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[[File:Golden Aum.png|thumb|right|250px|Il [[simbolo]] dell' ''Oṃ'', il più [[sacro]] ''mantra'' [[Induismo|induista]]. Questo simbolo ॐ deriva dall'unione di due caratteri del [[devanāgarī]]: ओ ('o') + ँ ('m' nasale) riportati in [[corsivo]]. Risultando il [[devanāgarī]] una scrittura non precedente all'VIII secolo d.C. questo simbolo è di gran lunga posteriore alla sillaba ''Oṃ'' presente in testi anteriori almeno al VI secolo a.C.]]
'''Mantra''' ([[devanāgarī]]: मन्त्र) è un sostantivo maschile [[sanscrito]] (raramente sostantivo neutro) che indica, nel suo significato proprio, il "veicolo o strumento del pensiero o del pensare", ovvero una "espressione [[sacro|sacra]]" e corrisponde ad un verso del ''[[Veda]]'', ad una formula [[sacro|sacra]] indirizzata ad un ''[[deva]]'', ad una formula [[misticismo|mistica]] o [[magia|magica]], ad una [[preghiera]], ad un canto [[sacro]] o a una pratica [[meditazione|meditativa]] e [[religione|religiosa]].
 
La nozione di ''mantra'' ha origine dalle credenze [[religione|religiose]] dell'[[India]] ed è proprio delle culture religiose che vanno sotto il nome di [[Vedismo]], [[Brahmanesimo]], [[Buddhismo]], [[Giainismo]], [[Induismo]] e [[Sikhismo]].
 
Per mezzo del [[Buddhismo]] la nozione e la pratica religiosa del ''mantra'' si sono diffuse lungo tutta l'Asia giungendo in [[Tibet]] e in [[Cina]] e, per tramite di quest'ultima, in [[Giappone]], [[Corea]] e [[Vietnam]].
 
 
==Origine del termine ''mantra'' e sua resa in altre lingue asiatiche==
Il termine ''mantra'' deriva dall'insieme di due termini: il verbo sanscrito ''man'' (VIII classe, nella sua accezione di "pensare", da cui ''manas'': "pensiero", "mente", "intelletto" ma anche "principio spirituale" o "respiro", "anima vivente") unito al suffisso ''tra'' che corrisponde all'aggettivo sanscrito ''kṛt'', ("che compie", "che agisce")<ref>Tra gli altri, [[Agenanda Bharati]]. ''The Tantric Tradition''. Londra, Rider, 1966, pag. 103. Su questa definizione etimologica di ''mantra'' anche [[Frederick M. Smith]] e [[Sanjukta Gupta]] rispettivamente nelle edizioni 2005 e 1988 della ''Encyclopedia of Religion'' edita dalla Macmillan di New York. </ref>.
 
Un'etimologia tradizionale fa invece derivare il termine ''mantra'' sempre dal verbo ''man'' ma collegato al sanscrito ''tra'' che, ''in fine compositi'', diviene aggettivo con il significato "che protegge", quindi "pensare, pensiero, che offre protezione"<ref>Su questa definizione tradizionale, cfr., ad esempio, [[Philippe Cornu]]. ''Dizionario del Buddhismo''. Milano, Bruno Mondadori, 2003, pag.372.</ref>.
 
Nelle altre lingue asiatiche il termine [[sanscrito]] ''mantra'' viene così reso:
* in [[lingua cinese|cinese]]: 曼憺羅 ''màndáluó'', ma anche 眞言 ''zhēnyán'';
* in [[lingua giapponese|giapponese]] 眞言 ''shingon'';
* in [[lingua coreana|coreano]] 진언 '' jin-eon'';
* in [[lingua vietnamita|vietnamita]] ''chân ngôn'';
* in [[lingua tibetana|tibetano]] ''sngags''.
 
==Il ''mantra'' nella cultura religiosa [[Vedismo|vedica]], [[brahmanesimo|brahmanica]] e [[Induismo|induista]]==
Nella più antica [[Veda|letteratura vedica]], il ''[[Ṛgveda]]'', il ''mantra'' ha essenzialmente il significato e la funzione di "invocazione" ai ''[[deva]]'' per ottenere la vittoria in battaglia, beni materiali oppure una lunga vita<ref>Cfr. a tal proposito, Margaret Sutley e James Sutley in ''Dizionario dell'Induismo'', Roma, Ubaldini, 1980, pag.263. Ma anche [[Frederick M. Smith]]: {{q|In the earliest Indian text, the Ṛgveda, it often had the sense of “invocation,” while in later literature it is closer to “incantation,” “word(s) of power,” “(magic) formula,” “sacred hymn,” “name of God,” or sometimes simply “thought.”|[[Frederick M. Smith]]. ''Encyclopedia of Religion'', vol.8. NY, Macmillan, 2005, pag.5676}}</ref>:
 
{{q|Ci stan davanti cento anni, o dèi, entro i quali avete stabilito la consunzione dei nostri corpi per vecchiaia, entro i quali i nostri figli diventano padri: non colpite il corso della nostra vita a metà del suo cammino.|''[[Ṛgveda]]'', I,89,9. Traduzione di [[Saverio Sani]], in ''Ṛgveda'', Venezia, Marsilio, 2000, pag.178|śatamin nu śarado anti devā yatrā naścakrā jarasaṃ tanūnām putrāso yatra pitaro bhavanti mā no madhyā rīriṣatāyurghantoḥ|lingua=sa}}
 
In tale accezione, l'inno vedico, o ''mantra'', se è metrico e viene recitato a voce alta è indicato come ''ṛk'' (e raccolto nel ''[[Ṛgveda]]''), se invece è in prosa e mormorato è uno ''yajus'' (e raccolto nello ''[[ Yajurveda]]''), se corrisponde ad un canto è un ''sāman'' (e raccolto nel ''[[ Sāmaveda]]'')<ref>Cfr. [[Klaus K. Klostermaier]]</ref>.
 
I ''mantra'' appartenenti al ''[[Ṛgveda]]'' venivano quindi recitati ad alta voce dal [[sacerdote]] vedico indicato come ''[[ hotṛ]]'', quelli appartenenti al ''[[ Sāmaveda]]'' venivano intonati dallo ''[[ udgātṛ ]]'' (ruolo particolare aveva questo sacerdote e i ''mantra'' da lui intonati nel sacrificio del ''[[Soma (Vedismo)|soma]]''), mentre quelli appartenenti allo ''[[ Yajurveda]]'' venivano mormorati dall'<nowiki></nowiki> ''[[adhvaryu]]'' (sacerdote che ricopriva un ruolo preminente nel periodo dei ''[[Brāhmaṇa]]'')<ref> Margaret Sutley e James Sutley. ''Op.cit.''.</ref>. Ogni particolare [[rito]] [[sacrificio|sacrificale]] (''[[Yajña]]'') richiedeva un'accurata scelta dei ''mantra'' necessari, e il loro precipuo scopo era quello di entrare in comunicazione con la o le divinità (''[[deva]]'') prescelte<ref> Margaret Sutley e James Sutley. ''Op.cit.''.</ref>.
 
Essendo i ''[[Veda]]'' tradizionalmente intesi come non composti da esseri umani (''[[apauruṣeya]]'') bensì trasmessi ai "cantori" delle origini (''[[ṛṣi]]'') all'alba dei tempi, i versi ivi contenuti furono quindi considerati dalle tradizioni induiste, come ''mantra'' "increati" ed "eterni" che mostravano la vera natura del [[cosmo]]<ref>Cfr. [[Frederick M. Smith]]. ''Op.cit.''.</ref>.
 
I testi risalenti alla fine del secondo millennio a.C. e inerenti al ''[[ Sāmaveda]]'', mostrano come l'importanza di questi ''mantra'' non risiedesse tanto nel loro significato quanto piuttosto nella loro sonorità. Molti di essi risultano infatti non traducibili e non comprensibili e furono indicati come ''[[stobha]]''. Esempio di ''[[stobha]]'' sono le parole ''bham'' o ''bhā'' che vengono intonate nel contesto dei versi del ''[[ Sāmaveda]]''. Successivamente, nei ''[[Brāhmaṇa]]'', il ''mantra'' mormorato (''upāṃśu'') fu considerato superiore a quello enunciato o intonato, e ancora maggiormente superiore il verso silenzioso (''tuṣṇīm'') o mentale (''mānasa'')<ref>Cfr. [[Frederick M. Smith]]. ''Op.cit.''.</ref>. In particolare nel ''[[Śatapatha Brāhmaṇa]]''<ref>Cfr. ''Śatapatha Brāhmaṇa'' V,4,4,13.</ref>ciò che non è possibile definire e che non è manifesto (''anirukta'') rappresenta l'illimitato e l'infinito: queste considerazioni contenute nei ''[[Brāhmaṇa]]'' forniranno la base teologica delle successive dottrine sulla natura e sulla funzione dei ''mantra''.
 
Nella tradizione successiva divenne quindi poco importante per coloro che studiavano i ''[[Veda]]'' conoscerne il significato quanto piuttosto fu sufficiente memorizzare meticolosamente il testo, con particolare riguardo alla pronuncia e alla sua accentazione. Ciò produsse, a partire dal VI secolo a.C., una serie di opere, che vanno sotto il nome collettivo di ''[[Prātiśakhya]]'', sulla [[fonetica]] e sulla retta pronuncia (''śikṣa'') propria dei ''[[Veda]]'' e per questo collocati all'interno del ''[[Vedaṅga]]'' (membra, ''aṅga'', dei ''Veda'').
 
 
==I mantra nell'Induismo e nei culti tantrici==
La vita di un devoto hindu è pervasa dalla recitazione dei mantra, pratica che lo accompagna in vari momenti della vita e del quotidiano per fini che sono sia sacri (rituali o soteriologici) sia profani (utilitaristici o anche ''magici''), come per esempio: ottenere la liberazione (''[[mokṣa]]''); onorare le divinità (''[[puja]]''); acquisire poteri sovranaturali (''siddhi''); comunicare con gli antenati; influenzare le azioni altrui; purificare il corpo; guarire dai mali fisici; assisterlo nei riti; eccetera<ref>A. Daniélou, ''Miti e dèi dell'India'', ''Op. cit.'', p. 381</ref>.
Ogni mantra va ''usato'' nel modo corretto, e a secondo del modo può dare differenti risultati:
{{q|I mantra 'comprovati' danno risultati sicuri entro un tempo determinato. I mantra 'che aiutano' danno buoni risultati se venegono ripetuti nel rosario, o se li si impiega per accompagnare le oblazioni. I mantra 'realizzati' danno risultati immediati. I mantra 'nemici' distruggono quelli che vogliono usarli.|''Mantra-Mahodadhi'', 24-23, citato in A. Daniélou, ''Miti e dei dell'India'', ''Op. cit.'', p. 381}}
 
Questi usi e forme dei mantra non appartengono alla tradizione vedica, dove il mantra era un inno recitato esclusivamente dal [[brahmino|brahmano]] durante le cerimonie liturgiche, utilizzato quindi per invocare la divinità o influire magicamente sul mondo, ma sono successivi. È soprattutto nell'ambito [[tantra|tantrico]] che i mantra si sono diffusi e hanno acquisito quei caratteri che oggi in [[India]] è dato di cogliere<ref>A. Padoux, ''Tantra'', ''Op. cit.'', p. 137.</ref>. Nelle tradizioni tantriche i mantra associati alle divinità sono considerati la forma fonica della divinità stessa.
 
Un mantra, rigorosamente in [[lingua sanscrita]], può essere recitato ad alta voce, sussurrato o anche solo enunciato mentalmente, nel silenzio della meditazione, ma sempre con la corretta intonazione. Va inoltre evidenziato che un mantra non lo si apprende dai testi o da generiche altre persone, ma viene trasmesso da un ''[[guru]]'', un maestro cioè che consacri il mantra stesso, conferendogli energia con riti che non sono dissimili dalla consacrazione delle icone<ref>G. Flood, ''L'induismo'', ''Op. cit.'', p. 303 e segg.</ref>.
 
===I ''bīja''===
I ''bīja'' ("seme") sono monosillabi che generalmente non hanno un significato semantico, o lo hanno perso nel corso del tempo, ma vanno interpretati come suoni semplici atti a esprimere o evocare particolari aspetti della natura o del divino, e ai quali sono attribuiti funzioni specifiche e interpretazioni che variano di scuola in scuola. Spesso questi "semi verbali" sono combinati fra loro a costituire un mantra. Alcuni fra i più noti sono<ref>A. Daniélou, ''Miti e dèi dell'India'', ''Op. cit.'', p. 380 e segg.</ref>:
*AUM: è il ''bīja'' più noto, l'[[oṃ]]. Considerato il suono primordiale, forma fonica dell'Assoluto, è utilizzato come invocazione iniziale in moltissimi mantra.
*AIM: la coscienza. È associato alla [[devi|dea]] [[Sarasvatī]], dea del sapere.
*HRĪM: l'illusione. È associato alla dea [[Bhuvaneśvarī]], distruttrice del dolore.
*SHRĪM: l'esistenza. È associato alla dea [[Lakṣmī]], dea della fortuna.
*KLĪM: il desiderio. È associato al dio [[Kama (divinità)|Kama]], dio dell'amore, ma rivolto anche a [[Kālī]], la distruttrice.
*KRĪM: il tempo. È associato alla dea Kālī.
*DUM: la dea [[Durga]].
*GAM: il dio [[Ganapati]].
*HUM: protegge dalla collera e dai demoni.
*YAM: l'aria
*LAM: la terra
*RAM: il fuoco
*VAM: l'acqua
*HAM: l'etere
 
===Alcuni mantra===
*<u>Rudra mantra</u>
<big>ॐ त्रियम्बकं यजामहे, सुगन्धिं पुष्टिवर्धनंउर्वारुकमिव बन्धनान् मृत्योर्मोक्षिय मामृतात्</big><br />
'''''Oṃ tryambakaṃ yajāmahe sugandhiṃ puṣṭivardhanam urvārukam iva bandhanān mṛtyor mukṣīya māmṛtāt'''''<br />
"Veneriamo il Signore dai tre occhi, profumato, che dà la forza e la libera dalla morte. Possa liberarci dai legami della morte."
 
Il mantra è rivolto a [[Shiva|Śiva]] nel suo aspetto distruttivo, [[Rudra]], ed è un'esortazione il cui scopo è di allontanare la morte, nel senso di prevenire l'invecchiamento. Si ritrova per esempio nei testi: ''Mahānirvāna Tantra'' (5, 211); ''Uddīsha Tantra'' (94)<ref>A. Daniélou, ''Miti e dèi dell'India'', ''Op. cit.'', p. 391</ref>.
 
*<u>Gayatri Mantra</u>
<big>ॐ भूर्भुवस्व: | तत् सवितूर्वरेण्यम् | भर्गो देवस्य धीमहि | धियो यो न: प्रचोदयात्</big><br />
'''''Oṃ bhūr buvaḥ svaḥ | tat savitur vareṇyaṃ | bhargo devasya dhīmahi | dhiyo yo naḥ pracodayāt'''''<br />
"Sfera terrestre, sfera dello spazio, sfera celeste! Contempliamo lo splendore dello spirito solare, il creatore divino. Possa egli guidare i nostri spiriti [verso la realizzazione dei quattro scopi della vita]."
 
Composto di dodici più dodici sillabe, è ripetuto dodici volte il mattino, il mezzogiorno e la sera. Il suo uso è vietato alle donne e agli uomini di casta bassa. Si ritrova per esempio nei:
''[[Ṛgveda|Ṛgvedasaṃhitā]]'' (III, 62, 10); ''[[Chāndogya Upaniṣad]]'' (3,12); ''[[Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad]]'' (5, 15)<ref>A. Daniélou, ''Miti e dèi dell'India'', ''Op. cit.'', p. 390</ref>.
 
*<u>Mantra rāja</u>
'''''Shrīm Hrīm Klīm Krishnāya Svāhā'''''<br />
"Fortuna, Illusione, Desiderio, Offerta al dio oscuro."
 
Il dio oscuro è [[Krishna|Kṛṣṇa]], con riferimento al colore della sua pelle. Il mantra invoca tre aspetti del dio, e ha come scopo di ispirare l'amore divino<ref>A. Daniélou, ''Miti e dèi dell'India'', ''Op. cit.'', p. 391</ref>.
 
*<u>Mantra rivolto alla Dea suprema (Parā Śakti)</u>
'''''Aum Krīm Krīm Hūm Hūm Hrīm Hrīm Svāhā'''''
 
Lo scopo di questo mantra è generico, viene recitato per ottenere qualsiasi realizzazione. Presente, ad esempio nei: ''Karpūradi Stotra'' (5); ''Karpura-stava'' (5)<ref>A. Daniélou, ''Miti e dèi dell'India'', ''Op. cit.'', p. 389</ref>.
 
*<u>Śiva panchākśara mantra</u>
<big>ॐ नम: शिवाय</big><br />
'''''Oṃ namaḥ Śivaya'''''<br />
"Io mi inchino davanti a Śiva."
 
È il mantra principale nelle correnti devozionali [[shivaismo|śaiva]]. Composto di cinque sillabe (''panchākśara'' vuol dire appunto "cinque sillabe", e cinque è il numero sacro di Śiva), viene ripetuto in genere 108 volte, o anche 5 volte tre volte al giorno. È contenuto in molti testi, fra i quali, ad esempio, lo ''Śiva Āgama'', lo ''[[Śiva Purāṇa]]''<ref>A. Daniélou, ''Miti e dèi dell'India'', ''Op. cit.'', p. 393</ref>.
 
*<u>Viṣṇu astākśara mantra</u>
'''''Aum namo Nārāyaṇaya'''''<br />
"Io mi inchino davanti a colui che dispensa sapere e liberazione."
 
Il mantra è rivolto a [[Vishnu|Viṣṇu]], essendo Nārāyaṇa appellativo del dio<ref>A. Daniélou, ''Miti e dèi dell'India'', ''Op. cit.'', p. 394</ref>.
 
*<u>Hare Kṛṣṇa mantra</u>
'''''Hare Krishna Hare Krishna | Krishna Krishna Hare Hare | Hare Rama Hare Rama | Rama Rama Hare Hare'''''
 
Noto anche come ''Mahā Mantra'' ("grande mantra"), è il mantra più noto delle correnti devozionali ''krishnaite'', molto conosciuto anche in Occidente a partire dagli anni sessanta per opera della ''[[Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna|International Society for Krishna Consciousness]]'' (ISKCON) (nota più familarmente come "gli Hare Krishna"), associazione religiosa statunitense di devoti a Kṛṣṇa fondata nel 1966 in [[New York]]<ref>Vedi ''[http://www.cesnur.org/religioni_italia/i/induismo_10.htm Gli Hare Krishna e gli altri gruppi Gaudiya]''</ref>.
''Hare'' è appellativi di Viṣṇu, [[Rama]] è il settimo ''[[avatāra]]'' di Viṣṇu (Kṛṣṇa ne è l'ottavo); il mantra è quindi costituito da sole tre parole che si riferiscono tutte a questo dio, e la sua intonazione è considerata dai fedeli come il metodo più semplice per esprimere l'amore di Dio<ref>Vedi ''[http://iskcon.org/what-hare-krishna#.TwwKgoGAEzc What is Hare Krishna?]''</ref><ref>Vedi anche ''[http://www.krishna.com/transcendental-vibration Hare Krishna Maha-Mantra]''</ref>.
 
==Note==
<references/>
 
==Bibliografia==
*[[Alain Daniélou]], ''Miti e dèi dell'India'', traduzione di Verena Hefti, BUR, 2008.
*[[Gavin Flood]], ''L'induismo'', traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006.
*[[André Padoux]], ''Tantra'', a cura di Raffaele Torella, traduzione di Carmela Mastrangelo, Einaudi, 2011.
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