Utente:Franco aq/sandbox6
United States Lighthouse Service | |
---|---|
Stato | Stati Uniti |
Istituito | 1910 |
Predecessore | United States Lighthouse Board |
Soppresso | 1939 |
Successore | United States Coast Guard |
Commissioner of Lighthouses | George R. Putnam (1910–1935) H. D. King (1935–1939) |
Lo United States Lighthouse Service, noto anche come Bureau of Lighthouses (Ufficio dei fari), è stata l'agenzia del Governo federale degli Stati Uniti d'America responsabile del rifornimento e la manutenzione di tutti i fari e i battelli-faro negli Stati Uniti, dall'epoca della sua istituzione nel 1910 come successore dello United States Lighthouse Board fino al 1939 quando fu assorbita dalla United States Coast Guard.
il Servizio dei Fari e del Segnalamento Marittimo della Marina Militare gestisce i fari disposti lungo le coste italiane, inclusa la Lanterna di Genova, opera al servizio dei naviganti civili e militari dal 1910, anno in cui la competenza passò all'allora Regia Marina dal Ministero dei Trasporti[1].
Il servizio è gestito con personale civile e militare, ed è diviso in cinque zone, La Spezia, Venezia, Taranto (con sezione distaccata a Napoli), La Maddalena e Messina, più un ufficio tecnico dei fari a La Spezia e un ispettorato per il supporto logistico e dei fari a Roma, da cui dipendono tutti i comandi di zona (a loro volta dipendenti anche dai vari comandi e dipartimenti militari marittimi) e il già citato ufficio tecnico[1].
Il Servizio dispone di 157 fari e 667 fanali (comprese mede e boe)[1].
In Italia il sistema dei segnalamenti marittimi è costituito, al 1985, di:[2]
- 58 fari principali con ottica rotante;
- 109 fari secondari con ottica fissa;
- 522 fanali;
- 67 boe luminose; 18 mede luminose; 19 radiofari; 27 nautofoni;
- 1 racon, con una forza di 62 militari e 426 civili.
Mantenimento
La gestione del sistema è affidata al Servizio Fari della Marina Militare Italiana. Il servizio è organizzato in sei comandi-zona con rispettive sedi a:[2]
- La Spezia per l'Alto Tirreno;
- La Maddalena per la Sardegna;
- Napoli per il Basso Tirreno;
- Messina per la Sicilia;
- Taranto per lo Ionio e il- Basso Adriatico;
- Venezia per l'Alto Adriatico e per l'Adriatico Centrale
ed ha alle sue dipendenze una cinquantina di militari e 362 civili, di cui 161 hanno la qualifica di faristi, ovvero personale di reggenza (i "guardiani dei fari") che provvede alla condotta e alla manutenzione dei fari e dei segnalamenti. Il numero dei faristi sta progressivamente diminuendo con la progressiva automazione degli impianti luminosi.
Storia
Anche l'Italia è ricca di fari, molti di origine antica (il Regno delle Due Sicilie fu il primo Stato italiano ad organizzare una moderna rete di fari[3]).
Dopo il 1860, con l'Unità d'Italia, il nuovo Stato dovette affrontare in modo sistematico l'illuminazione dei suoi 8000 chilometri di coste e nacquero così molti nuovi fari: i fari e i segnalamenti marittimi italiani che nel 1861 non superavano i 50, nel 1916 erano già 512. Un esempio è il faro di Capo Sandalo, sull'isola di San Pietro, in Sardegna, costruito nel 1864 su un alto scoglio a picco sul mare con una torre di 30 metri (138 metri l'altezza sul livello del mare) e portata 28 miglia.
Dopo la seconda guerra mondiale un programma di ristrutturazione e ammodernamento del sistema di segnalamenti ne portò il numero ai circa 1000 attuali, di cui 167 fari e 506 fanali.[2]
Una nave di rilevanza storica fu la Rampino, che servì sotto tre marine militari e venne dismessa nel 1976.
Note
- ^ a b c Fari e segnalamenti, su marina.difesa.it. URL consultato il 25 febbraio 2011.
- ^ a b c Sito Marina Militare, su marina.difesa.it. URL consultato il 01-02-2010.
- ^ Lamberto Radogna, Storia della marina mercantile delle Due Sicilie, Mursia, pag. 149
Betlemme Sede vescovile titolare Bethleemitanus Chiesa latina | |
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Diocesi soppressa di Betlemme | |
Suffraganea di | Patriarcato di Gerusalemme dei Latini |
Eretta | 1110 |
Soppressa | si |
Dati dall'annuario pontificio | |
Sedi titolari cattoliche | |
Betlemme è una sede titolare cattolica; nel medioevo fu sede episcopale durante il periodo delle crociate.
Storia
Nel 1099 Betlemme fu conquistata dai crociati che costruirono un nuovo monastero con chiostro per gli Agostiniani a nord della Basilica della Natività, a sud eressero una torre di difesa ed ad ovest l'episcopio. Il clero ortodosso fu scacciato dalla propria sede e sostituito da religiosi latini. Fino a quel momento la presenza ufficiale cristiana nella regione era stata greco-ortodossa.
Il giorno di natale del 1100 Baldovino I fu incoronato a Betlemme primo Re di Gerusalemme; quello stesso anno il Papa Pasquale II, su richiesta di Baldovino I, eresse la cittadina a vescovado latino[1]. Era direttamente sottoposta al Patriarcato latino di Gerusalemme[2]. Prima di allora Betlemme non era mai stata sede episcopale.
Nel 1187 Saladino riconquistò Betlemme togliendola ai crociati. Il clero latino fu costretto a partire permettendo a quello greco-ortodosso di tornare. Nel 1192 Saladino consentì il ritorno di due preti e due diaconi latini; tuttavia, l'economia di Betlemme soffrì della drastica riduzione di pellegrini dall'Europa[1].
Nel 1168 il crociato Guglielmo IV, conte di Nevers aveva promesso al vescovo di Betlemme che se la città fosse caduta in mano musulmana, l'avrebbe accolto, lui stesso o i suoi successori, nella cittadina di Clamency, in Borgogna. La volontà del defunto conte fu rispettata nel 1223, quando il vescovo di Betlemme si insediò nell'ospedale di Panthenor a Clamency. Clamency rimase sede permanente del vescovo in partibus infidelium per circa 600 anni, fino alla Rivoluzione francese nel 1789[3].
Nel 1229 Betlemme — insieme con Gerusalemme, Nazaret e Sidone — tornò per breve tempo al Regno di Gerusalemme in forza di un trattato tra il Sacro Romano Imperatore Federico II ed il Sultano ayyubide al-Malik al-Kamil, in cambio di dieci anni di tregua tra Ayyubidi e Crociati. Betlemme fu riconquistata dai musulmani nel 1244, dopo la scadenza del trattato nel 1239[4].
Nel 1250, con l'avvento al potere dei Mamelucchi sotto Baybars, la tolleranza per i cristiani declinò; il clero lasciò la città le cui mura furono demolite nel 1263. Il clero latino tornò a Betlemme nel secolo successivo e si stabilì nel monastero adiacente alla Basilica della Natività. I greci-ortodossi ebbero il controllo della basilica e condivisero il controllo della Grotta del Latte con i latini e gli armeni[1].
Cronotassi dei vescovi
- Piero, † (ante 1204 - ucciso nel 1205 alla battaglia di Adrianopoli)[5]
Note
- ^ a b c (EN) History of Bethlehem, su bethlehem-city.org, Bethlehem Municipality. URL consultato il 22 gennaio 2008.
- ^ Figliuolo, p. 391
- ^ L. de Sivry, Dictionnaire de Géographie Ecclesiastique, pagina 375, edizione del 1852. Archivi ecclesiastici delle lettere inviate dai vescovi in partibus infidelium di Betlemme ai vescovi di Auxerre.
- ^ Paul Reed, 2000, p.206.
- ^ a b c d e f g Du Cange, pp. 784-793
- ^ a b c De Sandoli, pp. 233-237
Voci correlate
Bibliografia
- Sabino De Sandoli, Corpus Inscriptionum Crucesignatorum Terrae Sanctae, in Pubblicazioni dello Studium Biblicum Franciscanum, vol. 21, 1974, pp. 193 - 237. URL consultato il 1º gennaio 2009.
- (FR) Charles D. Du Cange, Nicolas Rodolphe Taranne; Emmanuel Guillaume Rey, Les familles d'outre-mer, Parigi, Imprimerie Impériale, 1869, pp. 784-793.
- Guy le Strange, Palestine Under the Moslems: A Description of Syria and the Holy Land from A.D. 650 to 1500, Committee of the Palestine Exploration Fund, 1890.
- Paul Read Peirs, The Templars, Macmillan, 2000, ISBN 0-312-26658-8.
- Bruno Figliuolo, Chiesa e feudalità nei principati latini d'Oriente durante il XXII secolo, in Chiesa e mondo feudale nei secoli X-XII: atti della dodicesima settimana internazionale di studio Mendola, 24-28 Agosto 1992, Vita e Pensiero, 1995, ISBN 978-88-343-1241-4.
- (EN) Denys Pringle, The Churches of the Crusader Kingdom of Jerusalem: A Corpus, Cambridge University Press, 1993, ISBN 0-521-39037-0.
- (LA) Konrad Eubel, Ab anno 1198 usque ad annum 1431 perducta, in Hierarchia Catholica Medii ævi: sive, Summorum Pontificum, S[anctæ] R[omanæ] E[cclesiæ] Cardinalium, Ecclesiarum Antistitum Series. E Documentis Tabularii Præsertim Vaticani Collecta, Digesta, Edita, [vol. I], Patavii : Il Messagero di s. Antonio, 1698 [1898], p. 318.
- (LA) Konrad Eubel, Ab anno 1431 usque ad annum 1503 perducta, in Hierarchia Catholica Medii ævi: sive, Summorum Pontificum, S[anctæ] R[omanæ] E[cclesiæ] Cardinalium, Ecclesiarum Antistitum Series. E Documentis Tabularii Præsertim Vaticani Collecta, Digesta, Edita, [vol. II], Patavii : Il Messagero di s. Antonio, 1968 [1901], p. 196.
- Michel Le Quien, Oriens christianus in quatuor patriarchatus digestus, in quo exhibentur Ecclesiae patriarchae caeterique praesules totius Orientis, Parigi, Typographia regia, 1740, III, 581-8, 1271-6.
- (DE) Emil Schürer, Geschichte des jüdischen Volkes im Zeitalter Jesu Christi, tre volumi, 4ª ed., J.C. Hinrichs, 1909, I e II, passim.
- (FR) Fulcran Vigouroux, Dictionnaire de la Bible, [T. 1er. A-B. 2e tirage. 1907 T. 2e. C-F. 2e tirage. 1910 T. 3e. G-K. 2e tirage. 1910 T. 4e. L-PA. 1908. (L copertina del fasc. 23 riporta: L-Lit. 2e tirage. 1910) T. 5e. PE-Z. 1912], Parigi, Letouzey et Ané, 1895-1912, s.v..
- (EN) John Life La Monte, Feudal Monarchy in the Latin Kingdom of Jerusalem, 1100-1291, Cambridge, The Mediaeval Academy of America, 1932, ISBN 978-0-527-01685-2.
- (EN) Jonathan Simon Christopher Riley-Smith, The Feudal Nobility and the Kingdom of Jerusalem, 1174-1277, The Macmillan Press, 1973, ISBN 978-0-333-06379-8.
- (EN) Steven Runciman, The Kingdom of Jerusalem and the Frankish East, 1100-1187, in A History of the Crusades, vol. II, Cambridge University Press, 1952; (traduzione italiana di E. Bianchi, A. Comba, F. Comba, in due volumi: Storia delle Crociate, Torino, Einaudi, 2005. ISBN 9788806174811).
- (EN) Steven Tibble, Monarchy and Lordships in the Latin Kingdom of Jerusalem, 1099-1291, Oxford, Clarendon Press, 1989, ISBN 978-0-19-822731-1.
Collegamenti esterni
- (EN) Bethlehem, su newadvent.org, Catholic Encyclopedia. URL consultato il 1º maggio 2009.
La Signoria di Nablus era uno dei vassalli del regno crociato di Gerusalemme. Il suo territorio si estendeva nella regione a nord di Gerusalemme, attorno alla città di Nablus.
Storia
La città fu occupata senza combattere nel 1100 dai crociati sotto il comando di Tancredi d'Altavilla, e ribattezzata Napoli. Alla popolazione musulmana e samaritana, che rimase nella città, si unirono alcuni Crociati che vi si stabilirono per approfittare della abbondanti risorse di Nablus.
Nablus entrò a far parte del demanio regio del Regno di Gerusalemme del quale divenne una delle città principali.
Nel 1120 a Nablus si tenne un'assemblea di prelati e nobili nella quale furono stabilite le prime leggi scritte del regno.[1]
Durante la seconda metà del dominio crociato su Nablus le forze musulmane cominciarono a lanciare incursioni al fine di riguadagnare il controllo della città. Nel 1137, truppe arabe e turche di stanza a Damasco fecero un'incursione penetrando in Nablus, uccisero molti cristiani e bruciarono le chiese ma non riuscirono a riconquistare la città.[1]
La regina Melisenda di Gerusalemme risiedette a Nablus dal 1150 al 1161, dopo che le fu concesso il controllo della città al fine di risolvere un conflitto con il figlio Baldovino III.
I Crociati cominciarono a costruire istituzioni cristiane a Nablus, inclusa una chiesa dedicata alla Passione e Resurrezione di Gesù, nel 1170 essi eressero anche un ospizio per i pellegrini.[1]
Il dominio dei Crociati terminò nel 1187, quando gli Ayyubidi guidati da Saladino conquistarono la città.
Secondo un manoscritto liturgico scritto in lingua siriaca i cattolici fuggirono da Nablus, ma gli originari abitanti cristiani ortodossi rimasero. Dopo la riconquista dei musulmani varie chiese crociate furono convertite in moschee, inclusa l'antica cattedrale della città che fu trasformata nella Grande moschea di Nablus dagli Ayyubidi.
Nel 1202 la città venne distrutta dai crociati stessi ed in seguito riedificata dagli arabi.
Signori di Nablus
Baldovino I dopo la conquista unì Nablus alla signoria d'Oltregiordano, per poi separarla nel 1106 quando la diede in feudo a Guido de Milly. Il figlio di quest'ultimo Filippo nel 1161 la scambiò con la signoria d'Oltregiordano. Il re Amalrico I diede la signoria di Nablus come morgengabio alla moglie Maria Comnena che, rimasta vedova, la portò al suo secondo marito Baliano di Ibelin.
- Guido de Milly (1108 - 1126)
- 1161-1168 : demanio regio
- 1168-1187 : Maria Comnena (1154 † 1217), vedova del re Amalrico I di Gerusalemme († 1174)
- 1177-1187 : Baliano di Ibelin, suo secondo marito.
- Stefania di Ibelin
Nablus fu, tecnicamente, parte del demanio regio ed ebbe anche dei visconti che governavano in luogo del monarca:
- Ulrico (1115-1152)
- Baldovino Bibalus (c. 1159-1162)
- Baldovino, figlio di Ulrico (c. 1162-1176)
- Amalrico (c. 1176-1187)
Note
Bibliografia
- (EN) Steven RUNCIMAN, The First Crusade and the Foundations of the Kingdom of Jerusalem, in A history of the Crusades, vol. I, Cambridge, Cambridge University Press, 1965; (traduzione italiana di E. Bianchi, A. Comba, F. Comba, in due volumi: Storia delle Crociate, Torino, Einaudi, 2005; ISBN 9788806174811) [1951], ISBN 978-0-521-06161-2.
- (EN) Steven RUNCIMAN, The Kingdom of Jerusalem and the Frankish East, 1100-1187, in A history of the Crusades, vol. II, Cambridge, Cambridge University Press, 1952; (traduzione italiana di E. Bianchi, A. Comba, F. Comba, in due volumi: Storia delle Crociate, Torino, Einaudi, 2005; ISBN 9788806174811), ISBN 978-0-521-06162-9.
- (EN) Steven RUNCIMAN, The Kingdom of Acre and the Later Crusades, in A history of the Crusades, Volume III, Cambridge, Cambridge University Press, 1954; (traduzione italiana di E. Bianchi, A. Comba, F. Comba, in due volumi: Storia delle Crociate, Torino, Einaudi, 2005; ISBN 9788806174811), ISBN 978-0-521-06163-6.
- (FR) Charles D. Du Cange, Nicolas Rodolphe Taranne; Emmanuel Guillaume Rey, Les princes ou seigneurs de Naples, in Les familles d'outre-mer, Parigi, Imprimerie Impériale, 1869, pp. 406-411.
- Sabino De Sandoli, Corpus Inscriptionum Crucesignatorum Terrae Sanctae, in Pubblicazioni dello Studium Biblicum Franciscanum, vol. 21, 1974, pp. 270-4. URL consultato il 12 aprile 2009.
- D.J.A. Matthew, The Chronicle of Romuald of Salerno, in The Writing of History in the Middle Ages. Essays presented to Richard William Southern, a cura di Ralph Henry Carless Davis – John Michael Wallace-Hadrill, Oxford 1981, pp. 239–274
- (EN) D.J.A. Matthew, The Chronicle of Romuald of Salerno, in Ralph Henry Carless Davis, Richard William Southern e John Michael Wallace-Hadrill (a cura di), The Writing of History in the Middle Ages. Essays presented to Richard William Southern, Oxford, Clarendon Press, 17 settembre 1981, ISBN 9780198225560.
- (EN) Walid Khalidi, All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948, Washington D.C., Institute for Palestine Studies, 1992, ISBN 0-88728-224-5.
- (EN) Denys Pringle, The Churches of the Crusader Kingdom of Jerusalem: A Corpus, Cambridge University Press, 1993, ISBN 0-521-39037-0.
- (EN) Denys Pringle, Secular Buildings in the Crusader Kingdom of Jerusalem: An Archaeological Gazetteer, Cambridge University Press, 1997, ISBN 0-521-46010-7.
Voci correlate
Collegamenti esterni
- (EN) Charles Cawley, JERUSALEM, NOBILITY - Chapter 9. LORDS of NABLUS [NAPLOUSE], su fmg.ac, Foundation for Medieval Genealogy, 2007. URL consultato il 4 giugno 2009.
- 1939 (assegnato nel 2014)[1]: La cosa da un altro mondo (Who Goes There?) di John W. Campbell (con lo pseudonimo di Don A. Stuart)
- Anthem di Ayn Rand
- A Matter of Form di H. L. Gold
- Sleepers of Mars di John Wyndham
- The Time Trap di Henry Kuttner
- 1941 (assegnato nel 2016)[2]: Coventry di Robert A. Heinlein
- Anonima stregoni (Magic, Inc.) di Robert A. Heinlein
- A Matter of Form di H. L. Gold
- Sleepers of Mars di John Wyndham
- The Time Trap di Henry Kuttner
Pandone di Capua, detto Pandone il Rapace (... – 862 o 863), è stato un nobile longobardo, fu conte di Capua dall'861 all'862.
Figlio secondogenito di Landolfo I di Capua e fratello di Landone I. Alla morte del padre, nell'843, Landone gli succedette come conte, mentre Pandone e il loro fratello minore Landolfo furono associati come co-governanti, ma senza potere reale, infatti egli risiedette a Salerno, dove divenne marpahis.
Alla morte di Landone, nell'861, gli succedette il figlio Landone II, ma Pandone si accordò con il fratello Landolfo, frattanto divenuto Vescovo di Capua, per deporre il nipote e mandarlo in esilio insieme alla di lui madre Aloara ed ai fratelli; gli lasciò il feudo di Caiazzo, si proclamò principe di Capua e si dichiarò indipendente dal Principe di Salerno (862).
Attorno all'863 distrusse la vecchia città di Caserta catturando il nipote Landenolfo (fratello di Landone II) e una quarantina di primarii (uomini importanti) della città. Fece poi costruito una nuova fortificazione nel luogo dove si è poi sviluppata la moderna Caserta, ed una torre che attualmente è inclusa nel Palazzo della Prefettura, un tempo sede dei conti di Caserta e più tardi, residenza reale.
Pandone morì in battaglia contro Guaiferio di Salerno dopo un regno di un anno e cinque mesi. Suo figlio maggiore Pandenolfo cercò di succedergli, ma venne immediatamente espulso con i suoi fratelli dallo zio vescovo che si proclamò conte Landolfo II di Capua.
Famiglia
Pandolfo sposò Arniperga con la qual ebbe tre figli :
- Pandenolfo che fu il primo dei conti di Caserta
- Landenolfo vescovo di Capua nell'879.
- Arniperga di Capua, che sposò Radelchi II di Benevento.
Note
- ^ (EN) 1939 Retro Hugo Awards, su The Hugo Awards. URL consultato il 24 marzo 2018.
- ^ (EN) 1941 Retro Hugo Awards, su The Hugo Awards. URL consultato il 24 marzo 2018.
Collegamenti esterni
- (LA) Chronica Sancti Benedicti Casinensis, su oeaw.ac.at, Österreichische Akademie der Wissenschaften.
- (EN) Charles Cawley, Chapter 3. CAPUA - A. LOMBARD COUNTS of CAPUA 842-1098, su SOUTHERN ITALY (1), MEDIEVAL LANDS, 19 giugmo 2014. URL consultato il 7 giugno 2015.
Vardan Arewelc'i ela sua Compilazone Storica
Vardan, nom courant en Arménie, a été désigné Arewelci qui signifie "orientale" on l'appelle aussi " mec " (le Grand)
Come Kirakos, Vardan is believed to have been born in 1200-1210. Nothing is known about his parents or family. One of his early teachers was Yovhannes Vanakan (d. 1251), whom Vardan refers to in his History as "our glorious father" and whose now-lost historical work Vardan, like Kirakos, employed (43).
[28] Around 1239-40, Vardan visited Jerusalem on a pilgrimage and then went to Cilicia, ca. 1240-41 where he was received very favorably by king Het'um I and the reigning kat'oghikos Constantine Barjraberdc'i (1220-68) (44). Kirakos Ganjakec'i states that the kat'olikos entrusted Vardan with an encyclical which the latter brought back to eastern Armenia for the signatures of the somewhat reluctant bishops, monks, and princes. Presumably Vardan visited most of these dignitaries in person, a journey which would have taken him from Karin/Erzerum to Ani, Kars, Bjni, Amberd, Haghbat, Sanahin, Getik, Hagharcin, Kech'aru, Hawuc' T'arh, Ayrivank' (Geghard), Yovhanhavank', Saghmosavank', Horomos, to Aghbania, to his teacher [29] Vanakan, and to the prince of princes Awak Zak'arean (45). Vardan then sent the signed document back to the kat'oghikos (46).
In 1264/65 a merchant named Shnorhawor took Vardan to see Hulegu-Khan who deeply honored the great scholar (47). Sometime in 1266 Vardan's History was stolen, the work still unfinished. However one and a half years later he was able to retrieve it (48). V ardan spent his last years [30] at Haghbat and Xorhvirap (49). According to Grigor Aknerc'i, he died in 1271/72, the same year as his friend Kirakos (50).
Vardan made use of Kirakos Ganjakec'i's History of Armenia (51). He derived another source of his information [31] from personal acquaintance with the principals of the day. As was mentioned above, the erudite Vardan, praised as "the learned and brilliant vardapet" (52) by his classmate Kirakos was a valued friend both of king Het'um I of Cilicia, and of the kat'oghikos. Kirakos wrote: "He went to the kat'oghikos [Constantine] who rejoiced exceedingly at his sight. The kat'oghikos kept [Vardan] with him for a long time, binding the latter to himself with affection, for he never wanted him to depart" (53). When Vardan took the kat'oghikos' encyclical East for ratification, he visited all the important Church and lay personalities of the period. In addition to his intimacy with prominent Armenians, Vardan was personally acquainted with the Mongol Il-Khan Hulegu (1255-65) and his Christian wife Doquz-Khatun (54). The account [32] of a man enjoying such authority among his own people and their foreign overlords is of exceptional importance (55).
- Vardan Arewelc'i, Hawak'umn patmut'ean Vardanay vardapeti lusabaneal (Compilation of History by Vardapet Vardan Arewelc'i),(l'opera è conosciuta anche con il titolo 'Patmutiwn tiezerakan), Alisan, Venezia, 1862
- Vardan, Arewelti, ca. 1198-1271. The historical compilation of Vardan Arewelci (Washington, D.C.: Dumbarton Oaks Trustees for Harvard University, 1989).
The work is also known under title: Patmutiwn tiezerakan.
- Elishe. History of Vardan and the Armenian War, trans. Robert W. Thomson (Cambridge and London: Harvard University Press, 1982).
Kirakos' name is mentioned in 1265 by his classmate and fellow-historian Vardan Arewelc'i from whom the author requested and received a commentary on the Song of Songs (32).
The Historical Compilation of Vardan Arewelci
Auteur(s) / Author(s:)THOMSON R. W. ;
Résumé / Abstract: Traduction anglaise de l'éd. Alisan (Venise, 1862) de cette Chronique (p. 141-224) intitulée en arménien " Recueil historique ", rédigée peu après 1267.
Vardan est aussi l'auteur de Fables, d'une Géographie, d'une Grammaire, d'un Commentaire de Daniel, du Cantique des Cantiques, des Psaumes
il est mort en 1271.
Aux pages 130-140, l'A. résume la Chronique, qui va de l'AT à l'an 1264.
Revue / Journal Title Dumbarton Oaks Papers
Source / Source 1989, vol. 43, pp. 125-226 (3 p.)
Langue / Language Anglais
Bibliografia
- Robert W. Thomson, The historical compilation of Vardan Arewelcʿi. Dumbarton Oaks Papers 43, 1989, 125-226.
Collegamenti esterni
La seigneurie de Mélitène
La città di Melitene era governata dall'armeno Gabriele, che l'aveva ricevuta da Philaretus Brakhamius. Minacciato dai Danishmendidi, egli chiese aiuto e protezione prima (nel 1100) a Boemondo di Taranto, principe d'Antiochia, poi (nel 1101) a Baldovino di Le Bourg, conte di Edessa, offrendo a quest'ultimo la mano di sua figlia Morfia. Ma la popolazione siriana di Melitene si rivoltò e consegnò la città a Danishmend Ghazi, che fece uccidere Gabriele.
Signore di Melitene
- 1085-1103 : Gabriele di Melitene
Note
Conti titolari di Edessa - non pubblicato
1149-1159 : Joscelin II de Courtenay
1159-1200 : Joscelin III de Courtenay, figlio del precedente
Il re Pietro I di Cipro nel 1365 rileva il titolo di Conte di Edessa (Conte di Rochas, Rohas, Ruchas oppure Roucha, secondo la terminologia allora in uso presso i crisitiani di Terra Santa e di Cipro) a favore di un membro della nobiltà cipriota.
- Giovanni du Morf ( ,+1379 circa), nobile cipriota e consigliere del re Pietro I, ricevette il titolo di Conte di Edessa nell'ottobre 1365 ad Alessandria, dopo la presa della città da parte delle truppe reali.
- Filippo du Morf, suo figlio, fine XIV secolo.
- Maria du Morf ? début XVe s.
- Jacques de Grenier ( ,+1447), inhumé à Sainte-Sophie de Nicosie.
- Morf de Grenier (nato nel1437,+1501) son fils, partisan du roi Jacques II de Chypre. Exilé par Venise de 1474 à 1486.
- Helena de Grenier, ( ,+1503) sa fille, sans postérité.
- Zegno I Synglitico ( ,+1549), noble chypriote appartenant à une famille d'origine grecque. Achète le titre à la République de Venise en 1521.
- Zacho Synglitico (+1563), son fils.
- Zegno II Synglitico (+1570), son fils, meurt en combattant l'invasion turque de 1570.