Convalescenza
Titolo originale회복하는 인간 (Convalescenza), 내 여자의 열매 (Il frutto della mia donna)
1ª ed. originale2012, 2000
1ª ed. italiana2019
GenereRaccolta di racconti
Lingua originalecoreano
AmbientazioneSeoul

Convalescenza (회복하는 인간 in coreano) è una raccolta di due racconti della scrittrice sudcoreana Han Kang, pubblicata nel 2019 dall'editore Adelphi nella traduzione dall'inglese di Milena Zemira Ciccimarra.

Il primo racconto, Convalescenza (회복하는 인간, lett. “L'essere umano che guarisce”), è apparso originariamente nel 2012 all'interno della raccolta 노랑무늬 영원 (Norang-muni yeongwon, lett. “Eternità a motivi gialli”).[1] Il secondo, Il frutto della mia donna (내 여자의 열매, Nae yŏja ŭi yŏlmae), scritto nel 1997, è stato pubblicato nel 2000 nell'omonima raccolta, la seconda dell'autrice.[2]

Convalescenza

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«Sto bene. Dicono che presto guarirà. È solo questione di tempo. Tutti guariscono.»

Il racconto si apre con l'arrivo all'ospedale di una donna con un'ustione alla caviglia, conseguenza di una moxibustione praticata per alleviare il dolore di una slogatura. Alla ferita fisica, trascurata e in via di peggioramento, si affianca una sofferenza interiore: la morte della sorella, da lei profondamente amata, che l'ha respinta fino all'ultimo, impedendole di condividere il suo dolore.[3]

Ferite del corpo e della mente si confrontano nell'esplorazione della dimensione del dolore e del processo umano di guarigione, che la protagonista, colpita dal rimpianto e dal senso di colpa, sembra deliberatamente rifiutare, perché percepito come separazione e tradimento nei confronti della sorella morta.

Il racconto, narrato in seconda persona, si sviluppa su tre piani temporali: il passato, che rievoca l’infanzia e il rapporto irrisolto con la sorella; il presente, segnato dal dolore fisico ed emotivo; e il futuro, noto al lettore ma non alla protagonista, in cui si colloca la guarigione dell'ustione. Il corpo diventa lo spazio privilegiato della percezione e della sofferenza: mentre le ferite fisiche possono guarire, quelle interiori restano una dimensione esistenziale che non si dissolve.[4]

Han Kang ha dichiarato di aver tratto ispirazione per il racconto da un’esperienza personale di moxibustione, che le causò un’ustione alla caviglia, e ha osservato come la guarigione non coincida con il ritorno allo stato originario, ma con la capacità di convivere con la ferita e sopravvivere.[4][5]

Il frutto della mia donna

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«Odio vivere nei palazzoni di Sanggyedong. Settecentomila persone stipate tutte insieme: sento che appassirò e morirò. Odio queste centinaia, migliaia di edifici identici, con cucine identiche, soffitti identici, vasche da bagno, verande e ascensori identici; e odio i parchi, le aree di sosta, i negozi, gli attraversamenti pedonali. Li odio tutti.

Presto, lo so, perderò anche la capacità di pensare, ma sto bene. É da tanto tempo ormai che sognavo questo, poter vivere solo di vento, sole e acqua.»

I protagonisti sono una coppia che vive da quattro anni al tredicesimo piano di un condominio urbano, simbolo di alienazione e claustrofobia. Il loro rapporto, privo di intimità e di autentico scambio emotivo, è segnato dalla monotonia e da una distanza crescente.

La donna, che in passato aveva desiderato viaggiare ed essere libera, mostra segni di insofferenza dopo il matrimonio e l’insediamento in città. Un giorno, sul suo corpo compaiono lividi verdastri che si moltiplicano senza spiegazione. Il marito, inizialmente indifferente, le consiglia di consultare un medico, che non rileva alcuna anomalia. Dopo la visita, l’uomo parte per un viaggio di lavoro di una settimana. Al ritorno, trova l’appartamento in disordine e la moglie sul balcone, già parzialmente trasformata in una pianta. Il racconto si conclude con il marito che raccoglie i frutti generati dalla moglie e li pianta in nuovi vasi.

La narrazione alterna il punto di vista del marito e quello della moglie. Il marito, pragmatico e distaccato, si riferisce alla moglie chiamandola “la mia donna” (내 여자, nae yeoja), mentre lei, fragile e silenziosa, lo chiama semplicemente “lui” (그, geu), mantenendo una distanza emotiva. Nella voce della donna emergono ricordi frammentari e il desiderio di rivolgersi alla madre assente, come in cerca di radici. La metamorfosi assume un duplice significato: regressione e annientamento, ma anche liberazione da un’esistenza vissuta come prigione.

Critica

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I due racconti del libro condividono la rappresentazione di figure femminili sospese tra desiderio di annientamento e tensione alla trasformazione, come risposta ad un dolore insostenibile o a una condizione di vita percepita come estranea.[6]

La critica ha evidenziato come il tema della guarigione (회복, hoe-bok) costituisca un nucleo centrale nell’opera di Han Kang. Per l’autrice, la guarigione non implica un ritorno alla normalità, ma una tensione verso una verità interiore che nasce dal confronto con la sofferenza. In questo senso, Convalescenza rappresenta in modo diretto la fragilità del corpo e la possibilità di una lenta ripresa, mentre Il frutto della mia donna declina il medesimo tema in chiave simbolica, affidandolo alla metamorfosi fantastica.

Deborah Smith nella sua nota finale alla traduzione inglese de Il frutto della mia donna pubblicata su Granta nel 2016, ha segnalato come il racconto sia un antecedente diretto del romanzo La vegetariana, pubblicato da Hang sette anni dopo. In entrambe le opere una donna sposata intraprende un processo di trasformazione che destabilizza la vita coniugale. Tuttavia, mentre ne La vegetariana la metamorfosi è interpretata dai personaggi come sintomo di disturbo mentale, in Il frutto della mia donna la protagonista si trasforma letteralmente in una pianta. Smith legge il racconto come una sorta di mito moderno, influenzato dal buddhismo coreano e privo di riferimenti alla mitologia greca, inserendolo in una tradizione letteraria che riflette sull'alienazione domestica, sull’industrializzazione e sull’omologazione sociale in Corea del Sud. [7]

Un’altra interpretazione ha messo in luce il valore simbolico dell’appartamento in cui vive la protagonista, descritto come un vaso che la trattiene e ne soffoca l’esistenza. La metamorfosi vegetale appare in questo senso come allegoria della condizione femminile imprigionata negli spazi domestici e nei ruoli di genere. Il desiderio di fuga si articola in due direzioni: l’allontanamento orizzontale, che rimane irrealizzato, e la crescita verticale, che nei sogni della protagonista si traduce nell’immagine di un pioppo che rompe il soffitto e si slancia verso il cielo. Anche questo anelito alla trascendenza è però destinato a fallire, poiché la pianta in vaso non può radicarsi liberamente. La distanza tra marito e moglie si riflette così in due visioni opposte: per lui il vaso rappresenta la cura e l’armonia domestica, per lei diventa un simbolo di prigionia.[8]

Ulteriori studi hanno sottolineato la dimensione simbolica della trasformazione vegetale: Il frutto della mia donna “sfida le costrizioni del focolare patriarcale virando verso le piante”, esplorando l’ambivalenza della loro “radicata libertà”. La protagonista, trasformata in una pianta che il marito cura come un vaso vivo, incarna il paradosso tra prigionia e vitalità.[9][10]

Secondo Gaia Manzini, Han Kang racconta “la solitudine delle donne” e la loro trasformazione come risposta alla sofferenza e all’incomunicabilità, trasformando la mutazione vegetale in un simbolo di rifiuto del mondo umano e di ricerca di una forma di esistenza più autentica.[11]


Bibliografia

  1. ^ (KO) Han Kang, 노랑 무늬 영원 : 한 강 소설집 / Norang munŭi yŏngwŏn [L’essere umano che guarisce], Seul, Munhak kwa Chisŏngsa, 2012, OCLC 1336138579.
  2. ^ (KO) Han Kang, 내 여자의 열매 / Nae yeojaui yeolmae, Seul, Munhak-kwa-Jiseongsa, 2000, ISBN 8936436570.
  3. ^ (KO) <회복하는 인간>- 회복할 수 없는 마음의 상흔(傷痕) 한강의 <회복하는 인간> [L'uomo in via di guarigione - Le cicatrici irreparabili del cuore "L'uomo in via di guarigione" di Han Kang], su brunch.co.kr, 19 giugno 2017. URL consultato il 24 agosto 2025.
  4. ^ a b (KO) 노벨문학상 작가, '한강' 인터뷰와 함께 읽는 <회복하는 인간> 총정리 [Han Kang, scrittrice premio Nobel: intervista e guida completa a Convalescenza], su bookasia.inblog.io, 19 ottobre 2024. URL consultato il 24 agosto 2025.
  5. ^ (KO) Kim Yeon-soo, 사랑이 아닌 다른 말로는 설명할 수 없는 : 한강과의 대화 [Non si può spiegare con altre parole se non con l'amore: Dialogo con Han Kang], in 창작과 비평, vol. 42, n. 3, 2014.
  6. ^ Han Kang. Convalescenza, su adelphi.it. URL consultato il 24 agosto 2025.
  7. ^ (EN) Deborah Smith e Han Kang, The fruit of My Woman, in Granta, n. 133, 19 gennaio 2016.
  8. ^ (KO) Choi Sung Yun, 유폐된 생명, 초월 욕망의 좌절 - 「내 여자의 열매」에 나타난 ‘식물적 상상력’ [“Vita confinata, fallimento del desiderio di trascendenza – L’‘immaginazione vegetale’ in Il frutto della mia donna”], in 한국근대문학연구 [Studi di letteratura coreana moderna], vol. 23, n. 45/1, 2022, pp. 131-149.
  9. ^ (EN) Dominic O'Key, Han Kang’s The Vegetarian and the International Booker Prize: reading with and against world literary prestige, in Textual practice, vol. 36, n. 8, 2022, pp. 9-11, DOI:10.1080/0950236X.2021.1900376.
  10. ^ (EN) Shilpa Bright, An Ecofeminist Reading of Han Kang’s The Vegetarian, in Smart Moves Journal Ijellh, vol. 9, n. 5, 2021, DOI:10.24113/ijellh.v9i5.11070.
  11. ^ Gaia Manzini, Le donne che si trasformano in piante per sfuggire alla sofferenza, in Il Foglio, 8 giugno 2019. URL consultato il 24 agosto 2025.


Coniglio maledetto
Titolo originale저주 토끼 / Chŏju t'okki
AutoreBora Chung
1ª ed. originale2017
1ª ed. italiana2024
GenereRaccolta di racconti
Sottogenereorrore, fantascienza, fantasy
Lingua originalecoreano
AmbientazioneCorea, Polonia

Coniglio maledetto (저주 토끼 / Chŏju t'okki, 2017) è una raccolta di dieci racconti della scrittrice sudcoreana Bora Chung. I racconti esplorano temi di violenza, alienazione e ingiustizia sociale attraverso una lente fantastica e grottesca, mescolando generi diversi, tra cui fiabe dark, horror, fantasy mitologico, fantascienza e realismo magico.[1]

Tradotto in diciassette lingue, Coniglio maledetto è stato pubblicato in Italia nel 2024 dalla casa editrice La Tartaruga, nella traduzione di Andrea De Benedittis.[2]

Nel 2022 il libro è risultato finalista all' International Booker Prize nel 2022.[1][3]

Nel settembre 2023 la traduzione inglese Cursed Bunny, a cura di Anton Hur, è stata inclusa tra le candidature del National Book Award for Translated Literature, ed elogiata "per aver offerto un ritratto agghiacciante delle paure e delle pressioni latenti della vita quotidiana attraverso una miscela unica di horror, fantasy e fantascienza".[4][5]

Racconti

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La raccolta comprende dieci racconti, diversi per ambientazione e genere.

  1. Coniglio maledetto. Una lampada a forma di coniglio agisce come feticcio maledetto che stermina generazioni di una famiglia e il loro impero di liquori, sullo sfondo di una Corea del Sud in rapido cambiamento.
  2. Testa. Una donna è perseguitata da una testa generata dai suoi escrementi, che la chiama "mamma" e vive nel suo water. Nonostante i tentativi di distruggerla, la creatura continua a riapparire, accompagnando la protagonista nelle diverse fasi della sua vita. I familiari, messi al corrente, minimizzano la sua presenza e la invitano a ignorarla. Il racconto è stato interpretato come rappresentazione dell'emarginazione delle donne, le cui voci restano inascoltate, come riflessione delle inquietudini legate all'invecchiamento e come critica della pressione sociale verso un ideale di “perfezione femminile” costruito sul rifiuto di quelle parti fisiche e simboliche che suscitano disgusto o vergogna.[6][7][8][9]
  3. Le dita fredde. Una giovane donna intrappolata in un'auto che affonda nel fango viene guidata e interrogata sull'accaduto da misteriose dita e da una voce appartenenti a un’entità sconosciuta.
  4. Mestruo. Una donna single rimane inspiegabilmente incinta dopo una lunga cura a base di anticoncezionali, senza avere avuto rapporti sessuali; il medico, colpevolizzandola, la avverte che se non troverà un padre per il bambino, subirà gravi conseguenze. Il racconto, ispirato ad un’esperienza personale dell’autrice, mette in luce l'assurdità delle norme e delle aspettative sociali imposte alle donne, la pervasività del controllo sul loro corpo, e riprende il tema della "maternità mostruosa" già affrontato in Testa.[10]
  5. Addio, amore mio. Nell'unico racconto di fantascienza della raccolta, il narratore o la narratrice[11] rievoca la sua relazione sentimentale con un "androide di compagnia" destinato a essere smantellato, riflettendo sul confine tra umano e artificiale, amore e alienazione.
  6. La tagliola. Una volpe che sanguina oro viene imprigionata da un mercante avido che la ferisce ripetutamente per arricchirsi, anteponendo i propri guadagni anche al benessere dei propri figli. Il racconto ribalta lo schema delle fiabe in cui gli animali ricompensano chi li libera da una trappola, e richiama, secondo alcune letture, la favola di Esopo La gallina dalle uova d'oro come denuncia dell'avidità umana.[12][13]
  7. Cicatrici. Un bambino rapito e gettato in una caverna oscura, incatenato e torturato da un mostro invisibile simile ad un uccello, riesce a fuggire nel mondo degli uomini, dove però incontra altrettanto dolore e orrore.
  8. Casa, dolce casa! Una donna, dopo una lunga vita di lavoro, acquista insieme al marito un edificio fatiscente con un misterioso seminterrato.
  9. Il comandante del vento e della sabbia. Racconto a sfondo mitologico che rievoca figure eroiche e atmosfere epiche, con inversione del motivo della damigella in pericolo: in questo caso è una coraggiosa principessa a lottare per salvare il suo amato, un principe cieco.
  10. Incontro, riunione, nuovo incontro. Ambientato nella Polonia contemporanea, segue la relazione tra una donna coreana e il suo amante polacco, intrecciando relazioni interpersonali e memoria storica. Come in Casa, dolce casa!, gli spiriti dei morti fungono da richiamo a un passato tragico e al tempo stesso offrono conforto alle protagoniste.

Genesi dei racconti

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I racconti sono stati scritti in momenti diversi della vita dell'autrice. Testa, composto per un concorso scolastico, vinse lo Yonsei Literature Prize nel 1998.[14] Il racconto che dà il titolo al libro, Coniglio maledetto, nacque invece da un progetto della rivista coreana Mirror, che invitava gli autori a scrivere racconti ispirati allo zodiaco asiatico. Chung scelse il coniglio, tradizionalmente simbolo di tenerezza, trasformandolo in una figura inquietante.[1]

Chung ha dichiarato di essersi ispirata a fonti diverse e complementari per creare i suoi racconti. Alcune storie derivano da esperienze personali. Mestruo, ad esempio, prende spunto da un problema ginecologico di cui soffrì l'autrice in un periodo della sua vita: in quell’occasione la madre le intimò di non recarsi dal medico perché non era sposata, un divieto da lei definito "molto coreano", indicativo del controllo esercitato sul corpo delle donne e del giudizio sociale legato alla condizione coniugale. Chung ha sottolineato come la stessa cultura patriarcale alimenti lo stigma verso le ragazze madri in Corea del Sud, dove nei certificati di nascita è obbligatorio specificare se i genitori siano sposati o meno.[15][13]

Altri racconti si rifanno alla tradizione delle fiabe e alla narrativa europea, studiata dall'autrice per affinare le tecniche di costruzione della trama, successivamente adottate al contesto coreano,[16] oltre ai miti e alle leggende nazionali. Figure femminili forti e combattive si ispirano, ad esempio, a testi storici medievali come la Cronaca degli anni passati o al Samguk sagi (삼국사기, 三國史記; lett.: Cronache dei Tre Regni).[15][4]

Spunti provengono anche dalla cronaca e dagli scandali della società coreana. Cicatrici e Coniglio maledetto si rifanno ad episodi di abusi, frodi assicurative e tragedie economiche riportati dai media. In particolare, Chung ha dichiarato che Coniglio maledetto è nato da un servizio giornalistico su una fabbrica di ravioli costretta a chiudere a causa delle maldicenze di un concorrente, cui seguirono il fallimento dell’azienda e il suicidio del proprietario.[6]

Temi e stile

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Chung ha descritto i propri racconti come ispirati alle fiabe europee, adattate alla realtà coreana. La critica ha individuato nella raccolta diversi motivi ricorrenti: la vendetta, evidente nel racconto che dà titolo al libro; la "malvagità degli oggetti inanimati", secondo la definizione dello scrittore britannico M. R. James; la ricomparsa di presenze inquietanti o di elementi perturbanti, di cui è esempio il racconto La testa; le conseguenze distruttive dell'avidità umana, centrali in Coniglio maledetto, Trappole e Casa, dolce casa![17][18][19]

I racconti di Chung spaziano tra generi differenti. Alcuni, come La testa e Mestruo, ricadono nell’horror e nel body horror, combinando elementi grotteschi e surreali con riflessioni sociali e femministe. Goodbye, My Love si colloca invece nel filone della fantascienza, esplorando il rapporto tra umano e artificiale attraverso un androide di compagnia, in continuità con l’interesse contemporaneo della narrativa sci-fi coreana, rappresentata anche dall’autrice Kim Bo-young.[20] Altri racconti, come La tagliola e Il comandante del vento e della sabbia, presentano atmosfere fiabesche o fantasy, mentre Le dita fredde e Incontro, riunione, nuovo incontro adottano tonalità più oscure e soprannaturali.[21]

In Coniglio maledetto Chung utilizza il perturbante come dispositivo narrativo per trasformare elementi quotidiani in fonti di angoscia e disorientamento. Le storie combinano colpi di scena inquietanti, horror, grottesco e fantastico con la critica alle ingiustizie sociali, alle pressioni culturali e alle disuguaglianze di genere.[22][10] In Mestruo, ad esempio, una gravidanza inspiegabile diventa pretesto per mettere in scena i pregiudizi legati al matrimonio e alla maternità; altri racconti affrontano temi come la disuguaglianza, l’alienazione e la pressione esercitata da stereotipi e ruoli di genere.[15] Sete di denaro, tecnologie, traumi intergenerazionali, stereotipi sociali e pressioni culturali intervengono sui corpi delle donne e sui destini delle famiglie e dei bambini. In Cicatrici, le dinamiche familiari e la brutalità degli adulti ricadono su un bambino rapito, emblema dell’innocenza sacrificata.[23]

Lo stile, conciso e preciso, privilegia la costruzione di atmosfere claustrofobiche o surreali, più che all’approfondimento psicologico dei personaggi.[22]

  1. ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :49
  2. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :50
  3. ^ (EN) Lucy Knight, International Booker prize shortlist delivers ‘awe and exhilaration’, su theguardian.com, 7 aprile 2022. URL consultato il 20 agosto 2025.
  4. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :34
  5. ^ (EN) Cursed Bunny. Finalist, National Book Awards 2023 for Translated Literature, su nationalbook.org. URL consultato il 18 agosto 2025.
  6. ^ a b (EN) Louisa Ermelino, Things That Go Bump, in Publishers Weekly, vol. 269, n. 33, 8 agosto 2022.
  7. ^ (EN) Ian MacAllen, Greed and Other Monsters in “Cursed Bunny”, su chireviewofbooks.com, 9 dicembre 2022. URL consultato il 20 agosto 2025.
  8. ^ (EN) Fi Churchman, Cautionary Tales of Capitalism: Bora Chung’s ‘Cursed Bunny’ – Review, su artreview.com, 2 agosto 2022. URL consultato il 20 agosto 2025.
  9. ^ Yağmur Kızılay ha letto il racconto di Chung come il trionfo del concetto di "abject" elaborato da Julia Kristeva, vedendo nella testa ciò che viene espulso dall’ordine simbolico e sociale - fluidi corporei, escrementi, residui organici - perché percepito come impuro, minaccioso per l’identità e la coesione del soggetto. Le parti abiette (gli scarti corporei della protagonista che ritornano in forma umana) rappresentano gli elementi rimossi e respinti, che riaffiorano per mettere in crisi l’ideale di perfezione femminile imposto dalle norme culturali. Cfr.: (EN) Yağmur Kizilay, The Triumph of the Abject: A Kristevan Analysis of Bora Chung's 'The Head', in DTCF Dergisi, vol. 63, n. 2, 2023, pp. 1179-1207.
  10. ^ a b (EN) Corrine Watson, Folklore with a Chilling Bite: Generational Trauma and the Pitfalls of Greed in Bora Chung's Cursed Bunny, su westtradereview.com, 6 dicembre 2022. URL consultato il 20 agosto 2025.
  11. ^ Nella versione originale il genere della voce narrante non è specificato, sia perché nella lingua coreana i pronomi personali non hanno distinzione di genere grammaticale, sia per scelta stilistica dell'autrice, che ne ha volutamente lasciato ambigua l'identità. Nella traduzione inglese Anton Hur ha mantenuto questa indeterminatezza per la voce narrante, mentre ha attribuito un genere femminile al robot Model 1, scelta che ha sorpreso l’autrice e che ha aggiunto una sfumatura queer alla lettura del racconto. Diversamente, nella traduzione italiana la voce narrante ha assunto il genere maschile. Cfr.: (EN) The National Book Award Interviews: Anton Hur and Bora Chung, su wordswithoutborders.org, 2 ottobre 2023. URL consultato il 20 agosto 2025.
  12. ^ (EN) Charles La Shure, Cursed Bunny, in Koreana, vol. 36, n. 2, 2022, p. 76.
  13. ^ a b (EN) Mahvesh Murad, Strange, Surreal, and Sometimes Shocking: Cursed Bunny by Bora Chung, Translated by Anton Hur, su reactormag.com, 6 dicembre 2022. URL consultato il 20 agosto 2025.
  14. ^ (EN) Bora Chung (Jeong Bo-ra), su library.ltikorea.or.kr. URL consultato il 14 agosto 2025.
  15. ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :44
  16. ^ The National Book Award Interviews: Anton Hur and Bora Chung, su wordswithoutborders.org, 2 ottobre 2023. URL consultato il 17 agosto 2025.
  17. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :46
  18. ^ 정보라 소설집 <아주 보통의 결혼> [밀리 오리지널 에디션] 리뷰 [Recensione della raccolta di racconti "Un matrimonio molto ordinario"], su arzak.tistory.com, 9 giugno 2021. URL consultato il 18 agosto 2025.
  19. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :35
  20. ^ (EN) Reimagining the Universe: South Korean Science Fiction Writers in Conversation, su kaya.com. URL consultato il 22 agosto 2025.
  21. ^ (EN) Joel Getter, ‘Cursed Bunny’ by Bora Chung (Review), su iwouldratherbereadingblog.wordpress.com, 16 aprile 2024. URL consultato il 22 agosto 2025.
  22. ^ a b (EN) Anil Menon, Body doubles: Review of ‘Cursed Bunny’ by Bora Chung, su frontline.thehindu.com, 4 maggio 2023. URL consultato il 19 agosto 2025.
  23. ^ (EN) Cursed bunny [Review], in Kirkus Reviews, vol. 90, n. 20, 15 ottobre 2022.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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Bora Chung, 2023

Bora Chung (정보라?; Seul, 1976) è una scrittrice e traduttrice coreana, nota per le sue opere di narrativa breve che mescolano elementi di horror, fantascienza, folclore, realismo magico e satira sociale.[1]

La sua raccolta di racconti Coniglio maledetto, best seller in Corea del Sud, è stata finalista all' International Booker Prize nel 2022 e al National Book Awards 2023 per la letteratura tradotta, segnando un importante riconoscimento internazionale per la letteratura sudcoreana.

Chung è anche traduttrice di opere dal russo e polacco al coreano.[2]

Biografia

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Nata a Seul nel 1976, Chung fino all'età di 9 o 10 anni è cresciuta nel retro dello studio di una clinica dentistica, dove lavoravano i suoi genitori.[3]

Dopo aver studiato letteratura russa e inglese presso l'Università Yonsei, ha proseguito la formazione negli Stati Uniti, conseguendo un master in studi sull'Europa orientale presso la Yale University e un dottorato in letterature slave all'Università dell'Indiana, specializzandosi in letteratura utopica russa e polacca del XX secolo.[4][5] Ha trascorso otto anni negli Stati Uniti, esperienza che ha contribuito a definire la sua prospettiva internazionale.

Rientrata in Corea, ha insegnato letteratura russa e studi di fantascienza alla Yonsei University, affiancando all’attività accademica la scrittura e la traduzione di opere letterarie russe e polacche.[6]

Nel 1998 ha ricevuto il premio letterario Yonsei con il racconto Meori (머리, trad.: Testa), cui sono seguiti altri riconoscimenti, tra cui il Digital Literature Awards (2008) e i Gwacheon Science Center SF Awards (2014).[7][8][9]

La notorietà è arrivata nel 2017 con la pubblicazione della raccolta di racconti Il coniglio maledetto (저주 토끼 / Chŏju t'okki), tradotta in più lingue e finalista all’International Booker Prize 2022, elogiata per aver offerto "un ritratto agghiacciante delle paure e delle pressioni latenti della vita quotidiana attraverso una miscela unica di horror, fantasy e fantascienza".[6][10][5]

Nel 2021 Chungsi si è dimessa dall'attività di insegnamento per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Ha pubblicato vari romanzi e raccolte, alcuni dei quali tradotti in inglese, come Red Sword, Your Utopia e Midnight Timetable.[11]

Attiva socialmente, ha partecipato alle proteste per le vittime del naufragio del Sewol Ferry nel 2014, contro la centrale nucleare di Kori e contro la guerra in Ucraina.[6][12] Nel 2020 ha sostenuto l'approvazione della legge antidiscriminazione a favore dei diritti delle minoranze sessuali in Corea e della legge per la prevenzione di incidenti gravi e la sicurezza dei lavoratori.[13][14]

Chung ha sostenuto che la fantascienza è un mezzo perfetto per riflettere le voci dei sottorappresentati, tra cui donne, persone LGBTQ, minoranze razziali o persone con disabilità, e che partecipare alle proteste le sembra un modo per "essere una brava persona".[15][12][16]

Bora Chung ha pubblicato diversi romanzi e raccolte di racconti, muovendosi tra fantascienza, horror, folclore e realismo magico. I suoi primi lavori - le raccolte di racconti La prostituta del re (왕 의 창녀 / Wang ŭi ch'angnyŏ, 2013) e Il seme (씨앗  / Ssiat, 2013) - sono stati scritti con lo pseudonimo Jeong Do-gyeong.[5]

Nel 2022 l'edizione inglese della sua raccolta di racconti Cursed Bunny, tradotta da Anton Hur, è stata selezionata per l'International Booker Prize, prima opera di letteratura fantastica sudcoreana a ottenere tale riconoscimento internazionale, e l'anno successivo per il National Book Award per la letteratura tradotta.[4] Nel 2025 Your Utopia (tit. orig.: Kŭnyŏ rŭl mannada, 2021, trad.: Incontrare lei) è risultato finalista al Philip K. Dick Award.

In Italia la sua raccolta di racconti Coniglio maledetto è stata tradotta nel 2024 dalla casa editrice La Tartaruga;[17] in traduzione inglese sono usciti anche alcuni romanzi, tra cui Red Sword (tit. orig.: Pulgŭn k'al, 2019, trad.: La spada rossa), Midnight Timetable (tit. orig.: Hanbam ŭi siganp'yo, 2023, trad.: Orario di mezzanotte) e la raccolta di racconti Your Utopia (tit. orig.: Kŭnyŏ rŭl mannada, 2021, trad.: Incontrare lei).

Raccolte di racconti

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  • 왕의 창녀 / Wang ŭi ch'angnyŏ, 2013 (trad.: La prostituta del re). Pubblicata sotto lo pseudonimo Jeong Do-gyeong, è costituita da tredici racconti in due volumi, incentrati su rapporti umani violenti e disturbanti, con storie di ritorni dall’aldilà e relazioni ossessive.[18][19][20]
  • 씨앗 / Ssiat, 2013 (trad.: Il seme, trad. spag. Semilla), anch’essa firmata come Jeong Do-gyeong, raccoglie una dozzina di racconti, tra cui una trilogia di fiabe rielaborate con toni dark, oltre a storie di fantascienza e fantasy su intelligenza vegetale, crisi ambientale e tecnologie futuristiche.[21]
  • 저주 토끼 / Chŏju t'okki, 2017 (trad.: Il coniglio maledetto), la sua opera più nota, comprende dieci racconti che mescolano horror, fantasy e satira sociale. È stato tradotto in diciassette lingue e nel 2022, nella versione inglese Cursed Bunny (trad. Anton Hur), è entrato nella shortlist dell’International Booker Prize.[22]
  •  
    Byun Hee-soo, la prima soldatessa coreana transgender morta suicida nel 2021, a cui Bora Chung ha dedicato un suo racconto
    그녀를 만나다 / Kŭnyŏ rŭl mannada, 2021 (trad.: Incontrare lei), è un'antologia che raccoglie otto racconti, tematicamente collegati, che spaziano tra distopia, fantascienza e horror, con scenari di epidemie spaziali, aziende biotech e intelligenze artificiali, incentrati su sorveglianza, discriminazioni, resistenza sociale e sui pericoli della tecnologia avanzata.[23][24] I racconti, tra cui il premiato Seme, sono stati scritti tra il 2010 e il 2021, quando Chung insegnava all'università. Il racconto che dà il titolo al volume è dedicato al sergente Byun Hee-soo, il primo soldato coreano transgender, che nel 2021 si è tolto la vita dopo essere stato congedato forzatamente l'anno precedente. La traduzione inglese pubblicata nel 2024 ha assunto il titolo di un altro racconto della raccolta, Your Utopia.[13][25] Your Utopia è stato nominato "Libro dell'Anno" dalla rivista Time nel 2024 ed è risultato tra i sei finalisti del Philip K. Dick Award 2025.[16]
  • 여자들의 왕 / Yŏjadŭl ŭi wang, 2022 (trad.: Il re delle donne) raccoglie racconti fantasy femministi che rielaborano miti e archetipi narrativi con protagoniste femminili, esplorando temi di autodeterminazione e sovversione dei ruoli di genere.(KO) 여자들 의 왕 / Yŏjadŭl ŭi wang [Il re delle donne], Seul, Ajak, 2022, OCLC 1336505498.
  • 아무도 모를 것 이다 / Amudo morŭl kŏt ida, 2023, (trad.: Nessuno lo saprà). Raccolta di nove racconti della produzione giovanile di Bora Chung, una sorta di "prequel letterario" che ripercorre la visione del mondo dell'autrice, presentando i suoi primi racconti all'insegna del bizzarro e del fantastico.[26][27]

Romanzi

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  • 문 이 열렸다 / Mun i yŏllyŏtta, 2010 (trad.: La porta si apre) è un romanzo che intreccia un triangolo amoroso con elementi fantastici, incentrati sulla trasformazione di un uomo in lupo mannaro e sull’apertura di un passaggio verso un mondo parallelo.[28][29]
  • 붉은 칼 / Pulgŭn k'al, 2019 (trad.: La spada rossa), ed. inglese: Red Sword (Honford Star, 2025). In un futuro imperiale che impiega in guerra schiavi e soldati clonati, Chrisna sopravvive su un pianeta ostile popolato da “alieni bianchi” e scopre di essere un clone. Il contesto richiama i conflitti del XVII secolo tra soldati coreani che combattono contro la Russia per conto della dinastia Qing, reinventati in un futuro galattico. Il romanzo indaga guerra e identità ed è incentrato sulla questione di come un individuo o un piccolo gruppo possa combattere contro una forza schiacciante.[30][31]
  • 한밤의 시간표 / Hanbam ŭi siganp'yo, 2023 (trad.: Orario di mezzanotte), ed. inglese Midnight Timetable (Algonquin Books, 2025) è un romanzo ambientato in un istituto che custodisce oggetti maledetti, dove la protagonista, che lavora di notte, assiste alla misteriosa scomparsa dei suoi colleghi. Ogni oggetto apre a racconti horror e soprannaturali con riflessioni sociali su temi come sperimentazioni sugli animali, terapie coercitive ed alienazione sociale, violenze domestiche e capitalismo feroce, componendo un ritratto critico e malinconico delle ingiustizie del mondo.[32][33][34]
  • 고통에 관하여 / Kot'ong-e gwanhayeo, 2023 (trad.: A proposito del dolore), ed. inglese Pain Chasers (Algonquin Books, 2026). Thriller di fantascienza incentrato sul conflitto tra un'azienda farmaceutica che ha sviluppato un antidolorifico rivoluzionario, capace di cancellare ogni forma di dolore, e un gruppo religioso radicale che considera invece la sofferenza una via verso la salvezza umana. Tra i temi affrontati, le radici del concetto di dolore, il controllo sociale, l'etica della scienza.[35][36]
  • 아이들의 집 / Aidŭl ŭi chip, 2025 (trad.: La casa dei bambini) è un thriller fantascientifico che esplora il tema dell'educazione e della cura dei figli e invita i lettori a riflettere sul significato della genitorialità.[37][38]

Influenze

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Chung ha indicato tra i propri riferimenti la scrittrice coreana Park Wan-suh (1931-2011), che le ha offerto un modello per rappresentare la condizione femminile intrecciando dimensione emotiva e storia contemporanea. Un’altra esperienza significativa risale alla sua infanzia, quando seguiva negli anni ottanta la serie televisiva Korean Ghost Stories:[39] da quelle narrazioni di leggende e fenomeni paranormali maturò l'interesse per figure mitiche come il Gumiho, la volpe a nove code, che avrebbe poi reinterpretato in chiave contemporanea nel racconto Ho (trad. La volpe).[6][3]

 
Lo scrittore russo Andrei Platonov, tra gli ispiratori delle opere di Chung

Alla sua formazione hanno contribuito anche le letterature slave del Novecento. Tra gli autori da lei più volte menzionati figurano i polacchi Bruno Schulz (1892-1942) e Bruno Jasienski (1901-1938/40), e i russi Andrei Platonov (1899-1951) - di cui ha studiato durante il master a Yale il romanzo distopico Da un villaggio in memoria del futuro - e Lyudmila Petrushevskaya (1938-), dalla quale ha appreso la capacità di mescolare emozioni contrastanti e di rappresentare la lotta delle donne in società ingiuste.[6][3] Secondo Chung, questi scrittori condividono l’attenzione per l’esperienza umana della sofferenza e della perdita.[12][16] Ha inoltre indicato come modello personale la scrittrice russa di gialli Alexandra Marinina.[40]

Oltre alla narrativa, Chung ha tratto trae ispirazione da leggende, racconti popolari e tradizioni mitologiche. In particolare ha richiamato le mitologie slave, soprattutto quella russa, e testi storici medievali come la Cronaca degli anni passati, dalla quale ha appreso a costruire figure femminili forti e complesse, come la principessa Olga di Kiev. Ha inoltre sottolineato l’importanza dei resoconti contenuti nel Samguk sagi (삼국사기, 三國史記; lett.: Cronache dei Tre Regni) e nel Samguk yusa (삼국유사, 三國遺事, lett. Memorie dei Tre Regni) , compilati nel XII e XIII secolo, che raccolgono episodi insoliti e racconti di creature mitiche:[6] «Penso che le leggende metropolitane, i miti e i racconti popolari ci dicano costantemente che ciò che sappiamo non è tutto», ha dichiarato, «e non dovremmo essere così arroganti da credere che ciò che i nostri cinque sensi percepiscono sia l’unica realtà possibile».[40]

Chung adotta spesso scelte narrative inattese o illogiche per rendere le storie meno prevedibili, combinando la struttura delle fiabe europee con elementi di horror e fantasy, calati nella realtà coreana, cui aggiunge un "tocco di magia".[41][42] Nel suo primo racconto, Testa, uno sviluppo deliberatamente surreale della storia, ha sostituito una versione precedente, più realistica, perché considerata noiosa, metodo che l'autrice ha scelto di mantenere per i suoi successivi lavori.[3]

Chung ha sostenuto di privilegiare la descrizione degli eventi rispetto alle emozioni dei personaggi, ritenendo che rappresentare ogni cambiamento mentale possa annoiare il lettore.[42] Nei suoi racconti i personaggi esplorano mondi estranei o incomprensibili.[30] L'autrice ha dichiarato che scrivere le consente di dare un senso a cose che non capisce[6] e che, essendo il mondo un posto estraneo e strano, "sia pura arroganza da parte degli esseri umani credere di aver capito tutto con le loro limitate capacità fisiche e psicologiche". Se da una parte intende mettere in rilievo eventi spiacevoli e incomprensibili che accadono nelle storie, dall'altra stabilisce una sorta di empatia nei confronti di coloro che vengono ingiustamente colpiti e che lottano da soli.[12] Scrivere, afferma ancora Chung, "è una forma di dissenso e di resistenza".[43]

Una caratteristica ricorrente della sua scrittura è l’uso di paragrafi composti da una sola frase, come nell'ultima riga di La fine del viaggio, il secondo racconto di Kŭnyŏ rŭl mannada, 2021 (trad. inglese Your Utopia, 2024), per ottenere un effetto definito “mic-drop”, ossia una chiusura secca e ad alto impatto che riassume o ribalta il senso del testo in poche parole. Questa tecnica risulterebbe ispirata alla sua esperienza di studio in Polonia, dove le frasi brevi aiutavano a semplificare il polacco.[44]

Premi e riconoscimenti

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  • 1998 - Yonsei Literature Prize, per il racconto Testa (머리) - Il racconto è stato poi pubblicato nella raccolta Coniglio maledetto.[8]
  • 2008 - Digital Writers' Awards, sezione Mobile, Distinction Award, per il racconto Ho (호, trad.: La volpe)[8]
  • 2014 - Gwacheon Science Center SF Awards, secondo premio per il racconto Ssiat (씨앗, trad.: Seme)[8]
  • 2022 - International Booker Prize, finalista per la raccolta di racconti Coniglio maledetto (저주 토끼)[45]
  • 2023 - National Book Award for Translated Literature per la versione inglese di Cursed Bunny, tradotta da Anton Hur.[46]
  • 2025 - Philip K. Dick Award 2025, finalista per Your Utopia [47]


Raccolte di racconti

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  • (KO) Jeong Do-kyung [pseudonimo di Bora Chung], 씨앗 / Ssiat [Semi], Seul, Onuju, 2013, OCLC 862093108. - Il racconto Ssiat (Seme) che dà il titolo alla raccolta, ha vinto il secondo premio ai Gwacheon Science Center SF Awards del 2014
  • (KO) Jeong Do-kyung [pseudonimo di Bora Chung], 왕 의 창녀 / Wang ŭi ch'angnyŏ [La prostituta del re], Onuju, 2013, OCLC 862053055.
  • (KO) 저주 토끼 / Chŏju t'okki [Coniglio maledetto], Seul, Ajak, 2017, OCLC 1009082846.
    • Bora Chung, Coniglio maledetto, traduzione di Andrea De Benedittis, Milano, La Tartaruga, 2024, OCLC 978-88-94814-95-8.
  • (KO) 그녀 를 만나다 / Kŭnyŏ rŭl mannada [Incontrare lei], Seul, Ajak, 2021, OCLC 1293458145.
    • (ES) Bora Chung, Semilla, Bogotà, Ediciones Vestigio, 2023, OCLC 1453424793.
  • (KO) 여자들 의 왕 / Yŏjadŭl ŭi wang [Il re delle donne], Seul, Ajak, 2022, OCLC 1336505498.
  • (KO) 아무도 모를 것 이다 / Amudo morŭl kŏt ida [Nessuno lo saprà], Goyang, P'op'ul Rein, 2023, OCLC 9791191842432.
  • (KO) 한밤의 시간표 / Hanbam ŭi siganp'yo [Programma di mezzanotte], Goyang, P'ŏp'ŭl Lein, 2023, OCLC 1390147520.
    • (EN) Bora Chung, Midnight Timetable: A Novel in Ghost Stories, Algonquin Books, 2025, OCLC 1512589416.
  • (KO) 너 의 유토피아 / Nŏ ŭi yut'op'ia [La tua utopia], edizione riveduta di Incontrarla, Seul, Raebit Hol, 2025, OCLC 1494994596.
    • (EN) Bora Chung, Your utopia, Chapel Hill, Algonquin Books, 2024, OCLC 1382526031.

Singoli racconti

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  • (KO) 호 / H [La volpe], Seul, Itta, 2023, OCLC 1401078684. - vincitore del terzo premio ai Digital Writers' Awards (2008)
  • (EN) Bora Chung, Grocery List, traduzione di Anton Hur, London, Hanuman Editions, 2024, OCLC 1466114087.

Romanzi

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  • (KO) Jeong Do-kyung [pseudonimo di Bora Chung], 문 이 열렸다 / Mun i yŏllyŏtta [La porta si aprì], Seul, Saep'aran Sangsang, 2010, OCLC 658901642.
  • (KO) Jeong Do-kyung [pseudonimo di Bora Chung], 붉은 칼 / Pulgŭn k'al [Spada rossa], Seul, Ajak, 2019, OCLC 1086381974.
    • (EN) Bora Chung, Red Sword, traduzione di Anton Hur, Honford Star, 2025, OCLC 1521513413.

Voci correlate

Weird (letteratura)

  1. ^ (EN) Jun Michael Park, Portraits of Bora Chung: South Korea’s Surrealist Storyteller with a Voice for Justice, su junmichaelpark.com, 30 luglio 2025. URL consultato il 13 agosto 2025.
  2. ^ Bora Chung, su lanavediteseo.eu. URL consultato il 13 agosto 2025.
  3. ^ a b c d (EN) Discover the shortlist: Bora Chung, ‘This is the nicest dream I ever had', su thebookerprizes.com, 25 maggio 2022. URL consultato il 13 agosto 2025.
  4. ^ a b (EN) Bora Chung, su thebookerprizes.com. URL consultato il 13 agosto 2025.
  5. ^ a b c (KO) 정보라 CHUNG Bora, su grb-agency.com. URL consultato il 14 agosto 2025.
  6. ^ a b c d e f g (EN) Exploring Constant Day-to-Day Jitters, su koreana.or.kr. URL consultato il 17 agosto 2025.
  7. ^ (KO) 문이 열렸다 [La porta si apre], su product.kyobobook.co.kr. URL consultato il 16 agosto 2025.
  8. ^ a b c d (EN) Bora Chung (Jeong Bo-ra), su library.ltikorea.or.kr. URL consultato il 14 agosto 2025.
  9. ^ (EN) Bora Chung, The Head | 머리, su samovar.strangehorizons.com. URL consultato il 14 agosto 2025.
  10. ^ (KO) 저주 토끼 [Coniglio maledetto], su library.ltikorea.or.kr. URL consultato il 16 agosto 2025.
  11. ^ (EN) Interview with Bora Chung, Author of “Cursed Bunny”, su honoraryreporters.korea.net, 27 maggio 2025. URL consultato il 17 agosto 2025.
  12. ^ a b c d (EN) Park Han-sol, Chung Bora puts unrepentant villains, empty vengeance together in sci-fi fiction, su koreatimes.co.kr, 8 gennaio 2021. URL consultato il 17 agosto 2025.
  13. ^ a b (EN) Bora Chung on finding utopia amid dystopian worlds, su koreaherald.com, 14 maggio 2024. URL consultato il 17 agosto 2025.
  14. ^ (EN) Serious accidents punishment act, su elaw.klri.re.kr. URL consultato il 17 agosto 2025.
  15. ^ (EN) Bora Chung interview, su ttonl.org, 23 marzo 2023. URL consultato il 17 agosto 2025.
  16. ^ a b c (KO) 정보라 "‘데모 SF’ 장르를 창조하는 것이 아닐까 싶어요" * 출처 : 채널예스 [Joo Bo-ra “Penso che si tratti della creazione del genere ‘demo SF’”], su ch.yes24.com. URL consultato il 17 agosto 2025.
  17. ^ Bora Chung, Coniglio maledetto, traduzione di Andrea De Benedittis, Milano, La Tartaruga, 2024, OCLC 978-88-94814-95-8.
  18. ^ (KO) Jeong Do-kyung [pseudonimo di Bora Chung], 왕 의 창녀 / Wang ŭi ch'angnyŏ [La prostituta del re], Onuju, 2013, OCLC 862053055.
  19. ^ (KO) 왕의 창녀 정도경 작품집 [La prostituta del re. Raccolta di opere di Jeong Do-gyeong], su yes24.com. URL consultato il 18 agosto 2025.
  20. ^ (KO) 왕의 창녀 (정도경) [La prostituta del re (Jeong Do-kyung)], su onuju.com, 16 agosto 2014. URL consultato il 18 agosto 2025.
  21. ^ (KO) Jeong Do-kyung [pseudonimo di Bora Chung], 씨앗 / Ssiat [Semi], Seul, Onuju, 2013, OCLC 862093108.
  22. ^ (KO) 저주 토끼 / Chŏju t'okki [Coniglio maledetto], Seul, Ajak, 2017, OCLC 1009082846.
  23. ^ (KO) 그녀 를 만나다 / Kŭnyŏ rŭl mannada [Incontrare lei], Seul, Ajak, 2021, OCLC 1293458145.
  24. ^ (EN) Rhona Feng, 'Your Utopia' considers surveillance and the perils of advanced technology, su npr.org, 30 gennaio 2024. URL consultato il 17 agosto 2025.
  25. ^ (KO) 정보라 《그녀를 만나다》 [Jang Bo-ra, “Incontrare lei”], su brunch.co.kr, 1º agosto 2024. URL consultato il 17 agosto 2025.
  26. ^ (KO) Jeong Bora, 아무도 모를 것 이다 / Amudo morŭl kŏt ida [Nessuno lo saprà], Goyang, P'op'ul Rein, 2023, OCLC 1380753762.
  27. ^ (KO) 아무도 모를 것이다 [Nessuno lo saprà], su library.ltikorea.or.kr. URL consultato il 18 agosto 2025.
  28. ^ (KO) Bora Chung, 문 이 열렸다 / Mun i yŏllyŏtta [La porta si apre], Seul, Saep'aran Sangsang, 2010, OCLC 658901642.
  29. ^ (KO) 『문이 열렸다』정보라 작가님 인터뷰 [Intervista con l'autore di "La porta si apre" Jeong Bo-ra], su cafe.daum.net, 11 febbraio 2017. URL consultato il 18 agosto 2025.
  30. ^ a b (EN) Rachel S. Cordasco, Red Sword, in World Literature Today, vol. 99, n. 4, 2025, pp. 76-77.
  31. ^ (KO) Jeong Do-kyung [pseudonimo di Bora Chung], 붉은 칼 / Pulgŭn k'al [Spada rossa], Seul, Ajak, 2019, OCLC 1086381974.
  32. ^ (KO) 한밤의 시간표 / Hanbam ŭi siganp'yo [Programma di mezzanotte], Goyang, P'ŏp'ŭl Lein, 2023, OCLC 1390147520.
  33. ^ The Midnight Timetable: A Novel in Ghost Stories, Algonquin Books, 2025, OCLC 1512589416.
  34. ^ (EN) Sci-Fi/Fantasy/Horror Reviews, in Publishers Weekly, Vol. 272, n. 29, 28 luglio 2025.
  35. ^ (KO) 고통 에 관하여 / Kot'ong e kwanhayŏ [A proposito del dolore], Paju, Tasan Ch'aekpang, 2023, OCLC 1405970590.
  36. ^ (KO) 부커상 최종 후보 정보라의 신작 장편소설 <고통에 관하여> [Il nuovo romanzo di Jeong Bo-ra, finalista del Booker Prize, "On Pain"], su millie.co.kr, 13 settembre 2023. URL consultato il 18 agosto 2024.
  37. ^ (KO) 아이들의 집 / Aidŭl ŭi chip, Paju, Yŏllimwŏn, 2025, OCLC 1528568198.
  38. ^ (KO) 공공임대 주택에서 발생한 아동 학대 사건…정보라 신작 SF 스릴러 『아이들의 집』 [Casi di abusi su minori nelle case popolari... Il nuovo thriller fantascientifico di Jeong Bo-ra], su joongang.co.kr. URL consultato il 18 agosto 2025.
  39. ^ (EN) Korean Ghost Story: Ieodo, su si.edu, 17 giugno 2022. URL consultato il 18 agosto 2025.
  40. ^ a b (EN) Beth Eunhee Hong, ‘Cursed Bunny’ author Bora Chung on writing from the margins, su koreaherald.com, 10 marzo 2022.
  41. ^ (EN) Bora Chung on her collection of short stories 'Cursed Bunny', su npr.org, 11 dicembre 2022. URL consultato il 17 agosto 2025.
  42. ^ a b (EN) Adam Sudewo, A Conversation with Bora Chung, su medium.com, 4 settembre 2023. URL consultato il 17 agosto 2025.
  43. ^ (EN) Motoko Rich, Choe Sang-Hun, A Woman Won South Korea’s First Literature Nobel. That Says a Lot, in The New York Times, 18 ottobre 2024.
  44. ^ (EN) Michelle Johnson, 8 Questions for Bora Chung, in World Literature Today, vol. 98, n. 2, 2024, pp. 24-25.
  45. ^ (EN) Cursed Bunny, su thebookerprizes.com. URL consultato il 18 agosto 2025.
  46. ^ (EN) Cursed Bunny. Finalist, National Book Awards 2023 for Translated Literature, su nationalbook.org. URL consultato il 18 agosto 2025.
  47. ^ (EN) 2025 Philip K. Dick Award Judges Announced, su philipkdickaward.org, 28 aprile 2025. URL consultato il 17 agosto 2025.





Sto traducendo questa voce: https://en.wikipedia.org/wiki/Southern_Gothic

Il Gotico del Sud è un sottogenere artistico di narrativa, musica, cinema, teatro e televisione fortemente influenzato da elementi gotici e dalla cultura del Sud degli Stati Uniti. I temi comuni del Southern Gothic includono storie con personaggi profondamente imperfetti, inquietanti o eccentrici, che a volte presentano deformità fisiche o instabilità mentale; ambientazioni decadenti o fatiscenti e situazioni grottesche; ed eventi sinistri nati da povertà, alienazione, crimine, violenza, sessualità proibita o magia hoodoo.


Origini

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Elementi di un trattamento gotico del Sud apparvero per la prima volta nel XIX secolo, prima e dopo la Guerra Civile, nelle figure grottesche di Henry Clay Lewis e nelle rappresentazioni sarcastiche di Mark Twain. Il genere si consolidò, tuttavia, nel XX secolo, quando il romanticismo oscuro, l'umorismo del Sud e il nuovo naturalismo letterario si fusero in una nuova e potente forma di critica sociale. I temi riflettevano in gran parte l'atmosfera culturale del Sud dopo il crollo della Confederazione nella Guerra Civile, che aveva lasciato un vuoto di valori culturali e religiosi, oltre a una devastazione economica. La povertà e l'amarezza durante l'era della Ricostruzione esacerbarono il razzismo endemico della regione.

Come l'originale termine artistico "Gotico", il termine "Southern Gothic" fu inizialmente dispregiativo e denigratorio. Nel 1935, Ellen Glasgow criticò gli scritti di Erskine Caldwell, William Faulkner e della "Scuola del Southern Gothic", affermando che il loro lavoro era pieno di "violenza senza scopo" e di "incubi fantastici". La connotazione del termine era inizialmente così negativa che Eudora Welty espresse il suo disappunto, affermando che non avrebbe voluto che le sue opere venissero etichettate in quel modo.

Caratteristiche

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L'ambientazione di queste opere è distintamente meridionale. Alcune caratteristiche includono l'esplorazione della follia, della decadenza e della disperazione; la continua pressione del passato sul presente, in particolare con gli ideali perduti di un'aristocrazia del Sud espropriata e le persistenti ostilità razziali.

Il Southern Gothic si concentra in particolare sulla storia di schiavitù e razzismo del Sud, sulla paura del mondo esterno, sulla violenza, su una "fissazione per il grottesco e su una tensione tra elementi realistici e soprannaturali".

Simile agli elementi del castello gotico, il Southern Gothic ritrae il declino della piantagione nel Sud dopo la Guerra Civile.

I cattivi che si travestono da innocenti o vittime si trovano spesso nella letteratura Southern Gothic, specialmente nei racconti di Flannery O'Connor, come "Brava gente di campagna" e "Chi si salva è un mistero", creando una linea sfocata tra vittima e cattivo. La letteratura Southern Gothic si proponeva di smascherare il mito del vecchio Antebellum South, con la sua narrazione di un passato idilliaco che nascondeva negazioni e repressioni sociali, familiari e razziali.

Una rinascita dei temi del Southern Gothic nella narrativa contemporanea è stata identificata nel lavoro di figure come Barry Hannah (1942–2010), Joe R. Lansdale (nato nel 1951), Helen Ellis (nata nel 1970) e Cherie Priest (nata nel 1975).

Il Southern Gothic (noto anche come Gothic Americana o Dark Country) è un genere di musica americana che affonda le sue radici nel primo jazz, gospel, americana, gothic rock e post-punk. I suoi testi si concentrano spesso su argomenti oscuri. Il genere condivide connessioni tematiche con il genere letterario Southern Gothic, e i parametri che definiscono il Gothic Americana sembrano avere più in comune con i generi letterari che con quelli musicali tradizionali. Le canzoni spesso trattano di povertà, comportamento criminale, immagini religiose, morte, fantasmi, famiglia, amore perduto, alcol, omicidio, il diavolo e tradimento.

L'album Nebraska (1982) di Bruce Springsteen fu influenzato dagli scritti di Flannery O'Connor. La band alternative rock R.E.M., di Athens, Georgia, mostrò un'influenza Southern Gothic con il loro terzo album, Fables of the Reconstruction (1985). J.D. Wilkes, frontman della band Legendary Shack Shakers, ha descritto la musica Southern Gothic come "l'adozione di una prospettiva secondo cui c'è qualcosa di grottesco e bello nelle tradizioni del Sud, nello sfondo della vita del Sud". La musica di Ethel Cain è stata descritta come "Southern Gothic Pop", spesso incentrata su temi come traumi intergenerazionali, cristianesimo, violenza grottesca, povertà e abusi, e l'artista spesso cita come fonte di ispirazione le opere di scrittori Southern Gothic come Flannery O'Connor.


Il genere Southern Gothic arriva sul palco in molti modi diversi. Scrittori Southern Gothic come Carson McCullers e Zora Neale Hurston hanno adattato le loro opere per il palcoscenico in produzioni ricche di dialoghi come The Member of the Wedding e Spunk. Drammaturghi come Tennessee Williams, Beth Henley e Jacqueline Goldfinger hanno tradotto elementi dell'estetica Southern Gothic sul palco e aggiunto elementi teatrali come movimenti stilizzati, dialoghi e scenografie. Esempi di opere teatrali Southern Gothic includono il vincitore del Premio Pulitzer Un tram che si chiama Desiderio (1948), il popolare The Jacksonian (2014) e il vincitore dello Yale Prize Bottle Fly (2018). Inoltre, molti romanzi e racconti Southern Gothic sono stati adattati per il palcoscenico da artisti che non sono gli autori originali. Il musical vincitore del Tony Award The Color Purple di Alice Walker è un ottimo esempio di questo approccio alla teatralizzazione del genere Southern Gothic. The Color Purple è un adattamento del romanzo con musiche di Brenda Russell, Allee Willis, Stephen Bray e Marsha Norman che è stato costantemente rappresentato in tutto il paese sin dalla sua prima mondiale all'Alliance Theatre di Atlanta nel 2004.


Rappresentazione fotografica

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La fotografia della Grande Depressione di Walker Evans è stata descritta come Southern Gothic. Si ritiene che le immagini del fotografo della Grande Depressione Walker Evans evochino la rappresentazione visiva del Southern Gothic; Evans affermò: "Posso capire perché gli abitanti del Sud sono ossessionati dal loro paesaggio". Un altro noto fotografo Southern Gothic fu il surrealista Clarence John Laughlin, che per quasi 40 anni fotografò cimiteri, piantagioni e altri luoghi abbandonati in tutto il Sud degli Stati Uniti (principalmente in Louisiana)



sto traducendo https://de.wikipedia.org/wiki/Mizuko_kuy%C5%8D

 
Statue di Jizō al Tempio Zojo-ji a Tokyo

Mizuko kuyō 水子供養?, mizuko kuyō, trad.: Cerimonia commemorativa del bambino d'acqua) è una cerimonia praticata in Giappone in memoria di bambini nati morti o scomparsi in tenera età e di feti abortiti spontaneamente o volontariamente (un feto morto a causa di un aborto spontaneo o indotto)

Sebbene i riti per i nascituri siano noti da tempo nel buddismo, l'usanza odierna è diventata popolare solo negli anni '70 con la creazione di santuari dedicati esclusivamente a questo rituale e non ha radici dirette nelle idee tradizionali. Le ragioni del rito includono il dolore dei genitori, il desiderio di confortare l'anima del feto, il senso di colpa dopo un aborto o la paura della punizione da parte di uno spirito vendicativo .

Etimologia

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Il termine mizuko 水子 è formato da 水, mizu, che significa "acqua" e da 子 ko, che significa "bambino". Letteralmente "bambino d'acqua", è usato per definire feti abortiti o neonati nati morti, "riferendosi alla forma spirituale – ma forse sarebbe meglio dire “sottile” – che assumono".[1][2] Kuyō (供養) si riferisce a una cerimonia di sepoltura. I caratteri di Mizuko possono in alternativa essere letti suiko e originariamente significano il nome di Dharma (kaimyō) che veniva conferito dopo la morte.[3]

Il mizuko kuyō, tipicamente eseguito dai sacerdoti buddisti, era usato per fare offerte a Jizō, un bodhisattva protettore dei bambini.[4]

È storicamente legato agli aborti spontanei, ma anche agli aborti e al cosiddetto “controllo delle nascite postnatale”, in cui la comunità accettava tacitamente l’infanticidio non solo per necessità e povertà, ma anche per assicurarsi la prosperità. Nel Giappone di oggi, il mizuko kuyō è di nuovo presente, anche se non è chiaro fino a che punto le cerimonie praticate oggi si basino su forme storiche. Fino al XXI secolo la cerimonia era principalmente legata al controllo delle nascite a causa, ad esempio, della mancanza di educazione sessuale e della mancanza di contraccettivi; la pillola contraccettiva è stata completamente legalizzata in Giappone nel 1999, mentre l’industria dell’aborto era fiorente.

Cerimonia

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Elementi specifici della cerimonia variano da tempio a tempio, da scuola a scuola e da individuo a individuo; può variare da un singolo evento a uno che si ripete mensilmente o annualmente.

Elemento comune è la messa a disposizione, dietro donazione, di una statua di Jizō nel giardino di un tempio, che può fungere da luogo di ricordo, in assenza di una tomba. La statua viene poi vestita con bavaglini e un berretto rosso e gli officianti - anche solo uno dei due genitori - possono decorarla anche con oggetti riservati al soggetto commemorato.

Sebbene il servizio vari, gli aspetti comuni ricordano la cerimonia per i defunti recenti, il senzo kuyō (先祖供養).  Il sacerdote si rivolge all'altare ed evoca i nomi di vari Buddha e bodhisattva. Vengono eseguiti mantra , spesso il Sutra del Cuore e il 25° capitolo del Sutra del Loto, noto come "Avalokiteśvara Sutra", così come inviti di lode a Jizō. Vengono offerti doni al Buddha per conto del lutto, in genere cibo, bevande, incenso o fiori. Un kaimyō viene dato al defunto e una statua di Jizō viene spesso posta sul terreno del tempio al termine della cerimonia.

Due libri sul fenomeno dei riti per i bambini dell'acqua in Giappone, usciti a cinque anni di distanza l'uno dall'altro - quello di Helen Hardacre, pubblicato nel 1997 con il titolo provocatorio Marketing il feto minaccioso e quello di William LaFleurs Vita liquida: aborto e buddismo in Giappone, uscito nel 1992, aprirono un dibattito sull'appartenenza o meno del rituale alla religione buddista, o alla sua ammissibilità come atto religioso.[5]

Posizioni diverse sorgono tra chi interpreta il mizuko kuyö come un' "invenzione" relativamente moderna e, chi presenta come "tradizionali" gli atteggiamenti verso i bambini non ancora nati e i bambini piccoli. (Alcuni templi furono fondati esclusivamente allo scopo di praticare il mizuko kuyò, come il tempio Shiunzan Jizoji a Chichibu (vedi sotto, p. 4, 16-18), che non ha alcuna affiliazione con nessuna delle scuole buddiste esistenti o nuove religioni).[6]

Indipendentemente dal momento da cui i rituali hanno iniziato a svolgersi, il fenomeno del mizuko kuyò ha attirato l'attenzione dei media e si è quindi diffuso nella coscienza pubblica solo a partire da un programma televisivo andato in onda nel 1975 sui costumi locali. (Brooks 1981:120). Poco dopo anche le riviste riportarono di un boom di mizuko kuyo e informarono su quali templi offrivano questo servizio e i rituali offerti.[6]

Il principio di fondo è che in questo modo, attraverso un trasferimento di merito (ekò, sanscrito parinama) dal sacerdote (o da un Buddha) al defunto, quest'ultimo può raggiungere postumo la Buddità o entrare in essa può essere aiutato nel Nirvana, un principio che, come ha dimostrato Gregory Schopen (1997), era già presente nell'antico Buddhismo indiano.[6]

Le opinioni sono divise sul fatto che Mizuko-kuyo sia ascrivibile o meno alla tradizione buddista (lo farebbe pensare la parola kuyö, lett. il ‘dare e nutrire’, riferita alle preghiere rivolte dai credenti a coloro che eseguono il rituale, ai sacrifici offerti dai sacerdoti e al benessere che deriva da questi riti.[6]

Lo studioso William R. LaFleur colloca mizuko kuyo all'interno della cosmologia buddista e attribuisce a questo rito un effetto terapeutico sul senso di colpa delle donne che abortiscono, impedendo all'aborto di diventare un grave problema sociale.

Lo studioso di religione RJ Tzvi Verbrowski sostiene che le parole chiave di Mizuko-kyo sono "paura, inquietudine, ostacolo e pacificazione" e che Mizuko-kuyo non è un rituale commemorativo, ma una nuova religione e un nuovo fenomeno, accusando ostetrici, ginecologi e templi coinvolti di sfruttarlo per propri guadagni.

La ricercatrice giapponese Helen Hardaker vede il mizuko-kyo come una pratica trans-settaria che si trova non solo nel buddismo, ma anche nello shintoismo, nello Shugendo e in altri nuovi gruppi religiosi, e che è diventata una pratica commerciale dagli anni '70, un fenomeno moderno creato dal boom dell'occulto .

Il sociologo Hideaki Omura considera il mizuko-kyo un esempio dell'espressione della mentalità popolare di "maledizione e pacificazione" e, sebbene si tratti di un fenomeno nuovo, lo considera un'espressione di "un'antica visione giapponese dell'anima.

Kayoko Komatsu sottolinea che il concetto moderno di Mizuko è influenzato dalla visione New Age della reincarnazione, caratterizzata dall'evoluzione spirituale.

Sebbene questa usanza sia nota in pubblico già dagli anni ’70, ci sono preoccupazioni e voci critiche che accusano i templi di voler trarre profitto dalla sventura delle donne e delle famiglie. Gli studiosi di religione americani criticarono il fatto che fosse espressamente invocata e sfruttata la convinzione giapponese che gli spiriti dei morti potessero vendicarsi dei maltrattamenti subiti. Altri ricercatori sostengono che i templi soddisfano solo i bisogni delle persone.

Pratiche simili

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Una pratica simile si trova nella Taiwan contemporanea, dove è conosciuta come yingling gongyang. La pratica taiwanese moderna è emersa a metà degli anni '70 e ha acquisito una popolarità significativa negli anni '80; trae spunto sia da antecedenti tradizionali risalenti alla dinastia Han, sia dalla pratica giapponese, ed è popolarmente percepita come una pratica importata dal Giappone.  

Queste pratiche moderne sono emerse nel contesto del cambiamento demografico associato alla modernizzazione – aumento della popolazione, urbanizzazione e riduzione delle dimensioni della famiglia – insieme al cambiamento di atteggiamento nei confronti della sessualità, che si è verificato prima in Giappone e poi a Taiwan, da qui la risposta simile e l'ispirazione di Taiwan al Giappone.

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  2. ^ (JA) 水子, su jisho.unive.it. URL consultato l'8 gennaio 2025.
  3. ^ Anzai
  4. ^ Cabezón
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  6. ^ a b c d Formanek, p. 52

Bibliografia

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Cerimonia commemorativa degli aghi spezzati, circa 1960

Hari-Kuyō (針供養?, Hari kuyō, trad.: Funzione commemorativa in memoria degli aghi) è un rito buddista e shintoista giapponese che si svolge nei templi e nei santuari l'8 febbraio nella regione di Kantō e l'8 dicembre nella prefettura di Kyoto e nella regione di Kansai, due date che nei vecchi calendari lunari segnavano l'inizio e la fine delle attività agricole.[1][2][3]

È celebrato per commemorare gli aghi da cucito e gli spilli inutilizzabili, arrugginiti, piegati o rotti durante l'uso nell'anno precedente, per garantire il loro riposo con un rito funebre, esprimendo gratitudine per il servizio reso, e per chiedere di poter migliorare nel futuro, attraverso le preghiere, le proprie capacità di cucito e raggiungere un successo lavorativo.[4][5]

È anche definito "funerale degli aghi", "messa dell'ago" o festa dello spillo.[6][7] Particolarmente popolare nelle scuole femminili, si svolge come sede principale nel santuario di Awashima (淡嶋神社), nella piccola città costiera di Kada, nella città di Wakayama, e in tutti i templi che possiedono una sala dedicata a questa divinità (淡島神).[8][9]

Etimologia

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Hari (針) significa "ago" e kuyō (供養, letteralmente "fare offerte per nutrire") è una traduzione del sanscrito pūjā पूजा che nel buddismo indiano si riferiva originariamente a rituali di adorazione e di preghiera rivolti ai cosiddetti tre Gioielli: il Buddha, il suo insegnamento (dharma, la via della verità) e la comunità monastica (sangha).[10][11][12]

 
Hari-kuyō (1915) di Kitani Chigusa

Le origini di questo rito sono controverse.[13] Generalmente si ritiene che l'hari-kuyō sia stato praticato fin dall'inizio del periodo Edo e che abbia raggiunto il suo apice a metà dell'era Meiji[14]. Una delle prove citate dagli studi è l'illustrazione di un cerimoniale per aghi dell'artista Makieshi Genzaburo, contenuta nell'Jinrin kinmō zui (人倫訓蒙図彙 Dizionario illustrato della moralità) pubblicato nel 1690.[15][16]

Alcuni autori ritengono che questo rito derivi da pratiche cinesi introdotte in Giappone durante il periodo Heian e diffuse attraverso il santuario di Awashima a Wakayama, e si riferiscono in particolare ad una festa in vigore durante la dinastia Tang, durante la quale si omaggiavano gli antenati e le divinità agricole e venivano sospese tutte le attività, compreso il cucito.[17][18][19]

Altri studi ne collocano le origini in leggende locali. In una di queste viene narrato che una donna, accusata falsamente dalla nuora di aver rubato degli aghi, si sarebbe gettata in mare, affranta da questa infamia. Dopo essersi trasformata nel pesce harisebon (金十千本, trad.: milleaghi), sarebbe saltata fuori dall'acqua e avrebbe morso la suocera sul viso. Da qui sarebbe nata la consuetudine, nelle famiglie con una figlia dedita al cucito, di astenersi dal praticarlo senza avere eseguito una forma di kuyō, nel caso il giorno precedente il mare si fosse presentato particolarmente agitato.[1]

La maggior parte degli autori si sofferma sul legame tra l'hari kuyō e il culto della divinità Awashima, venerata principalmente nel santuario di Awashima (淡島神社) sulla baia di Kada nella penisola di Kii, prefettura di Wakayama.

Il santuario di Awashima

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L'imperatrice Jingū

Nei tempi antichi nella baia di Kada si veneravano due divinità: Sukunahikona-no Mikoto (少彦名命), dio della medicina e della conoscenza e Ōnamuchi-no Mikoto (大己貴命), dio dell'agricoltura. Sukunahikona, venerato come il protettore dei pescatori e dei marinai, era un kami nativo, "traccia" manifesta di una divinità buddhista indiana, il bodhisattva Kokuzo.[20][21]

Le diverse leggende che raccontano l'origine di Awashima hanno come nucleo centrale le vicissitudini dell'imperatrice Jingū (201-269), che di ritorno dalla Corea, dove aveva guidato l'esercito imperiale, a causa del mare agitato o, in un'altra versione, dei dolori della gravidanza, avrebbe trovato riparo nell'isola di Tomogashima, di fronte alla baia di Kada.[22] Per riconoscenza, avrebbe offerto una parte del tesoro che portava con sé alle divinità locali. [23]

Il luogo in cui esse venivano venerate sarebbe stato in seguito trasferito, per comodità, sulla baia di Kada, dove sorse un tempio.[23] Oltre alle due divinità già venerate, si sarebbe aggiunta la stessa imperatrice ( Okinagatarashihime no Mikoto 気長足姫尊), alla quale, in molti testi del XVIII e XIX secolo, sarebbe stato riconosciuto il potere di guarire le malattie femminili.[24][25]

In un'altra leggenda, Awashima sarebbe indicata come la moglie del dio Sumiyoshi 住吉, cacciata da questi a causa di malattie che l'avevano colpita nella parte inferiore del corpo, e poi divenuta la divinità a cui le donne si rivolgevano per disturbi ginecologici.[26] Il suo nome, 婆利塞女, leggibile come Harisaijo o Harisainyo, evocherebbe nella sua prima parte il termine Hari, "ago".[27]

Menzionato già all'inizio del X secolo nell'Engishiki con il nome di Kada Jinja, alla fine del XV secolo, con la costruzione di un tempio buddista, il santuario sulla baia di Kada sarebbe diventato il luogo di culto di Awashima Myojin, una forma combinata di divinità, risultato della fusione di più entità sacre, tra cui Sukunabikona e Ōnamuchi, e si sarebbe sviluppato come un centro di sincretismo shinto-buddhistico specificamente rivolto alle donne.[28][29]

 
Santuario di Awashima, prefettura di Wakayama

Awashima venne venerata per i suoi poteri di guarigione di disturbi che riguardano le donne, come la leucorrea e l'infertilità, e per l'esaudimento di preghiere per un buon matrimonio, il concepimento e un parto sicuro.[30]

Il culto si sarebbe diffuso dal santuario di Wakayama a tutto il paese attraverso i monaci e le monache erranti devoti a questa divinità, chiamati Awashima gannin 淡島原頁人, ai quali le donne erano solite consegnare aghi rotti e indumenti contaminati.[18] Durante i loro viaggi, da Tōhoku a Kyūshū, gli Awashima gannin recitavano sutra e raccontavano storie sulle origine e le virtù della divinità, trasportando tempietti portatili ai quali le fedeli rivolgevano preghiere e offerte - tra cui bambole hina, pettini e forcine - per una gravidanza priva di problemi e per la protezione dalle malattie.[31]

Non è chiaro esattamente quando siano iniziati i riti hari-kuyō, di cui si ha sicura menzione alla fine del XVII secolo.[15] Il santuario di Awashima a Wakayama, dove dopo la purificazione rituale e le preghiere di ringraziamento gli aghi vengono sepolti in un tumulo ad essi dedicato (hari zuka), è anche il luogo di svolgimento di un altro importante rito kuyō, il più famoso del Giappone: il ningyō kuyō 人形供養, rito di commemorazione delle bambole.[32][33] Esso trarrebbe origine dalla cerimonia hina-nagashi 雛流し, celebrata il terzo giorno del terzo mese dell'anno, durante la quale i devoti offrivano alla divinità delle bambole, considerate strumenti rituali e talismani, fatte galleggiare in mare su barche di legno realizzate appositamente.[34][35]

 
Norinaga Motoori, Keichū e Mabuchi Kamo sono ritenuti i tre principali esponenti della scuola Kokugaku ("studi nativi")

Secondo lo studioso giapponese Washimi Sadanobu il rito commemorativo degli aghi potrebbe essere nato nel santuario di Awashima come variante di questa cerimonia, le cui origini sono collocate da alcuni autori nel periodo Heian, e a suo parere ne rafforzerebbero l'ipotesi le leggende secondo cui Sukunabikona avrebbe inventato l'arte del cucito.[36][37][38]

In un testo di Shijidō Kigen pubblicato nel 1713, Kokkei zōdan (滑稽雑談, Storie divertenti), nel raccontare la festa di Awashima (Awashima matsuri) viene indicato un racconto popolare in cui la divinità è chiamata "Ago celeste" (Harisai Tennyo, 婆利塞天女).[39][40]

Lo studioso Fabio Rambelli ritiene che l'hari-kuyō sia il risultato dell''incontro di diverse tradizioni e riti: la cerimonia delle bambole hina, i riti folklorici legati al calendario agricolo nel periodo Edo, fondati sulla religione popolare cinese, e la dottrina buddhista della salvezza. Secondo Rambelli, nel periodo Tokugawa (1603-1868) il culto degli aghi, simbolo del lavoro femminile, avrebbe subito un attacco da parte dei nativisti moderni (kokugaku) ​​che si opposero al culto di Awashima sia per centralità assegnata alle donne, che per il suo legame con il buddhismo, aprendo la strada in età moderna alla diffusione di rituali commemorativi simili per altri oggetti.[41]

Modalità di svolgimento del rito

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Nel passato gli aghi usati, conficcati in un blocco di tofu, in una torta di riso o in un'altra sostanza morbida come il konnyaku, un tipo di gelatina, in modo da rendere confortevole il loro viaggio finale dopo una vita di duro lavoro, venivano portati al tempio dove un monaco recitava un sutra e porgeva una benedizione, oppure, in alcune regioni, venivano lasciati galleggiare su un fiume o in mare.[42][43][44]

Alcune testimonianze riferiscono che il rito non si svolgesse in una data fissa, ma quando gli aghi diventavano inutilizzabili, e che venisse eseguito anche nelle abitazioni private e sul posto di lavoro.[45]

Tra quelli destinati al rito, un tempo erano compresi anche gli aghi usati per l'agopuntura, per i tatuaggi o per cucire i tatami, così come gli ami da pesca e gli aghi da iniezione, una consuetudine che, anche per motivi sanitari, è andata via via riducendosi nel corso del tempo.[2]

 
Aghi conficcati nel tofu, 2004

Tradizionalmente, non si faceva o non si fa nessun lavoro di cucito nel giorno dell'hari kuyō.[42]

Le diversità regionali e religiose (i riti eseguiti nei santuari shintoisti e nei templi buddisti seguono ognuno il proprio vocabolario dottrinale e la propria forma rituale) e i diversi officianti (possessori degli oggetti, organizzazioni commerciali, turisti, ecc.) determinano il contenuto e lo svolgimento del rito, variabile da tempio a tempio.[46]

Nella commemorazione che si svolge nel tempio Sensō-ji di Tokyo,[47] le persone presenti, per lo più donne, infilano i loro aghi in blocchi di tofu posti sui tavolini "con un sentimento di gratitudine" (kansha no kimochi), fanno la fila davanti ad una pietra commemorativa eretta nel 1982 di fronte alla sala Awashima da un'organizzazione professionale di cucito (Tokyo Wafuku Saiho Kyoshikai, 東京和服裁縫教師会) e dopo aver fatto un'offerta in denaro, bruciano l'incenso, uniscono le mani e chinano la testa in preghiera.[48]

Prendono poi posto sui tatami nella sala del tempio e a un'ora prestabilita ha avvio la cerimonia con la recita dei sutra da parte di una decina di monaci in vestiti colorati che fanno il loro ingresso recando piatti color oro da cui pendono tre corde: una arancione, una bianca e una verde. Terminato il rituale, i monaci seppelliscono gli aghi in un terreno del tempio, "restituendoli alla terra".[49]

Diversi autori evidenziano l' "umanizzazione" dei riti commemorativi degli oggetti, che si svolgono seguendo lo schema: nascita (produzione), vita (uso, funzione), morte (esaurimento, dismissione), seppellimento o cremazione (smaltimento).[50]

Nell'hari kuyō che si svolge ogni anno al santuario Hataeda-bari 巾番枝金十 nel nord di Kyoto, i partecipanti accompagnano il rito con canzoni, come la seguente Canzone di gratitudine per gli aghi (針に感謝するうた), con cui ringraziano ripetutamente questi strumenti per il servizio reso:[51]

(giapponese)
«針供養針供養お針のお陰で私等は楽しい生活出来るのよ

針さん針さん有難う
皆で針さん拝みましょう何時何時までも

針々々上»
(italiano)
«Grazie a voi aghi possiamo condurre una vita felice

Grazie aghi
Preghiamo tutti gli aghi sempre e per sempre

aghi aghi aghi»

Significato dei riti

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Molti studi sottolineano come alla base delle funzioni commemorative dedicate a oggetti inanimati, come gli aghi, vi sia un sistema di credenze "ancestrali" secondo cui i confini tra esseri umani, piante, animali e cose sono fluidi, "tutti inesorabilmente coinvolti in un ciclo infinito di nascita, morte e rinascita".[52][53]

Il concetto religioso del somoku jobutsu 草木成仏 (letteralmente “l'illuminazione di erbe e alberi”), ossia la convinzione che anche esseri non senzienti possano raggiungere la buddhità, è un'idea rintracciabile in alcuni pensatori buddisti giapponesi come Kūkai (774-835), fondatore della scuola Shingon e Dogen (1200-1253), fondatore della scuola Zen Sōtō.[54][55]

 
Hari-kuyō nel Santuario di Awashima

Tale concezione attribuisce agli oggetti, come agli esseri viventi, la possibilità di rinascere in altre forme, e sostiene che la loro "morte" necessiti di essere trattata con particolare attenzione e rispetto, riconoscendo e onorando il ruolo sociale che essi hanno svolto.[5]

Secondo la studiosa Angelika Kretschmer l'argomentazione del somoku jobutsu non sarebbe sostenuta da sufficienti prove, non esistendo riscontri dell'esistenza di tali riti prima del periodo Edo; risulterebbe inoltre estranea alle motivazioni dei praticanti dei riti kuyō per oggetti inanimati che si svolgono in età contemporanea e che risultano dedicati non alle piante, ma ad oggetti di fattura umana, con i quali gli officianti intrattengono un rapporto affettivo e che, soprattutto nel caso degli strumenti di lavoro, vengono percepiti come un'estensione del corpo del loro possessore.[56]

Lo studioso Fabio Rambelli, riferendosi a precedenti ricerche sociologiche e interviste effettuate ai partecipanti di questi rituali per conoscere le loro convinzioni in merito alla "vita" degli oggetti, sottolinea la mancanza di uniformità di vedute, evidenziando l'ampia varietà di risposte, che va dall'agnosticismo al totale riconoscimento della presenza di un'anima negli oggetti commemorati.[57]

 
Una nuova collezione di mostri, 新板化物つくし, xilografia, 1860

Alcuni etnologi giapponesi preferiscono ricondurre l'origine dei kuyō per oggetti inanimati alle antiche credenze animiste legate al timore di una maledizione (tatari), che indurrebbero a placare con opportuni riti lo spirito latente presente in ogni oggetto scartato, per evitare che esso possa rivoltarsi con intenti malvagi su chi lo ha usato.[58][59][60]

L'identificazione degli oggetti con spiriti maligni o con "spettri" (tsukumogami), diffusasi soprattutto durante il periodo Muromachi, è stata messa in correlazione da alcuni studiosi ai processi di crescente mercificazione, all' "impatto sulla società urbana giapponese di forme di proto-capitalismo", che avrebbero indotto le istituzioni religiose a intervenire, per consolidare il proprio ruolo, riassegnando importanza a concetti preesistenti sulla natura intrinsecamente animata degli oggetti, de-mercificandoli e sacralizzando il rapporto con i loro possessori.[61]

William LaFleur, autore di studi interdisciplinari su buddhismo e cultura giapponese, ha messo in evidenza il lato consumistico e affettivo che caratterizza, nella ritualità, la relazione oggetti/possessori: l' "umanizzazione" degli oggetti deriverebbe dall'intimità del rapporto stabilito con essi, al quale non sarebbero estranee considerazioni di tipo economico, ma anche culturale, improntate al rifiuto di comportamenti di spreco, all'uso sconsiderato delle "cose".[62]

Un altro concetto messo in relazione all'hari kuyō è infatti quello di mottainai (ない, trad.: spreco), secondo il quale i praticanti si recherebbero nei santuari shintoisti e nei templi buddisti per onorare il duro lavoro degli aghi e per ringraziarli del servizio reso, in linea con la filosofia del "non sprecare" o "rendere onore alle piccole cose".[1][63][64]

Uso e simbolismo degli aghi

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Alcuni tipi di aghi

Nel suo studio sulla rete di credenze e di pratiche associate agli aghi, tra i primi oggetti ad essere onorati dal kuyō nella cultura giapponese, la studiosa statunitense Christine Guth ha sottolineato come, pur essendo variegata la loro funzione di utilizzo - esistevano aghi per l'agopuntura, aghi per orologi e aghi da cucito - si sia affermata, nonostante la pluralità di soggetti per i quali essi rappresentavano un'occupazione e una fonte di sostentamento, una "rappresentazione prescrittiva del genere".[65]

L'ago avrebbe finito con l'essere identificato con le donne e l'ambiente domestico, caratterizzando l'identità femminile, individuale e collettiva. In particolare, l'abilità di utilizzo di questo strumento nella realizzazione e cura degli indumenti per il nucleo familiare sarebbe stata ritenuta parte essenziale dei doveri richiesti ad una donna, specie se sposata, determinandone il valore "come donna".[66][67]

Nello stesso tempo il ricamo avrebbe rappresentato per le donne, secondo Guth, un'occasione per esprimere il proprio talento creativo e per guadagnare un ruolo sociale positivo, rendere evidente il loro lavoro. In questa attività aghi e ricamatrici "si configuravano a vicenda": i primi routinizzavano la quotidianità delle donne, mentre queste ultime ne detenevano la proprietà e li rendevano strumenti delle loro creazioni.[68] Anche la rottura di un ago assumeva una doppia valenza: simbolo di interruzione di un lavoro ripetitivo, di una fatica associata ad un ruolo sociale, ma anche cessazione di un rapporto empatico con uno strumento "investito di significato biografico".[68]

Interrogandosi sulle ragioni dell'istituzionalizzazione del santuario di Kada Awashima come sito principale dell'hari kuyō, Guth ne attribuisce l'origine al legame esistente tra la divinità della salute femminile, lì venerata, e le caratteristiche fisiche (forma fallica) e i poteri riproduttivi attribuiti all'ago (il simbolismo dell'accoppiamento sessuale rappresentato dall'atto di cucire), posti fin dall'età medievale in relazione alle donne e alla gravidanza: "la capacità dell'ago di passare sia dentro che fuori da spazi ristretti si prestava all'identificazione sia con la penetrazione fallica che con il passaggio del neonato attraverso il canale del parto."[69]

Attraverso il cucito, caratterizzato dall'alternanza di "pressione e rilascio, afferrare e manipolare, persino accarezzare", analoga ai movimenti e alle esperienze del corpo femminile durante la gravidanza, aghi e donne "si costituivano l'un l'altro fisicamente".[69]

Pratiche contemporanee

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Ragazza che cuce una giacca a maniche lunghe, periodo Meiji

Nel corso del tempo l'importanza dell'hari-kuyō è diminuita. Nel XX secolo l'usanza è ancora regolarmente osservata nelle scuole di cucito e nelle scuole femminili, da parte di persone che svolgono regolarmente questo tipo di lavoro, sia come professione che come hobby, o da parte di organizzazioni professionali del settore della sartoria.[42][4]

Si ritiene che siano proprio queste ultime ad avere rivitalizzato questa pratica, contribuendo a tenerla in vita anche nel XXI secolo.[46] La celebrazione dell'hari-kuyō in aziende e scuole di cucito con la presenza di un sacerdote buddista, anziché nei santuari, è una variante sempre più praticata.[70]

Nuovi tipi di kuyō

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In concomitanza con la crescita economica e il protagonismo delle associazioni commerciali, si è progressimente allargato il campo degli oggetti commemorati, fino a comprendere bacchette, bastoni per ciechi, ventagli per ballerini, coltelli da intaglio, fruste da tè (chasen), bambole, biciclette, pennelli, amuleti, kimono e obi, vecchi orologi, cartoline e persino vecchi computer e software.[71][72]

Numerosi gruppi professionali hanno istituito riti kuyō per omaggiare gli strumenti del mestiere, pregare per il successo aziendale, rafforzare il legame tra i membri. A partire dalla fine degli anni quaranta del Novecento, alcune categorie professionali hanno eretto pietre naturali commemorative, come quelle visibili nel parco di Ueno a Tokyo: quella posta da un gruppo di attori kabuki porta incisa l'immagine di ventagli pieghevoli, quella di un gruppo di musicisti ha impressa un'immagine di corde di strumenti musicali, mentre alcune associazioni di ottici e produttori di lenti hanno eretto il monumento agli occhiali, no hi めがねの石卑.[73]

Nel 1977 la parrucchiera Yamano Aiko (1909-1995), pioniera nell'industria giapponese di prodotti di bellezza, ha istituito un nuovo rito kuyō per le forbici che si tiene annualmente il 3 agosto al tempio Zojoji a Shiba, Tokyo.[74]

La maggior parte degli oggetti al termine della cerimonia viene sepolta o bruciata, ponendo in alcuni casi seri problemi di smaltimento. Il santuario di Awashima Kada a Wakayama, in cui si svolge il più famoso ningyō kuyō 人形供養 (memoriale per le bambole) del Giappone, ha dovuto rivedere la scelta di invio all'inceneritore delle circa 300.000 bambole ricevute ogni anno, perché l'aumentato numero di bambole in stile occidentale contenenti cloruro di vinile, generatore di diossina nella combustione, ha sollevato un forte allarme tra la popolazione; i rischi per la salute hanno spinto verso la pratica del riciclo anziché verso l'eliminazione degli oggetti scartati.[75][76][77]

Un posto rilevante all'interno dei kuyō occupano le cerimonie funebri per i feti abortiti o per i bambini nati morti (水子供養?, Mizuko kuyō, trad. lett.: Cerimonia commemorativa del bambino dell'acqua) e quelle per gli animali domestici (pet kuyō ペット供養).[78]

Templi e santuari

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Sala Awashimadō nel tempio Sensō-ji di Tokyo

Lo studioso Fabio Rambelli riporta come alla fine del periodo Edo, le fonti indicassero l'esistenza di circa 3.000 sale Awashima, "pesantemente prese di mira" nei primi anni Meiji durante le persecuzioni anti-buddiste. Nel corso del XX secolo ne sarebbero state ricostruite alcune, come quella di Sensoji, situate all'interno di templi buddisti.[79]

I principali templi e saltuari in cui all'inizio del XXI secolo si svolge l'hari-kuyō sono:

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  2. ^ a b Kretschmer, p. 388
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  4. ^ a b Dictionnaire historique du Japon, p. 68
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  8. ^ (JA) Fukuta Ajio (a cura di), 日本民俗大辞典 / Nihon minzoku daijiten [Dizionario del folklore giapponese], vol. 2, Tokyo, Yoshikawa Kōbunkan, 1999-2000, p. 398, OCLC 43292638.
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  12. ^ (EN) James Lochtefeld, The Illustrated Encyclopedia of Hinduism, vol. 2, New York, The Rosen Publishing Group, 2022, pp. 529-530, ISBN 0-8239-3180-3.
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  47. ^ La menzione più antica dello svolgimento di un hari kuyō in questo tempio si trova in un documento datato 1774 che informa dell'esistenza di due pietre che fungevano da contenitori per aghi, poste in uno stretto spazio nel seminterrato. Il passaggio in mezzo a queste due pietre (un'azione definita "passare attraverso l'utero", tainai kuguri) si credeva assicurasse un parto sicuro e la protezione dei bambini da insetti e parassiti. Cfr.: Rambelli, p. 228
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Bibliografia

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Voci correlate

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Chigusa Kitani

Chigusa Kitani, nata Eiko Yoshioka (吉岡 英, Yoshioka Eiko ) (木谷 千種?, Kitani Chigusa; Osaka, 17 febbraio 1895Osaka, 24 gennaio 1947), è stata una pittrice e insegnante giapponese, una delle quattro artiste nihonga di Osaka attive nell' era Taishō e nel primo periodo Shōwa, conosciute come "Setsu-Getsu-Ka-Sei" (trad.ː neve, luna, fiori e stelle)[1].[2] [3]

Dalla sua prima selezione nel 1919 alla 6ª mostra nazionale d'arte del Ministero dell'istruzione e delle belle arti, la mostra più prestigiosa del Giappone, venne selezionata dodici volte, acquistando notevole fama anche fuori dei confini del paese.

Specializzata in ritratti di belle donne (bijinga), sperimentò anche la pittura di genere, temi riconducibili al teatro kabuki e bunraku e agli usi e costumi di Osaka.[4]

Biografia

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Eiko Yoshioka (吉岡 英, Yoshioka Eiko) nacque il 17 febbraio 1895 nel quartiere Kita-ku di Osaka Dōjima (堂島). Il padre, Seijiro Yoshioka, era un commerciante di beni e articoli cinesi; la madre morì di malattia quando Eiko aveva appena due anni.[5][6]

Particolarmente dotata di talento artistico, nel 1907 la dodicenne Eiko venne mandata a Seattle, negli Stati Uniti, per apprendere le tecniche della pittura occidentale (yōga).[7] Due anni dopo, al suo ritorno ad Osaka, studiò nella prestigiosa scuola femminile Shimizudani ed ebbe come insegɳante Fukada Chokujō, pittore della scuola Shijō (四条派, Shijō-ha), noto per i suoi dipinti di uccelli e fiori (kachō-ga 花鳥画).[8][9]

Nel 1913 si trasferì a Tokyo per studiare con la pittrice Ikeda Shōen, specializzata in bijin-ga (immagini di belle donne); rientrata a Osaka, divenne allieva dei pittori nihonga Kitano Tsunetomi e Noda Kyuho.[8]

Debutto e affermazione artistica

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Kitani Chigusa, Hari-kuyō (1915)

Nel 1915, all'età di 20 anni, il dipinto di Eiko Yoshioka Shin-kyo (新居, "Nuova casa" ) venne selezionato per la prima Mostra di Belle Arti di Osaka (大阪美術展覧会, Osaka Bijutu Tenrankai).[7] Lo stesso anno partecipò alla 9ª mostra promossa dal Ministero dell'Istruzione e delle Belle Arti (Monbushō Bijtsu Tenrankai 文部省 美術展 覧会, abbreviata in "Bunten" e successivamente denominata "Teiten"), con l'opera Hari-Kuyō (針供養, Cerimonia commemorativa per i vecchi aghi) raffigurante Koyachiyo (o Yachiyo II), una famosa geisha di Kyoto.[5]

Nel 1916 con altre tre pittrici - Seien Shima, Okamoto Kōen e Matsumoto Kayō - fondò Onna yonin no kai (女四人の会 Associazione delle quattro donne) con il fine di sostenere e promuovere opere di pittrici; nel maggio dello stesso anno l'associazione organizzò una mostra ad Osaka presentando dipinti ispirati al libro Kōshoku gonin onna (好色五人女 Cinque donne amorose, 1686) dello scrittore Ihara Saikaku. [5][10][11]

Nel 1918 la pittrice partecipò all'Osaka Bijutsu Tenrankai e realizzò il dipinto Nongoku をんごく, in memoria del fratellino scomparso quell'anno, che venne esposto alla 12ª mostra Bunten. Raffigura una giovane ragazza che, ripresa di schiena davanti ad un grande divisorio di legno a forma di grata, osserva dei bambini che stanno al di là di questo spazio. Nongoku è una canzone con cui un tempo le giovani, disposte in fila, accoglievano gli spiriti dei loro antenati durante le festività dell'Obon; la stessa artista dichiarò di essersi ispirata ad Osome (油屋お染), il personaggio femminile dell'opera teatrale bunraku Shinpan Utazaimon (新版歌祭文), un dramma jōruri del tardo periodo Tokugawa.[5][12][13]

Nel 1919, Introdotta dal famoso pittore di Kyoto Takeuchi Seiho, divenne allieva di Kikuchi Keigetsu.[5]

Nel 1920 sposò Hōgin Kitani, uno studioso della città di Osaka e soprattutto di Chikamatsu Monzaemon, un grande drammaturgo jōruri, di cui avrebbe in seguito pubblicato la monumentale opera completa in sedici volumi, acquistando notevole fama.[4]

 
Associazione delle quattro donne (女四人の会)ː da sinistra, Saraen Okamoto, Chikusa Kitani, Shima Seien, Kayou Matsumoto (maggio 1916)

La coppia ebbe un figlio un anno dopo il matrimonio e Chigusa, che coltivava un interesse per il teatro jōruri già da prima di conoscere il marito, ne condivise gli studi e collaborò nella produzione di xilografie, come Daikyoji Mukashi Goyomi Osan, inserita in appendice all'opera completa di Chikamatsu, e nell'illustrazione di altre pubblicazioni di Hōgin Kitani, comprese quelle riguardanti gli usi e i costumi di Osaka.[4]

In quello stesso periodo Chigusa fondò nella sua casa di Osaka la scuola di pittura Yachigusa-kai (八千草会), con il fine di istruire e promuovere la formazione di giovani donne pittrici; in precedenza aveva insegnato estetica e storia, che erano le basi per lo studio della pittura rivolto alle donne.[14][15]

Il dipinto posto all'ingresso della scuola raffigurava una composizione floreale formata dalle otto piante classiche dell'autunno, chiamate Chigusa, il nome d'arte che la pittrice aveva assunto e che utilizzò come parte del nome della scuola.[7]

L'artista introdusse metodi innovativi di insegnamento ispirandosi alle esperienze artistiche più avanzate; invitò insegnanti esterni, realizzò viaggi d'istruzione e organizzò mostre - la prima delle quali svoltasi nel 1925, con la partecipazione di altre pittrici di Osaka - nelle quali le sue allieve potevano esporre le loro opere.[5][7][11]

 
Chigusa Kitani, Mayu no nagori (Resti di sopracciglia, 1925)

Nel 1925 il dipinto Mayu no nagori (眉の名残, Resti di sopracciglia) presentato alla 6ª mostra Teiten, raffigurante una donna con un kimono che lasciava eccessivamente intravedere le sue nudità, secondo alcune versioni avrebbe indotto la polizia a redarguire l'autrice perché nel futuro evitasse immagini così provocatorie.[5][16]

Nel 1926 venne selezionato per la 7ª mostra Teiten il suo dipinto Jōruri-sen (浄瑠璃船 Barca Jōruri), una rappresentazione di barche sul fiume Okawa, con giovani donne, suonatori e venditori ambulanti, in stile ukiyo-e.[17]

Alla 10ª Teiten presentò Gionchō no yuki (祇園町の雪, Neve a Gion), che raffigura due maiko intente a guardare dalla finestra.[18][19]

Tra la fine degli anni venti e l'inizio degli anni quaranta espose alle mostre Mostra dell'Accademia Imperiale di Belle Arti (帝国美術院展覧会 (帝展, Teiten, poi Shinbunten), a quelle degli allievi di Kikuchi Keigetsu Kikuchijuku-ten (菊池塾展, "Mostra per la scuola privata di Keigetsu Kikuchi " ) e a quelle dell'associazione di pittrici (Yachigusakai-ten).[7]

Nel 1945 i bombardamenti su Okaka distrussero l'azienda di famiglia e la pittrice, con i suoi familiari, fu costretta a traslocare.

Morì il 24 gennaio 1947 a Minamikawachi, Osaka all'età di 51 anni.[4]

Galleria

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  3. ^ (SL) Razglednica »Ženi v Chikamatsujevem gledališču«, su pokmuz-ce.si. URL consultato il 9 dicembre 2024.
  4. ^ a b c d (JA) 木谷 蓬吟・千種 [Kitani Hogin/Chikusa], su archive.is, 17 gennaio 2009. URL consultato il 15 dicembre 2024.
  5. ^ a b c d e f g (EN) Kitani Chigusa (1895-1947), su moreofmyjapanesehanga.com. URL consultato il 9 dicembre 2024.
  6. ^ (JA) Teiji Miyoshi, なにわ人物伝-光彩を放つ-木谷 蓬吟・千種 [Biografie Naniwa - Kitani Hogin Chikusa], su archive.is, 10 gennaio 2009.
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  8. ^ a b (EN) Kitani (Yoshioka) Chigusa"Ongoku". Our Collection. Artrip Museum : Osaka City Museum of Modern Art, su city.osaka.lg.jp, 24 dicembre 2017. URL consultato il 9 dicembre 2024 (archiviato dall'url originale il 24 dicembre 2017).
  9. ^ (EN) Fukada Chokujō, et.al. (19th century) 深田直城, su kaikodo.com. URL consultato il 15 dicembre 2024.
  10. ^ (EN) Shima Seien (1892-1970), su bonhams.com. URL consultato il 15 dicembre 2024.
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Bibliografia

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Voci correlate

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Seien Shima

Seien Shima, nata Narei Suwa (島成園?, Shima Seien; Sakai, 18 febbraio 1892Takarazuka, 5 marzo 1970), è stata una pittrice giapponese, la più giovane delle tre famose artiste nihonga dell'era Taishō e del primo periodo Shōwa.[1][2][3]

Nel 1912, a soli vent'anni, venne selezionata per esporre alla 6ª mostra Bunten e ricevette particolare attenzione per il suo distacco dalle tradizionali rappresentazioni femminili del genere bijin-ga (美人画, trad.ː dipinti di belle donne), in accordo con la corrente della pittura giapponese dell'era Taisho ispirata ad uno stile espressivo realista.[4][5][6]

Nota anche per la sua abilità nell'incisione e come illustratrice di romanzi popolari e riviste femminili, per i successi ottenuti con le sue opere rappresentò un esempio per le giovani donne che volevano intraprendere una carriera nella pittura, ispirandole a dipingere come attività creativa o professionale.[7]

Biografia

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Narei Suwa nacque nel 1892 a Sakai, nella prefettura di Osaka, figlia del pittore Eikichi Shima e di Senga Suwa. Nel registro anagrafico del tempo risulta figlia adottiva della famiglia Suwa.[8][9]

Il padre era un artista che dipingeva porte scorrevoli e il fratello maggiore, Mikaze Shima (vero nome: Shimaichi Jiro), era un pittore di ventagli. I nonni materni, presso i quali Narei trascorse parte della sua infanzia, abitavano in una grande casa da tè nel quartiere a luci rosse di Nyushu a Sakai.[9]

Frequentò le scuole elementari di Shukuin e la scuola superiore femminile di Sakai, dove studiò economia domestica e artigianato.[9] Intorno all'età di tredici anni si trasferì con la sua famiglia a Shimanouchi (島之内), un quartiere di intrattenimento di Osaka.[10]

Formazione e debutto artistico

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Dall'età di circa quindici anni mostrò interesse per il lavoro del padre e del fratello maggiore e imparò a disegnare osservandoli e imitandoli.[11]

 
Yokugo (Dopo il bagno), dipinto di Kitano Tsunetomi, uno dei pittori con cui si formò Shima Seien

Il suo principale maestro fu Kitano Tsunetomi (北野恒富), un incisore e pittore della scuola shin-hanga, figura di spicco dei circoli artistici di Osaka, cofondatore con Noda Kyūho e altri artisti della Taisho Art Society, un'organizzazione volta alla promozione dell'arte tra i giovani e dell'Osaka Chawakai che sosteneva la libera creazione artistica, nella convinzione che i dipinti dovessero mostrare "ciò che è dentro lo spirito" dell'autore.[12][13] Sebbene fosse riconosciuto come uno dei principali pittori e illustratori di bijin-ga, nei primi decenni del Novecento Tsunetomi abbandonò i convenzionali modelli di donne idealizzate ed eteree, per rappresentare nei suoi dipinti e stampe bellezze femminili dai tratti realistici e naturali, permeate di sensualità.[14][15]

La giovane pittrice, seguendo le indicazioni del suo maestro e della sua scuola Hakuyosha, si orientò verso una rappresentazione femminile originale, non tipicizzata e solamente da ammirare, utilizzando gli autoritratti come parte di questo processo.[16] Le esigenze di realismo sorte durante il periodo Taisho favorirono questa reinterpretazione della bellezza muliebre, estendendo la rappresentazione dei soggetti femminili all'ambiente sociale, alla vita quotidiana, alla fisicità e all'esplorazione dell'interiorità.[16]

Nel 1911 patecipò alla Mostra di pittura giovanile di Osaka con un dipinto della poetessa del primo periodo Heian Ono no Komachi e qualche tempo dopo ricevette un encomio per l'opera esposta alla dodicesima mostra di Tatsumi Gakai. L'anno successivo, quando aveva soli vent'anni, Seien Shima fece il suo debutto ufficiale nel mondo dell'arte.[10] La sua opera Souemon-chō no yuū (宗右衛門町の夕, Serata a Souemoncho), raffigurante due maiko in piedi all'angolo di una strada, venne selezionata per essere esposta alla 6ª mostra d'arte statale Mombushō Bijtsu Tenrankai (文部省美術展覧会), conosciuta con il termine abbreviato di “Bunten” (文展).[17][11]

Tre pittrici, tre capitali

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Nel mondo dell'arte giapponese dell'epoca, incentrato su Tokyo e Kyoto, la comparsa di una giovane pittrice di Osaka fu salutata come una svolta. Insieme a Uemura Shōen 上村松園 e Ikeda Shōen 池田蕉園 divenne nota come una delle Sān dōu sān yuan 三都三園, ossia delle tre artiste "en" (in riferimento all'ultima sillaba dei loro nomi) delle tre "capitali" giapponesiː Osaka (Shima), Kyoto (Uemura) e Tokyo (Ikeda).[4][18][19]

A differenza delle altre due artiste, Seien espresse nei suoi dipinti una notevole sensibilità per le questioni sociali. Alla 7ª mostra Bunten (1913) presentò il dipinto Matsuri no Yosōi (祭りのよそおい, Abbigliamento da festa), oggetto di un encomio, che ritraeva le differenze di classe tra ragazzeː le tre giovani a sinistra del quadro, di elevata condizione sociale, indossano un elegante kimono chiuso da cinture obi e calzini tabi sui tradizionali sandali okobo, hanno ornamenti tra i capelli e un ventaglio in mano; distante da loro, sulla destra, un'altra ragazza in piedi e scalza, con un abito modesto, ha lo sguardo abbassato e tiene un ventaglio dietro la schiena.[18][9]

Un articolo pubblicato su una rivista ridicolizzò il dipinto, criticandolo con argomenti frivoli e sostenendo che l'intento della sua autrice era quello di cercare un marito.[9] Tuttavia, molte giovani donne interessate ad intraprendere la carriera artistica ricevettero un forte stimolo dal successo ottenuto da Shima.[20]

Alla 12ª mostra di pittura di Mitsukoshi nel 1915 le sue opere furono esposte insieme a quelle di pittori famosi come Yokoyama Taikan, Takeuchi Seiho e Kitano Tsunetomi e alla 9ª mostra Bunten dello stesso anno, la sua opera Keiko no hima (稽古のひま, Tempo per la pratica) fu selezionata insieme a Mura no Warabe del fratello maggiore Mikaze, ricevendo notevoli apprezzamenti.[10]

Nello stesso anno realizzò il dipinto Keshō (化粧, Trucco, 1915), nel quale veniva ritratta una donna in piedi che si prepara davanti ad uno specchio, con il kimono che le cade dalle spalle, lasciandole le braccia scoperte e un paravento sullo sfondo .[21]

1916-1919

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Alla prima mostra dell' "Associazione delle Quattro Donne". Da sinistra: Saraen Okamoto, Chikusa Kitani, Shima Seien, Kayou Matsumoto

Nel maggio 1916 si tenne a Osaka la prima mostra dell' Associazione delle quattro donne (Jo shi-ri no Kai, 女四人の会), di cui Shima Seien faceva parte con le pittrici Chikusa Kitani, Saraen Okamoto e Kayo Matsumoto.[22] Il tema della mostra era l'opera letteraria Cinque donne amorose di Saikaku Ihara, scrittore del periodo Edo.[23][24]

L'anno successivo, in occasione della mostra Bunten venne selezionato il suo dipinto Uta no Nakaba.

In quello stesso periodo, oltre a stampe e dipinti, Seien iniziò a realizzare frontespizi e illustrazioni per riviste e romanzi a puntate, come La strada per domani di Aimasa Nomura, Shiranui di Mikihiko Nagata e Golden di Koryoku Sato, pubblicato sul quotidiano Asahi Shimbun.[25] Occasionalmente produsse xilografie, alcune comprese nella raccolta New Ukiyo-e Bijingo.[4][26]

Onna おんな, 1917

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Atataka (暖か Caldo) di Kitano Tsunetomi

Nel 1917 realizzò Onna (inizialmente intitolato Kurokami no hokori (黒髪の誇り Orgoglio per i capelli neri), nel quale veniva ritratta una donna con la parte superiore del corpo nuda, intenta a pettinarsi i lunghissimi capelli, con uno sguardo insolito per i dipinti del tempo. Sul suo kimono compariva il disegno della maschera del demone femminile Han'nya.[18]

In questo periodo i dipinti di nudo venivano duramente criticati ed è probabilmente per questo che la carica sensuale dell'opera risulta contenuta. Il dipinto venne presentato alla 4ª mostra Inten organizzata dal Nihon Bijutsuin, ma non fu selezionato.[27][10]

Senza titolo 無題, 1918

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Come Onna, anche Mudai (無題, Senza titolo, ma nota anche come Gashitsu no on'na, 画室の女, trad.ː Donna nella studio di pittura, perché sullo sfondo si intravede uno schizzo di fiori e piante), si allontana dal tradizionale bijinga improntato a rappresentare la bellezza ideale.[28]

Riproponendo la posa femminile del dipinto di Tsunetomi in Atataka (暖か, Caldo), probabilmente ambientato nella stanza di un quartiere a luci rosse, Mudai ritrae una donna seduta sulle ginocchia, vestita con un kimono nero, lo sguardo triste ma diretto puntato sullo spettatore, la bocca semiaperta, i cappelli scomposti e un visibile livido che parte dall'occhio destro e arriva alla guancia, un'immagine che è stata letta come una dimostrazione di solidarietà nei confronti delle donne maltrattate dagli uomini. L'opera, ritenuta un autoritratto della pittrice, è stata così commentata dall'autriceː "Ho raffigurato i sentimenti di una donna con una ferita che maledice il suo destino e maledice il mondo".[29][30]

Senza titolo fu esposto alla Prima Mostra Prototipi dell'associazione Osaka Chawakai, fondata nel 1918, tenutasi nel giugno dello stesso anno.[11]

Kyara no Kaoru 伽羅の薫 , 1919

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Nel 1919 il dipinto Kyara no Kaoru (伽羅の薫 ) venne selezionato per la seconda mostra dell'Accademia d'arte imperiale (Teiten). Quest'opera, in cui la madre di Seien fece da modella, si discosta dai dipinti precedenti, improntati ad uno stile realista.[9] Ritrae a grandezza naturale, ma con uno stile grottesco simile ad un manga, una prostituta di Shimabara, con il corpo allungato e un kimono rosso evanescente, circoscritto da un contorno nero e sovrastato da grandi elementi bianchi.[18][31]

Matrimonio, trasferimento in Manciuria e ritorno a Osaka

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Nel novembre 1919, su decisione del fratello e del padre che versava in gravi condizioni di salute e che sarebbe morto dopo pochi mesi, Seien si fidanzò con il banchiere Toyojiro Morimoto, laureato in giurisprudenza all'Università Imperiale di Kyoto e fratello maggiore di una suo allieva.[32] Dopo il matrimonio Morimoto si trasferì a vivere a casa dei suoceri e questo nuovo progetto di convivenza, al quale la giovane artista non aveva dato pienamente il suo consenso, produsse dei cambiamenti nelle sue abitudini di vita che ebbero un influsso sulle sue creazioni.[33] Così avrebbe commentato il suo nuovo statusː "Quando entra in famiglia una donna come me, la cui unica vita è la pittura, fa del suo meglio, ma si chiede se potrà continuare a vivere esattamente la stessa vita di suo marito".[34]

Nel 1920 Toyojiro venne trasferito nella filiale di Shanghai e Seien lo seguì, pur continuando a recarsi periodicamente a Osaka. In questo periodo produsse alcune opere che esploravano i costumi e le usanze cinesi, come Shanghǎi furen (上海婦人, La ragazza di Shangai).[35] Rispetto ai suoi lavori precedenti è stato rilevato dalla critica come questa produzione riveli minore originalità e interiorità, così come risulterebbero assenti i temi sociali.[32]

Nel 1924 produsse un dipinto intitolato Autoritratto (自画像), nel quale compariva a mezzobusto, con alle spalle l'immagine di un attore kabuki.[36] Lo studioso Chen Ching ha interpretato il ritratto - gli abiti, i capelli arruffati e il volto della donna, molto simile alle foto che ritraggono l'artista da giovane, ma con un'espressione stanca, quasi insoddisfatta della propria vita - come una rappresentazione dei suoi sentimenti dopo il matrimonio.[34]

Nel 1927 Hayashi fu selezionato per l'8ª mostra Teiten, e in quella successiva del 1928 fu l'ultima volta che un suo dipinto venne accettato in una mostra importante.[37][10]

Negli anni seguenti Seien seguì il marito nei suoi numerosi trasferimenti in Giappone e in Cina, allontanandosi da Osaka, la sua città natale artistica, da lei stessa definita "la mia eterna amante"; ridusse quasi del tutto la propria produzione e i suoi contatti con l'ambiente artistico.[38][9]

Attività nel dopoguerra

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Nel 1945, dopo la fine della guerra, il marito di Seien raggiunse l'età del pensionamento e l'anno seguente la coppia fece ritorno a Osaka.[32] La pittrice riprese gli studi, affiancata dalla sua allieva Narukun Okamoto, che le rimase vicina per oltre venti anni e che in seguito sarebbe stata adottata dalla famiglia del marito.[32] Nel 1951 realizzò all'Osaka Daimaru la sua prima mostra personale; nel 1960 partecipò alla Mostra delle donne di Osaka, e da allora, fino al 1969, tenne annualmente una mostra con la sua allieva.[9]

Nel marzo 1970, qualche mese dopo essersi trasferita a Takarazuka, morì a causa di un ictus all'età di 78 anni.[9][17]

Mostre postume

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Nel 2006 si è svolta ad Osaka presso il Tashimaya la mostra "Shima Seien e le pittrici di Naniwa", visitata da oltre 23.000 persone nel corso di 13 giorni, seguita nel 2008 dalla mostra "Donne pittrici a Osaka: bijin-ga e avanguardia nel XX secolo" tenuta presso la sala espositiva Shinsaibashi del Museo di arte moderna.[31][39]

Nel 2021 tre opere dell'artista - Senza titolo 無題 (1918), Ohaguro おはぐろ(1920) e On'na (1917) sono state esposte al Museo Nazionale di arte moderna di Tokyo nella mostra "Ayashii: immagini decadenti e grottesche della bellezza nell’arte giapponese moderna".[40]

Tra dicembre 2023 e febbraio 2024 ha avuto luogo al Museo d'arte di Osaka Nakanoshima la mostra "Edizione definitiva delle pittrici di Osaka" nella quale sono state esposte 186 opere di 59 pittrici giapponesi legate a Osaka, attive nei periodi Meiji, Taisho e Showa. Il catalogo contiene un'autocritica all'espressione contenuta nel nome della mostra "edizione definitiva", in quanto il numero di artiste e opere scoperte nel corso del tempo si è rivelato via via in aumento. Due capitoli del catalogo della mostra sono stati riservati a Shima Sein, definita una "pioniera".[31][41]

  1. ^ (EN) Shima Seien - "Young Rebel", su moreofmyjapanesehanga.com. URL consultato il 7 dicembre 2024.
  2. ^ Ito, p. 7
  3. ^ Altri testi indicano come nome proprio Narie, vedi Merritt, p. 134
  4. ^ a b c (EN) Shima Seien - "Young Rebel", su moreofmyjapanesehanga.com. URL consultato il 12 novembre 2024.
  5. ^ (JA) 没後50年 浪華の女性画家 島成園 [50 anni dalla morte della pittrice Naniwa Shima Seien], su osaka-art-museum.jp. URL consultato il 12 novembre 2024.
  6. ^ (JA) Valutazione artistica di Shima Seien , web.archive.org. URL consultato il 13 novembre 2024.
  7. ^ (JA) 河野沙也子の「漫画で紹介、先輩画家」 第2回 島成園 女性作家の先駆者として ["I pittori senior introdotti nei manga" di Sayako Kono 2° Shima Seien come pioniere delle artiste donne], su artexhibition.jp, 15 dicembre 2021. URL consultato il 12 novembre 2024.
  8. ^ Merritt, p. 134
  9. ^ a b c d e f g h i (JA) 女性日本画家の先駆者 島成園(1) [Seion Shima, la pioniera delle pittrici giapponesi (1)], su toursakai.jp. URL consultato il 13 novembre 2024 (archiviato dall'url originale il 1º giugno 2023).
  10. ^ a b c d e (JA) 島成園 [Seien Shima], su emosaka.com. URL consultato il 13 novembre 2024 (archiviato dall'url originale il 27 ottobre 2021).
  11. ^ a b c Ito, p. 7
  12. ^ (FR) Chris Uhlenbeck, Shin hanga : les estampes modernes du Japon, 1900-1960, Hazan, 2022, p. 220, OCLC 1346155176.
  13. ^ Ito, pp. 2, 10
  14. ^ (EN) Kitano Tsunetomi , 1880-1947, su scholten-japanese-art.com. URL consultato il 12 novembre 2024.
  15. ^ (EN) Kitano Tsunetomi, su britishmuseum.org. URL consultato il 12 novembre 2024.
  16. ^ a b Ito, p. 3
  17. ^ a b (JA) 島成園 [Shima Seien], su tobunken.go.jp. URL consultato il 12 novembre 2024.
  18. ^ a b c d (JA) Toshikazu Masaki, 島成園に見る高い社会感度と近代性 大阪中之島美術館「女性画家たちの大阪」 [Alta sensibilità sociale e modernità viste in Shima Seien al Museo d'arte Osaka Nakanoshima “L'Osaka delle pittrici”], su sankei.com, 9 febbraio 2024. URL consultato il 12 novembre 2024.
  19. ^ (JA) 秋季特別展 三都三園 上村松園・池田蕉園・島成園 開催 [Mostra speciale autunnale tenutasi in tre città e tre giardini: Kamimura Shoen, Ikeda Shoen e Shimanarien], su kobayashi-bijutsu.com. URL consultato il 13 novembre 2024.
  20. ^ (JA) 島成園 [Shima Seien], su emosaka.com. URL consultato il 13 novembre 2024 (archiviato dall'url originale il 27 ottobre 2021).
  21. ^ (JA) 島成園「化粧」 ["Trucco” di Shima Seien], su chugoku-np.co.jp. URL consultato il 13 novembre 2024.
  22. ^ (JA) 「女四人の会」の活動も紹介 「決定版! 女性画家たちの大阪」大阪中之島美術館 [Presentazione delle attività della "Associazione delle Quattro Donne" "Edizione definitiva! Osaka di pittrici" Museo d'Arte Nakanoshima, Osaka], su sankei.com, 30 novembre 2023. URL consultato il 13 novembre 2024.
  23. ^ Tomoko, p. 9
  24. ^ 決定版!女性画家たちの大阪 浪華で花開いた個性と才能 大阪中之島美術館で開催中  [Edizione definitiva! Pittrici di Osaka: individualità e talento sbocciati a Naniwa, ora al Museo d'Arte di Osaka Nakanoshima], su sankei.com, 5 gennaio 2024. URL consultato l'8 dicembre 2024.
  25. ^ (JA) 日本画家:島 成園(しま せいえん) [Pittrice giapponese: Shima Seien], su natsukiart.co.jp. URL consultato il 12 novembre 2024.
  26. ^ Merritt, p. 135
  27. ^ Ito, p. 16
  28. ^ Ito, p. 8
  29. ^ (EN) Lea Jay, Japan art and Shima Seien: Taisho era and female suffering, su moderntokyotimes.com, 19 marzo 2023. URL consultato il 12 novembre 2024.
  30. ^ (EN) Alice Gordenker, Japanese Women Artists You Should Know: Meet Shima Seien, su japanlivingarts.com, 2 aprile 2021. URL consultato il 12 novembre 2024.
  31. ^ a b c (JA) Manabu Miki, 日本美術史を塗り替える、大阪の女性画家たちの知られざ [Le sconosciute pittrici di Osaka che stanno riscrivendo la storia dell'arte giapponese], su critique.aicajapan.com, 15 gennaio 2024. URL consultato il 14 novembre 2024.
  32. ^ a b c d (JA) 女性日本画家の先駆者 島成園(2) [La pioniera della pittura giapponese Shima Seien (2)], su toursakai.jp, 10 febbraio 2019. URL consultato il 13 novembre 2024.
  33. ^ (JA) 没後50年 浪華の女性画家 島成園 [50 anni dalla morte della pittrice Naniwa Shima Seien], su museum.or.jp, 17 settembre 2020. URL consultato il 13 novembre 2024.
  34. ^ a b Chen, p. 6
  35. ^ (JA) 上海娘」 島成園 横顔に映る、スター画家の心は [“La ragazza di Shangai” di Shima Seien. Il cuore di una pittrice famosa riflesso nel suo profilo], su asahi.com, 17 maggio 2022. URL consultato il 13 novembre 2024.
  36. ^ (JA) 没後50年 浪華の女性画家 島成園 [A 50 anni dalla sua scomparsa, Shima Seien, la pittrice di Naniwa] (PDF), su osaka-art-museum.jp, 2020. URL consultato il 13 novembre 2024.
  37. ^ (JA) 島成園 Shima Seien, su yamada-shoten.com. URL consultato il 12 novembre 2024.
  38. ^ Tomoko, pp. 140-142
  39. ^ (JA) 大阪市立近代美術館展覧会 女性画家の大阪 —美人画と前衛の20世紀— [Mostra del Museo d'arte moderna della città di Osaka: Pittrici a Osaka. Dipinti di bellezza e avanguardia del XX secolo], su museum.or.jp. URL consultato il 14 novembre 2024.
  40. ^ (EN) Alice Gordenker, Bewitching, beguiling and downright disturbing: Unconventional views of beauty in Japanese art, su japantimes.co.jp, 19 marzo 2021. URL consultato il 14 novembre 2024.
  41. ^ (JA) 女性画家たちの大阪 = Osaka in the eyes of women painters : 決定版! / Josei gaka tachi no osaka = Osaka in the eyes of women painters : Ketteiban!, Osaka, Osaka nakanoshima bijutsukan, 2023, OCLC 1424534613.

Bibliografia

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Voci correlate

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