Origini di Siracusa
«L'anno successivo [alla fondazione di Naxos] Archia, degli Eraclidi, giunto da Corinto fondò Siracusa, dopo aver scacciato i Siculi dall'isola che, ora non più cinta dal mare, racchiude la città interna.»
Le origini di Siracusa non hanno una datazione certa: la storiografia moderna pone la fondazione di questa città nell'anno 734 a.C., un anno dopo la collocazione proposta da Tucidide[1], il più accreditato tra gli storici antichi, mentre il Marmor Parium[2] indica il 758 a.C. Filisto[3] si avvicina maggiormente alla data incisa sul marmo e la pone nel 756 a.C. La datazione più bassa sarebbe invece proposta dagli storici antichi, Strabone e Pausania il Periegeta, che sostenendo la contemporaneità delle fondazioni greche di Siracusa, Sibari e Crotone[4], collocherebbero la nascita della polis siciliana non prima del 720 a.C.


L'etimologia arcaica della città non è ben definita, dal momento che una parte di essa divenne nota fin dall'antichità con il nome di Ortigia - dove sorse il primo nucleo abitativo dei corinzi - termine che potrebbe significare quaglia, mentre l'origine del nome Siracusa risiederebbe nella lingua sicula e significherebbe acqua salata, derivato da Syraka, idronimo di un'antica palude locale.
I luoghi siracusani, decantati nei poemi epici classici, sono stati interessati sin dai tempi più remoti da insediamenti abitativi, come dimostrato dai numerosi resti archeologici ritrovati sul territorio[N 1][5]. La leggenda fondativa narra di diversi popoli ellenici giunti sulle sponde aretusee: gli etoli e gli elidi furono i primi, seguiti dai corinzi di Archia, mitico ecista della polis, il quale dopo aver consultato l'oracolo di Delfi intraprese il suo viaggio colonizzatore, seguendo le indicazioni della sibilla delfica[N 2]. In breve tempo Siracusa crebbe, fondando essa stessa delle colonie site nella cuspide della Sicilia sud-orientale[6].
Ipotesi sulla datazione della fondazione

Fonti primarie
Le fonti primarie suggeriscono tre possibili datazioni:
Datazione arcaica (tra il 758 e il 755 a.C.)
La data più arcaica nella quale sarebbe collocata la fondazione di Siracusa è l'anno 758 a.C., attestata nelle cronache del Marmor Parium - proveniente dall'isola greca di Paro - la cui iscrizione, di autore ignoto, risale al III secolo a.C. L'epigrafe colloca l'atto fondativo nel ventunesimo anno, nell'arcontato di Eschilo ad Atene, corrispondente al terzo anno della quinta Olimpiade, ovverosia quello in cui, secondo la storiografia, partì la spedizione corinzia che avrebbe poi fondato la polis di Siracusa[2][7][8].
Non distante da questa data è quella proposta da Filisto, storico siracusano del IV secolo a.C.: egli fissa la fondazione nel biennio compreso tra il 756 e il 755 a.C., effettuando sempre il calcolo sulla base dei succitati parametri, ma affermando che si sarebbe trattato della sesta e non della quinta Olimpiade[3]. Questa lettura critica della datazione filistea non è accettata da tutti gli storici moderni dal momento che alcuni affermano che essa sia stata stabilita in riferimento ad un evento ignoto[9].
Datazione media (tra il 736 e il 733 a.C.)
La data più avvalorata per la fondazione di Siracusa è l'anno 733 a.C., riportato da Tucidide, che a sua volta avrebbe tratto l'informazione da Antioco[1]. Il calcolo di questa data viene elaborato sulla base dell'anno della fondazione di Naxos, la colonia greca più antica della Sicilia, di cui si è sicuro che la fondazione risalga all'anno precedente quella di Siracusa. Anche se la data tucididea è stata abbracciata dalla maggior parte della critica moderna ed è stata accordata con quella di Eusebio[10], alcuni storici hanno ipotizzato una data più recente e messo in dubbio questa versione, sostenendo che lo scrittore ateniese, posticipando la data della fondazione di Siracusa di un solo anno rispetto a Naxos, volesse in realtà stabilire o confermare l'anzianità della polis aretusea rispetto a tutte le altre colonie siciliane[11]. Dunque molti, leggendo in Eusebio la data 736 a.C., hanno spostato la data della fondazione di Siracusa al 735 a.C.[12] Mentre altri storici, prendendo la data 733 a.C. per la fondazione di Siracusa secondo l'ipotesi tucididea, spostano quella di Naxos al 734 a.C.[13] Nel XX secolo ci si è affidati al compromesso tra le due date, ovvero il 734 a.C.
Un altro dato interessante risulta essere la contemporaneità attestata da Eforo di Cuma, citato da Strabone[14], tra la fondazione di Siracusa e quella di Corcira (l'odierna Corfù): essendo quest'ultima attestata 600 anni dopo la presa di Troia, avvenuta nel 1334-1333 a.C. e secondo Duride di Samo si giunge all'anno 734 a.C.[15][16]
Datazione tarda (tra il 728 e il 708 a.C.)
Importante per la definizione della data è il paragone con il periodo fondativo del centro di Megara Iblea, riferita come contemporanea da Strabone:[N 3] se riteniamo che Megara sia stata effettivamente fondata nel 728 a.C., come affermato da Tucidide ma, come messo in dubbio da vari storici moderni, ciò abbasserebbe di molto la data stabilita precedentemente, portandola intorno agli anni 720 a.C.[17] Tuttavia l'affermazione di Strabone contraddice quella di Antioco, che pone la fondazione aretusea molto prima di quella megarese[18], allineandosi con le teorie sopra esposte.
Pausania il Periegeta e Strabone attestano inoltre che Siracusa venne fondata in concomitanza con il sorgere di Sibari e Crotone, centri che nacquero il primo nel 709 a.C. come proposto da Eusebio, o nel 720 a.C., come proposto da Scimno di Chio[19]; il secondo centro sarebbe sorto in contemporanea con Sibari come sostenuto da Dionigi di Alicarnasso e da Girolamo, e quindi tra il 709 e il 708 a.C.[20], o prima come avanzato da Antioco e Scimno[19], che smentirebbero la contemporaneità delle fondazioni di Siracusa, Sibari e Crotone sostenuta da Pausania e da Strabone.
Mentre è attestato dagli storici antichi che i fondatori di Siracusa e Crotone, rispettivamente Archia e Miscello, giunsero insieme all'oracolo di Delfi, i successivi eventi legati ai due eroi risultano controversi perché la maggioranza delle fonti primarie pone la data della fondazione siracusana parecchio prima. Dato che Strabone e Pausania identificano la fondazione dei centri di Crotone e Siracusa come contemporanee, non bisogna solo cercare di abbassare quella della seconda, ma anche di valutare se sia possibile un innalzamento della prima. Anche se ciò non è mai escluso dai due storici, questa ipotesi risulta contraddittoria rispetto a quanto ipotizzato dai loro contemporanei: essi infatti pongono la fondazione di Crotone in date sempre più basse del 733 a.C., ossia l'anno che Tucidide pone come data della fondazione di Siracusa. Per risolvere tale questione, si è ipotizzato che Miscello, prima della fondazione vera e propria, abbia compiuto diversi viaggi esplorativi nell'Italia antica staccandosi così da Archia[4].
Fonti secondarie
Anche se la maggior parte della storiografia moderna si trova concorde nel sostenere come corretto l'anno 734 o 733 a.C., tenendo fede a Tucidide, alcuni ipotizzano una data più recente per le motivazioni sopra esposte, e altri, tra i quali Letronne, Johnson, Miller e Bres[21], sostengono un anno più remoto, ossia quello indicato sul Marmor Parium, che comunque, pur essendo quasi confermato da Filisto è considerato da altri poco attendibile e ambiguo[22]. Scrive a proposito dell'anno della fondazione di Siracusa il noto archeologo francese Letronne:
«Tra tutte le colonie esterne della Grecia, Siracusa è senza dubbio quella che ha giocato il ruolo più importante. Fondata dai corinzi 757 anni prima di Cristo, essa superò presto per importanza gli altri insediamenti greci dell'Italia e della Sicilia.»
Gli storici Valerio Massimo Manfredi e Lorenzo Braccesi ipotizzano invece che la grande disparità tra la collocazione alta e quella bassa, potesse derivare da una duplice fondazione[24]; Filisto citando quel 756 a.C. voleva forse riferisi alla prima ondata di coloni provenienti dall'Eubea - il cui passaggio si presume sia stato lasciato nell'origine di alcuni nomi come Aretusa e Ortigia (presenti nei territori dei greci euboici)[24] - e una seconda ondata, stavolta proveniente da Corinto, nel 733 a.C.[24].
Analizzando comunque tutte le date proposte per la fondazione di Siracusa, si può dunque dedurre come non sia possibile datare con estrema precisione l'anno in cui la città venne fondata dai Greci, dal momento che le attestazioni secondo le quali la fondazione della città fu contemporanea a quella di altre colonie e i contrasti tra le fonti primarie rendono difficile trovare una soluzione al problema[25].
Etimologia
Ortigia
L'isola di Ortigia è molto importante per comprendere le origini dell'intera Siracusa, poiché le fonti attestano che su quest'isolotto poco distante dalla terraferma, sorse il primo nucleo abitativo dei coloni corinzi[30][31][32]. Essa fu nota nell'antichità con tre denominazioni che si succedettero a seconda del periodo storico.
- Il poeta Nicandro di Colofone[33] fu il primo ad affermare che anticamente l'isola di Ortigia venne appellata con il nome di Homothermon[N 4][34], termine italianizzato in Omotermon e tradotto letteralmente da Omo-termon come "Eguale bagno" o "Eguali bagni" ad opera di Tommaso Fazello[35] e di Vincenzo Mirabella[36]. L'origine etolica del nome accomuna, in parte, la teoria di Nicandro a quella di Pausania, il quale riconosce tra i Siracusani e la regione greca delle relazioni[37][38].
- Il nome Ortigia (in greco antico: Ὀρτυγία?), col quale è nota Siracusa fino dall'epoca greca, deriverebbe da coturnice, diffusa nel Mediterraneo e nell'Asia Minore, o da quaglia (in greco antico: ὄρτυξ?[39]), diffusa in quello che per i Greci era il mondo conosciuto, più comune e più antica. Nicandro invece afferma che questo nome sia connesso al fatto che gli Etoli - da lui, come da altri - indicati quali fondatori, avendo abbandonato la propria patria per giungere nell'isola mediterranea, decisero di dare alla nuova terra lo stesso nome del luogo etolico[40]. Il termine Ὀρτυγία, presente nella lingua greca e tradotto dagli studiosi Henry Liddell e Robert Scott come isola delle quaglie[41], possedeva originariamente secondo il lessicografo Esichio di Alessandria un ϝ iniziale, che si sarebbe pronunciato come una sorta di v (*ϝόρτυξ)[42].
- Nonostante l'isola avesse una serie di nomi antichi, posteriormente gli abitanti non persero l'uso di identificarla come Nasos, parola che nel dialetto dorico significa Isola[41][43].
Dal greco
Per la variante greca sopra descritta si sono evidenziate due possibili etimologie: l'una indicante una derivazione dal sanscrito e un'altra dall'egizio.
- Il termine *ϝόρτυξ, pronunciabile come vòrtux, richiama il termine tedesco per quaglia Wachtel e presenta un'affinità colla parola Vártikā, appartenente al sanscrito vedico[44], la lingua che viene usata nei Veda, tra i più antichi testi sacri dell'India: la radice indoeuropea Vart, Vartukas[45], da cui visibilmente deriva Vártikā, allude alla forma rotonda propria del muoversi a terra della quaglia e fa da sé derivare il verbo latino per girare, vertere[46]. Tuttavia, non è detto che il nesso logico tra quest'animale, identificato anticamente come "emblema del sole"[45], e il vertere latino debba necessariamente stare nel movimento dell'uccello, poiché esso potrebbe risiedere nel fatto che la quaglia fosse implicata nell'annuncio di una particolare fase di un fenomeno ciclico, quale il sorgere del Sole o l'arrivo della primavera; in questo secondo caso risultando uno dei primi uccelli che annunciano la primavera mediante il ritorno sulle coste del mare e l'emissione del loro verso[47]. In questa identificazione si troverebbe come rievocazione dei riti sacri praticati a Delo, isola del mar Egeo che ha parecchie analogie con Siracusa quanto alla storia mitologica[45]. Sempre in visione sacrale, il termine Ortigia sarebbe riconducibile a un soprannome con il quale veniva definita la dea Diana[48][49].
- Si è anche ipotizzato che il termine greco possa essere una derivazione dall'egiziano πι.ορτ(υξ)[42][44][50].
Dal latino
Se quindi il nome greco della quaglia potrebbe alludere al suo movimento, quello latino coturnix, sembrerebbe poter trarre origine dal verso proprio di questo uccello, anche se non è noto se come allusione onomatopeica imitante il suono *kwok o in seguito a una combinazione tra l'aggettivo katu, che significa penetrante, e il nome rana, grido, entrambi appartenenti alla lingua sanscrita e alludenti, una volta uniti in un unico termine, alle caratteristiche di questo suono[44][51].
Località omonime
Esistevano anche altre località note con questo nome, tra le quali se ne ricordano una in Etolia e un'altra sita presso Efeso nella Ionia[52], la quale prese poi il nome di Delo (in greco antico: Δῆλος?, Dêlos), significante "la Manifesta", o acquisendolo per prima e passandolo all'isola delle Cicladi[53] oppure assumendolo per similitudine con quella già nota coi nomi di Ortigia e di Asteria, in allusione in (questo secondo caso) ad "Astro" e ad Asteria, la dea delle stelle; anch'essa legata alla mitologia aretusea[54]. Delo avrebbe infatti passato il suo nome a tutte le proprie colonie[55], tra le quali comunque non è possibile annoverare Siracusa, la cui fondazione è storicamente, tradizionalmente e solidamente attribuita ai Corinzi, con la conseguenza che sia improbabile un suo legame politico-fraterno con Delo.
Siracusa
L'origine del termine Siracusa (in greco antico: Συράκουσαι?, Syrákousai, e in latino Syracusæ, pluralia tantum come il nome di molte altre città createsi per sinecismo) è di difficile analisi e d'incerta origine.
Dal siculo
- Secondo una versione complementare, che prende in considerazione il termine siculo Sùraka o Siraka, l'etimologia del termine sarebbe sempre connessa all'acqua e in particolare alla sua abbondanza[56] in quest'area e alla molteplicità dei fiumi presenti nel bacino siracusano[57][58].
- Nell'antichità tale bacino comprendeva pure una palude costiera d'acqua salmastra nota come "Il Pantano"[59], sita nell'area oggi nota come Pantanelli per l'antica conformazione melmosa del suolo. Tra i più celebri autori che citarono questo specchio d'acqua nelle loro opere, si ricordano Vibio Sequestre[N 5], Teocrito[N 6], Stefano di Bisanzio, Filippo Cluverio, Tucidide e Plutarco[N 7]. Il geografo Marciano di Eraclea così la descrisse:
Que ab contermino Stagno accepere nomen:
Nuncque Syracusa ipsis dicuntur.[60]»
- Un'ipotesi solitaria risulta essere quella formulata dallo scrittore ottocentesco Innocenzio Fulci[61], il quale nella sua opera Lezioni filologiche sulla lingua siciliana afferma che il nome di Siraco fu dato alla città dai siculi provenienti dalla Magna Grecia dove sorgeva un tempo la città di Siris (Σίρις), presso la quale scorreva il fiume Siris, nella Siritide, località che dai siriti (tra i primi popoli greci dell'Italia antica[N 8]) prese il nome. Questi poi, essendo imparentati con i morgeti (il Fulci riferisce che il re Morgete avesse una figlia di nome Siris[61]), emigrarono con essi in Sicilia e qui fondarono Siracusa[61]. Scrive il Fulci sull'origine del nome della futura polis:
Dall'indoeuropeo
È stato ipotizzato che il nome derivi da Sur-aku, parola indoeuropea significante "Acqua salata", composta dalla radice sū, da cui deriva sūro ("amaro" e "salato" in indoeuropeo, termine che mostra un parallelismo con la radice sura del celtico e un'affinità coll'aggettivo tedesco sauer) con l'aggiunta del suffisso aku o aka[64].
Dal greco
Il siracusano cinquecentesco Vincenzo Mirabella afferma che la sua patria venne così chiamata per volere dell'ecista Archia, il quale imponendole il nome di Siraca, voleva darle il significato di "Portare alla quiete"[36][65] La medesima supposizione afferma il Fazello, il quale nella sua Historia di Sicilia dice:
Dal fenicio e dall'orientale
La radice da cui sarebbe derivata la parola Siracusa potrebbe avere, secondo alcuni storici, un'origine orientale, e più precisamente fenicia, dal momento che fu importata da Cartagine. Nonostante questa comunanza di opinione, i medesimi studiosi hanno proposto differenti versioni per la traduzione di questo termine, andandosi a concentrare sull'abbondanza di paludi nel bacino siracusano nella zona orientale della città.
- Lo studioso francese Samuel Bochart nella sua opera Geographia Sacra ha fatto derivare il termine Siracusa dal punico Sor-Cosia, da lui traslitterato come Syrach nel passo «Et Syraco vox Phoenecia»[66]. Tale nome fenicio può essere reso con più gruppi di termini italiani, che ben evidenziano le caratteristiche delle acque circostanti la città, ossia l'odore sgradevole e l'abbondanza. Ai fini della traduzione Bochart sceglie il primo rendendo quel termine come "fetore", nonostante il resto della storiografia in primo luogo accetti ambo le interpretazioni e in secondo appaia più moderata, preferendo forme come "salato" e "amaro" in aggiunta all'"abbondante", con la conseguenza che le parole del Bochart sono state aspramente criticate dal filologo e storico olandese Jacques Philippe D'Orville, il quale rammenta che, avendo il vocabolo fenicio due significati, lo storico non possa eleggerne uno solo a principale ignorando l'altra possibilità[67].
- Lo storico Adolf Holm esclude totalmente l'ipotesi secondo la quale questa radice dovrebbe riferirsi all'esistenza di un'antica palude e propone il significato di "Luogo orientale"[68][69].
Nei poemi epici
Nell'Odissea
Nonostante il nome di Siracusa non venga mai citato espressamente nei testi di Omero, nell'Odissea sono stati notati vari passi che gli storici pensano possano avere impliciti rimandi a Siracusa[70]: il poema risulta in particolar modo importante perché, considerato come Omero sia ritenuto il più antico dei grandi poeti greci, contiene quelli che sono ritenuti essere riferimenti utili per la ricostruzione dell'assetto preellenico e precorinzio di Siracusa, se non per l'identificazione tradizionale della Trinacria con la Sicilia. Una prima lettura critica di quanto scritto da Omero viene fornita dal poeta greco Esiodo, che, definendo in un frammento di papiro Ortigia e l'Etna come luoghi omerici[71] sostiene che la rotta di Ulisse e dei suoi compagni sia corrispondente a quella seguita dai marinai dell'Eubea che per primi esplorarono il Mediterraneo occidentale[72][73][74].
In epoca moderna sono state formulate altre tesi, sempre volte a identificare il bacino siracusano come luogo omerico:
- È stato ipotizzato che questo territorio fosse la prima patria di favolose popolazioni sicule quali i Feaci e i Lestrigoni.
- Il Martorelli, nonostante l'isola del dio Sole sia universalmente nota come una definizione della Sicilia, ha sostenuto nei suoi scritti che dovesse essere identificata con la sola Ortigia, producendo molte prove ed esponendo varie argomentazioni nell'ampia bibliografia che raccolse su questa tesi alternativa.
Ciononostante il passo più interessante per trovare un nesso tra Omero e un'arcaica Siracusa, studiato e sviluppato da più autori, si trova nel XV libro dove Eumeo, esponendo le proprie origini, accenna all'esistenza di un luogo chiamato Siria, posto (secondo lui) più in alto rispetto ad Ortigia. Tale luogo sarebbe connesso alla nascita e al tramonto del sole in conformità con la tradizione che lo vorrebbe terra natia di Apollo e Artemide, gemelli degli astri. Sulla collocazione della mitica terra di Siria non si è costituito tra gli storici moderni un netto consenso, tanto che si è ipotizzato si tratti di un luogo del tutto immaginario[75].
Ὀρτυγίης καθύπερθεν, ὅθι τροπαὶ ἠελίοιο,
οὔ τι περιπληθὴς λίην τόσον, ἀλλ᾽ ἀγαθὴ μέν,
εὔβοτος, εὔμηλος, οἰνοπληθής, πολύπυρος.
πείνη δ᾽ οὔ ποτε δῆμον ἐσέρχεται, οὐδέ τις ἄλλη
νοῦσος ἐπὶ στυγερὴ πέλεται δειλοῖσι βροτοῖσιν:
ἀλλ᾽ ὅτε γηράσκωσι πόλιν κάτα φῦλ᾽ ἀνθρώπων,
ἐλθὼν ἀργυρότοξος Ἀπόλλων Ἀρτέμιδι ξὺν
οἷς ἀγανοῖς βελέεσσιν ἐποιχόμενος κατέπεφνεν.
ἔνθα δύω πόλιες, δίχα δέ σφισι πάντα δέδασται:»
«Cert’isola, se mai parlar ne udisti,
Giace a Ortigia di sopra, e Siria è detta,
Dove segnati del corrente Sole
I ritorni si veggono. Già grande
Non è troppo, ma buona: armenti, e greggi
Produce in copia, e ogni speranza vince
Col frumento, e col vino. Ivi la fame
Non entra mai, nè alcun funesto morbo
Consuma lento i miseri mortali:
Ma come il crine agli abitanti imbianca,
Cala, portando in man l’arco d’argento,
Apollo con Artemide, e gli uccide
Di saetta non vista un dolce colpo.
Due cittadi ivi son di nerbo eguale[N 10];»
Altro elemento che connette Ulisse al mondo protosiracusano è l'omonimia tra una fonte presente ad Itaca, patria del condottiero, e la celebre Aretusa situata a Siracusa[76]. Tra gli altri, lo scrittore inglese Samuel Butler ha valutato la possibilità di una Siracusa preistorica già esistente ai tempi di Omero:
«I nomi Syra e Ortigia, isola sulla quale era stata costruita grande parte della Dorica Siracusa, suggeriscono che anche ai tempi dell'Odissea vi fosse una Siracusa preistorica, la cui esistenza era nota allo scrittore del poema.»
Nell'Eneide
Scrive il poeta latino Publio Virgilio Marone nel libro III dell'Eneide:
Missus adest. Vivo praetervehor ostia saxo
Pantagiae, Megarosque sinusm Thapsumque jacentem.
Talia monstrabat relegens errata retrorsum
Littora Achemenides, comes infelicis Ulixi.
Sicanio praetenda sinu jacet insula contra
Plemmyrium undosum: nomen dixere priores
Ortygiam. Alpheum fama est huc Elidis amnem
Occultas egisse vias subter mare: qui nunc
Ore, Arethusa, tuo Siculis confunditur undis.
Jussi numina magna loci veneramur; et inde
Exsupero praepingue solum stagnantis Helori.
Hinc altas cautes projectaque saxa Pachyni Radimus[77];»
«Allor che Borea da lo stretto a l'uopo
Di Peloro spirò. Varcò le alpestri
Foci repente di Pantaia, i seni
Megaresi, ed in fin l'umile Tapso.
Questi lidi passò co l'infelice
Ulisse il Greco, ed or me li apprendea.
Contro a Plemmirio un'isoletta è posta
Che Ortigia si nomò. Narra la fama,
Per vie secrete Alfeo d'Elide l'acque
A le Sicule unir teco, Aretusa.
Ne venero gli Dii; trapasso i pingui
Campi d'Eloro e di Pachino i sassi[78].»
L'Eneide narra le vicissitudini dell'eroe troiano Enea, leggendario fondatore di Roma. Il suo autore, Virgilio, è nato molti secoli dopo rispetto a Omero; quando pubblica il racconto delle origini romane Siracusa e le sue sponde rappresentano un nome ormai ben noto al mondo greco-romano. Analizzando dunque i versi della sua epica narrazione ambientata in tempo arcaico, bisogna tenere conto del contesto storico molto più avanzato di quello del tempo omerico il quale poteva dirsi ancora in parte sconosciuto[79].
Virgilio non nomina Siracusa, poiché ai tempi dell'eroe troiano non era ancora giunto il fondatore Archia sulle coste siciliane[80], ma nomina molti dei luoghi che la circondano e che, stando alla tramandata testimonianza, esistevano già al termine della guerra di Troia.
Enea, già noto ai miti dei greci, secondo Omero fondò un grande regno nella Troade, mentre secondo la versione più conclamata, ovvero quella virgiliana, fuggì via mare dall'Asia Minore per giungere nelle coste italiche del Lazio. Durante il suo tragitto costeggiò la Sicilia, ed è qui che la tradizione arcaica virgiliana nomina le future località siracusane. Enea con i suoi compagni presso l'Etna incontrò Achemenide, un compagno di Ulisse, che esortò i troiani a fuggire dalla terra dei Ciclopi e li supplicò di portarlo in salvo con loro[81]. Achemenide condusse così i troiani nei nascenti luoghi siracusani, poiché sostenne di conoscerli, in quanto già una volta aveva fatto quel percorso marinaro con Ulisse[82].
La compagnia partendo dal fiume Pantagias, dove si trovava il seno megarese (ovvero il golfo di Augusta, il cui nome deriva da Megara Iblea, polis che sarebbe sorta all'incirca nel medesimo periodo della colonia aretusea)[Frase non completa]. Proseguì poi per Thapsos definita nel poema virgiliano come umile perché si sollevava di poco dal livello del mare - conformazione geografica che tale penisola ha tutt'oggi mantenuto - e che in tempi arcaici rappresentava un importante villaggio preistorico. Il passo virgiliano cita poi il Plemmirio e lo definisce ondoso, perché è un promontorio che viene toccato dal mare[83], anche se qualcuno ha erroneamente ipotizzato che volesse riferirsi alla piena di un fiume siracusano: dalla voce plemmiria, che in greco vuol dire inondazione[N 11]. Il termine Sicanio praetenda sinu sarebbe da tradurre con Siculo, poiché si sostiene che Virgilio si sia confuso con i nomi degli antichi popoli siciliani: unendo due stirpi invece separate[84][85] o facendole consanguinee[86][N 12]. Giunsero quindi all'isola di Ortigia e qui scesero a terra[82].
Ai troiani era nota la leggenda di Aretusa e Alfeo. Essi infatti, presso la mitica fonte, fecero sacrifici agli dei e solo dopo tale gesto si rimisero in viaggio. Lo scrittore e storico Antonio Spinosa ha così immaginato il passo virgiliano nella nascitura Siracusa:
La leggenda sulla fondazione
«Secondo una tradizione, Archia si recò a Delfi nello stesso tempo in cui lo fece Miscello. Insieme consultarono l'oracolo: il dio, prima di rispondere, volle sapere da ciascuno se avessero preferito la ricchezza o la salute; e, poiché Archia scelse la ricchezza e Miscello la salute, designò al primo l'area di Siracusa, e l'area di Crotone al secondo. Ora, i Crotoniati costruirono effettivamente una città dalle meravigliose condizioni salubri, come abbiamo detto in precedenza; e i Siracusani d'altro canto si elevarono in breve tempo sin all'apogeo della ricchezza e dell'opulenza, testimone di ciò fu l'antico proverbio: alla gente troppo ricca e benestante non basterebbe nemmeno la decima di Siracusa»
Ancor prima di Archia, si narra che vi giunsero gli etoli dall'Etolia[40], e poi ancora gli elidi da Olimpia[88], i quali portarono in questa terra il famoso mito della dea Artemide e della ninfa Aretusa. Solo successivamente, in un tempo di incerta datazione, vi giunse da Corinto il Bacchiade-Eraclide. Archia dopo essere stato espulso dalla sua patria a causa dell'uccisione di Attenone, che provava un amore da lui non ricambiato, dopo aver consultato l'oracolo di Delfi, venne a sapere di dover fondare una città nel luogo descrittogli dalla sibilla delfica, ovvero l'isola di Ortigia[89].
Vi approdò con i suoi coloni, i quali provenivano in maggior parte da Tenea, borgo della regione corinzia che Aristotele[90] e Pausania il Periegeta[91] fanno risalire a origini troiane, in quanto i suoi abitanti erano discendenti dei prigionieri di Troia catturati da Agamennone e trasferiti nei pressi di Corinto.
Nacque quindi Siracusa e da subito si erse in potenza e ricchezza, poiché secondo Strabone, la sibilla delfica aveva domandato ad Archia cosa di più egli desiderasse per la futura colonia: ricchezza o salute, e il corinzio scelse la ricchezza[92]. La leggenda sulla fondazione a questo punto si divide in varie versioni: secondo lo scoliasta di Pindaro, Archia aveva già trovato edificate le città-quartiere di Neapolis, Acradina, Tiche ed Epipoli, oltre all'appena conquistata Ortigia; dalla loro sottomissione e dalla loro unione sarebbe nata la polis di Siracusa, nome che le comprendeva tutte nel suo nucleo: sia la terraferma che l'isola[93]. La versione dello storico bizantino Giuseppe Genesio, riferisce invece che Archia svolse solamente il ruolo di conquistatore, mentre l'atto della fondazione fu dovuto alle sue due figlie, nate nella nuova colonia: Syra e Akousa, le due fondatrici dalle quali scaturì il nome di Siracusa[75][94].
La fondazione di Siracusa
Dati archeologici sul periodo pre-greco
Rapporti con i siculi
Prima dell'invio di contingenti greci nell'isola di Sicilia è opinione diffusa tra gli studiosi ritenere che vi fu un intenso rapporto commerciale, esplorativo e di analisi del territorio, per poi stabilire quando e se fosse il caso di colonizzare la terra di cui si era sentito parlare o che si era già veduta precedentemente[N 13]. Tale teoria è supportata dall'archeologia che ha rinvenuto sul posto materiali d'origine greca in età arcaica[95].
Prove di presenza greca pre-corinzia a Siracusa si sono trovate presso la Necropoli del Fusco (in territorio urbano) dove è stato rinvenuto un ampio cratere - che ha dato il nome alla bottega detta «dei crateri del Fusco» - risalente alla prima metà del VII sec. a.C. e proveniente con molta probabilità da Argo[95]. Sempre nel medesimo luogo è stata ritrovata una delle due anfore d'origine greca definite come "le più antiche del Mediterraneo centrale", di provenienza cicladica[N 14][96][97]. Alla base di queste frequentazioni ci sarebbero gli eubei, i primi popoli egei a varcare il confine occidentale. Vi sono infatti testimonianze archeologiche della loro presenza sul territorio aretuseo: si pensi ad esempio all'importante ceramica ritrovata nell'entroterra siracusano a Castelluccio, tra Noto e Palazzolo Acreide[98]; e una precoce presenza euboica a Siracusa spiegherebbe, secondo diversi storici, l'anomalia dei nomi siracusani come Ortigia e Aretusa, dall'alfabeto arcaico, che non mostrano affinità con i corinzi ma piuttosto con quella sfera orientale ionico-euboica[98].
Insediamenti abitativi
Oltre alla testimonianza archeologica pre-coloniale dei greci verso il territorio, bisogna comunque tenere presente che l'intera area di Siracusa, in maniera sparsa, era già da tempo abitata dalle popolazioni autoctone. Località poste a sud come la Necropoli del Plemmirio[99] e Ognina, nella quale si è ritrovato - grazie agli scavi di Bernabò Brea - un raro esempio di tomba dell'età del Bronzo che collega la cultura siracusana a quella maltese[100]. Altre località poste al nord del territorio come Thapsos, dalla quale pervenne una notevole quantità di reperti d'origine micenea[101], che confermano la presenza di un antico emporio commerciale misto tra siciliani e micenei[101] mantenutosi sino all'arrivo dei colonizzatori.
Numerosi altri siti sono stati scoperti proprio all'interno dell'area urbana siracusana[102][103], come alcune testimonianze di epoca castellucciana, ossia del XXII secolo a.C., rinvenute nell'area superiore dell'isola d'Ortigia[104]. Ma anche i siti in zona extra-urbana tra i quali si menzionano la Necropoli di Cassibile e Pantalica, la cui estensione archeologica l'ha portata ad essere considerata come "la Necropoli più grande d'Europa"[105][106]. La maggior parte di questi siti risale al tempo in cui i siculi - popolo d'incerta origine - vi vennero ad abitare stabilmente, attorno al XV secolo a.C.. Fondando numerosi centri diffusero la loro cultura che divenne egemone per l'isola, al punto che la storiografia narra di un mitico re Hyblone che concesse ai primi coloni greci giunti da Megara la fondazione di una colonia sul suo territorio[107]:
«Gli altri, scacciati da Tapso, siccome Iblone re dei Siculi offriva la terra e li guidava, fondarono Megara, quella chiamata Iblea.»
All'alba della colonizzazione, e prossima fondazione, la situazione di Siracusa appariva dunque complessa, poiché i greci non andavano a trovare certamente un luogo non interessato da attività socio-culturale pre-ellenica di grande rilevanza sul territorio[N 15].
Il preludio alla spedizione
Tra le discordanti date della fondazione, presumendo quella tardiva, che pone l'arrivo greco dopo la fondazione di Nasso e Megara, una spiegazione può essere colta dalle parole di Strabone quando spiega che prima di Teocle - mitico fondatore di Nasso - nessun greco aveva osato venire in Sicilia a fondare colonie a causa della pericolosità del tragitto, dell'incognita dei pirati del Tirreno e della crudeltà dei barbari dell'isola[109][110]. A ciò doveva aggiungersi il fatto che i greci colonizzatori preferivano trovare un luogo disabitato al loro arrivo, per evitare probabili scontri con la popolazione locale[111]. Tutto questo avrebbe potuto allontanare in un primo momento il desiderio verso la costa siracusana, poiché essa - pur avendo in sé tutte le caratteristiche primarie adatte alla fondazione - era ben circondata da insediamenti già esistenti[N 15].
Un preludio che troverebbe conferma nei passi di Strabone quando asserisce:
«Archia, mentre era in viaggio per la Sicilia, vi lasciò Chersicrate, della stirpe degli Eraclidi, con una parte della spedizione.»
Egli informa dunque che una spedizione, posta agli ordini di Archia, stava navigando diretto in Sicilia, e le intenzioni, o il preavviso bellico viene confermato anche da Tucidide il quale asserisce che Archia dovette scacciare i siculi presenti nel luogo della fondazione[112]. I primi coloni presero dalla madrepatria le istituzioni e le leggi, in particolare, i coloni guidati da Archia, si imposero sugli abitanti del luogo prima anche politicamente, infatti i coloni si riunirono in privilegiate tribù che avevano tutti i diritti, gli uffici religiosi, le magistrature più alte e le migliori terre, a discapito della popolazione autoctona[113].
Tralasciando la leggenda dell'esilio dell'ecista corinzio, è autorevole il parere degli storici Manfredi e Braccesi, nel ritenere che quando un capo della spedizione si recasse presso il Santuario di Apollo a Delfi, lo facesse dietro esplicito consenso della propria città. Dunque Corinto sapeva della prossima spedizione siracusana e fornì ai coloni tutto il necessario per affrontare una simile impresa, tra cui anche l'armamento bellico. Inoltre, lo stesso Santuario dove le sibille avevano le visioni, sarebbe stato in realtà un luogo di grande conoscenza e sapienza, poiché il sito sacro al dio del sole raccoglieva una vasta quantità di informazioni provenienti dall'estero; geografia, società e cultura dei luoghi dove poi sarebbero stati mandati i coloni sotto esplicita richiesta dell'oracolo delfico che in questo modo si assicurava il rispetto dei viandanti:
La fondazione
La ktisis (l'atto fondativo) di Siracusa, com'è noto, si perde nella leggenda: il mitico ecista Archia giunse sulla costa, battagliò con i nativi e s'impadronì del luogo. Tuttavia diversi storici ritengono che nelle parole del mito si celi della verità poiché esso sarebbe divenuto tale solo in seguito, quando venne arricchito di particolari mitici, consoni all'importanza acquisita e alla tradizione del tempo[114]. Per cui vi è chi pensa che personaggi come Archia siano esistiti realmente e abbiano giocato un ruolo storico importante per la futura polis; probabilmente si trattava di navigatori esperti, di guerrieri, capitani della marineria euboica o corinzia che detenevano il primato sui mari[115].
I primi insediamenti
Tralasciando la leggenda, gli storici sostengono che chiunque abbia fondato questa colonia lo abbia fatto spostandosi poco alla volta sulla terraferma. A tal proposito, afferma lo studioso Moses Israel Finley, i nuovi coloni scelsero di sbarcare sull'isolotto di Ortigia per ragioni strategiche e di sopravvivenza; lì infatti potevano disporre dell'immediato uso d'acqua dolce proveniente dalla fonte Aretusa, e una volta cacciati i siculi non dovevano temere che questi si fortificassero all'interno di quel perimetro circondato dal mare[117].
Per muoversi dall'isola alla terraferma, i nuovi coloni costruirono un argine di pietre divenuto in seguito un vero e proprio ponte che portò l'isola a non essere più cinta ovunque dal mare, come informa Tucidide[118].
Popolarono inizialmente l'Acradina, detta terra dei peri selvatici, che divenne in breve tempo la parte più ampia della nuova polis. In base ai sepolcri di periodo greco ritrovati sull'adiacente terreno dell'Acradina si è inoltre ipotizzato che il primo abitato di Siracusa terminasse lì e non oltre, poiché i greci erano soliti edificare l'area sepolcrale fuori dalla zona urbana[119].
Sulla zona del Temeno (futura Neapolis), a quei tempi ancora disabitata, alla sommità del colle detto Temenites (luogo sacro) sorgeva un tempio dedicato ad Apollo. Gli studiosi sostengono che esso fosse stato eretto dai primi coloni, i quali dedicarono un'enorme statua all'Apollo Archegeta, il protettore dei colonizzatori[119]. Su questa area sacra (o Bosco sacro) riferirà in futuro anche Cicerone: «Apollinis, qui Temenites vocatur, pulcherrimum et maximum»[N 16][119]
L'asservimento dei siculi
In base agli studi archeologici condotti, sappiamo che le case dei primi coloni siracusani erano composte da un solo vano[120], da ciò gli studiosi deducono che esse non fossero state costruite per ospitare un'intera famiglia, bensì singoli individui; ciò sarebbe un chiaro indizio sul fatto che alla nuova polis mancavano ancora le donne e gli schiavi[120]. La prima popolazione siracusana sarebbe stata composta da coloni provenienti per la maggior parte da Tenea - così come informa Strabone[121] - ed essendo quella località un vasto borgo rurale della regione corinzia, essi, sapienti contadini, portarono il loro mestiere sulle fertili terre aretusee e qui si dedicarono all'agricoltura[24], facendo prosperare in breve tempo l'economia siracusana e favorendone dunque l'espansione, la quale portò ad una trasformazione della società. Venne integrata sempre più la manodopera degli schiavi, essi infatti fluivano nella chora siracusana provenendo dai villaggi dei barbari, ovvero delle popolazioni autoctone sconfitte in battaglia[122]. Più grande diveniva il confine siracusano, più ondate di coloni si sostiene che giungessero nella polis e dunque maggiore diveniva l'importo della schiavitù[N 17]. A tal proposito, secondo diversi storici Siracusa rappresentò uno degli esempi più antichi dello sfruttamento di schiavi perpetrato dai coloni a danno delle popolazioni indigene[123], le quali non avendo una moderna conoscenza della guerra, così come l'avevano acquisita i greci, dovettero soggiacere ad essi. Sicché l'impatto tra una realtà relativamente pacifica come quella locale e la venuta di una società articolata e schiavista come quella greca fu probabilmente devastante[124].
Organizzazione sociale
Grazie alla costituzione dei Siracusani di Aristotele conosciamo alcuni dettagli della società arcaica siracusana (anche se dell'opera a noi rimangono solo pochi frammenti); nella politeia - divulgata attraverso Erodoto[125] - si parla infatti del conflitto interno tra i Gamoroi e Killichirioi; costoro erano il frutto del periodo iniziale di vita della polis: tra le file dei primi si contavano i proprietari terrieri che si facevano discendere dai coloni corinzi. Tra le file dei secondi vi era invece la popolazione asservita che si facevano discendere dai siculi. Nulla di certo sappiamo inoltre della forma di governo che vi era da principio nella polis: alcuni hanno ipotizzato che il suo fondatore, Archia, vi introdusse l'oligarchia che vigeva nel medesimo periodo anche in Corinto, tra chi sostiene la tesi c'è Pindaro[126][127]. Da Polibio[128] si conosce l'esistenza di un'assemblea di mille membri[129], dove ogni anno si eleggevano gli arconti strateghi e nomofilaci che avevano il potere esecutivo e il dovere di far osservare le leggi ai cittadini[130][131][132].
Gli stessi interrogativi del Mustoxidi se li sono posti molti altri studiosi del periodo, come il de Pastoret, il quale attinge nella leggenda e si rammarica che debbano passare ben due secoli prima che le fonti greche parlino concretamente delle vicende siracusane[N 18].
Più di due secoli scorrono prima che barlumi meno incerti splendano sulla storia di Siracusa, e, cosa affliggente a pensarlo, tosto che l'oscurità sparisce, quasi sempre si scorgono le fazioni e la tirannia.»
La presenza femminile
La spedizione dei greci era composta da soli uomini, dunque il problema della presenza femminile andava risolto sulla nuova terra[N 19]. Il contatto tra greci e siculi poteva avvenire in due diverse modalità: in maniera pacifica con scambi, doni, proposte di matrimonio tra influenti membri locali (che generalmente sancivano poi una convivenza tranquilla tra la colonia greca e l'elemento autoctono) oppure vi era la modalità conflittuale, ovvero i coloni greci rapivano contro la volontà dei locali le donne portandole nella colonia[138]. Siracusa, stando alle fonti antiche, rientrerebbe nel secondo caso[N 19].
Gli storici ritengono infatti attestata la consuetudine dei matrimoni misti[N 19], poiché seppure in passato i greci avessero effettuato una chiusura all'elemento autoctono prediligendo l'unione solo tra coloni onde preservare la grecità, ciò non avvenne nel caso della vita coloniale quando per la sopravvivenza dovettero assicurarsi la presenza di donne, anche se non greche[120]. La presenza di donne sicule nella Siracusa greca è stata attestata ad nella necropoli del Fusco dove sono stati rinvenuti oggetti e ornamenti indigeni databili intorno alla metà del VII sec. a.C.[139][140]. Purtroppo le fonti greche tacciono su questo importante aspetto e sulla nascita delle colonie, per cui ben poco si conosce del periodo che s'interpose tra la fondazione e le prime notizie storiche[N 20].
Scomparsa delle città dei siculi
Con il passare del tempo a causa dell'espansione militare greca, sull'isola scomparvero improvvisamente molti floridi centri indigeni; esempio di violenta scomparsa nel siracusano - VII secolo a.C. - è rappresentato dalla necropoli del Finocchito, posta in territorio netino, distrutta dai siracusani durante la loro risalita del fiume Anapo[141][142]. La città di Pantalica, nata come insediamento vero e proprio, accolse, nei primi anni della sua vita, sempre più fuggiaschi siculi che scappavano dalle incursioni delle popolazioni italiche[143]. Durante il secolo precedente alla fondazione di Siracusa fu definitiva la capitale dei siculi e raggiunse il momento di massimo splendore. Gli attriti con i siracusani iniziarono con l'arrivo di Archia e dei coloni corinzi, che si espansero nell'isola a danno della città. Probabilmente richiese un aiuto da Megara Iblea, con la quale aveva stretti rapporti, senza però riuscire a resistere alla pressione dei siracusani che, infine, la conquistarono[143][N 21].
L'identità siceliota
Il caso di Siracusa è uno di quelli dove avvenne uno scontro bellico per poter entrare in una terra nuova e portarla sotto il proprio controllo. Siculi e nuovi coloni siracusani dorico-corinzi non ebbero un approccio pacifico composto da alleanze terriere. Strabone[144] riferisce che i nuovi coloni deportarono i siculi o li scacciarono verso l'entroterra, non permettendo loro di restare in maniera egemone sulla costa.
Del difficile rapporto tra i due popoli parlerà anche Alcibiade, il quale - riferisce Tucidide[145] - durante la guerra del Peloponneso, cercando alleanze contro Siracusa, era convinto di ricevere il favore dei siculi poiché questi mal sopportavano il controllo siracusano:
All'ateniese si oppone Ermocrate che cerca invece di unire i popoli della Sicilia sotto un'unica bandiera contro le mire espansionistiche di Atene, e per far ciò ricorda al Consiglio dei popoli riunitosi a Gela (anno 424 a.C.) che essi non erano di sola stirpe greca, bensì erano il frutto di unioni tra popolazione autoctona e coloni dell'Egeo: «noi non siamo né dori e né ioni, ma sicelioti» dirà il generale siracusano sancendo per la prima volta quel termine e rivendicando così un'autonomia culturale dalla madrepatria[147].
La carenza di fonti sul periodo arcaico
Il primo periodo siracusano risulta essere abbastanza misterioso, rare sono le fonti antiche al riguardo. Ciò ha dato avvio a diverse congetture circa la nascita delle prime sub-colonie aretusee: Eloro, Acre, Casmene, Kamarina. Alcuni storici si domandano ad esempio come sia stato possibile che una colonia sorta solamente nella seconda metà del VIII secolo a.C. avesse fondato, pochi decenni dopo, già due o tre colonie e lo avesse fatto immettendosi senza indugiare nell'area maggiormente popolata dai nativi dell'isola[148]. Costoro ipotizzano che la data di fondazione presunta della polis non corrispondesse al vero e che in realtà lo sviluppo siracusano partì in un'epoca anteriore rispetto a quella riportata o studiata nelle fonti storiche:
Ma per altri studiosi vi sarebbe invece una concreta spiegazione a queste precoci fondazioni da parte di Siracusa: fu una necessità di difesa il suo avanzare velocemente verso i territori dell'entroterra siciliano, scegliendo alture come Akrai per poter avere una visuale completa di ciò che vi era oltre i suoi confini[108][149]. Tale difesa non sarebbe stata rivolta solo alle popolazioni indigene, quali siculi o sicani che ancora numerosi minacciavano l'egemonia della neonata colonia, ma anche a frenare l'espansione di altre realtà greche vicine per posizione geografica a Siracusa, come Gela[150]. Ciò sarebbe testimoniato dalla fondazione di Eloro, presso il fiume Tellaro, nel tavolato a sud di Siracusa, i cui moderni studi potrebbero dimostrarne l'edificazione come avamposto siracusano già dall'VIII sec. a.C.[150][151]. Questa datazione, oltre ad anticipare la ktisis della polis, richiederebbe uno studio approfondito per comprendere i motivi che spinsero i greci di Siracusa a fondare la colonia elorina quasi in contemporanea alla fondazione della loro madrepatria. Alcuni studiosi vedono nella fretta di colonizzare il timore dovuto alla possibilità che, data la fertile zona, altri elleni potessero giungere nel sito occupandolo per primi e circondando dunque pericolosamente le vicine mura di Siracusa[152].
Non essendovi fonti così arcaiche a disposizione per poter comprendere come si formò quella che venne definita "la vasta chora siracusana" si devono cercare maggiori numi nei reperti archeologici, i quali rendono evidente che le sub-colonie non furono di sola natura militare, poiché vennero stabilmente abitate e accrebbero una società dedita anche all'arte, come si evince dai numerosi resti culturali da esse provenienti[153][154].
Non dotate di autonomia politica, questi siti di arcaica fondazione accolsero larghi numeri di coloni siracusani[122] e popolazione servile autoctona, rappresentando l'inizio della storia egemone di Siracusa[148].
Aneddoti sul periodo arcaico
I compagni di Archia
Secondo la leggenda, con Archia viaggiarono altri suoi compagni corinzi che lo seguirono fino a Siracusa: Teleso, Ezioco, Melituto, Etiope e Bellerofonte. Di costoro, solamente su uno non ci perviene alcuna notizia; Ezioco, che viene citato come nobile compagno corinzio. Dei restanti quattro giunge per ciascuno un diverso aneddoto. Inoltre, pur non essendo menzionato tra i compagni viaggiatori di Archia, le fonti sostengono che tra loro vi fosse anche il poeta corinzio Eumelo[155].
Bellerofonte e Pegaso
ὡς δ᾽ εἰδῇς καὶ τοῦτο: Κορίνθιαι εἰμὲς ἄνωθεν,
ὡς καὶ ὁ Βελλεροφῶν: Πελοποννασιστὶ λαλεῦμες:
δωρίσδεν δ᾽ ἔξεστι δοκῶ τοῖς Δωριέεσσι.»
«Ma tu, perchè lo sappi, il tuo comando
Volgi a Siracusane. Abbiam la nostra
Radice antica da Corinto, ond'era
Bellerofonte ancor. Usiam favella
Peloponnesia, e lice, parmi, ai Dori
In dorico parlar.»
Bellerofonte era un eroe di Corinto; egli aveva preso questo nome perché aveva ucciso il tiranno corinzio, Bellero. Divenne leggendario affrontando la Chimera, che egli sconfisse con l'aiuto del cavallo alato Pegaso, il quale venne da lui domato presso la fonte corinzia del Pirene. I siracusani, in quanto discendenti dei corinzi, mostrarono nelle loro monete il Pegaso alato, si pensa in memoria di Bellerofonte[157]. L'eroe viene nominato anche da Teocrito in uno dei suoi idilli e viene posto come motivo d'orgoglio per le origini delle siracusane, protagoniste del dialogo. Oltre la possibile lettura numismatica, la leggenda narra anche che Bellerofonte fosse venuto a Siracusa in compagnia di Archia[158][159], così come dice il Fazello:
Etiopo, Melituto e il baratto del miele
Ateneo parla di un aneddoto su tale Etiopo (o Etiope) che viaggiava con Archia, che durante il viaggio verso Siracusa fu colto da fame e da ingordigia al punto tale che decise di barattare con l'altro compagno corinzio, Melituto, il lotto di terra che gli sarebbe spettato - dopo averlo estratto a sorte - una volta giunto a Siracusa, in cambio di un pasticcio al miele[160][161]. Ateneo avrebbe tratto questo aneddoto dal poeta Archiloco[162] e riportato nei suoi scritti.
Telefo e l'uccisione di Archia
Di Telefo sappiamo che fu l'assassino di Archia. In quanto nominato capitano delle sue navi, giunse in terra siracusana e dopo la fondazione della colonia lo tradì, ucccidendolo. Pare per motivi di vendetta, poiché narra Plutarco[163]: Telefo fu da giovane cinedo di Archia e nell'uccisione di Atteone aveva rivisto le sue pene, dunque cercò vendetta contro la prepotenza dell'ereclida[164].
Eumelo il poeta
In merito alla possibile presenza di Eumelo di Corinto, bacchiade anch'esso, è lo scrittore greco antico Clemente Alessandrino a darne notizia[155]. Tuttavia il passo alessandrino risulta di difficile interpretazione[165], si pensa infatti ad un ambiguo significato in merito al termine "compagno di Archia": termine che potrebbe significare che Eumelo fosse un contemporaneo di Archia, un compagno di viaggio, o addirittura un ecista nell'atto della fondazione[93][166][167]. Gli studiosi comunque concordano sul fatto che se mai Eumelo ebbe un compito nella fondazione di Siracusa, fu sicuramente quello di divulgare il patrimonio culturale della madrepatria nella colonia. Secondo gli studi di Manfredi e Braccesi, Eumelo rappresenta per i coloni l'elemento "fisico", la persona da portare come custode del sapere patrio:
Il Re Pollio
Pollio era il nome di un antico vino siracusano che Claudio Eliano nomina tra quelli più apprezzati dai greci[169][170]. Egli dice inoltre che questa produzione prese il nome da un arcaico re di Siracusa, tale Pollio, o Pollis o ancora Pollide[171][172]. Da un frammento di Ippi di Reggio[173], citato da Ateneo, sappiamo che Pollide era nativo di Argo. Questo mitico re, che per la sua datazione sarebbe dunque il primo dei sovrani aretusei, introdusse, viaggiando dall'Italia in questa terra, la vite eileos (che si attorciglia), detta biblia, la medesima del Pollio, e da questa - sostiene Ateneo - sarebbe nato il più antico dei vini siciliani ed italici, il Biblio[168][174].
Eliano definisce l'argivo basileus enchorios e tale ruolo di comando sarebbe stato confermato anche da Giulio Polluce nel suo Onomastikòn, il quale attribuisce ad Aristotele[175] la notizia di questo mitico sovrano, non definendolo però argivo; poiché egli specifica che il nome del vino (il quale sembrerebbe dare origine al basileus e non viceversa[176]) potrebbe trarre le sue radici o da un Pollis di Argo o da quel Pollis re dei siracusani[176]. Mentre l'Etymologicum Magnum, redatto a Costantinopoli nel 1150 d.C., definisce questo Pollis come tiranno dei siracusani. Altro su di lui non dicono le fonti antiche[176].
Note
- Note al testo
- ^ Nei villaggi preistorici di Siracusa venne rinvenuta la ceramica con decorazioni incise, tra la più antica di questa tipologia d'arte (G. Valdes, Sicilia, 2001, p. 3).
- ^ Pausania nel suo quinto libro sulla descrizione della Grecia, parlando del fiume Alfeo, decanta le origini di Siracusa ricordando le parole che il dio di Delfi disse ad Archia il corinzio (volgarizzazione a cura di Antonio Nibby in Descrizione della Grecia di Pausania: nuovamente dal testo greco, Volume 2, 1817, p. 117): (greco antico)«Ὀρτυγίη τις κεῖται ἐν ἠεροειδέι πόντῳ,
Θρινακίης καθύπερθεν, ἵν᾽ Ἀλφειοῦ στόμα βλύζει.
μισγόμενον πηγαῖσιν ἐυρρείτης Ἀρεθούσης.»(italiano)
«Nel vaporoso mare Ortigia giace
Sopra Trinacria là dove la bocca
Si spande dell'Alfeo, che unisce le acque
Alla sorgente di Aretusa amena.» - ^ Secondo Strabone i megaresi parteciparono alla fondazione di Siracusa, quindi erano già presenti all'epoca della nascita aretusea: Strabone, VI, 2, 4; fonte bibliografica moderna: Cordano, Di Salvatore, 2002, p. 127.
- ^ Nel testo di Buonanni, Colonna, 1717 p. 4. «Fazello nella prima Deca con tali parole: Prima ejus pars, quae hodie colitur (intende Ortigia) prisco tempore teste Nicandro Homothermon dicebatur.»
- ^ Vibio Sequestre lo ricorda nel suo De stagnis et paludibus. Si veda Vibio Sequestre, De fluminibus fontibus lacubus nemoribus paludibus montibus gentibus per litteras libellus, VI., dove egli la nomina come Tyraca Syracusis.
- ^ Teocrito ne serba memoria nel sedicesimo dei suoi Idilli, scrivendo "accanto alle acque di Lisimeleia, se avverse circostanze ineluttabili mandassero i nemici via dall'isola". Si veda Teocrito, XVI Idillio..
- ^ Tucidide e Plutarco la descrivono come "posto pieno di anguille ove i soldati siracusani e ateniesi andavano a pescare durante le ore di riposo", intrecciandone la descrizione con la storia della palude Lisimelia, posta «tra Napoli e l'Anapo», oggi scomparsa. Si veda Capodieci, 1816, Buonanni, Colonna, 1717.
- ^ Antioco di Siracusa, Licofrone e Strabone ne danno notizia. Si veda Giovanni Donato Rogadei, Dell' antico stato de' popoli dell' Italia cistiberina che ora formano il regno di Napoli, 1780, pp. 308-9; Luigi Pareti in Storia della regione Lucano-Bruzzia nell'antichità, 1997, p. 116.)
- ^ L'ipotesi del Mirabella e del Fazello è stata in seguito descritta nel libro di Giacomo Bonanni e Colonna, i quali però sostengono che il nome di Siracusa non potesse derivare da Archia, ma da gente ben più antica dell'ecista. Si veda Buonanni, Colonna, 1717, p. 12
- ^ La traduzione è più letteraria che letterale. Testualmente, il brano suona: «Un'isola al di sopra di Ortigia, dove ci sono i tramonti, è detta Siria, se mai ne avessi sentito parlare, non particolarmente molto popolosa, ma buona, ricca di pascoli, di greggi, di vino e di grano. Giammai la fame si insinua nel popolo, né qualche altra malattia terribile sopraggiunge ai miseri mortali, ma quando invecchiano nella città gli uomini Apollo dall'arco d'argento venendo con Artemide li uccide raggiungendoli con le sue dolci saette. Laggiù ci sono due città, che si sono divise tutte le cose in due.»
- ^ Visione non accettata dagli studiosi, in quanto già Tucidide prima di Virgilio aveva descritto il promontorio del Plemmirio, per cui sarebbe improbabile che il passo virgiliano non tenesse conto dei precedenti geografici già conclamati. Per un approfondimento sull'analisi di questo termine virgiliano, si veda I due libri della Siracusa illustrata, a cura di G. Bonanni, e Colonna, 1717, p. 188 (Plemmirio Promontorio) e Dizionario topografico della Sicilia, Volume 2 , a cura di Vito Maria Amico, 1856, p. 375.
- ^ Interessante potrebbe risultare a tal proposito, la spiegazione della studiosa Alessandra Coppola (A. Coppola, 1995, p. 103) su analoga vicenda tra i Siculi e i Sicani svolta nel Lazio di Virgilio, dove si dice che il poeta latino preferisca consapevolmente nominare i Sicani e non i Siculi, poiché i primi sono meno pericolosi politicamente dei secondi; troppo legati alle manovre siracusane del IV secolo a.C. sulle coste italiche.
- ^ Scrive sull'argomento lo storico Giovanni Brancaccio: «Nella fase iniziale del plurisecolare processo di penetrazione in Italia, i Greci con le loro prime inncerte ed ardimentose traversate dello Jonio aperto e del Tirreno cominciarono a frequentare e a conoscere la morfologia delle coste pugliesi, lucane, calabresi e siciliane, e stabilirono la localizzazione delle foci dei fiumi, delle isole, dei promontori [...] si ebbero le prime rozze descrizioni, le prime parziali forme di visualizzazione grafica del «nuovo mondo».»
- ^ L'altra venne ritrovata a Gela, e la si pone d'origine attica.
- ^ a b Ne sono esempio e testimonianza i tanti villaggi preistorici i cui resti sono stati rinvenuti tutt'intorno il territorio siracusano. Per approfondire si vedano ad esempio Frasca MassimoUna nuova capanna «sicula» a Siracusa, in Ortigia : tipologia dei materiali, Una nuova capanna «sicula» a Siracusa, in Ortigia : tipologia dei materiali, Mélanges de l'Ecole française de Rome. Antiquité, 1983.; Paolo Orsi, Vincenzo La Rosa, Le Presenze micenee nel territorio siracusano: I Simposio siracusano di preistoria siciliana in memoria di Paolo Orsi, Siracusa, 15-16 dicembre 2003, Palazzo Impellizzeri, Museo archeologico regionale Paolo Orsi, 2004.
- ^ La traduzione suona: «[Una statua di] Apollo, chiamata Temenite, enorme e meravigliosa»
- ^ Si veda a tal proposito il quadro generale del rapporto conflittuale tra coloni greci e popolazione autoctona in Berlinzani, 2012, p. 100.
- ^ Certamente descritte dai tanti dotti storici che la polis ebbe; come ad esempio la storia siciliana ad opera di Antioco siracusano, definita la più arcaica. Ma di queste opere di antica memoria, purtroppo si persero quasi completamente le tracce a causa dei violenti saccheggi ai quali la città fu sottoposta quando divenne preda degli imperi e dei domini esteri.
- ^ a b c Sulla questione dei rapporti sociali tra indigeni e coloni greci si vedano: Luigi Gallo, Colonizzazione, demografia e strutture di parentela, 1983 pp. 703-728; Manfredi, Braccesi, I greci d'Occidente, 1996, cap. I, II, III; Federica Cordano, Massimo Di Salvatore, Il Guerriero di Castiglione di Ragusa: greci e siculi nella Sicilia sud-orientale: atti del Seminario, Milano, 15 maggio 2000, 2002; Francesca Berlinzani, Convivenze etniche, scontri e contatti di culture in Sicilia e Magna Grecia, 2012, e l'ampia bibliografia annessa.
- ^ Sull'interesse degli scrittori antichi greci per il rapporto sociale tra indigeni e coloni, si veda L'elemento indigeno nella tradizione letteraria sulle ktiseis a cura di Mauro Moggi, Persée, 1993, pp. 979-1004.
- ^ Nonostante gli studiosi ipotizzino una molto probabile fine di Pantalica per mano dei siracusani e della loro espansione, non vi è alcuna fonte primaria che possa rischiarare, anche minimamente, le reali sorti che subirono gli abitanti di quella che è stata definita la capitale dei siculi. L'assenza di testimonianze archeologiche, successive al VII sec. a.C., dimostrerebbero una simultanea scomparsa del poderoso centro con la nascente colonizzazione greca della Sicilia ionica. Per un maggiore approfondimento sull'argomento si vedano: Luigi Bernabò Brea, Pantalica: ricerche intorno all'anáktoron, 1990; Cordano, Di Salvatore, 2002, p. 65 n. 97; Acme, Volume 58, Edizioni 2-3, 2005, p. 259.
- Fonti
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- Giovanna De Sensi Sestito e Maria Intrieri, Corcira fra Corinto e l'Occidente: rapporti e sincronismi di colonizzazione in Sulla rotta per la Sicilia: l'Epiro, Corcira e l'Occidente, ETS, 2011, ISBN 9788846730916.
- Francesca Berlinzani, Convivenze etniche, scontri e contatti di culture in Sicilia e Magna Grecia, Tangram Ediz. Scientifiche, 2012, ISBN 9788864580555.
Voci correlate
Collegamenti esterni
- L'espansione greca, su galleriaroma.it. URL consultato il 14 novembre 2014.
- Siracusa, in Dizionario di storia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. URL consultato il 14 novembre 2014.
- I luoghi del mito - Siracusa, su miti3000.it. URL consultato il 14 novembre 2014.
- Aretusa, Ciane e Anapo. Siracusa nata dalle acque, su ragusanews.com. URL consultato il 14 novembre 2014.
- Origini e prima Tirannide di Siracusa, su siracusain.it. URL consultato il 17 gennaio 2015.
- Archia... e il suo viaggio verso la futura Siracusa, su archeosiracusa.wordpress.com. URL consultato il 17 gennaio 2015.