Anime

neologismo con cui nel mondo si indica l'animazione giapponese, mentre in Giappone l'animazione in generale
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Anime (アニメ? /ɑnime/ ascolta), dall'abbreviazione di animēshon, adattamento giapponese della parola inglese animation, ovvero "animazione", è il termine con cui in Giappone si indicano le opere d'animazione in genere, mentre in Occidente viene utilizzato per indicare le opere di animazione di produzione specificamente giapponese.


Definizione

In Italia ed in Occidente è sinonimo di "cartone animato giapponese".

Nonostante il luogo comune occidentale che riduce gli anime a prodotto esclusivamente destinato ad un pubblico infantile o, al contrario, a carattere pornografico, in realtà l'animazione giapponese è una forma d'arte espressamente commerciale, di cui esistono produzioni per ogni tipo di pubblico, dai bambini agli adolescenti e agli adulti, fino ad arrivare ad una specializzazione del targeting simile a quella esistente per i fumetti giapponesi (manga), con anime pensati per categorie specifiche quali impiegati, casalinghe, studenti, e via dicendo. Gli anime, pertanto, trattano soggetti ed argomenti molto diversi tra loro: amore, avventura, fantascienza, storie per bambini, romanzi, sport, fantasy, erotismo (vedi hentai) e molto altro.

Essi possono essere prodotti in diversi format: per la televisione come serie, direttamente per il mercato home video come OAV, ovvero ancora per il cinema, come lungometraggi.

Cenni storici

Le origini[1]

Probabilmente il principio della storia dell’animazione giapponese può farsi risalire già al periodo tra la fine XVIII secolo, con la comparsa in Giappone dell’utsushie (il teatro delle ombre), e l’inizio del XIX, quando alcuni pittori presero a riprodurre dettagliatamente sequenze di movimenti, come nel caso delle danze orientali disegnate da Katsushika Hokusai. Tuttavia, i veri pionieri dell’animazione giapponese, colpiti dalle prime opere occidentali arrivate nel Sol Levante, furono il pittore Jun'ichi Kouchi ed i vignettisti Oten Shimokawa e Seitaro Kitayama.

 
Immagine da Saru Kani Gassen (La sfida tra la scimmia e il granchio) di Seitaro Kitayama, 1917

Basandosi su soggetti tradizionali, nel 1914 furono proprio loro ad iniziare a sperimentare, ognuno per conto proprio, delle tecniche di animazione rudimentali come, ad esempio, fotografare in sequenza disegni realizzati col gesso su una lavagna. Nel 1917, quindi, a pochi mesi l'uno dall'altro furono presentati diversi filmati di animazione (senga eiga), frutto della loro fatica. Il primo a partire pare sia stato, nel 1916, Seitaro Kitayama con Saru Kani Gassen, prodotto dalla Nikkatsu, anche se ad essere proiettato per primo fu Imokawa Mukuzo Genkanban no Maki di Oten Shimokawa nel 1917, seguito da Hanawa Hekonai Meito no Maki di Jun'ichi Kouchi, che introdusse per la prima volta l’uso delle sfumature di grigio per le ombre. Del 1918 è invece Momotaro, ancora di Kitayama, proiettato con successo anche in Francia. Certamente da menzionare tra i pionieri anche Sanae Yamamoto, che nel 1925 diresse i cortometraggi Obasuteyama ed Ushiwakamuru, e Noburo Ofuji, autore nel 1927 di Kujira, realizzato con una tecnica innovativa che conferiva maggiore fluidità ai movimenti rispetto al passato, e primo anime ad essere importato e distribuito in Europa. In particolare, Ofuji utilizzò una carta semitrasparente (chiyogami) su cui disegnò le silhouette dei personaggi, con risultati di maggiore suggestione nelle trasparenze e nelle ombre.

 
Immagine da Chikaru to onna no yononaka (Quello che conta al mondo sono la forza e le donne) di Kenzo Masaoka, 1932

Nel 1932 vide quindi la luce la prima produzione con il sonoro parlato, Chikara to onna no yononaka di Kenzo Masaoka, che tuttavia non reggeva ancora il confronto con le coeve produzioni americane. Proprio negli anni trenta, tuttavia, la politica espansionistica e nazionalista del Governo giapponese prese ad imporre uno stretto controllo sull’industria cinematografica e, conseguentemente, anche la produzione di animazione, caratterizzata da una cronica carenza di fondi, venne incoraggiata soprattutto come strumento di propaganda e valorizzazione della cultura nipponica. E così il primo lungometraggio animato giapponese, Momotaro Umi no Shinpei di Mitsuyo Seo venne prodotto nel 1943 con fondi della Marina Militare[2] per raccontare la storia patriottica di Momotaro, che con il suo esercito di animali antropomorfi pone sotto assedio e conquista una base navale nemica in Nuova Guinea. Complessivamente, tra il 1917 ed il 1945 furono realizzati almeno 400 filmati d'animazione, dei quali, tra terremoti, bombardamenti e censura governativa, è rimasto ben poco[3].

Il dopoguerra

Finita la seconda guerra mondiale, la situazione dell’animazione giapponese mutò radicalmente, nel senso che la grave crisi economica conseguente rese molto difficile l’impegno di risorse nel settore. Ci vollero diversi anni perché l’attività riprendesse in modo costante, e la produzione che segnò l’inizio vero e proprio della «nuova era dell’animazione nipponica»[4] fu anche il primo lungometraggio animato a colori ed il primo della neonata Toei Doga: si tratta di Hakujaden di Taiji Yabushita (co-fondatore della Toei insieme a Sanae Yamamoto), realizzato nel 1958 e distribuito anche in Occidente (in Italia con il titolo "La leggenda del serpente bianco"). Ad esso seguirono numerosi altri lungometraggi, quasi tutti prodotti dalla Toei, tra i quali Shonen Sarutobi Sasuke del 1959, Saiyuki di Osamu Tezuka del 1960, Anju to Zushiomaru dello stesso anno, e Sindbad no boken del 1962, anch’essi distribuiti in Occidente[5].

Manga e televisione: nasce l’industria dell’anime

Tuttavia, l’industria dell’anime come la conosciamo oggi deve senza dubbio la sua esistenza e la sua fortuna a due fattori essenziali: da un lato l’esistenza risalente in Giappone di un mercato dei fumetti (manga) estremamente fiorente e dinamico, dall’altro l’avvento della televisione negli anni sessanta. Il 1° gennaio 1963, giorno della messa in onda del primo episodio della serie televisiva in bianco e nero Tetsuwan Atom (Astro Boy) di Osamu Tezuka, può, pertanto, essere senz’altro considerata la data di nascita dell’industria moderna del cartone animato giapponese[6]: prodotta dalla Mushi, fondata dallo stesso Tezuka, e tratta dal suo omonimo manga, essa riscontrerà un grande successo anche all’estero, e conterà alla fine ben 193 episodi, l’ultimo dei quali trasmesso in Giappone alla fine del 1966. Primo anime televisivo, Tetsuwan Atom è, assieme al coevo Tetsujin 28-Go di Yokoyama Mitsuteru, anche il primo anime robotico, capostipite di un filone certamente tra i più rappresentativi dell’animazione giapponese[7], che conoscerà il suo apice negli anni settanta con le saghe dei super robot di Go Nagai ed il realismo inaugurato da Yoshiyuki Tomino. Ulteriore e definitivo impulso alla neonata industria dell’animazione del Sol Levante venne poi ancora da Osamu Tezuka, che nel 1965 realizzò anche la prima serie televisiva a colori, Jungle taitei (Kimba il leone bianco), basata su un altro suo manga, e dalla quale due anni dopo trasse lo splendido lungometraggio omonimo (arrivato in Italia con il titolo Leo il re della giungla), vincitore del Leone d’oro alla XIX Mostra del Cinema per Ragazzi di Venezia[8].

Anime boom

Dalla metà degli anni sessanta in poi la scena dell’animazione giapponese conosce una crescita continua, gli studi di produzione si moltiplicano, si affinano sempre più le tecniche e le televisioni private, così come la televisione di Stato NHK aumentano progressivamente la loro domanda di serie animate, tanto che fino agli anni ottanta si parlerà di vero e proprio anime boom[9]. Nell’arco di oltre un trentennio, poi, la produzione, per venire incontro alle richieste di un pubblico sempre più vasto e variegato, si articolerà in una molteplicità di generi e sottogeneri, del tutto sconosciuta nel mondo dell’animazione televisiva occidentale, e ciò sia prelevando a piene mani dall’enorme serbatoio creativo dei manga, sia grazie all’emergere di autori originali che ne segneranno la storia, quali tra gli altri Hayao Miyazaki, Mamoru Oshii e Katsuhiro Otomo, fino ad autori affermatisi più di recente come Hideaki Anno e Satoshi Kon. Dal dopoguerra al 1995 si stimava fossero state prodotte, tra serie TV, OAV e lungometraggi, complessivamente circa 3.000 opere ufficiali[10], di cui, al 1990, ben 350 importate in Italia[11].

Industria e mercato attuali

A partire dagli anni ottanta, anche grazie alla nascita del mercato home video, quello degli anime è quindi diventato un fenomeno internazionale, con un export in costante crescita, tanto che nel 2004 il 60% circa dell'animazione in circolazione in tutto il mondo era di produzione giapponese. L'industria degli anime, il cui mercato annuale vale intorno ai 200 miliardi di yen (oltre 1 miliardo e mezzo di euro), conta oggi circa 430 case di produzione in Giappone, di cui più della metà (264) ha sede nei quartieri centrali di Tokyo, con un indotto rilevantissimo (si pensi ad esempio al doppiaggio degli anime, per il quale esistono attori professionisti specializzati noti come seiyū, ovvero alla musica creata appositamente per essi). Il costo di produzione di un episodio di 30 minuti per la TV si aggira mediamente attorno ai dieci milioni di yen (circa 80.000 euro) ma può scendere fino a cinque.[12]

La Japan External Trade Organization nel 2004 JETRO White Paper on International and Trade and Foreign Direct Investment indica l'industria dei contenuti, e l'animazione in particolare, quale rilevante fenomeno produttivo e come una «importante risorsa culturale e turistica»[13] cruciale per la promozione dell'immagine del Giappone nel mondo (soft power) in vista della auspicata creazione, sotto la sua guida, di un'area di libero scambio in Estremo Oriente.

Autori principali

autore classe attività
Anno, Hideaki 1960 Autore di anime come Punta al Top! Gunbuster, Il mistero della pietra azzurra, Neon Genesis Evangelion e regista di Le situazioni di Lui e Lei. È stato uno dei fondatori dello studio GAINAX, dove ha prodotto le sue opere e ha collaborato in altre; negli ultimi anni si è dedicato alla regia cinematografica con i film Love & Pop e Cutie Honey.
Ikuhara, Kunihiko 1964 Personaggio emblematico e di culto, partito come semplice animatore nello studio GAINAX, per poi fare carriera nello stesso ed infine uscirne ed arrivare a dirigere importanti anime come Sailor Moon (terza e quarta serie) e La rivoluzione di Utena. Membro fondatore del gruppo di artisti Be-Papas.
Kon, Satoshi 1963 Autore contemporaneo molto apprezzato in patria come all'estero per le sue opere (fumetti, serie TV e film) di grande contenuto psicologico e sociologico. Sono suoi i lungometraggi, ormai noti in tutto il mondo, Perfect Blue, Millennium Actress, Tokyo Godfathers e Paprika, e la serie breve Paranoia Agent.
Matsumoto, Leiji 1938 Prolifico autore dell'universo di Capitan Harlock, nel quale sono state ambientate molte altre serie, e della saga della Corazzata Spaziale Yamato.
Miyazaki, Hayao 1941 Celebrato autore, regista e produttore di anime, tra cui il lungometraggio Principessa Mononoke e la prima serie di Lupin III, e noto in Italia soprattutto per le famose serie televisive Heidi e Conan, il ragazzo del futuro. È autore del manga ecologista Nausicaä della Valle del Vento e regista dell'anime omonimo. Tra i fondatori dello Studio Ghibli, grazie a lui l'anime ha superato molti dei pregiudizi e delle etichette negative attribuitegli al di fuori della sua terra d'origine. I suoi lavori sono caratterizzati, oltre che da una grande cura tecnica ed estetica, da profonde riflessioni sulla natura umana, sulla contrapposizione tra la guerra e la pace e tra l'uomo e la natura, spesso calate in una dimensione fantastica, onirica o semplicemente insolita. Oscar 2002 per La città incantata e Leone d'oro alla carriera alla 61a Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 2005 con Il castello errante di Howl. Viene spesso soprannominato "il dio degli anime".
Nagai, Go 1945 La sua importanza negli anime può essere paragonata a quella di Jack Kirby nel fumetto. Nagai è stato il precursore di molti generi, tra cui quello robotico, e il suo stile è stato largamente imitato dai produttori per anni. Si dice sia anche l'autore del primo anime hentai.
Oshii, Mamoru 1951 Autore e regista di lungometraggi complessi e maturi come Ghost in the Shell, Innocence, Tenshi no Tamago, Avalon e la grande saga di Patlabor insieme al gruppo Headgear, ma anche di opere più leggere quali i due film di Lamù Only You e Beautiful Dreamer.
Otomo, Katsuhiro 1954 Autore e regista del mastodontico Akira e del più recente Steamboy (presente come film di chiusura alla 61a Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia), malgrado abbia realizzato in fondo non molte opere, ha esercitato ed esercita una enorme influenza stilistica e tematica nel mondo dell'animazione giapponese.
Satō, Jun'ichi 1960 Fra i più importanti registi e soggettisti per i generi brillanti, dalla commedia al demenziale, dagli anni novanta ad oggi ha diretto importanti anime (e successi commerciali) come Sailor Moon (prima e seconda serie), Princess Tutu e Keroro, lavorando spesso in coppia con la disegnatrice Ikuko Ito.
Tezuka, Osamu 1928 Considerato unanimemente "il primo mangaka" (fumettista, in giapponese), autore di fumetti di altissimo prestigio internazionale, è stato anche il primo autore di anime televisivi. Tra le sue opere, oltre ai già citati Astro Boy e Kimba, il leone bianco, La storia dei tre Adolf e Black Jack. Per essere stato il primo disegnatore di manga in senso moderno, è stato definito "il dio dei manga".
Tomino, Yoshiyuki 1941 L'autore, tra l'altro, della prima serie di Gundam (Mobile Suit Gundam), che introdusse il concetto del cosiddetto real robot nel genere robotico. Questa serie diede origine ad una fortunatissima saga che continua ancora oggi, e la sua influenza nel panorama anime è paragonabile a quella delle produzioni nagaiane.
Watanabe, Shin'ichirō 1965 Soprannominato "Guru della Sunrise", ha diretto uno degli anime più importanti degli anni novanta, Cowboy BeBop.
Watanabe, Shinichi 1946 Noto soprattutto come regista di Excel Saga e Puni Puni Poemi

Principali studi di animazione giapponesi

studio fondazione
Aniplex 1997
Bee Train 1997
Bones 1998
GAINAX 1981
GONZO 1992
J.C.STAFF 1986
Kyoto Animation 1981
Madhouse 1972
Nippon Animation 1975
Production I.G 1987
Studio Ghibli 1985
Studio Pierrot 1979
Sunrise 1972
Tatsunoko 1962
Toei Animation 1956
Tokyo Movie Shinsha 1964

Generi e sottogeneri

Gli anime, come detto, vengono catalogati in numerosi generi e sottogeneri, a seconda delle tematiche trattate e del pubblico cui sono destinati:

  • Shōjo - per ragazze dai dieci anni fino alla maggiore età;
    • Mahō shōjo - in cui le protagoniste sono ragazze con poteri magici;
    • Shōnen'ai - per adolescenti a sfondo omosessuale;
    • Shōjo-ai - in cui le ragazze hanno relazioni tra di loro;
  • Shōnen - per ragazzi dai dieci anni fino alla maggiore età;
  • Seinen - con tematiche complesse per giovani dai 18 ai 30 anni di età;
  • Mecha - i cui protagonisti sono piloti di robot (generalmente da combattimento);
  • Hentai - con rappresentazioni sessuali, o pornografiche esplicite;

Gli anime in Italia

Cenni storici

I primi anime a sbarcare nel Bel Paese sono stati alcuni lungometraggi distribuiti nei cinema italiani tra il 1959 ed il 1975, tra i quali, oltre ai già citati Hakujaden, Saiyuki e Jungle taitei, Andersen monogatari del 1968, tradotto in "Le meravigliose favole di Andersen", e Nagagutsu o haita neko del 1969, da noi noto con il titolo "Il gatto con gli stivali". Tuttavia la vera svolta nella diffusione degli anime in Italia si è avuta nella seconda metà degli anni settanta, con l'importazione di serie televisive da parte, inizialmente, della televisione di Stato. Martedì 4 maggio 1976 la Rete 1 (oggi Raiuno) diede infatti il via alla messa in onda di Vickie il vichingo (Chiisana Viking Vikke), il primo cartone animato giapponese trasmesso in Italia, seguito nel 1978 da Heidi (Alps no shōjo Heidi) e Atlas UFO Robot (UFO Robot Grendizer)[14].

L'Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad importare anime, e soprattutto tra la fine degli anni anni settanta e l'inizio degli anni ottanta furono oltre un centinaio le serie arrivate nel nostro paese (probabilmente come in nessun altro), sia grazie alla televisione di Stato, sia grazie alle emittenti private liberalizzate nel 1976 (in maggior misura le reti che poi sarebbero diventate Fininvest, ma anche altre realtà prettamente locali).

A partire però dalla metà degli anni ottanta la RAI iniziò ad importare sempre meno serie, i costi per le reti locali diventarono sempre più proibitivi e restò, per oltre un decennio, praticamente solo il gruppo Fininvest a proporre novità: per lo più erano serie dedicate a target di età più bassa (ma ciò non impediva manomissioni e censure) o serie prevalentemente shōjo. I pochi shōnen venivano dirottati sulle reti locali associate al gruppo (Italia 7, Odeon TV).

Molte reti locali continuarono invece per anni a trasmettere repliche delle serie acquistate precedentemente. Le sempre più elevate spese per l'acquisizione dei diritti ed i costi di doppiaggio imponevano infatti tabelle di marcia rallentate per l'edizione italiana delle nuove opere. Ciò ha determinato un grosso ritardo per quanto riguarda la distribuzione degli anime in Italia (tanto nel mercato televisivo quanto su DVD o VHS), colmato soltanto in parte dalla metà degli anni novanta in poi grazie alla crescita del genere nel mercato home video, da taluni definita il «Second Impact» dell'animazione giapponese in Italia[15].

Negli ultimi anni Internet è diventato un nuovo canale distributivo per gli anime, sia per iniziativa delle stesse case di produzione, che sempre più di frequente rilasciano le opere inizialmente come ONA per Web TV, sia ad opera di privati che le diffondono però in modo illecito. Nell'ultimo caso si possono distinguere due tipologie: l'immissione in rete di copie di prodotti già rilasciati in Italia, ovvero di copie di prodotti inediti nel mercato italiano sottotitolati da gruppi amatoriali, cosiddetti fansub. In quest'ultimo caso i gruppi in genere si impegnano a sospendere la distribuzione quando i diritti per quel preciso titolo vengono acquistati in patria e a non trarre lucro dall'attività, che rimane comunque illecita per la violazione del diritto d'autore.

La vexata quaestio della censura

  Lo stesso argomento in dettaglio: Censura negli anime.

In Italia, a partire dalla metà degli anni ottanta, l'animazione giapponese ha però subito nei passaggi televisivi sulle reti nazionali (RAI e soprattutto Fininvest/Mediaset) una censura sistematica, operata attraverso adattamenti inadeguati, traduzioni superficiali dei copioni originali, giunti talvolta incompleti, tagli e modifiche arbitrarie[16]. A causa di un equivoco culturale di fondo, che in Italia vuole l'animazione rivolta sempre e solo ai bambini, molti anime destinati originariamente ad adulti o adolescenti sono stati infatti adattati forzatamente ad una fascia di età infantile[17]. Il cambiamento di target ha così comportato una revisione, se non talvolta la riscrittura dei dialoghi, per edulcorarli o renderli fruibili da un pubblico molto più giovane, ed il taglio di sequenze o, più raramente, di intere puntate, ritenute non adatte ad una platea infantile. Anche per questo il Movimento italiano genitori, un'associazione di genitori di orientamento conservatore che rappresenta al 2007 un genitore su 700[18], ha spesso attaccato alcuni anime rei di presentare contenuti ritenuti inadatti ai bambini, facendo del tema una bandiera della propria azione pedagogica. I cultori dell'animazione nipponica si sono a loro volta organizzati in associazioni quali l'ADAM Italia, con l'obiettivo di tutelare l'integrità delle opere e restituirle al pubblico per cui erano state pensate originariamente.

In Giappone, come detto, l'animazione è considerata, al pari della cinematografia, una forma d'espressione artistica che può veicolare messaggi d'ogni genere e tipo, destinati a fasce d'età differenziate: esistono, dunque, anime per bambini, anime per adolescenti ed anime per adulti[19], riproducendo nei fatti la forte specializzazione editoriale delle testate esistente nel parallelo mercato dei manga.

A partire dal 2000, tuttavia, reti come MTV Italia e, più raramente, La 7 hanno iniziato a trasmettere in fasce orarie appropriate animazione giapponese in versione sostanzialmente identica all'edizione proposta per il mercato home video dai distributori italiani, primariamente Dynit, Shin Vision e Panini, e quindi del tutto priva di censure[20]. Soprattutto la scelta editoriale di MTV, inaugurata con la programmazione della prima Anime Week nella notte tra il 12 ed il 13 dicembre 2000, ha contribuito notevolmente al citato Second Impact dell'animazione nipponica, favorendo l'espansione del mercato e l'importazione di serie studiate in particolar modo per il suo pubblico di riferimento, vale a dire la fascia di età degli over 14. Le sinergie messe in campo con i citati editori di home video hanno, poi, consentito apprezzabili risparmi sull'acquisto dei diritti ed una qualità media degli adattamenti molto elevata[21].

Impatto culturale

L'animazione giapponese ha avuto un significativo impatto sulla cultura dei giovani italiani nati dalla fine degli anni sessanta in avanti, la cui infanzia è stata caratterizzata dalle serie di animazione giapponesi. In particolare, per la prima generazione di spettatori di anime, quella degli anni settanta, i personaggi delle serie giapponesi dell'epoca sono diventati un topos letterario, nonché un elemento di identificazione generazionale, permeando la cultura popolare anche a livello di massa (si pensi ad esempio ai numerosi riferimenti all'animazione giapponese contenuti nei brani di Caparezza, o a gruppi come i Meganoidi). Su Internet ciò ha dato luogo a punti di ritrovo virtuale molto partecipati, come il newsgroup it.arti.cartoni, mentre si moltiplicano testi e saggi, spesso scritti proprio da ricercatori e studiosi di quella generazione, che trattano di anime e manga riscoprendoli e rivalutandoli come fenomeno culturale e sociologico[22].

A tanto ha contribuito anche un fenomeno prettamente italiano, quello delle sigle televisive degli anime: ritenendo gli originali cantati in giapponese inadatti ai bambini italiani, sin dalla fine degli anni settanta essi vennero molto spesso sostituiti da brani appositamente realizzati in lingua italiana, spesso scritti da musicisti come Vince Tempera o I cavalieri del re. Successivamente, le sigle dei cartoni animati divennero un fenomeno discografico di rilievo, particolarmente tramite l'attività di Cristina D'Avena a cui la Fininvest/Mediaset ha affidato quasi tutte le sigle degli anime trasmessi a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, spesso anche sostituendo le vecchie sigle italiane con delle nuove.

A partire dalla seconda metà degli anni novanta, si è sviluppato un rilevante fenomeno di revival di questo genere di brani, prima on line, tramite il Progetto Prometeo, e poi anche in televisione ed in radio; si sono inoltre affermati gruppi musicali specializzati nel riproporre o parodiare questi brani, come gli Amici di Roland e i Gem Boy.

Note

  1. ^ cfr. Francesco Prandoni. Anime al cinema - Storia del cinema di animazione giapponese 1917-1995. Yamato Video, 1999, pp. 3 e segg.; Andrea Baricordi et al. Anime: a guide to japanese animation (1958-1988). Protocolture, 2000, pp. 11 e segg.
  2. ^ cfr. Luca Raffaelli. Le anime disegnate: il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi e oltre. 2005, Minimum Fax, p. 194.
  3. ^ cfr. Francesco Prandoni, op. cit., p. 2.
  4. ^ Luca Raffaelli, ibidem.
  5. ^ cfr. Marco Pellitteri. Mazinga Nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation. King|Saggi, 2002, p. 136.
  6. ^ cfr. Luca Raffaelli, op. cit., p. 193 e segg.
  7. ^ cfr. Marco Pellitteri, op. cit., p. 137.
  8. ^ cfr. Marco Pellitteri, ibidem.
  9. ^ cfr. Marco Pellitteri, ibidem.
  10. ^ cfr. Francesco Prandoni, ibidem.
  11. ^ cfr. Marco Pellitteri, ibidem.
  12. ^ JETRO, Japan Animation Industry Trends in "Japan Economic Monthly", giugno 2005, PDF disponibile su [1].
  13. ^ 2004 JETRO White Paper on International Trade and Foreign Direct Investment, PDF disponibile su [2] (p. 35).
  14. ^ cfr. Marco Pellitteri, op. cit., pp. 256 e segg.
  15. ^ Eleonora Benecchi. Anime, cartoni con l'anima. Hybris, 2005, pp. 60 e segg.
  16. ^ cfr. Marco Pellitteri, op. cit., pp. 270 e segg.
  17. ^ cfr. Eleonora Benecchi, op. cit., pp. 101 e segg.; Marco Pellitteri, op. cit., p. 275.
  18. ^ cfr. la voce Moige.
  19. ^ cfr. Eleonora Benecchi, op. cit., p. 102.
  20. ^ cfr. Eleonora Benecchi, op. cit., pp. 203 e segg.; Luca Raffaelli, op. cit., p. 265.
  21. ^ cfr. Eleonora Benecchi, op. cit., pp. 188 e segg.
  22. ^ cfr. Luca Raffaelli, op. cit., p. 266.

Bibliografia

  • Andrea Baricordi et al. (prefazione di Go Nagai). Anime: guida al cinema di animazione giapponese. Granata press, 1991, pp. 319, ISBN 88-7248-014-0; ristampato in inglese con il titolo Anime: a guide to japanese animation (1958-1988). Protocolture, 2000, pp. 311, ISBN 2-9805759-0-9.
  • Francesco Prandoni. Anime al cinema - Storia del cinema di animazione giapponese 1917-1995. Yamato Video, 1999, pp. 160.
  • Eleonora Benecchi. Anime, cartoni con l'anima. Hybris, 2005, pp. 239, ISBN 88-8372-261-2.
  • Arianna Mognato. Super Robot Anime - Eroi e robot da Mazinga Z a Evangelion. Yamato Video, 1999, pp. 128.
  • Marco Pellitteri. Mazinga Nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation. King|Saggi, 2002, pp. 521, ISBN 88-886-7801-8 (II ed., I ed. Castelvecchi, 1999).
  • Luca Raffaelli. Le anime disegnate: il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi e oltre. Minimum Fax, 2005, pp. 273, ISBN 88-7521-067-5 (II ed., I ed. 1995).
  • Davide Tarò, Andrea Fontana. ANIME - Storia dell’animazione giapponese 1984-2007. Edizioni Il Foglio Letterario, 2007, pp. 230, ISBN 88-7606–160-8.

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