Basso profondo
Nell'opera lirica, il basso profondo è un basso dotato di una voce dal timbro particolarmente scuro, la cui vocalità si estende nella regione più grave del pentagramma.

I confini tradizionali del basso sono compresi nelle due ottave di Fa (da Fa grave a Fa acuto); il basso profondo, che mantiene lo stesso valore verso l'acuto, deve poter scendere anche fino al Do grave.
Il basso profondo nell'opera lirica
La voce di basso nasce profonda. Se consideriamo L'Orfeo di Claudio Monteverdi (1607), il personaggio di Caronte richiede una voce tale da poter toccare il Re grave. Sempre Monteverdi, ne L'incoronazione di Poppea (1642) assegna al personaggio di Seneca nientemeno che il Do grave[1]. Le piccole dimensioni delle sale in cui venivano eseguite queste opere (per lo più nei palazzi e nelle corti della nobiltà dell'epoca) ed il limitato organico orchestrale, favorivano la resa acustica di note così basse le quali, necessariamente, costringono il cantante ad un volume sonoro ridotto rispetto a note più alte.
In seguito tuttavia, col nascere dei teatri d'opera e con l'aumentare il volume delle orchestre, divenne necessario assegnare alla voce di basso note gravi ma più sonore. Salvo rare eccezioni, almeno per i solisti tali incursioni nel registro profondissimo furono dunque abbandonate.
Nel Settecento si definisce l'estensione canonica del basso: da Fa grave a Fa acuto. Definiti i confini, arrivano le eccezioni. Wolfgang Amadeus Mozart, all'inizio della sua carriera, conobbe un cantante dotato d'una eccezionale estensione vocale: Johann Ignaz Ludwig Fischer, capace di "coprire" dal Do grave al La acuto. Per lui scrisse ruoli "su misura", come quello di Osmin, nell'opera Die Entführung aus dem Serail (1782), dove il cantante indugia sovente sotto il rigo del pentagramma, fino a "tenere" lungamente un Re grave. A tal proposito si ascolti l'aria "Oh, wie will ich triumphieren!", magari nell'interpretazione del basso Josef Greindl, che ci ha lasciato una valida esecuzione di questa parte, incidendola, nel 1954, col maestro Ferenc Fricsay.
Nel Die Zauberflöte (1791), Mozart creò quello che forse è considerato il ruolo favorito dai bassi profondi: Sarastro. Pur non scendendo mai sotto il tradizionale Fa grave, Sarastro merita pienamente l'appellativo di profondo. È la tessitura, cioè l'alveo di pentagramma nel quale la voce insiste con maggior frequenza, a stabilire la nobile gravità di questa importante parte. Si consiglia l'ascolto di brani come "O Isis und Osiris" e "In diesen heil'gen Hallen", specialmente nell'interpretazione del basso Martti Talvela, insuperato Sarastro, come testimonia l'incisione effettuata nel 1969 col maestro Sir Georg Solti.
Nel 1867 Giuseppe Verdi compone il Don Carlo, opera nella quale troviamo ben tre bassi importanti: il misterioso frate (Carlo V), re Filippo II e l'inquietante Grande Inquisitore, che appare in un celebre duetto col re e, fugacemente, nel finale d'opera. Pur nella sua brevità, quello del Grande Inquisitore è un ruolo molto impegnativo. Nel duetto con Filippo II, deve risultare più scuro, più sinistro e più ieratico del pur crudele re: in altre parole un autentico basso profondo. Verdi prevede che, durante questo duetto, il vecchio frate possa toccare - la nota è facoltativa - un rotondo Mi grave. In realtà, nella discografia lirica questa parte è stata oggetto di interpretazioni assai diverse tra loro, non sempre fedeli alla sua tipologia vocale: è il caso di quella del basso-baritono Ruggero Raimondi, un cantante dalla voce troppo chiara per questo specifico ruolo. Tra i migliori interpreti dobbiamo segnalare almeno i bassi Giulio Neri, Jerome Hines, Martti Talvela e Ivo Vinco; quest'ultimo - a detta del critico musicale Davide Annachini[senza fonte] - benché non sia un basso profondo "puro", sa coniugare meglio di altri la necessaria cavernosità dell'Inquisitore con la giusta cantabilità. Vinco ha inciso questo duetto assieme al basso Boris Christoff (Filippo II), nell'edizione del Don Carlo diretta dal maestro Gabriele Santini nel 1961.
A conclusione di questo excursus, vale la pena menzionare Richard Strauss: nel 1911 compone Der Rosenkavalier, opera che annovera tra le varie parti quella dell'istrionico Barone Ochs. Tre secoli dopo L'Orfeo di Monteverdi, il basso torna ad esplorare la regione estrema del pentagramma. Il compositore gli assegna infatti sia il Re che il Do gravi, inserendolo, a pieno titolo, nell'alveo dei bassi profondi.
Le note gravi: tra mistico e demoniaco
Qual è il significato, non solo drammaturgico, delle note gravi?
Usque ab initio, cioè con Monteverdi, le note gravi erano destinate a personaggi letteralmente "sepolcrali", quali Caronte o Plutone, che vivevano negli Inferi. Quasi a voler significare che più un personaggio - mitologico, in quel caso - appartiene alla sfera dell'Averno, più la sua voce deve sottolineare questo status profundus.
Ancora Monteverdi, ne L'incoronazione di Poppea, crea un nuovo precedente: Seneca - figura non più demoniaca, bensì illuminata - il quale sottolinea la sua nobile indole, che lo spingerà all'estremo sacrificio, con una voce e delle note realmente profonde, fino al guà citato Do grave.
Seneca e Caronte diventano quindi, da li in poi, le due linee guida della voce di basso profondo: mistico e demoniaco.
Col tempo e, soprattutto, col mutare dei soggetti drammaturgici a cui le opere si ispiravano, le gravi sono diventate simbolo di austerità, di autorevolezza, di solennità, ma anche di mistero o, addirittura, diventarono simbolo di una sorta di minaccia incombente.
Se sono austeri, quanto nobili, i numerosi Fa gravi di Sarastro (Die Zauberflöte), non v'è dubbio che si possa individuare anche un altro significato, forse più occulto. Com'è noto, il Die Zauberflöte di Mozart è un'opera imbevuta di simboligia massonica; partendo da questo dato oggettivo, si può comprendere una certa critica musicale che ha voluto individuare, proprio in quelle note gravi del sacerdote Sarastro, una sorta di «sonda scagliata nell'ignoto», un suono che sublima sé stesso per raggiungere sfere dell'animo umano altrimenti chiuse allo sguardo ed alla conoscenza.
Con Verdi, il concetto di basso era assai più definito rispetto al tempo di Mozart, quindi il compositore roncolese godette d'una maggiore libertà d'azione. Ecco che le gravi arrivano a sancire anche la statura morale - e caratteriale - dei suoi personaggi. Ad esempio, nel già citato Don carlo, nello spazio di solo tre semitoni, Verdi ci dice come - tra i bassi - sia possibile distinguere i "buoni" dai "cattivi". Il più inquietante e spietato è certamente il Grande Inquisitore, che tocca il Mi grave, a livello intermedio c'è re Filippo II, certamente crudele ma, al tempo stesso, vittima della sua posizione di enorme potere, il quale si sposta di un semitono sopra, cioè sul Fa grave. Infine, il vecchio e misterioso frate (Carlo V), il quale ha espiato gli errori del suo passato, e che Verdi - in qualche misura - "assolve", fermando la sua discesa verso il profondo al Fa diesis grave.
Questo voler individuare nelle gravi ora una componente mistica, ora una componente diabolica, è sempre stata una caratteristica - solo apparentemente ambigua - che ha fornito ai compositori un'ampio spazio di manovra. Se è vero che sacerdoti, vecchi padri, monarchi o papi hanno - in linea di massima - una voce profonda, è altrettanto vero che anche il diavolo, almeno nelle più celebri opere dedicate al mito del dottor Faust, ha una voce grave; magari non da vero profondo, ma certamente da basso. La stessa intenzione la troviamo in un personaggio come Sparafucile (Rigoletto), la cui voce cavernosa diventa simbolo non già di "sovrannaturalità demoniaca" - benché Rigoletto, per due volte, lo definisca «demonio!» - quanto piuttosto del "mestiere demoniaco" con cui il sicario prezzolato si guadagna da vivere. Lo stesso Sparafucile, nell'ultimo atto dell'opera, scende ancora nel profondo, augurando a Rigoletto una "buonanotte" che sappiamo essere tragicamente ironica, vibrante della cupa maledizione che incombe inesorabile sullo sventurato giullare.
Quest'alternanza delle gravi mistiche e diaboliche, ha avuto un illustre prevedente nel '700, con La serva padrona di Pergolesi. Il protagonista, Uberto, che certo non è un basso profondo, quanto piuttosto un buffo, deve, tuttavia, toccare note che sono proprire del profondo: il Mi ed il Mi bemolle gravi. Questo avviene nel corso dell'aria "Son imbrogliato io già". Uberto riflette sull'opportunità di cedere alle impertinenti lusinghe della sua giovane cameriera Serpina, e quindi sposarla, ma, come ci dice lui stesso, subentra "qualcun'altro" («Sent'un che poi mi dice...»), una misteriosa voce che tenta di dissuaderlo dicendogli «Uberto, pensa a te!». Non ci è dato sapere se questo suggerimento sia l'istigazione d'uno spirito infernale o, più semplicemente, sia l'affiorare dell'egoismo del vecchio zitello. Ciò nondimeno, il buffo Uberto, proprio in quella frase che sgorga dal "profondo", deve scendere alle due note gravi sopra indicate.
Alcune parti da basso profondo
- Caronte, ne L'Orfeo di Monteverdi (1607)
- Il Tempo e Nettuno, ne Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi (1640)
- Seneca, ne L'incoronazione di Poppea di Monteverdi (1642)
- Herr von Bär, nel Der Rauchfangkehrer di Salieri (1781)
- Osmin, nel Die Entführung aus dem Serail di Mozart (1782)
- Il Commendatore, nel Don Giovanni di Mozart (1787)[2]
- Sarastro, nel Die Zauberflöte di Mozart (1791)
- Cardinale Brogni, ne La Juive di Halévy (1835)
- Marcel, ne Les Huguenots di Meyerbeer (1836)
- Baldassarre, ne La favorita di Donizetti (1840)
- Fafner e Hagen, nel Der Ring des Nibelungen di Wagner (1848-1874)
- Sparafucile, nel Rigoletto di Verdi (1851)
- Jacopo Fiesco, nel Simon Boccanegra di Verdi (1857)
- Padre Guardiano, ne La forza del destino di Verdi (1862)
- Il Grande Inquisitore, nel Don Carlo di Verdi (1867)
- Titurel e Gurnemanz, nel Parsifal di Wagner (1877-1882)
- Il barone Ochs di Lerchenau, nel Der Rosenkavalier di Strauss (1911)
- Papa Pio IV e Cardinale Christoph Madruscht, nel Palestrina di Pfitzner (1917)
- Il quarto tentatore, nell'Assassinio nella cattedrale di Pizzatti (1958)
Celebri bassi profondi
- Johann Ignaz Ludwig Fischer (1745-1825)
- Luigi Lablache (1794-1858)
- Pietro Vialetti (1819-?)
- Wilhelm Hesch (1860-1908)
- Juste Nivette (1865-?)
- José Mardones (1868-1932)
- Mansueto Gaudio (1873-1941)
- Malcom McEachern (1883-1945)
- Nazareno De Angelis (1881-1962)
- Alexander Kipnis (1891-1978)
- Tancredi Pasero (1893-1983)
- Maksim Mikhailov (1893-1971)
- Dezsõ Ernster (1898-1981)
- Norman Cordon (1904-1964)
- Henri Medus (1904-1985)
- Gottlob Frick (1906-1994)
- Kurt Böhme (1908-1989)
- Luciano Neroni (1909-1951)
- Giulio Neri (1909-1958)
- Josef Greindl (1912-1993)
- Michael Langdon (1920-1991)
- Arnold Van Mill (1921-1996)
- Jerome Hines (1921-2003)
- Cesare Siepi (1923-vivente) - Audio: Estratto dall'aria "Seigneur, rempart et soul soutien"
- Giorgio Tadeo (1929–2008)
- John Macurdy (1929-vivente)
- Karl Ridderbush (1930-1997)
- Manfred Schenk (1930-1999)
- Martti Talvela (1935-1989)
- Kurt Moll (1938-vivente)
- Aage Haugland (1944-2000)
- Matti Salminen (1945-vivente)
- Jaakko Ryhänen (1946-vivente)
- Kurt Rydl (1947-vivente)
- Jan-Hendrik Rootering (1950-vivente)
- Paata Burchuladze (1955-vivente)
- Valerian Ruminski (1967-vivente)
- Alexander Anisimov (vivente)
- Eric Halfvarson (vivente)
- Gregory Stapp (vivente)
- Daniel Lewis Williams (vivente)
Bassi profondi veri e presunti
È probabile che qualche melomane rimanga interdetto, forse con qualche ragione, nel vedere il nome del basso Cesare Siepi annoverato nella soprastante lista di bassi profondi. Quella di Siepi è stata certamente la carriera di un autentico basso cantante, verdiano nello stile, e capace di affrontare con lodevole efficacia anche ruoli brillanti. Basti ricordare il suo Don Giovanni, interpretato, tra l'altro, al Festspielhaus di Salisburgo sotto la direzione di Wilhelm Furtwängler, oppure il Figaro mozartiano cantato con Dimitri Mitropoulos. Ciò nondimeno, sarebbe un errore ignorare le doti di Siepi come basso profondo. Secondo la critica[senza fonte], egli fu il miglior Sarastro ne Il flauto magico in lingua italiana. Inoltre, la discografia ci consegna, dall'opera Les Huguenots di Giacomo Meyerbeer, l'aria "Seigneur, rempart et soul soutien" e, dall'opera La Juive di Jacques Fromental Halévy, l'aria "Si la rigueur", nelle quali Siepi si cimenta in due discese verso l'abisso, fino a toccare, in entrambe, un cavernoso Do grave (ascolta l'esempio audio sopra riportato).
Per contro, Giulio Neri è sempre stato un autentico basso profondo; forse il basso profondo per antonomasia.
La sua torrenziale voce, una delle più potenti di sempre, non ha mai avuto difficoltà a "riempire" anche gli spazi lirici più grandi. Giova ricordare un gustoso aneddoto avvenuto nel corso di un'Aida al Festival Lirico di Verona; dopo che Neri ebbe finito di cantare un'aria, tra gli applausi del pubblico si levò una voce, ironica, ma nemmeno troppo, che esclamò: «Neri, l'Arena è troppo piccola per te!».
Il suo timbro, nero come le tenebre, poteva muoversi con facilità laddove altri bassi affannavano. I collezionisti conservano con particolare gelosia una rara incisione dell'Acis e Galatea di Georg Friedrich Händel, nella quale Neri interpreta il ruolo di Polifemo abbassandolo di un'ottava, arrivando a cantare in una tessitura che insiste tra il Do ed il Fa gravi. Neri fu anche un monumentale Mefistofele boitiano, una partitura che, qua e là, il cantante senese amava "ritoccare" verso il basso, aggiungendo, ad esempio, un Mi bemolle grave nella scena del Prologo in cielo. Altrettanto imperdibile, infine, la sua versione dell'aria "Splendon più belle in ciel le stelle", dall'opera La favorita di Gaetano Donizetti, nella quale Neri esegue un Fa e un Do gravi dall'effetto "tellurico".
Infine, ricordiamo Kurt Moll - ritiratosi dalla scena operistica nel 2006 - e Matti Salminen, i quali, interpretando il Commendatore nel Don Giovanni di Mozart, talvolta inseriscono un Re grave, abbassando d'un ottava la nota prevista dal compositore che conclude il drammatico dialogo tra il Commendatore e Don Giovanni nel finale d'opera. Moll è stato anche un apprezzato Barone Ochs (Der Rosenkavalier), capace di onorare con efficacia i Re e i Do gravi presenti dalla partitura.
Sovente, la critica musicale si compiace volentieri nel valutare e criticare quei cantanti i quali, sconfinando dal repertorio che sarebbe pertinente al loro tipo di voce, si cimentano nell'affrontare ruoli che proprio non sono nelle loro corde. Queste reprimende, interessano specialmente i tenori, additati - a torto o a ragione - come i divi meno disciplinati della lirica. Putroppo però, la deprecata abitudine di "cantare di tutto" non è un vizio esclusivo delle voci acute, ma si verifica anche tra i bassi. A titolo di esempio, ricordiamo il celebre basso-baritono statunitense Samuel Ramey. Ramey è un apprezzato interprete brillante, dotato di un'eccellente tecnica con la quale affronta con disinvoltura anche le colorature più impervie, oltre a possedere - caso raro tra i cantanti lirici americani - una dizione della lingua italiana pressoché perfetta. Nonostante la sua vocazione sia tipicamente mozartiana e rossiniana, Ramey si è cimentato anche come basso verdiano e, addirittura, come basso profondo, soprattutto nella seconda parte della sua carriera, ma con esiti spesso incerti. Anche lui aggiunge il Mi bemolle grave nel Prologo in cielo del Mefistofele - come ci testimonia la celebre edizione di San Francisco, diretta dal maestro Maurizio Arena, di cui esiste anche il video - ma con decisamente minor sonorità di Neri. Sempre nello stesso Mefistofele, Ramey "costringe" il direttore a staccare un tempo molto lento per l'aria "Son lo spirto che nega", al fine di permettere alla propria voce di "appoggiarsi" in modo tale da preservare la necessaria "scurezza" e cavernosità richieste. Inoltre, Ramey esegue un Mi grave nell'edizione critica dell'aria "Là del ciel, nell'arcano profondo", da La Cenerentola di Rossini.
Il basso profondo nel coro
Nell'ambito della musica corale – indipendentemente dal fatto che si tratti di musica sinfonica, operistica o sacra – alla sezione dei bassi viene richiesto, talvolta, di scendere a profondità che sono proprie del basso profondo, se non, addirittura, dell'ottavista. Ad esempio, ne La forza del destino (1862) di Giuseppe Verdi, durante l'aria La vergine degli angeli, i bassi del coro devono toccare un Mi grave. Nella Seconda sinfonia (1895-1896) di Gustav Mahler, il finale prevede che i bassi tocchino addirittura un Si bemolle ultragrave. Laddove uno o più coristi non siano in grado di emettere questa nota, il compositore ha previsto che rimangano in silenzio, piuttosto che eseguire lo stesso Si bemolle un'ottava sopra. Infine, nella versione operistica del Candide (1956) di Leonard Bernstein, il compositore assegna ai bassi un Si ultragrave.
Nel repertorio classico europeo queste discese nel profondissimo non sono comunque molto frequenti; diventano però quasi la regola in altri contesti musicali.
L'arte del basso profondo è famosa grazie, ad esempio, ai cantori Xöömej di Tuva, ai monaci buddisti tibetani, agli Xhosa sudafricani e, soprattutto, ai cori religiosi della Chiesa Cristiana Ortodossa, russa in modo particolare. Questi cori sono quasi sempre formati da sole voci maschili, divise in tenori e bassi. Questi ultimi hanno al loro interno gli ottavisti (detti anche Strohbass in tedesco), veri e propri "contrabbassi umani", i quali possono raggiungere, con voce piena e sonora, profondità impressionanti, come il La o il Sol ultragravi.
Per avere una percezione completa di cosa significhino, all'ascolto, note così profonde, si consiglia l'ascolto degli esempi riportati sotto, relativi ai cantori Viktor Wichniakov e Vladimir Pasuikov, coristi e solisti dell'Orthodox Singers Male Choir.
Alcuni brani corali con parti da basso profondo/ottavista
- Ne otverzhi mene vo vremya starosti (Non scagliarmi indietro nel tempo remoto), Op. 40/5, di Pavel Grigor'yevich Chesnokov.
- Canto della penitenza per la Russia, di Pëtr Il'ič Čajkovskij.
- Nine sili nebesniye (Ora gioisce il potere divino), di Alexander Sheremetiev.
- Liturgia di San Giovanni Crisostomo, per coro, Op.31, di Sergej Rachmaninov.
- Requiem, per soprano, mezzosoprano, 2 cori e orchestra, di György Ligeti.
Alcuni ottavisti famosi
- Viktor Wichniakov (vivente) - Audio: Esempio dall'Orthodox Singers Male Choir
- Vladimir Pasuikov (vivente) - Audio: Esempio dall'Orthodox Singers Male Choir
Tecniche di canto profondo
Possedere una voce tanto grave è indubbiamente un dono naturale. Tra le necessarie caratteristiche fisiologiche ve ne sono almeno due fondamentali: corde vocali di dimensioni superiori alla media (soprattutto nella lunghezza), e un volume toracico così imponente da avere, contemporaneamente, sia una notevole capacità di risonanza (le note gravi sono note di petto), sia una considerevole riserva d'aria per far fronte alla "tenuta" di queste note le quali, per risultare sonore, richiedono lo sposatamento d'una importante massa d'aria. Non a caso, infatti, i bassi, specialmente quelli profondi, sono quasi sempre di statura piuttosto alta.
Esistono, tuttavia, tecniche di canto che permettono alla voce di spingersi significativamente ancora più in basso rispetto al limite fisiologico naturale, conquistando agevolmente la regione ultragrave del pentagramma.
Queste tecniche sono principalmente due: il cosiddetto vocal fry ed il canto di laringe.
Il vocal fry
Nel vocal fry - noto anche col nome di glottal fry - viene modificata l'oscillazione delle corde vocali. Questo avviene tramite le due cartilagini aritenoidi nella laringe che vengono unite insieme; di conseguenza, l'emissione dell'aria viene compressa e il suono che ne deriva si forma da un'unica grande massa vibrante. La frequenza della vibrazione è molto bassa (20-50 hertz) e il flusso d'aria che attraversa la glottide è molto lento. In questo modo si riesce ad estendere la propria voce di almeno un'ottava verso il basso, cioè fino alla 1ª subarmonica, anche se alcuni cantanti eccezionalmente dotati riescono a controllare questa tecnica ad un livello di perfezione tale da permettergli di toccare addirittura la 5ª subarmonica.
Questo tipo di canto è usato soprattutto dagli ottavisti nella musica religiosa e sacra o comunque d'impronta classica.
Il canto di laringe
Grazie a questa tecnica, le corde vocali e la laringe vibrano all'unisono ed il flusso d'aria viene fatto risuonare, secondo una particolare tecnica, all'interno della cavità orale, al fine di scomporlo. Sotto il profilo acustico, l'effetto che si ottiene e quello di una voce "multipla": le armoniche che compongono l'onda sonora sono parzialmente separate e distinguibili le une dalle altre; in altre parole, è come se dalla bocca del cantante uscissero due o più suoni contemporaneamente (diplofonie, trifonie o quadrifonie). Questo tipo di canto permette notevoli possibilità espressive, non solo nella direzione grave del pentagramma, dove, comunque, la voce può scendere alla 1ª subarmonica.
Un tipico esempio italiano di questa tecnica ci viene dalla Sardegna, con il tradizionale Cantu a tenore.
In Tuva questa tecnica si chiama Xöömej, nella vicina Mongolia Charchiraa, che diventa Kargyraa presso i monaci buddisti del Tibet, mentre in Sudafrica, presso gli Xhosa, assume il nome di Umngqokolo.
Al di là della meditazione mantrica dei monaci buddisti, questa impostazione trova la sua principale applicazione in contesti di musica folkorica e tradizionale, con l'illustre eccezione del cantante Demetrio Stratos, che ha spinto il canto di laringe ai limiti delle umane possibilità (specialmente verso l'acuto ed il sovracuto), nell'ambito della musica contemporanea e sperimentale.
A titolo di curiosità, ricordiamo che anche il grande cantante rhythm and blues Ray Charles, in alcune sue esibizioni da vivo, utilizzava questa tecnica per emettere una diplofonia come, ad esempio, in conclusione della canzone "A fool for you".
La nota più grave: 8 hertz
Il cantante tedesco Ivan Rebroff, con le sue 4 ottave e mezzo, è stato, per lunghi anni, l'uomo dotato di maggior estensione vocale al mondo: il suo record è stato pubblicato sul Guinness dei primati fino al 2005; dal 2006 è stato soppiantato da Tim Storms. Rebroff era in grado di toccare un impressionante e sonoro Fa ultragrave, esattamente un'ottava sotto il pur già considerevole Fa grave usato, ad esempio, da Sparafucile nel finale del duetto con Rigoletto.
Ma non è stato l'unico caso. Secondo quanto riportato nella biografia del tenore Giacomo Lauri-Volpi, egli ebbe modo di cantare con il possente basso Mansueto Gaudio, che riusciva anch'egli ad emettere un incredibile Fa ultragrave (che Lauri-Volpi, nel suo libro, chiama "controfa"). Gaudio si esibiva in questa prodezza vocale solitamente interpretando proprio Sparafucile in Rigoletto, offrendo, al pubblico entusiasta, un'impressionante conclusione del celebre duetto col baritono nell'atto I.
Come detto, è al cantante e compositore statunitense Tim Storms che spetta oggi la palma d'oro per la nota più grave. Secondo quanto riportato dal Guinness dei primati 2006, Storms ha ottenuto due record: quello per la maggior estensione vocale maschile (6 ottave) e quello per la nota più bassa. Questo giovane interprete (classe 1972) può arrivare ad emettere la sbalorditiva frequenza di 8 hertz, che corrisponde circa ad un Si-² (meno 2), posto ben due ottave sotto il Si più basso del pianoforte. Un tale infrasuono non è udibile dall'orecchio umano (i cui confini di percezione sono, mediamente, compresi tra i 20 ed i 20.000 hertz), pertanto questo dato è stato verificato con la misurazione strumentale, proprio dai tecnici del Guinness, nel gennaio 2002. Gli straordinari record di Storms sono stati ufficializzati a partire dalla pubblicazione dell'edizione 2006. Tim Storms non è un cantante lirico; la sua segnalazione a margine di questa pagina dedicata al basso profondo è giustificata solo dall'eccezionalità del suo strumento vocale.
Infine, è opportuno ricordare come, nell'ambito della musica Gospel, Country e Folk, gli Stati Uniti d'America hanno sempre avuto una lunga tradizione di interpreti in grado di raggiungere profondità "impossibili", come il Fa o il Do ultragravi. Tra i più celebri, ricordiamo: Frank Stamps, Dan Britton, Isaac Freeman, J.D. Sumner, Tim Riley, Richard Sterban, Gene MacDonald, Mike Holcomb e Paul David Kennamer. Va precisato che tutti questi interpreti, non essendo impostati al canto lirico, sono udibili solo tramite l'amplificazione acustica. Note così basse, se eseguite in un teatro d'opera, senza l'ausilio del microfono, non sarebbero quasi percepite dal pubblico.
Curiosità
Alberto Sordi, prima di intraprendere la carriera d'attore, studiò canto lirico e si esibì sulla scena operistica, come basso, per un certo periodo della sua giovinezza. Una volta entrato nel mondo della celluloide, non ha comunque trascurato queste sue origini, tanto che, nel 1956, realizzò una commedia che narra le turbolenti vicende di uno studente di canto, molto viziato, presuntuoso e mantenuto dall'esasperato suocero (Aldo Fabrizi), che brama calcare le scene della lirica. Il film s'intitola Mi permette babbo! ed è diretto da Mario Bonnard; vi compaiono anche cantanti lirici che, all'epoca, erano delle autentiche celebrità, tra cui il poderoso basso senese Giulio Neri. Quando, finalmente, riesce ad avere la piccola parte del dottore ne La traviata, Sordi, nella disapprovazione generale, esegue la frase "La tisi non le accorda che poche ore" abbassandola di un'ottava, arrivando a toccare il Do grave, e inoltre canta, immediatamente dopo la morte di Violetta, la frase "È spenta!" (che tradizionalmente veniva - e viene tutt'ora - omessa nelle esecuzioni dell'opera) avanzando al proscenio, mentre il sipario si chiude alle sue spalle.
Anche il noto attore Christopher Lee, apprezzato per la sua voce profonda, ha sempre avuto una grande passione per il canto lirico. La sua voce è classificabile come quella di un basso-baritono. Nel 2006, ha pubblicato un CD (intitolato Revelation) nel quale canta, tra l'altro, la famosa couplets del toreador dall'opera Carmen. Inoltre, durante un'intervista ad una televisione italiana, in occasione del lancio del primo episodio de Il signore degli anelli, si divertì a cantare alcune battute del Grande Inquisitore, dall'opera Don Carlo di Verdi.
La "voce" da basso profondo dell'Universo
Grazie ad una ricerca scientifica, pubblicata nel 2003, alcuni astronomi e astrofisici inglesi hanno scoperto e misurato quella che potremmo chiamare "la voce dell'universo". Si tratta di un'onda sonora originatasi da un buco nero nell'ammasso globulare "Perseo", a 250 milioni di anni luce dalla Terra. La misurazione degli scienziati ha evidenziato che il suono corrisponde ad un Si bemolle, 57 ottave più in basso del Do centrale del pianoforte. Vibra con un periodo di oscillazione di 10 milioni di anni, generando una frequenza, in hertz, posta circa un milione di miliardi di volte al di sotto del limite di percezione acustica dell'orecchio umano.
Il professor Andrew Fabian dell'Istituto di Astronomia di Cambridge - capo del team che ha effettuato la scoperta - l'ha definita «La nota più bassa conosciuta nell'Universo»[3].
Bibliografia
- Luciano Alberti (a cura di), Dizionario enciclopedico dell'opera lirica, Le Lettere Editore (1991).
- Valeria Caldarale, Il «miracolo metafisico» dell'opera lirica, Tracce Editore (2007).
- Rodolfo Celletti, Il teatro d’opera in disco 1950-1987, Rizzoli Editore (1988, 3a ed. riveduta e aggiornata).
- Rodolfo Celletti, La grana della voce. Opere, direttori, cantanti, Baldini Castoldi Dalai Editore (2000).
- Alessandro Cerri, Oltre il sipario. L'immagine occidentale dell'altro da sé attraverso l'opera lirica italiana dell'800, Bulzoni Editore (2008).
- Gabriello Chiabrera, Opera lirica (5 volumi), Res Editore (2006).
- Eugenio Consonni, Istruzione e direzione del coro, Casa Musicale Eco Editore (1988).
- Romano Gandolfi e Marco Faelli, Magia del coro, L'Epos Editore (2004).
- Elvio Giudici, L'opera in CD e video. Guida all'ascolto di tutte le opere liriche, Il Saggiatore Editore (2007).
- Roberto Iovino, All'opera. Da Rossini a Verdi, il grande '800 italiano, Frilli Editore (2008).
- Gioacchino Lanza Tomasi, Guida all'ascolto dell'opera, Mondadori Editore (1981).
- Gino Roncaglia, Invito alla musica, Tarantola Editore (1958, 4a ed. rifatta e ampliata).
- Gino Roncaglia, Invito all'opera, Tarantola Editore (1954).
- Roberto Secchi, Viaggio nella voce, Scuola Popolare di Musica "Ivan Illich".
- Giovanni Alessandro Vanzin, Manuale del direttore di coro, Elledici Editore (1997)
Note
- ^ Va ricordato che l'accordatura del diapason, al tempo di Monteverdi, era leggermente diversa da quella attuale: una nota scritta allora, oggi corrisponde ad un suono più alto di circa ¼ di tono. Tuttavia, anche alla luce di questa considerazione, le note richieste ai progenitori della voce lirica più grave rimangono eccezionalmente profonde.
- ^ Nonostante la tessitura del Commendatore non sia ascrivibile alla voce di basso profondo, la tradizione ha visto consolidare la prassi per la quale a cantare questo ruolo - in teatro come in disco - siano soprattutto i bassi profondi.
- ^ Dal New York Times del 16 settembre 2003: Music of the Heavens Turns Out to Sound a Lot Like a B Flat.