il governo, ma contro i problemi economici.[170]
  • Il capo della magistratura Sadeq Larijani ordinò ai procuratori e alle forze dell’ordine di adottare misure severe contro rivoltosi e i vandali, avvertendo che sarebbero stati puniti con fermezza.[171][172]
  • Il 29 dicembre 2018, Hassan Khomeini, nipote del fondatore della Repubblica Islamica, in risposta al crescente malcontento nel Paese dichiarò che non vi era alcuna garanzia che il regime non sarebbe stato rovesciato.[173]

Internazionali

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  •   Europa – L’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera Federica Mogherini invitò alla moderazione.[61]
  •   Stati Uniti
    • Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump pubblicò alla fine di dicembre una serie di commenti sul suo account Twitter, tra cui: «Numerosi report di proteste pacifiche da parte di cittadini iraniani stanchi della corruzione del regime e del suo sperpero della ricchezza nazionale per finanziare il terrorismo all’estero. Il governo iraniano dovrebbe rispettare i diritti del suo popolo, incluso il diritto di esprimersi. Il mondo sta guardando! #IranProtest».[174][175]
    • Nikki Haley, l’ambasciatrice statunitense presso le Nazioni Unite, il 2 gennaio criticò la risposta del governo iraniano alle proteste ed espresse sostegno ai manifestanti, affermando: «Questa è l’immagine precisa di un popolo a lungo oppresso che si solleva contro i propri dittatori».[175]
    • Rex Tillerson dichiarò in un’intervista del 5 gennaio: «Sosteniamo che il popolo iraniano raggiunga le proprie aspirazioni per una migliore qualità della vita e per maggiori libertà. Crediamo che lo meriti, ma spetterà al popolo iraniano gestire quella transizione pacifica. Noi lo sosteniamo».[176]
    • L’11 dicembre 2018, un gruppo di membri del Congresso degli Stati Uniti partecipò a un evento organizzato dall’Organization of Iranian American Communities (OIAC) a Washington D.C. per esprimere sostegno ai manifestanti in Iran.[177]
  •   Russia – Il Ministro degli Esteri Sergey Lavrov affermò che i disordini di massa in Iran erano una questione interna del Paese ed espresse la speranza che la crisi si evolvesse senza spargimenti di sangue e violenza. Sottolineò inoltre che qualsiasi interferenza straniera negli affari interni dell’Iran, tale da destabilizzare la situazione, era inaccettabile.[178]
  •   Turchia – Il Ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu dichiarò: «Riteniamo necessario evitare la violenza e non cedere alle provocazioni», in riferimento ai decessi riportati e agli atti di vandalismo contro edifici pubblici in Iran. Espresse anche la speranza che si evitassero interventi stranieri. Recep Tayyip Erdoğan, il Presidente della Turchia, condannò Stati Uniti e Israele per la presunta ingerenza negli affari interni dell’Iran.[179]
  •   Israele – Il primo ministro Benjamin Netanyahu elogiò i manifestanti definendoli «eroici» nella loro «nobile ricerca della libertà».[180][181] Aggiunse: «Ho sentito oggi l’affermazione del presidente iraniano [Hassan] Rouhani secondo cui Israele è dietro le proteste in Iran. Non è solo falso. È ridicolo. E a differenza di Rouhani, non insulterò il popolo iraniano. Merita di meglio».[180][181]
  •   Regno Unito – Il Segretario di Stato per gli Affari Esteri e del Commonwealth, Boris Johnson twittò di «seguire con preoccupazione gli eventi in Iran» ed enfatizzò il diritto dei cittadini a manifestazioni pacifiche.[182]
  •   Francia – Il presidente francese Emmanuel Macron criticò gli Stati Uniti e i loro alleati mediorientali per il sostegno a gran voce ai manifestanti,[183] dichiarando il 3 gennaio: «La linea ufficiale perseguita da Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita, che in molti modi sono nostri alleati, è quasi tale da condurci alla guerra».[179]

Riunione del Consiglio di Sicurezza ONU

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Venerdì 5 gennaio 2018,[184] su richiesta di Nikki Haley, ambasciatrice degli USA alle Nazioni Unite, si tenne una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza dell'ONU sulle violazioni dei diritti umani nei confronti dei manifestanti iraniani.[185] Secondo Tayé-Brook Zerihoun, vice segretario generale per gli Affari politici, i video pubblicati sui social mostravano manifestanti picchiati e edifici governativi, banche e centri religiosi in fiamme. Oltre 1.000 manifestanti erano stati arrestati.[184] Nikki Haley dichiarò che gli eventi avvenuti nella settimana precedente in Iran richiedevano l’attenzione del mondo.[185]

Sebbene gli Stati Uniti abbiano superato i tentativi russi di bloccare una discussione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU sulle proteste iraniane, non ottennero il sostegno europeo per agire contro l’Iran. Pur concordando con gli USA sulla tutela dei diritti dei manifestanti, Regno Unito, Francia e Germania sfruttarono il dibattito per respingere i tentativi americani di mettere in discussione l' accordo nucleare con l’Iran.[186] Il rappresentante francese François Delattre affermò che l’evento non costituiva una minaccia alla pace e sicurezza internazionale e dichiarò: «Spetta agli iraniani, e solo agli iraniani, perseguire la via del dialogo pacifico».[185] Cina, Russia e altri Paesi considerarono le proteste una questione interna non pertinente al Consiglio di Sicurezza.[184]

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