Le Baccanti

tragedia di Euripide
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Le Baccanti (in greco antico Βάκχαι / Bàkchai), tragedia di Euripide, fu scritta mentre l'autore era alla corte di Archelao, re di Macedonia, tra il 407 ed il 406 a.C. Euripide morì pochi mesi dopo averla completata.

Baccanti
Tragedia greca
William-Adolphe Bouguereau - La giovinezza di Bacco (1884)
AutoreEuripide
Titolo originaleΒάκχαι
Lingua originalegreco antico
AmbientazioneTebe, Grecia
Composto nel407 - 406 a.C.
Prima assoluta403 a.C.[1]
Teatro di Dioniso, Atene
PremiVittoria alle Grandi Dionisie del 403 a.C.
Personaggi
  • Dioniso
  • Penteo, re di Tebe
  • Cadmo, nonno di Penteo
  • Agave, madre di Penteo
  • Tiresia, indovino cieco
  • Guardia
  • Primo messaggero
  • Secondo messaggero
  • Coro di Baccanti

L'opera fu rappresentata ad Atene pochi anni dopo, probabilmente nel 403 a.C.,[1] sotto la direzione del figlio (o nipote) dell'autore, chiamato anch'egli Euripide. Venne messa in scena nell'ambito di una trilogia che comprendeva anche Alcmeone a Corinto (oggi perduta) e Ifigenia in Aulide. Tale trilogia di opere fruttò all'autore una vittoria postuma alle Grandi Dionisie di quell'anno.

La trama

Dioniso, dio del vino, del teatro e del piacere fisico e mentale in genere, era nato dall'unione tra Zeus e Semele, donna mortale. Tuttavia le sorelle della donna ed il nipote Penteo (re di Tebe) per invidia avevano sparso la voce che Dioniso in realtà non era nato da Zeus, ma da una relazione tra Semele ed un uomo qualunque, e che la storia del rapporto con Zeus era solo uno stratagemma per mascherare la "scappatella". In sostanza, quindi, essi negavano la natura divina di Dioniso, considerandolo un comune mortale.

Nel prologo della tragedia, Dioniso afferma di essere sceso tra gli uomini per convincere tutta Tebe di essere un dio e non un uomo. E per far questo, per prima cosa ha indotto un germe di follia in tutte le donne tebane, che sono dunque fuggite sul monte Citerone a celebrare riti in onore di Dioniso (diventando quindi Baccanti, ossia donne che celebrano i riti di Bacco, altro nome di Dioniso).

Questo fatto però non convince Penteo: egli rifiuta strenuamente di riconoscere un dio in Dioniso, e lo considera solo una sorta di demone che ha ideato una trappola per adescare le donne. Invano Cadmo (nonno di Penteo) e Tiresia (indovino cieco) tentano di dissuaderlo e di fargli accogliere Dioniso come un dio. Il re di Tebe fa allora arrestare lo stesso Dioniso (che si lascia catturare volutamente) per imprigionarlo. Il dio però scatena un terremoto che gli permette di liberarsi immediatamente.

Nel frattempo dal monte Citerone giungono notizie inquietanti: le donne che compiono i riti sono in grado di far sgorgare vino, latte e miele dalla roccia, e in un momento di furore dionisiaco si sono avventate su una mandria di mucche, squartandole vive con forza sovrumana. Hanno poi invaso alcuni villaggi, devastando tutto, rapendo bambini e mettendo in fuga la popolazione. Dioniso, parlando con Penteo, riesce allora a convincerlo a mascherarsi da baccante per poter spiare di nascosto quelle donne. Lo induce a travestirsi da donna e ad andare con lui sul Citerone, ma, una volta giunti lì, il dio aizza le baccanti contro Penteo. Esse sradicano l'albero sul quale il re si era nascosto e fanno letteralmente a pezzi Penteo. Non solo, ma la prima ad avventarsi su di lui e a spezzargli un braccio è Agave, la madre stessa di Penteo.

Questi fatti vengono narrati a Cadmo da un messaggero che è tornato a Tebe dopo aver assistito alla scena. Poco dopo arriva anche Agave, ed ha un bastone sulla cui sommità è attaccata la testa di Penteo, che lei, nel suo delirio di baccante, crede essere una testa di leone. Cadmo, sconvolto di fronte a quello spettacolo, riesce pian piano a far rinsavire Agave, che infine si accorge con orrore di ciò che ha fatto. A quel punto riappare Dioniso ex machina, che spiega di aver architettato questo piano per punire chi non credeva nella sua natura divina, e condanna Cadmo e Agave ad essere esiliati in terre lontane. Sull’immagine di Cadmo e Agave che, commossi, si dicono addio, si conclude la vicenda.

Commento

Un'opera religiosa?

Le baccanti è considerata una delle più grandi opere teatrali di tutti i tempi. In apparenza il suo messaggio è un monito a tutti gli uomini ad adorare sempre gli dei e a non mettersi contro di essi, ed in effetti tradizionalmente quest'opera era sempre stata considerata un'opera religiosa, ossia la riscoperta della religione da parte di un autore che per tutta la vita era stato sempre considerato un "laico". Ad un'analisi più attenta però la tragedia rivela forti ambiguità che modificano sensibilmente il messaggio, come bene ha messo in luce la critica degli ultimi decenni.

Innanzitutto Dioniso appare incredibilmente crudele e spietato: fa morire squartato Penteo (che tra l'altro era suo cugino, in quanto figlio di Echione e di Agave, sorella della madre di Dioniso, Semele), ed esilia i parenti di lui (che erano poi parenti del dio stesso), nonostante uno di essi, Cadmo, lo avesse riconosciuto come dio. Tutto questo per pura e semplice vendetta.

Inoltre è da notare come Dioniso, alla fine dei conti, non porti in realtà nulla di buono a Tebe: le virtù che all'inizio dell'opera vengono attribuite al dio (capacità di alleviare le tensioni e le sofferenze degli uomini grazie al vino e ai piaceri fisici e mentali) non vengono affatto mostrate. Il dio inizialmente induce le donne tebane ad andare sul monte, dove compiono azioni e rituali a volte incredibilmente violenti, e in seguito ordina loro di uccidere il loro stesso re (ed è la madre stessa del re la prima ad avventarsi su di lui).

Se Euripide avesse voluto mettere in scena un'opera religiosa, non avrebbe messo così in evidenza gli aspetti più sconcertanti del dionisismo. Molti studiosi ritengono dunque che Euripide volesse in realtà semplicemente rappresentare gli dei come essi appaiono nella mitologia greca: esseri più potenti degli uomini, ma immuni da qualsiasi dubbio di tipo morale, e capaci anche delle più grandi atrocità senza scrupoli o remore. E lo dimostra la vendetta di Dioniso: terribile e senza pietà. Non c'è insomma alcuna glorificazione degli dei, ma solo una sequenza di eventi tremendi.

Quest'opera dunque non rappresenta la riscoperta della religione da parte di Euripide; anzi, il tragediografo verso la fine dell'opera critica esplicitamente il comportamento degli dei: «non è bene che gli dei rivaleggino nell'ira con gli uomini»,[2] dice Cadmo a Dioniso, ma il dio non gli dà alcuna risposta, limitandosi a ribattere che questa è da sempre la volontà di Zeus.

La tragedia insomma si chiude con molti interrogativi e nessuna risposta, mentre una sola cosa svetta con evidenza su tutte: la perfida e sanguinosa vendetta del dio Dioniso.

La fine dell'eroe tragico

Una caratteristica tipica della tragedia greca è che il protagonista viene colpito da grandi disgrazie, ma non perde la propria dignità. Anche personaggi disprezzati da tutti, come Edipo, non vengono mai ridicolizzati. Dioniso invece fa vestire Penteo da donna, e non si fa scrupoli a prenderlo in giro, mettendogli persino a posto i riccioli. In questo modo, per la prima volta un eroe tragico perde la propria dignità e si trasforma in una figura grottesca e quasi comica. Una figura assolutamente sconosciuta alla tragedia classica, che sembra così rinnovarsi verso forme nuove di teatro.

La follia

Un altro importante tema dell'opera è quello della follia, vista sia (in negativo) come delirio pazzo e sanguinario, sia (in positivo) come mezzo per uscire dagli schemi e raggiungere una maggiore consapevolezza di sé:

«Beato chi, protetto dagli dei, conoscendo i misteri divini conduce una vita pura e confonde nel tiaso l'anima, posseduto da Bacco sui monti tra sacre cerimonie»
«Non è sapienza il sapere, l'avere pensieri superiori all'umano. Breve è la vita, chi insegue troppo grandi destini non gode il momento presente. Costumi stolti di uomini dissennati stiano lontani da me»

Tradizione letteraria

I misteri bacchici e le figure delle Baccanti, protagoniste dell'opera, si rifanno a una lunga tradizione letteraria greca, che poi è riverberata durante il Rinascimento italiano e oltre in varie opere, tra cui si possono ricordare l'Orfeo di Poliziano e i Baccanali di Giovanni Pindemonte.

Note

  1. ^ a b È probabile che l'opera sia stata messa in scena per la prima volta in Macedonia (dove era stata scritta da Euripide), ma su questo non abbiamo notizie precise.
  2. ^ Euripide, Baccanti, traduzione di G. Guidorizzi, Ed. Marsilio, v. 1348.

Bibliografia

  • Euripide, Baccanti, a cura di Giulio Guidorizzi, Marsilio, 2003. ISBN 8831765833
  • Euripide, Le baccanti, a cura di Vincenzo Di Benedetto, BUR, 2004. ISBN 8817100250
  • Vincenzo Di Benedetto ed Enrico Medda, La tragedia sulla scena, Einaudi, 2002. ISBN 8806163795
  • Giulio Guidorizzi, Letteratura greca, da Omero al secolo VI d.C., Mondadori, 2002. ISBN 8888242104
  • Francesco Carpanelli, Euripide, UTET, 2005. ISBN 8860080193
  • Autori vari, Studi e materiali per le Baccanti di Euripide. Storia, memorie, spettacoli, a cura di Anna Beltrametti, Ibis, 2007. ISBN 9788871642291

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