Campagne siriano-mesopotamiche di Sapore II
Le campagne siriano-mesopotamiche di Sapore II si svilupparono nel corso trent'anni nel corso delle guerre romano sasanidi (224-363). La guerra iniziò nel 334/335 con una prima offensiva persiana di Sapore II contro le armate romane degli allora Cesari, Costanzo II (337-361) e Annibaliano. L'obbiettivo era l'occupazione delle province romane orientali. A questa prima fase ne seguirono altre in un susseguirsi di "guerre di posizione" fino alla definitiva campagna sasanide di Giuliano che portò i confini dei due grandi Imperi a stabilizzarsi per oltre cinquant'anni (fino al 421).
Campagne siriano-mesopotamiche di Sapore II parte delle Guerre romano sasanidi (224-363) | |
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Data | 334/335 - 364 |
Luogo | Mesopotamia, Osroene e Siria. |
Esito | Offensive sasanidi e controffensive romane |
Schieramenti | |
Comandanti | |
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Contesto storico
Appena ottenuto il potere, Diocleziano nominò come cesare per l'occidente un valente ufficiale, Massimiano, facendone il proprio successore designato, e quindi lo elevò al rango di augusto l'anno successivo (nel 286), formando così una diarchia in cui i due imperatori si dividevano su base geografica il governo dell'impero e la responsabilità della difesa delle frontiere e della lotta contro gli usurpatori.
Data la crescente difficoltà a contenere le numerose rivolte all'interno dell'impero e lungo i confini settentrionali ed orientali, nel 293 si procedette a un'ulteriore divisione territoriale, al fine di facilitare le operazioni militari: Diocleziano nominò come suo cesare per l'oriente Galerio, mentre Massimiano fece lo stesso con Costanzo Cloro per l'occidente.
Dalle affermazioni di Eutropio risulterebbe che una nuova guerra tra Roma e la Persia iniziò già nel 293:
Ma è solo nel 296 che il cesare Galerio, fu chiamato da Diocleziano (alle prese con una rivolta in Egitto) per intraprendere una campagna militare contro Narsete, sovrano sasanide asceso al trono tre anni prima e che aveva invaso la provincia romana di Siria. L'esercito romano, una volta passato l'Eufrate con forze insufficienti, andò incontro ad una cocente sconfitta presso Nicephorium Callinicum,[2] a seguito della quale Roma perse la provincia di Mesopotamia.[3] Tuttavia, nel 297, avanzando attraverso le montagne dell'Armenia, ottenne una vittoria decisiva sul re sasanide Narsete, ricavandone un enorme bottino, che comprendeva l'harem di Narsete.
Approfittando del vantaggio, prese la città di Ctesifonte, costringendo Narsete alla pace l'anno successivo. La Mesopotamia ritornò sotto il controllo romano, l'Armenia fu riconosciuta protettorato romano, mentre a Nisibi furono accentrate le vie carovaniere dei commerci con l'Estremo Oriente (Cina e India). Con il controllo di alcuni territori ad est del fiume Tigri, fu raggiunta la massima espansione dell'impero verso est (298). [4] Galerio celebrerà in seguito la propria vittoria erigendo l'arco di Galerio a Tessalonica anche se sembra non abbia accolto favorevolmente il trattato di pace, poiché avrebbe desiderato avanzare ulteriormente in territorio persiano.[5]
Casus belli: la rivincita sasanide
Il trattato di pace, che durò quasi 40 anni, venne accettato (tranne il primo punto) e Diocleziano celebrò il suo trionfo in occasione del XX anniversario dall'ascesa al trono (nel 304):
La sconfitta dei Sasanidi ad opera di Diocleziano e Galerio (pace del 298) aveva garantito all'Impero romano oltre un trentennio di relativa pace, ed il riconoscimento del Regno d'Armenia come "stato cliente".
Attorno al 312, Massimino Daia era stato costretto a condurre una campagna militare in Armenia, contro un popolo che in passato si era dimostrato alleato dei Romani, ma che ora abbracciava la religione cristiana, nemica dell'imperatore poiché "estremamente rispettosa della pietà verso Dio". Secondo Giovanni Malalas (che confonde Massimino Daia con Massenzio, figlio di Massimiano), Massimino condusse in modo vittorioso le operazioni militari, sia contro gli Armeni, sia contro i Persiani di Sapore II, che ai primi si erano alleati e avevano invaso l'Osroene distruggendo un'importante città di questa regione. In seguito a questi successi sembra che abbia distribuito i prigionieri nelle province di Armenia I e Armenia II, ed abbia ottenuto il titolo vittorioso di Persicus (312/313), insieme agli altri Augusti, Costantino I e Licinio (questi ultimi non avendovi però partecipato direttamente).[1]
Monetazione del 312-313 | ||||||
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Immagine | Valore | Dritto | Rovescio | Datazione | Peso; diametro | Catalogazione |
solido | IMP C GAL VAL MAXIMINVS P(ius) F(elix) AVG, testa laureata di Massimino Daia verso destra; | HERCVLI VICTORI, Ercole con testa laureata, in peidi di fronte, la testa verso destra, tiene una mazza ed una pelle di leone sopra il suo braccio; B / SMHT in esergo. | 313 (moneta che sembra celebrare qualche vittoria, forse quella su Armeni e Persiani sasanidi); | 21 mm, 5.47 gr (zecca di Heracela Sintica); | RIC VI 77. |
In un periodo successivo alla riunificazione delll'Impero romano ed alla definitiva sconfitta di Licinio (nel 324), Costantino sembra abbia attraversato l'Eufrate almeno due volte per recarsi nel regno d'Armenia. Nel corso della prima campagna, sembra sia stato sconfitto dalle truppe persiane e costretto a far ritorno a Costantinopoli (nel 325); forse l'anno seguente in una seconda campagne militare, riuscì a battere le accorrenti truppe persiane di Sapore II, mettendole in fuga ed imponendo al sovrano sasanide un trattato di pace (nel 326?); creò, infine, la nuova provincia della Euphratensis, che venne separata dalla Siria e dall'Osroene ed elevò la città di Hierapolis Bambyce a metropolis.[6] E sempre in questo periodo (324/325 circa), si racconta che uno dei fratelli di Sapore II, Ormisda, che era stato imprigionato fin dalla morte del padre Ormisda II nelle patrie gelere, riuscì fuggire ed a chiedere asilo a Costantino I.[7]
Sotto il re cristiano Tiridate III di Armenia, la maggior parte del regno si era convertita al cristianesimo (dal 301). Ma nel 334 il re armeno fu fatto prigioniero e condotto in Persia, costringendo gli Armeni ad invocare l'aiuto di Costantino I.[8] Quest'ultimo scrisse al grande re Sapore II, il quale al termine di una lunga trattativa, decise di annettere l'Armenia e mise sotto minaccia la vicina provincia romana di Mesopotamia. Costantino fu così costretto a prepararsi per la grande guerra contro la Persia, a partire dalla fine del 336.[9][10] Giovanni Lido non nasconde che il desiderio di Costantino era anche quello di eguagliare imperatori come Traiano e Settimio Severo nella conquista della Persia.[11]
Forze in campo
Sasanidi
Non conosciamo con precisione quante e quali furono le armate messe in campo da parte dei Sasanidi. Cassio Dione Cocceiano ci aveva raccontato un secolo prima che, si trattava di grosse armate, pronta a terrorizzare non solo la provincia romana di Mesopotamia, ma anche quella di Siria, ad ovest dell'Eufrate.[12] Ciò potrebbe essere stato vero anche per le campagne del decennio successivo.
Ciò che conosciamo di questo esercito è che non era permanente come quello romano, con soldati di professione pagati regolarmente per il loro mestiere. Vi era solo un'eventuale divisione del bottino finale.[13] Ci troviamo piuttosto di fronte ad un sistema simile a quello feudale, dove per ogni campagna era necessario assemblare un esercito di volta in volta, composto da nobili a capo dei loro "clan", sottoposti poi sotto il comando di un principe della casa reale. Non c'erano perciò ufficiali esperti d'armi che prestassero servizio in modo continuo e neppure un sistema di reclutamento durevole, poiché non vi erano unità militari permanenti, sebbene molti fossero i nobili a disposizione dell'esercito sasanide. Per questi motivi, spesso ingaggiavano armate mercenarie.[13] Usavano soprattutto l'arco ed il cavallo in guerra, diversamente dai Romani che prediligevano la fanteria, tanto che i Sasanidi si dice crescessero fin dall'infanzia, cavalcando e tirando con le frecce, vivendo costantemente per la guerra e la caccia.[14]
Vi è da aggiungere però che, a differenza dei Parti arsacidi, cercarono di mantenere sotto le armi per più anni i loro contingenti, nel corso di importanti campagne militari, velocizzando il reclutamento delle loro armate, oltre a meglio assimilare le tecniche di assedio dei loro avversari romani, mai veramente apprese dai loro predecessori.[15]
Romani
Sappiamo invece che per i Romani le forze messe in capo erano rappresentate da legioni e truppe ausiliarie disposte lungo il limes orientale. Alla morte di Costantino I su 63 legioni dislocate lungo le frontiere imperiali, la sola parte orientale, governata dall'Augusto Costanzo II e dal Cesare Annibaliano, disponeva certamente di 24 legioni, 2 vexillationes legionarie (della V Macedonica e XIII Gemina),[16] oltre probabilmente ad altre 4 legioni di nuovissima costituzione (I Flavia Constantia, II Flavia Constantia, II Flavia Virtutis e III Flavia Salutis) per un totale di 28 legioni su 67 (pari al 42% dell'intera forza legionaria schierata lungo le frontiere imperiali).
Ciò darebbe luogo ad una forza complessiva e distribuita lungo l'intero fronte orientale (secondo i conteggi di Agazia), pari a 270.000 armati, che corrisponderebbero al 40/42% dei 645.000 armati totali ipotizzati dallo storico antico.[17]
La stima di Agazia-Jones è stata tuttavia messa in dubbio da studi più recenti, che sostengono che la cifra di Agazia, ammettendo che sia valida, potrebbe rappresentare la forza ufficiale, ma non quella reale, dell'esercito dell'epoca di Costantino: nella realtà dei fatti, le unità del Tardo-Impero erano costituite da meno soldati di quanti ne contenessero ufficialmente, forse addirittura i due terzi in meno della cifra ufficiale.[18] Sulla base di questa considerazione, i 645.000 soldati sulla carta secondo Agazia, potrebbero essere stati non più di 400.000 ca. in realtà. Quest'ultima cifra ben si accorda con le altre cifre totali fornite dalle fonti antiche, come la stima dell'autore del VI secolo Giovanni Lido, di 389.704 effettivi[19] (escluse flotte) per l'esercito di Diocleziano. La cifra fornita da Lido è ritenuta dagli studiosi più credibile di quella di Agazia a causa della sua precisione (non è una cifra "tonda", implicando che forse fu trovata in un documento ufficiale) e per il fatto che è ascritta a un periodo di tempo specifico.[20]
N. fortezze legionarie Annibaliano[21] |
unità legionaria | località antica | località moderna | provincia romana |
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Legio I Pontica | Trapezus | Trebisonda | Pontus Polemoniacus | |
Legio XV Apollinaris e legio II Armeniaca |
Satala | Sadagh | Armenia Prima | |
Legio I Armeniaca | Claudiopolis | Mut | Armenia Prima | |
Legio XII Fulminata | Melitene | Melitene | Armenia Prima | |
Legio V Parthica | Amida[22] | Diyarbakır | Mesopotamia[22] | |
Legio II Parthica | Bezabda[22] | Cizre | Mesopotamia[22] | |
Legio VI Parthica? | Cefae[22] | ? | Mesopotamia[22] | |
Legio IIII Italica?[23] | Resaina?[24] | Ras al-Ayn | Mesopotamia[23] | |
Legio I Parthica[25] | Singara[22][25] | Sinjar | Mesopotamia[22] |
N. fortezze legionarie Costanzo II[21] |
unità legionaria | località antica | località moderna | provincia romana |
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Legio II Isaura Legio III Isaura |
? | ? | Isauria | |
Legio III Parthica? | Apatna? o Arbana?[22] | Osrhoene[22] | ||
Legio IIII Parthica | Circesium[22] | Buseira | Osrhoene[22] | |
Legio XVI Flavia Firma | Sura | Sura | Syria Euphratensis | |
Legio IV Scythica | Oresa | Taybè | Syria Euphratensis | |
Legio I Illyricorum | Palmira | Tadmur | Syria Phoenicia | |
Legio III Gallica | Danaba | Mehin | Syria Phoenicia | |
Legio III Cyrenaica | Bostra | Bosra | Arabia Petraea | |
Legio IIII Martia | Betthorus | El-Lejjun | Arabia Petraea | |
Legio X Fretensis | Aila | Elat | Syria Palaestina | |
Legio II Traiana Fortis | Nicopolis e Apollinopolis Magna |
Alessandria d'Egitto e Edfu |
Aegyptus Iovia | |
Legio III Diocletiana | Ombos | Kom Ombo | Aegyptus Iovia | |
Legio I Maximiana | Philae | Philae | Aegyptus Thebaida | |
vexill. Legio V Macedonica | Memphis | Menfi | Aegyptus Herculia | |
vexill. Legio XIII Gemina | Babylon | Il Cairo | Aegyptus Herculia |
Il totale delle forze messe in campo dall'Impero romano lungo l'intero limes orientale potrebbe essere calcolato attorno ai 270.000 armati romani coinvolti o forse più (dei 645.000 ipotizzati da Agazia[17]), di cui la metà era costituita da legionari, la restante da ausiliari.[26]
Fasi della guerra
Nel 337, poco prima della morte di Costantino I, i due eserciti, da una parte quello romano comandato dal figlio di Costantino, Costanzo II, e dal nipote Annibaliano (a cui era stato promesso di elevarlo a "re degli Armeni"[27]), dall'altro quello persiano, condotto dallo stesso Sapore II, ruppero la tregua e tornarono a scontrarsi.[10] Costanzo si recò ad Antiochia, città che era stata la sua capitale durante gli ultimi anni da cesare, da dove poteva occuparsi meglio della fondamentale frontiera orientale di quanto avrebbe potuto fare restando nella capitale imperiale di Costantinopoli.
Era iniziato così un conflitto che durò a fasi alterne per ben ventisei anni, in cui Sapore cercò di conquistare le fortezze frontaliere della Mesopotamia romana: Singara, Nisibi e Amida. E sebbene Sapore fosse riuscito in alcune circostanze a sconfiggere l'esercito romano di Costanzo II, non riuscì a garantire una occupazione permanente di queste fortezze, spesso rioccupate dai Romani.
Prima "guerra di posizione" tra Sapore II e Costanzo II (337-351)
Costanzo restò ad Antiochia dal 338 al 350.[28] L'esito degli scontri non ci è noto però, anche se si presuppone sia avvenuto in Mesopotamia,[10] dove il conflitto fu pienamente militare, ma Costanzo fece in questo caso una scelta originale, almeno secondo le strategie romane consolidate: invece di scegliere l'opzione della massiccia campagna militare destinata a colpire il cuore dello stato nemico, come prevedeva di fare Costantino e come avrebbe in seguito fatto Giuliano, Costanzo scelse di affidarsi ad una linea di fortezze frontaliere disposte in profondità, facendo perno su di esse per contenere gli attacchi sasanidi; si trattò quindi di una guerra difensiva, in cui furono evitate per quanto possibile le manovre in campo aperto con l'esercito al completo. Questa scelta, sebbene molto efficace e poco dispendiosa in termini di mobilitazione di truppe, non portava certo a soddisfare l'aspettativa di vittorie decisive che esisteva nel mondo romano;[29]
- 337
- Quest'anno fu assediata la città di Nisibis, ad opera del re sasanide, Sapore II.
Monetazione annuale | ||||||
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Immagine | Valore | Dritto | Rovescio | Datazione | Peso; diametro | Catalogazione |
solido | FL HANNIBALIANO REGI (d'Armenia), testa laureata di Annibaliano verso destra; | SE-CVRITAS PVBLICA, il fiume Eufrate sdraiato verso destra; CONSS in esergo. | 337 | (zecca di Costantinopoli); | RIC VII 147; LRBC 1034. |
- 338
- Tra gli episodi principali della guerra vi furono una qualche vittoria ottenuta dai suoi generali, che gli permisero di fregiarsi dal 338 del titolo di Persicus.[30]
Monetazione annuale | ||||||
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Immagine | Valore | Dritto | Rovescio | Datazione | Peso; diametro | Catalogazione |
dinar aureo | Moneta di Sapore II, sovrano dei Sasanidi (309-379) contemporaneo di Costanzo: busto con corona verso destra, la scritta "Sri" a destra; | un altare con fuoco e due addetti ai lati; | 338 | 7.09 gr (zecca sasanide di Sind); | Göbl -; Paruck -; MACW -. |
- 341
- Dopo la morte di Tiridate III (nel 330), leale alleato dei Romani per tutto il suo lungo regno, i suoi successori si erano fatti influenzare dal partito filo-persiano e il paese era entrato nella sfera di influenza dei Sasanidi. Costanzo riuscì a guadagnarsi la lealtà del sovrano Arsace II (Arshak) e dell'aristocrazia armena per via diplomatica già nel 341, anche grazie ai doni prodigali concessi alla classe dirigente del paese, che tornò sotto l'influenza romana per tutti gli anni 340.[31][32]
- 343
- Da quest'anno, grazie sempre ai sempre ai suoi generali ottenne il titolo vittorioso di Adiabenicus Maximus.[33]
- 346
- Quest'anno fu assediata per la seconda volta Nisibis, ad opera delle armate sasanidi di Sapore.
- 348
- L'unico scontro militare di larga scala, la battaglia di Singara (che alcuni sostengono sia avvenuta nel 344), in cui la vittoria di Costanzo fu inferiore a causa dalla indisciplina delle sue truppe.[34]
- 350
- Quando si ebbe la ribellione di Magnenzio in occidente, con la conseguante morte di Costante I, fratello di Costanzo, quest'ultimo era ad Antiochia, ma le sue forze erano impegnate a difendere Nisibi dal terzo assedio sasanide. Malgrado la minaccia posta da Magnenzio, Costanzo diede la priorità alla frontiera orientale e attese che Sapore si ritirasse, dopo quattro mesi, prima di tornare in Occidente a confrontarsi con l'usurpatore. Ad ogni modo, il prospettato attacco sasanide per il 351 non avvenne, in quanto Sapore fu occupato a sedare la rivolta delle genti dell'Afganistan.[35]
- 351
- Nell'ottica di una politica dinastica va considerata anche l'elezione a Cesare d'Oriente, il 15 marzo a Sirmio, di un altro esponente della dinastia costantiniana, il cugino e cognato di Costanzo, Gallo. Prevedendo di essere impegnato in Occidente contro Magnenzio, Costanzo volle lasciare una presenza forte in Oriente, e si rivolse quindi all'unico parente adulto rimastogli per affermare l'interesse per la situazione della frontiera con i Sasanidi; volendo rimarcare i legami famigliari e dinastici con Gallo, il Cesare ricevette il nome di Costanzo,[36]
Un periodo di relativa pace tra i due Imperi (351-358)
Le operazioni militari contro i Romani si dovettero interrompere quando i Sasanidi nel 351 furono attaccati a oriente (nell'attuale Afganistan[35]) da alcune tribù nomadi: dopo una lunga guerra (353-358), Sapore riuscì a soggiogare le tribù, ottenendo degli alleati per la sua successiva campagna contro i Romani.
Monetazione annuale | ||||||
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Immagine | Valore | Dritto | Rovescio | Datazione | Peso; diametro | Catalogazione |
solido | FL IVL CONSTANTIVS PERP AVG, testa con diadema di perle e busto con corazza. | VICTORIA AVGUSTORVM, la Victoria seduta verso destra su una corazza, su cui è scritto VOT/XV/MVLT/XX su quattro linee su uno scudo che tiene in mano, aiutata da un picco genio; SMANΔ in esergo. Con questa moneta voengono celebrati i quindici anni di regno. | 352 | 4.51 gr | RIC VIII 25; Depeyrot 5/3. |
Seconda "guerra di posizione" tra Sapore II e Costanzo II (359-361)
- 359
- Quest'anno Costanzo ricevette la notizia che in Oriente Sapore II aveva ripreso le ostilità, in una campagna che portò alla conquista sasanide della fortezza frontaliera di Amida in ottobre (dopo settantatré giorni di assedio); l'imperatore, però, poté lasciare l'area danubiana solo dopo la caduta della città, in quanto fu impegnato contro i Limiganti.[37] Ecco come ci narra alcune fasi salienti dell'assedio di Amida tra Sasanidi e Romani Ammiano Marcellino:
E verso la fine della notte, guidati dal suono delle trombe, cinsero d'assedio di nuovo l'intera città, convinti che sarebbe caduta a breve. Appena Grumbate scagliò una lancia insanguinata, secondo l'uso del suo popolo e anche quello dei feziali romani, l'esercito con grande fracasso si avventò contro le mura. La battaglia divampò immediatamente per il rapido avanzare degli squadroni di cavalleria, che si gettarono nella battaglia con tutto l'ardore necessario, e dall'altra parte per la determinata resistenza dei Romani. Quindi molti Sasanidi ebbero la testa fracassata e furono schiacciati da grossi massi scagliati dagli scorpioni. Altri furono trapassati da frecce, altri da giavellotti, ingombrando il terreno con i loro corpi; altri feriti tornarono indietro in fuga, verso i loro commilitoni. Non erano minori in città le perdite, poiché una densa nube di frecce che in gran numero oscuravano il cielo, e le macchine da guerra, di cui i Persiani si erano impadroniti durante l'assedio di Singara, provocavano numerose ferite.»
- Dopo il quinto giorno, l'assedio si fece sempre più pressante:
- Ursicino, che riuscì a fuggire al nemico, venne considerato responsabile della caduta della fortezza e destituito.[38]
- 360
- Nel 360 Sapore prese le fortezze orientali di Singara e Bezabde (quest'ultima assediata e conquistata malgrado la strenua difesa di tre legioni romane — II Parthica, II Armeniaca e II Flavia Virtutis[39] — e punita con la morte dei suoi abitanti); Costanzo, obbligato a riprendere le ostilità con i Sasanidi, richiese al cesare Giuliano alcune sue truppe, anche allo scopo di assicurarsi che non potesse progettare l'usurpazione, ma le truppe galliche si ribellarono all'idea di essere mandate in oriente e proclamarono augusto Giuliano, che aveva dato valide prove di capacità militari difendendo la Gallia da vari tentativi d'invasione: fu l'inizio di una nuova guerra civile. Costanzo decise che la guerra contro i Sasanidi aveva la precedenza sulla ribellione di Giuliano, e nella primavera del 360 iniziò la propria campagna orientale, occupando Edessa e cercando di riprendere Bezabde; l'attacco però fallì e Costanzo decise di ritirarsi a svernare ad Antiochia di Siria.[40]
- 361
- Ad Antiochia, Costanzo sposò Eusebia, che nominò poi augusta, da cui avrebbe avuto l'agognata figlia, Flavia Massima Faustina Costanza, nata postuma. In quell'anno l'imperatore riprese inizialmente la campagna sasanide, muovendo su Edessa e da qui su Ierapoli, ma poi riprese la strada per Antiochia, muovendo incontro a Giuliano, che col suo esercito stava avanzando verso oriente. Lo scontro fratricida tra gli ultimi due membri della dinastia costantiniana non avvenne, però: partito da Tarso in autunno, il 3 novembre Costanzo morì per una febbre mentre si trovava ancora in Asia, a Mopsucrenae.[41]
Monetazione delle campagna militari del periodo | ||||||
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Immagine | Valore | Dritto | Rovescio | Datazione | Peso; diametro | Catalogazione |
solido | FL IVL CONSTANTIVS PERP AVG, testa frontale con diadema di perle e busto con corazza, deitro una lancia ed uno scudo. | GLORIA REPVBLICAE, Roma e Costantinopoli tengono uno scudo tra di loro con scritto VOT XXX MVLT XXXX; SMANΔ in esergo. | 361 | RIC VIII, 165. |
Campagna di Giuliano e fine del conflitto (363-364)
Costanzo fu obbligato a lasciare la frontiera per affrontare l'usurpazione del cugino Giuliano, morendo lungo il viaggio. Il nuovo imperatore fu impegnato nella politica interna, ma nel 363 diede inizio ad una campagna militare contro i Sasanidi.
- 363
- Il 5 marzo Giuliano dava inizio alla campagna contro i Sasanidi partendo con un esercito di 65.000 uomini da Antiochia, abbandonata nelle mani di Adrastea:[42] questa volta fu accompagnato fino al borgo di Litarba da una folla numerosa e dal Senato antiocheno che da lui cercò invano di ottenere condiscendenza. Nominò governatore della Siria un certo Alessandro di Eliopoli, uomo duro e brutale, perché quella «gente avida e insolente» non meritava di meglio. Respinse con disprezzo una lettera del re persiano Sapore, che offriva un trattato di pace e, salutato Libanio, si diresse a Ierapoli, attraversò l'Eufrate e raggiunse Carre, di triste memoria, dove offrì sacrifici al dio Sin, venerato in quei luoghi. Si dice che qui abbia segretamente nominato suo successore il cugino, «il bello, grande e triste Procopio, dalla figura sempre curva, dallo sguardo sempre a terra, che nessuno ha mai visto ridere».[43] Quella notte, come a rafforzare i tristi presentimenti sull'esito della guerra, a Roma bruciava il tempio di Apollo Palatino, forse bruciarono anche i Libri della Sibilla Cumana.[44]
- A Carre divise l'esercito: 30.000 uomini, al comando di Procopio e di Sebastiano, furono mandati a nord, in Armenia, per unirsi al re Arsace, ridiscendere per la Corduene, devastare la Media e, costeggiando il Tigri, ricongiungersi poi in Assiria con Giuliano che intanto, con i suoi 35.000 uomini, sarebbe disceso a sud lungo l'Eufrate, dove una grande flotta al comando di Lucilliano navigava a vista portando vettovaglie, armi, macchine d'assedio, barconi.
- Il 27 marzo, giorno della festa della Madre degli dèi, Giuliano era a Callinicum, sull'Eufrate: celebrò il rito e ricevette l'omaggio dei saraceni, che gli offrirono l'appoggio della loro celebrata cavalleria. Attraversato il deserto siriano, Giuliano giunse a Circesium, ultimo avamposto romano prima del regno sasanide, alla confluenza dell'Eufrate con il fiume Chabora. Una lettera di Salustio lo pregava invano di sospendere l'impresa: tutti gli auspici erano contrari. Un portico, crollato al passaggio delle truppe, aveva ucciso decine di soldati, un fulmine aveva incenerito un cavaliere, di dieci tori, condotti al sacrificio, nove erano morti prima di raggiungere l'altare di Marte.[45] Superato il fiume Chabora, iniziava l'invasione del regno sasanide: 1.500 guide precedevano l'avanguardia e si disponevano ai fianchi dell'esercito. Alla destra, Nevitta costeggiava la riva sinistra dell'Eufrate, al centro era la fanteria dei veterani di Gallia comandata da Giuliano, alla sinistra la cavalleria comandata da Arinteo e da Ormisda, il fratello di Sapore passato ai Romani, cui era promesso il regno; Vittore, il germanico Dagalaifo e Secondino di Osroene tenevano la retroguardia.
- Raggiunta Zaitha il 4 aprile, Giuliano rese omaggio al mausoleo dell'imperatore Gordiano, penetrò a Dura Europos, città abbandonata da anni, e ottenne facilmente la resa del fortino di Anatha, che fu distrutto; nella cittadina trovarono un vecchio soldato romano con la sua famiglia, lì rimasto dal tempo della spedizione di Massimiano. Bruciata Diacira, evacuata dagli abitanti, entrò a Ozagardana e la distrusse. Dopo un giorno di riposo, i Romani avvistarono in lontananza l'esercito persiano che fu assalito e costretto alla fuga. Oltrepassata Macepracta, giunsero di fronte a Pirisabora, circondata da canali di irrigazione, e diedero inizio all'assedio che si concluse con la resa, il saccheggio e l'incendio della città. A ogni soldato furono distribuite 100 silique: di fronte alla scontentezza dell'esercito per una moneta che manteneva solo i due terzi del suo valore nominale, Giuliano promise le ricchezze del regno persiano.[46]
- Superati i campi allagati dai persiani in ritirata, incendiata Birtha, gli arieti ebbero ragione delle fortificazioni di Maiozamalcha: penetrati attraverso le brecce delle mura e per una galleria sotterranea, i soldati fecero strage degli abitanti. Il comandante fu tenuto in ostaggio e del bottino, Giuliano prese per sé un ragazzo muto e «dall'espressione graziosa ed elegante».[47]
- Erano i primi giorni di giugno: Giuliano visitò le rovine di Seleucia. Il Tigrì era a pochi chilometri; mentre la flotta, attraverso un canale di congiunzione con l'Eufrate, si immetteva sul Tigri, l'esercito superò di slancio il grande fiume sulla cui riva sinistra lo attendevano le truppe di Surena, decisi a sfruttare la superiore posizione strategica: ma furono sconfitte, volte in fuga, e costrette a rifugiarsi tra le mura della capitale Ctesifonte. Di fronte agli imponenti bastioni della città, si tenne il consiglio di guerra e si decise di rinunciare all'assedio: l'esercito di Sapore avrebbe potuto sorprendere i Romani impegnati nell'assedio, che avrebbero rischiato di essere presi tra due fuochi. Si avverava così un altro antico oracolo: «nessun principe Romano può oltrepassare Ctesifonte».[48]
- Sarebbe stato necessario che le forze di Procopio fossero arrivate a congiungersi con quelle di Giuliano, ma di Procopio non vi erano notizie. Giuliano, deciso a raggiungerlo e, se possibile, a sorprendere e affrontare Sapore in una decisiva battaglia campale, si volge a nord, dopo aver fatto incendiare gran parte della flotta con le armi e i viveri, perché le navi hanno difficoltà a risalire il fiume, e aver incorporati i suoi 20.000 soldati per utilizzarli nei combattimenti a terra. La marcia era resa tormentosa dal caldo, dalla guerriglia, dalla sete e dalla fame, perché i Persiani bruciavano i raccolti nelle terre attraversate dai Romani.
Monetazione della campagna militare | ||||||
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Immagine | Valore | Dritto | Rovescio | Datazione | Peso; diametro | Catalogazione |
solido | FL CL IVLIA-NVS P P AVG, testa con diadema di perle e busto con corazza e drappeggio verso destra. | VIRTUS EXERCITUS ROMANORUM, Soldato in piedi verso destra, tiene un trofeo ed afferra per i capelli un prigioniero legato; ANTI in esergo. | 363 | 4.47 gr | RIC VIII 201; Depeyrot 15/2. |
- Il 16 giugno apparve finalmente all'orizzonte l'esercito di Sapore, che però si limitò a seguire da lontano le truppe di Giuliano, rifiutando il combattimento aperto e ingaggiando solo brevi incursioni di cavallerie. Il 21 giugno l'esercito romano si fermò a Maranga per una sosta di tre giorni. Giuliano impiegava come al solito il tempo libero dalle occupazioni militari leggendo e scrivendo. La notte del 25 giugno gli sembra di scorgere nel buio della sua tenda una figura: è il Genius Publicus, quello che gli era apparso nell'esaltante notte di Lutetia e lo aveva invitato a non lasciarsi sfuggire l'occasione di prendere il potere. Ora ha però il capo velato a lutto, lo guarda senza parlare, poi si volta e lentamente svanisce.[49]
- La mattina dopo, malgrado l'opinione contraria degli aruspici, fece levare le tende per riprendere la ritirata verso Samarra. Durante la marcia, presso il villaggio di Toummara, si accese un combattimento nella retroguardia: Giuliano accorse senza indossare l'armatura, si lanciò nella mischia e un giavellotto lo colpì al fianco. Cercò subito di estrarlo ma cadde da cavallo e svenne. Portato nella sua tenda, si rianimò, credette di star meglio, volle le sue armi ma le forze non risposero alla volontà. Chiese il nome della località: «è Frigia», gli risposero. Giuliano comprese che tutto era perduto: un tempo aveva sognato un uomo biondo che gli aveva predetto la morte in un luogo con quel nome.[50]
- Il prefetto Salustio accorse al suo capezzale: lo informò della morte di Anatolio, uno dei suoi amici più cari. Giuliano pianse per la prima volta e la commozione prese tutti gli astanti. Si riprese, Giuliano: «È un'umiliazione per noi tutti piangere un principe la cui anima sarà presto in cielo a confondersi con il fuoco delle stelle». Quella notte fece il bilancio della sua vita: «Non devo pentirmi né provare rimorso di nessuna azione, sia quando ero un uomo oscuro, che quando ebbi la cura dell'Impero. Gli dèi me lo concessero paternamente e io lo conservai immacolato [...] per la felicità e la salvezza dei sudditi, equanime nella condotta, contrario alla licenza che corrompe le cose e i costumi». Poi, com'è degno d'un filosofo, conversò con Prisco e con Massimo della natura dell'anima. Le sue guide spirituali gli ricordarono il suo destino, fissato dall'oracolo di Helios:
- Sentendosi soffocare, Giuliano chiese dell'acqua: appena ebbe finito di bere, perse conoscenza. Aveva 32 anni e aveva regnato meno di venti mesi: con lui, moriva l'ultimo eroe greco.[51] Salustio rifiutò la successione e allora la porpora fu concessa a Gioviano. Questi stipulò con Sapore la pace, con la quale i Romani cedevano ai Persiani cinque province e le piazzaforti di Singara e di Nisibi. Fu ripresa la ritirata durante la quale incontrarono finalmente l'armata di Procopio: questi fu incaricato di portare fino alle porte di Tarso la salma che, secondo le volontà di Giuliano, fu sepolta in un mausoleo a fianco di un piccolo tempio sulle rive del fiume Cnido. Di fronte, sorgeva la tomba di un altro imperatore, Massimino Daia. L'anno dopo, Gioviano passò per Tarso e fece incidere un'iscrizione sulla pietra sepolcrale:[52]
- Anni dopo, il sarcofago fu trasportato a Costantinopoli[53] e sarebbe tuttora conservato nel Museo Archeologico della città.[54]
- fine del 363-364
- Al suo posto fu eletto imperatore Gioviano, col quale Sapore II firmò un trattato di pace che garantì ai Sasanidi forti guadagni territoriali. Queste vittorie sono celebrate negli altorilievi vicino alla città di Bishapur:[55] sotto gli zoccoli del cavallo di Sapore è raffigurato il corpo di un romano, probabilmente Giuliano, mentre un altro romano supplice, Gioviano, chiede la pace.
Conseguenze: una "relativa pace" di oltre cinquant'anni (364-421)
Con la fine della guerra del 363, Gioviano aveva rinunciato all'Armenia ed il sovrano di Persia Sapore II era determinato a sfruttare la situazione. Il monarca sasanide cominciò, infatti, a portare l'aristocrazia armena dalla propria parte, detronizzando il loro re arsacide, Arshak II, fedele alleato di Roma; contemporaneamente inviò una forza d'invasione contro il Regno d'Iberia (odierna Georgia), e una seconda armata contro il figlio di Arsace III, Papa, che riuscì a scappare e a raggiungere l'Imperatore romano, Valente a Marcianopoli, dove stava conducendo una campagna contro i Goti (nel 367/368).
Valente mandò il generale Arinteo a reimporre Papa sul trono armeno già l'estate seguente alla prima azione contro i Goti (nel 369?). Sapore reagì invadendo e devastando una seconda volta la regione. Sull'orlo di una nuova guerra, l'imperatore Valente risiedette presso Antiochia, divenuta suo "quartier generale", negli anni 369-370[56] e 375[57]-378[58]. Il contrattacco di Sapore in Armenia fu bloccato dai generali Traiano e Vadomario a Bagavan. Valente aveva violato il trattato del 363, difendendo con successo la propria posizione. Una tregua stipulata nell'anno della vittoria romana, garantì una pace provvisoria per cinque anni, mentre Shapur era impegnato contro un'invasione Kushan ad est.
Nel frattempo sorsero problemi con Papa, temendo che quest'ultimo potesse passare dalla parte dei Persiani, Valente lo fece mettere a morte, a Tarso, dove si era rifugiato, dal generale Traiano (374). [59] Al suo posto l'imperatore pose un altro arsacide, Varazdat, che governò sotto la reggenza dello sparapet (comandante dell'esercito armeno) Masel Mamikonean, fedele a Roma. Tutto ciò non migliorò la situazione con i Persiani, che ricominciarono a lamentarsi riguardo al trattato del 363. Nel 375, Valente si preparò per una spedizione, che però non fu mai iniziata a causa della grande rivolta in Isauria da parte di truppe stanziate in oriente. Come se non bastasse, nel 377 i Saraceni comandati dalla regina Mavia si ribellarono, devastando i territori dalla Palestina al Sinai. Anche se Valente riuscì a sedare entrambe le rivolte, gli fu impedita l'azione contro i Persiani.
Pochi anni più tardi, nel 384, il regno d'Armenia fu diviso in due regioni: quella occidentale fu posta, come protettorato, sotto l'Impero romano d'Oriente, mentre quella orientale venne affidata ai Persiani. La regione occidentale divenne provincia dell'Impero Romano con il nome di Armenia Minor, mentre la parte orientale rimase un regno indipendente, anche se solo formalmente, sotto il controllo persiano, fino al 428 quando i Sasanidi deposero il sovrano legittimo instaurando una loro dinastia.
Note
- ^ a b Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica, IX, 8, 2-4. Giovanni Malalas, Cronografia, XII, p.311, 2-14 e p.312-313, 10-25.
IL Alg-1, 3956 (Africa proconsularis, Tenoukla): Dddominis nnnostris Flavio Valerio Constantino Germanico Sarmatico Persico et Galerio Maximino Sarmatico Germanico Persico et Galerio Valerio Invicto (?) Pio Felici Augusto XI. - ^ Eutropio, 9, 24.
- ^ Grant, p. 287.
- ^ Mazzarino, p. 588.
- ^ Grant, p. 288.
- ^ Giorgio Cedreno, Compendium Historiarum, pp. 496-497; Giovanni Malalas, Cronografia, XIII, pp. 317 e 318.
- ^ Ammiano Marcellino, Storie, XVI, 10.16; Zosimo, Storia nuova, II, 27, 1-4.
- ^ E. Horst, Costantino il grande, Milano 1987, pp. 308-309.
- ^ Eusebio di Cesarea, Vita Constantini, IV, 56.
- ^ a b c E. Horst, Costantino il grande, Milano 1987, p. 310.
- ^ Giovanni Lido, De magistratibus, III, 34.
- ^ Dione, LXXIX, 4.1
- ^ a b Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio , VI, 5.3.
- ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio , VI, 5.4.
- ^ Southern, pp. 231-232.
- ^ J. R. González, Historia de las legiones Romanas, pp. 711-712.
- ^ a b Agazia (Sul regno di Giustiniano, V, 13) scrive al tempo di Giustiniano I che, in tempi antichi (che Arnold Hugh Martin Jones ipotizza prima del 395, più probabilmente al tempo di Diocleziano-Costantino I, The Later Roman Empire, 284–602: A Social, Economic and Administrative Survey, Baltimore 1964, vol.I, pp. 679-686), l'esercito romano poteva contare ben 645.000 armati.
- ^ Elton (1996) 89
- ^ Giovanni Lido, De Mensibus, I,47.
- ^ Heather (1995) 63
- ^ a b E. Horst, Costantino il grande, Milano 1987, pp. 302-306.
- ^ a b c d e f g h i j k l J. R. González, Historia de las legiones romanas, mappe dopo p. 816, fig. 15.
- ^ a b E. Luttwak, La grande strategia dell'impero romano, Milano 1981, pp. 231-232.
- ^ J. R. González, Historia de las legiones romanas, mappe dopo p. 816, fig. 14.
- ^ a b F. Millar, The Roman near East (31 BC - AD 337), Cambridge Massachusetts & London 1993, p. 128.
- ^ Le Bohec, pp. 34 e 45.
- ^ Annales Valesiani, VI, 35.
- ^ Bury, p. 11.
- ^ È significativo il fatto che al 340 circa risalga l'Itinerarium Alexandri, un'opera dedicata a Costanzo e celebrante la vittoria di Alessandro Magno contro i Persiani, ma in origine contenente anche la descrizione della campagna orientale di Traiano contro i Parti (Bury, p. 14).
- ^ CIL III, 12483.
- ^ Bury, p. 12.
- ^ Arsace accettò di pagare un tributo annuale all'Impero; in cambio Costanzo gli diede in moglie Olimpia (tra il 350 e il 360), figlia del prefetto Ablabio (messo a morte da Costanzo con una accusa falsa per essere stato un sostenitore del vescovo niceno di Alessandria d'Egitto Atanasio), precedentemente fidanzata di Costante I (William Smith, "Arsaces II", Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, volume 1, p. 363).
- ^ CIL III, 3705 e CIL III, 7000.
- ^ Bury, p. 13.
- ^ a b Bury, p. 14.
- ^ Teofane Confessore, AM 5842.
- ^ Bury, p. 32.
- ^ Ammiano Marcellino, Storie, XX, 2.1.
- ^ Ammiano, xx 7.
- ^ Clinton, p. 121.
- ^ Clinton, p. 122.
- ^ Misopogon, 370 b.
- ^ Temistio, Orazione VII, 90 b.
- ^ Ammiano Marcellino, XXIII, 2-3.
- ^ Ammiano Marcellino, XXIII, 2, 6; 5, 6-12.
- ^ Ammiano Marcellino, XXIV, 2, 3-6, 9.
- ^ Ammiano Marcellino, XXIV, 3, 10-27.
- ^ Historia Augusta, Vita Cari 9, 1.
- ^ Ammiano Marcellino, XXIV, 8, 5; XXV, 2, 3.
- ^ Ammiano Marcellino, XXV, 3, 7.
- ^ Ammiano Marcellino, XXV, 3, 10-23; Libanio, Orazione 18, 272; Salvatore Calderone, Da Costantino a Teodosio, 1969, p. 656.
- ^ Ammiano Marcellino, XXV, 9, 10-12.
- ^ Michael Grant, Gli imperatori romani, 2008, p. 334
- ^ David Woods, On the alleged Reburial of Julian the Apostate in Constantinople, in «Byzantion», LXXVI (2006)
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- ^ Zosimo, Storia nuova, IV, 13.2.
- ^ Zosimo, Storia nuova, IV, 20.2.
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- ^ Noel Lenski (2003). Failure of Empire: Valens and the Roman State in the Fourth Century A.D. Los Angeles: University of California Press. pp. 133, 170–181. ISBN 0-5202-3332-8.
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