Giustino II

imperatore romano d'Oriente (r. 565-578)

Giustino II (5205 ottobre 578) è stato un imperatore bizantino dal 565 al 578. Fu nipote e successore di Giustiniano I.

Solido di Giustino II.
Punizioni corporali fatte infliggere da Giustino II.

Regno

Giustino si avvalse della sua influenza come mastro di palazzo, e del matrimonio con Sofia, nipote dell'imperatrice Teodora, per assicurarsi un'elezione pacifica. I primissimi giorni del suo regno (quando pagò i debiti dello zio, amministrò la giustizia di persona e proclamò la tolleranza religiosa universale) diedero adito a speranze, ma di fronte all'aristocrazia senza legge e a governatori provinciali incuranti, furono poche le riforme che attuò successivamente.

L'ambasciata degli Avari

Nel settimo giorno di regno l'Imperatore diede udienza agli ambasciatori degli Avari, popolazione alla quale i Bizantini pagavano un tributo annuale pur di tenerli buoni. L'ambasciatore avaro chiese che l'Imperatore continuasse a pagare loro un tributo, come aveva fatto il suo predecessore. Questa fu la risposta di Giustino II:

«L'impero abbonda di uomini e cavalli, e di eserciti sufficienti a difendere le nostre frontiere, e a castigare i Barbari. Voi offrite aiuto, voi minacciate ostilità: noi disdegniamo la vostra ostilità e il vostro aiuto. I conquistatori degli Avari sollecitano la nostra alleanza;

dovremmo noi temere i loro fuggitivi e esiliati? La bontà di nostro zio era dovuta alla vostra miseria, alle vostre umili preghiere. Da noi riceverete [...] la conoscenza della vostra debolezza. Ritiratevi dalla nostra presenza; le vite degli ambasciatori sono salve; e, se ritornerete a implorare il nostro perdono, forse gusterete la nostra benevolenza.»

Ricevuta la risposta dell'Imperatore, il Khagan degli Avari decise di non invadere l'Impero romano d'Oriente ma piuttosto di muovere guerra prima ai Franchi e poi ai Gepidi. La distruzione del regno dei Gepidi, alleati dei Romani, fu raggiunta grazie all'alleanza con i Longobardi; i Romani non mossero un dito per aiutare i loro alleati. La distruzione del Regno dei Gepidi, secondo il Gibbon, lasciò l'Impero romano esposto, senza barriera, agli attacchi di queste temibili popolazioni barbariche.

Narsete invita i Longobardi a invadere l'Italia

Nei suoi 15 anni di governo, Narsete (il prefetto d'Italia) aveva accumulato una grossa fortuna a spese dei sudditi, oppressi dalle troppe tasse. L'imperatore Giustino, intorno al 568, ricevette le proteste degli abitanti di Roma, che sostenevano che era meglio sottostare alla dominazione gota piuttosto che a quella greca e minacciavano, in caso di mancata rimozione di Narsete, di consegnare Roma e l'Italia ai Barbari.

«Liberaci dalla sua mano, oppure, senza fallo, consegneremo la città di Roma e noi stessi ai Barbari»

Quando Narsete lo seppe, disse:

«Se male mi sono comportato con i Romani, male possa io ricevere.»

L'Imperatore si adirò con Narsete e lo privò della carica di Prefetto del Pretorio d'Italia, sostituendolo con Longino. Narsete, ricevuta tale notizia, e adiratosi con l'Imperatore, decise di ritirarsi a Napoli da dove scrisse ai Longobardi, invitandoli a invadere l'Italia. Alboino accettò l'invito; dopo essersi alleato con i Sassoni, Alboino e tutto il suo popolo abbandonarono la Pannonia per andare a stabilirsi in Italia.

La prima provincia dell'Italia ad essere invasa e conquistata dai Longobardi furono le Venezie; e la prima città ad essere conquistata fu Forum Iulii. A questa conquista, seguì la presa di Verona e quella di Verona, mentre Padova e Monselice, ben guarnite di truppe, resistettero agli assalti longobardi. Anche Mantova oppose strenua resistenza. Realizzando di non poter procedere oltre, Alboino decise di svernare nel Veneto, per vedere se riusciva, bloccando con quel tempo le città resistenti, a costringerle alla resa. L'anno successivo l'avanzata dei Longobardi riprese: il 3 settembre 570, i Longobardi entrarono in Liguria (si noti che nell'antichità la Liguria comprendesse anche la Lombardia e il Piemonte) e conquistarono Milano, Brescia, Bergamo, e tutto il Piemonte. In breve tutta la Liguria, tranne le zone costiere e Pavia, cadde. Resisteva ancora Pavia, che Alboino era deciso a conquistare: la città resistette tre anni e dopo la sua caduta divenne la capitale del regno longobardo. I Longobardi, approfittando delle disastrose condizioni dell'esercito bizantino, decimato dalla peste, dilagarono anche in Tuscia. Ben presto quasi tutta l'Italia settentrionale venne conquistata dai Longobardi. Alcuni duchi longobardi, Zottone e Faroaldo, si spinsero ancora più a Sud, fondando i Ducati di Spoleto e Benevento. I Bizantini, a parte il "corridoio bizantino" che collegava Roma con Ravenna, erano rimasti in possesso solo delle zone costiere mentre l'interno era quasi tutto longobardo.

Rimanevano in mano bizantina:

  • Ravenna e dintorni
  • il corridoio "bizantino"
  • il ducato romano
  • nel Veneto, Padova, Monselice e Cremona
  • nella Liguria, Genova e altre città costiere
  • Napoli e dintorni, Sicilia, Sardegna, Corsica e parte della Calabria e della Puglia.

Alboino morì assassinato in una congiura di palazzo organizzata da sua moglie Rosmunda e dall'amante di questa Elmichi; i congiurati tuttavia furono costretti alla fuga dal popolo longobardo stesso, adiratosi per la morte del loro amato re e si rifugiarono a Ravenna, la capitale dell'Italia bizantina. Il prefetto d'Italia Longino propose a Rosmunda di sposarlo a patto che uccidesse Elmichi; Rosmunda, assetata di potere, avvelenò Elmichi ma quest'ultimo la costrinse a bere anche a lei il veleno, e in questo modo morirono entrambi. Longino consegnò il tesoro dei Longobardi, che Rosmunda e Elmichi avevano portato con loro a Ravenna, all'Imperatore. Pare che con il tesoro arrivò anche Peredeo, l'assassino di Alboino, che venne accecato per ordine dell'Imperatore. La vendetta di Peredeo (uccise due funzionari imperiali) ricorda in modo imperfetto quella del personaggio biblico Sansone.

La guerra persiana

Nel 572 le sue aperture ai Turchi portarono ad una guerra con la Persia. Dopo due campagne disastrose, nelle quali i Persiani travolsero la Siria, Giustino comprò una pace precaria dietro pagamento di un tributo annuo.

Follia e morte

Nel 573, a causa della perdita di Dara, conquistata dai Persiani, Giustino II divenne folle [1]. Le temporanee crisi di follia nelle quali precipitava gli suggerirono di nominare un successore. Scavalcando i suoi parenti scelse come Cesare, su consiglio di Sofia, il generale Tiberio, nel dicembre 574.

Questo fu il discorso di Giustino II a Tiberio: [2]

«Guarda le insegne del potere supremo. Ora stai per riceverle, non dalla mia mano, ma dalla mano di Dio. Onorale, e da esse riceverai onore. Rispetta l'imperatrice tua madre: ora sei suo figlio; prima, eri il suo servo. Non provare piacere nel sangue; astieniti dalla vendetta; evita queste azioni a causa delle quali ho suscitato l'odio pubblico; e prendi l'esperienza, e non seguire l'esempio, del tuo predecessore. Come uomo, ho peccato; come peccatore, anche in questa vita, sono stato severamente punito: ma questi servi, (e noi ci riferiamo ai suoi ministri) che hanno abusato della mia confidenza, e infiammato le mie passioni, appariranno con me davanti al tribunale di Cristo. Sono stato abbagliato dallo splendore del diadema: si saggio e modesto; ricorda quello che sei stato, ricorda chi sei adesso. Sei intorno a noi tuoi schiavi, e tuoi figli: con autorità, assumi la tenerezza, di un genitore. Ama il tuo popolo come ami te stesso; coltiva gli affetti, mantieni la disciplina, dell'esercito; proteggi le fortune del ricco, soddisfa le necessità del povero.»

Tiberio ricevette il diadema sulle sue ginocchia; e Giustino rivolse al nuovo monarca le seguenti parole: [3]

«Se tu acconsenti, vivo; se tu comandi, muoio: possa il Dio del cielo e della terra infonderti nel tuo cuore qualsiasi cosa abbia trascurato o scordato.»

Giustino abbandonò la carica e si ritirò a vita privata per gli anni che gli restavano. Morì nel 578.

Giudizi

Paolo Diacono descrive Giustino come un tiranno avido che opprimeva la popolazione e che per punizione divina divenne pazzo:

«Durante questi avvenimenti, regnava a Costantinopoli Giustino minore, persona avida di ogni cosa, che non rispettava i poveri e spogliava i senatori. Ebbe tanta furia di possedere, che fece costruire casse di ferro nelle quali ammassare i talenti d'oro che rapinava. Dicono, anche, che abbia aderito all'eresia pelagiana. Poiché distoglieva l'orecchio del cuore dai divini insegnamenti, il giusto giudizio di Dio gli fece perdere la ragione, e divenne pazzo.»

Il Gibbon fa questa descrizione di Giustino, descrivendo le calamita che affligevano l'Impero durante il suo regno, e sostenendo che forse Giustino sarebbe stato un sovrano migliore se non fosse impazzito:

«Quando il nipote di Giustiniano salì al trono, proclamò una nuova era di felicità e di gloria. Gli annali del secondo Giustino sono segnati dalla disgrazia all'estero e dalla miseria a casa. In Occidente, l'Impero romano venne afflitto dalla perdita dell'Italia, la desolazione dell'Africa, e dalle conquiste dei Persiani. L'ingiustizia prevalse sia nella capitale che nelle province: i ricchi tremavano per le loro proprietà, i poveri per la loro sicurezza, i magistrati ordinari erano ignoranti o venali, i rimedi occasionali sembrano essere stati arbitrari e violenti, e i lamenti del popolo non potevano più essere zittiti dai splendidi nomi di un legislatore e di un conquistatore. L'opinione che imputa al principe tutte le calamità dei suoi tempi potrebbe essere considerata dallo storico una seria verità o un salutare pregiudizio. Eppure si solleverà un candido sospetto, che i sentimenti di Giustino erano puri e benevolenti, e che avrebbe potuto ricoprire il suo ruolo senza subire rimproveri, se le facoltà della sua mente non fossero state compromesse dalla malattia, che privò l'imperatore dell'uso delle gambe, e lo confinò nel palazzo, uno straniero ai lamenti del popolo e ai vizi del governo. La tarda conoscenza della propria impotenza fece sì che rinunciò al peso del diadema; e, nella scelta di un sostituto degno, mostrò alcuni sintomi di uno spirito perspicace e magnanimo.»

Note

  1. ^ Treadgold, pag. 223
  2. ^ Gibbon, pag. 342
  3. ^ Gibbon, pag. 343

Galleria

Voci correlate

Bibliografia

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