Benthos

Organismi acquatici che vivono in stretto rapporto con il substrato

Il benthos (o bentos, dal greco antico βένθος?, "abisso"[1][2]) è la categoria ecologica che comprende gli organismi acquatici, sia d'acqua dolce sia marini, che vivono in stretto contatto con il substrato[3], noti come organismi bentonici.

Organismi tipici del benthos

La branca dell'ecologia marina che studia gli organismi e le biocenosi bentoniche prende il nome di bentologia o bentonologia.

Il termine benthos, coniato dallo zoologo tedesco Ernst Haeckel nel 1891[4], deriva dal nome greco βένθος, "profondità del mare". Esiste anche un sinonimo ridondante, Benton[5]. Il termine benthos si contrappone alle categorie ecologiche plancton e necton, che comprendono organismi acquatici che vivono sospesi nella colonna d'acqua, senza trarre stretti rapporti con il fondo.

Aspetto tipico di una comunità bentonica, con gorgonie e molti altri organismi bentonici associati

L'ambiente di fondo nel quale vive il benthos prende il nome di ambiente bentonico o dominio bentonico, e la biodiversità bentonica ad essa associata prende il nome di comunità bentonica.

Ecologia del benthos

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Rispetto alla zona pelagica, relativamente anonima, la zona bentonica offre habitat fisicamente diversi. Questa maggiore diversità negli habitat bentonici ha portato a una maggiore diversità delle specie bentoniche. Il numero di specie animali bentonici supera il milione. Questo supera di gran lunga il numero di specie animali pelagiche (circa 5.000 specie di zooplancton più grandi, 22.000 specie di pesci pelagici e 110 specie di mammiferi marini)[6].

Influenza del substrato

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Organismi bentonici sessili
 
Organismo tipico del benthos vagile: una stella marina

Alcuni organismi del benthos vivono fissi al substrato, sono cioè organismi sessili, incapaci di movimento, ancorati al fondo. Si parla di benthos sessile quando l’organismo è fisso al substrato per tutta la durata di vita dell’adulto, è questo il caso ad esempio di alghe, piante marine, poriferi, antozoi, briozoi, ascidie, cirripedi ecc.

Altri organismi del benthos sono invece vagili, cioè capaci di movimento. Si parla di benthos vagile quando l’organismo è capace di compiere brevi spostamenti. Questi spostamenti possono avvenire strisciando aderenti al substrato, come nel caso di vari gruppi di platelminti, policheti, molluschi ed echinodermi, oppure deambulando grazie ad appendici articolate, come nel caso dei crostacei decapodi e dei picnogonidi.

Infine, esiste anche un benthos natante, rappresentato da quegli organismi (per la maggior parte cefalopodi e pesci) che si spostano nuotando sopra il substrato, pur stazionando saltuariamente su di esso e da esso ne dipendono strettamente per l’alimentazione, il rifugio e la riproduzione.

L’importanza del substrato nell’ecologia del benthos dipende dal fatto che esso rappresenta l’ambiente degli organismi bentonici e ad esso sono legati gli altri fattori ecologici del dominio bentonico. Essendo il benthos in rapporto con il fondo, esso è condizionato nei suoi aspetti morfologici, fisiologici ed ecologici dalle caratteristiche del substrato, cioè dai cosiddetti fattori edafici. Inoltre in rapporto al substrato anche altri fattori chimico-fisici presentano un particolare comportamento. Risultano specialmente condizionati dalle caratteristiche del substrato la luce, l’idrodinamismo, il contenuto in sali minerali, l’ossigenazione, le sostanze nutritive.

 
Ricco popolamento bentonico sessile associato ad un substrato duro

Il substrato può essere duro, come i fondi rocciosi, o molle (detto anche mobile), come sabbia, fango, ghiaia e detrito. I due tipi di substrato, duro e molle, ospitano fauna e flora molto diverse nella loro fisionomia complessiva. Esistono infatti diverse modalità di insediamento nel substrato, a seconda che questo sia costituito da sedimenti consolidati (fondi duri) o incoerenti (fondi molli).

 
Organismi bentonici di fondo molle

I fondi duri, costituiti essenzialmente da roccia, scogli, conchiglie, esoscheletri di coralli, ma anche materiali artificiali realizzati dall’uomo (pali, imbarcazioni, moli, ecc.), offrono un substrato idoneo per l’insediamento di organismi sessili ed incrostanti. Il substrato duro consente l’impianto della maggior parte delle alghe e degli invertebrati marini sessili (spugne, gorgonie, coralli, anemoni di mare, briozoi, ascidie ecc.). Sebbene sui substrati duri prevalgano gli organismi sessili, non mancano anche rappresentanti del benthos vagile, come gasteropodi, crostacei, echinodermi ecc.

I fondi molli sono una mistura di particelle organiche, inorganiche e acqua interstiziale, e gli organismi del benthos che vi abitano sono fortemente influenzati dalla variazione di queste componenti. I fondi mobili sono infatti costantemente rimaneggiati dai movimenti del mare (correnti e moto ondoso) e perciò l’insediamento degli organismi sessili è sfavorito. Per questo motivo nei substrati molli, a differenza di quelli duri, gli organismi vagili prevalgono rispetto agli organismi sessili.

Influenza delle condizioni ambientali

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Oltre che dal substrato gli organismi del benthos sono condizionati nella loro distribuzione anche dalla temperatura, dalla profondità e dalla luminosità. Esempi tipici di popolamenti bentonici legati in modo imprescindibile alla temperatura sono le barriere coralline, limitate alle acque calde delle regioni costiere tropicali. Va ricordato che gli organismi del benthos hanno scarsa o nulla capacità di movimento e quindi sono costretti a sopportare le variazioni microclimatiche senza potervisi sottrarre con grandi spostamenti.

Il più importante elemento di differenziazione della vita bentonica è rappresentato dalla profondità, che influenza in modo imprescindibile la distribuzione del benthos. Sebbene la profondità non sia in sé un fattore ecologico, essa comporta la variazione di tutta una serie di fattori ecologici che influenzano in modo significativo le caratteristiche e la distribuzione degli organismi bentonici.

 
Un organismo bentonico fotofilo: il corallo tropicale Acropora millepora
 
Un organismo bentonico sciafilo: il corallo rosso (Corallium rubrum)

In primo luogo è da considerare chiaramente la luminosità, che diminuisce all’aumentare della profondità e che, come detto, influenza la distribuzione di moltissimi organismi che dipendono dalla luce solare per le loro esigenze trofiche (alghe, piante, coralli tropicali ecc.). La scarsa penetrazione della luce al di sotto dei 200 m rende la vita vegetale impossibile influendo così in modo essenziale sulle caratteristiche ecologiche dell’ecosistema marino.

Gli organismi bentonici sono detti fotofili se dipendono dalla luce, o sciafili se prediligono zone d’ombra, dove la luce è scarsa o assente. Un tipico esempio di organismo marino sciafilo è il corallo rosso (Corallium rubrum), che cresce sempre in ambienti poco illuminati, come grotte o anfratti sommersi. Anche molte specie di poriferi (spugne) non sopportano illuminazioni eccessivamente alte ed abbondano nelle zone ombrose. Il coralligeno, popolamento tipico del Mediterraneo presente sotto i 25 m di profondità, si sviluppa in ambienti poco illuminati e dove le specie che lo caratterizzano, tipicamente sciafile, possono crescere nella penombra.

Un altro importante fattore di differenziazione degli organismi del benthos legato alla profondità è rappresentato dall’idrodinamismo, che nella zona superficiale è intenso a causa del ritmo delle maree e del moto ondoso, mentre in profondità è più contenuto perché dovuto esclusivamente alle correnti.

Classificazione del benthos

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Gli organismi del benthos possono essere classificati secondo diversi approcci (dimensionale, funzionale, sistematico ecc.).

Classificazione dimensionale

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Organismi tipici del macrobenthos: una gorgonia e un anemone di mare

Gli organismi bentonici possono essere suddivisi in base alle dimensioni[7][8][9][10]:

Classificazione per ubicazione

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Ricco popolamento epibentonico

Per quanto riguarda invece la posizione dell’organismo bentonico nei confronti del substrato si distingue:

  • epibenthos (epifauna se animale, epiflora se vegetale), che comprende quegli organismi bentonici che vivono sopra il substrato. La maggior parte degli organismi del benthos è epibentonica.
  • endobenthos (endofauna o infauna se animale, endoflora o inflora se vegetale), che comprende quegli organismi bentonici che vivono all’interno del substrato. La maggior parte degli organismi endobentonici vive su substrati molli, come molti molluschi bivalvi e organismi meiobentonici come i gastrotrichi. Pochi organismi vivono dentro substrati duri, alcuni esempi sono le spugne perforatrici come Cliona e il dattero di mare (Lithophaga lithophaga), un mollusco bivalve che perfora la roccia.

Classificazione sistematica

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Il benthos può essere distinto in:

I termini dei vari approcci di classificazione del benthos possono essere poi sovrapposti; così, per esempio, per macrozoobenthos si fa riferimento agli animali bentonici con dimensioni maggiori di 1 mm; per macrofitobenthos si fa riferimento ai vegetali bentonici con dimensioni maggiori di 1mm; per microfitobenthos si intende la componente vegetale bentonica di dimensioni minori di 0,063 mm ecc.

Fitobenthos

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Il termine fitobenthos, prefisso dal greco antico phutón 'pianta', indica le piante appartenenti al benthos, principalmente diatomee bentoniche e macroalghe (alghe).

Alghe verdi

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La lattuga di mare (Ulva lactuca), un'alga verde

Le alghe verdi (Chlorophyta) vivono solo sulla zona fotica, con luce abbondante.

Alghe brune

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Alcune alghe brune (Phaeophyceae) creano importanti foreste algali, ecosistemi molto produttivi che ospitano una ricca biodiversità.

Alghe rosse

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Corallina officinalis

Le alghe rosse (Rhodophyta), grazie alla loro struttura anatomica e citologica, possono vivere negli ambienti più disparati colonizzando substrati anche molto diversi: vivendo incrostanti su fondi duri, su conchiglie o altro, oppure in forme erette, articolate o libere.

Le alghe rosse sono, tra le alghe, le specie che possono vivere a maggiori profondità; addirittura alcune specie sono sciafile, amanti delle zone scarsamente illuminate, e crescono dove la radiazione luminosa è bassa, anche fino a 200 metri di profondità.

Molte specie di alghe rosse sono caratterizzate da un tallo impregnato di carbonato di calcio, e sono pertanto organismi biocostruttori, in quanto la loro crescita dà luogo a edifici calcarei di origine organica noti come biocostruzioni, e contribuiscono alla costruzione di vere e proprie scogliere organogene come il coralligeno mediterraneo.

Fanerogame marine

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Posidonia oceanica, endemica del Mediterraneo, dove forma ampie praterie sommerse dal grande valore biologico ed ecologico

Le fanerogame marine sono un gruppo di piante marine, che si distinguono dalle alghe in quanto sono dirette discendenti delle piante terrestri. A differenza delle alghe, che hanno il corpo, detto “tallo”, composto da tessuti indifferenziati, le fanerogame possiedono tessuti differenziati che svolgono funzioni specializzate (ed es. possiedono apparati radicali, fusti, detti “rizomi”, e foglie). Inoltre, le fanerogame marine sono in grado di produrre fiori e frutti, che una volta giunti a maturazione rilasciano semi per promuovere la riproduzione sessuale.

Le fanerogame marine sono piante cosiddette “modulari”, ovvero sono composte da unità morfologiche ripetute chiamate “ramet”, ciascuna composta da un tratto di radice, un tratto di rizoma ed un fascio di foglie.

Se esposte a condizioni ambientali ottimali (luminosità, salinità, idrodinamismo, sedimentazione ecc.), le fanerogame marine possono dare origine ad ampie praterie di fanerogame marine, ecosistemi a cui si associa una ricca biodiversità marina.

Zoobenthos

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Esempio di componenti dello zoobenthos mediterraneo: la spugna Axinella polypoides e la gorgonia Eunicella singularis.

Il termine zoobenthos, prefisso dal greco antico zôion 'animale', indica gli animali appartenenti al benthos: appartengono alla categoria ecologica dello zoobenthos tutti gli organismi bentonici a metabolismo eterotrofo appartenenti ai metazoi (animali).

Poriferi

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La spugna Agelas oroides

I poriferi (Porifera), noti comunemente come spugne, sono animali pluricellulari molto semplici e primitivi, che spesso non hanno una forma definita, la cui organizzazione cellulare è molto semplice, infatti le cellule non sono organizzate in tessuti o organi, ma sono solo cellule aggregate. Le spugne non hanno stomaco o intestino, né tessuti, sistema nervoso o muscoli per muoversi; sono costituite da diverse tipologie di cellule, ognuna specializzata per svolgere una funzione specifica.

 
La spugna Aplysina aerophoba

Le spugne sono tra i più semplici organismi pluricellulari viventi e presentano il livello di organizzazione strutturale più semplice tra gli animali, poiché possiedono pochi tipi di cellule non organizzate in tessuti veri e propri. Sono alla base dell’albero evolutivo degli animali: non hanno né tessuti né organi, una spugna è un ammasso di cellule vagamente differenziate in uno strato cellulare esterno di protezione e una massa cellulare interna. Un sistema di cavità interne collegate tra loro è attraversato da una corrente d’acqua che apporta nutrimento e ossigeno.

Come suggerisce il nome ("poriferi" vuol dire “portatori di pori”, dal latino porus, “poro”, e ferre, “portare”), le spugne sono ricche di pori, che servono per la penetrazione e la fuoriuscita dell’acqua, e mettono in collegamento la parte interna (spongocele) con l’ambiente esterno. Le spugne sono organismi sospensivori filtratori, che per nutrirsi filtrano l’acqua. Ricavano le particelle nutritive dall’acqua inalata che filtrano attraverso i pori presenti sulla superficie mediante cellule flagellate dette coanociti. L'acqua entra attraverso i numerosi pori che ricoprono tutto il corpo della spugna, le particelle alimentari sono trattenute all'interno del corpo dai flagelli dei coanociti, e l'acqua viene poi espulsa attraverso un'apertura più grande, che prende il nome di osculo.

Il loro corpo è sostenuto da minuscole strutture aghiformi, simili a bastoncini, dette spicole, che possono essere di silice o di carbonato di calcio. Il materiale che compone le spicole ha valore sistematico, e spesso la specie di spugna si identifica solo osservando al microscopio la morfologia e la struttura chimica delle spicole.

 
La spugna Axinella damicornis

Le spugne sono una costituente molto importante del benthos. Sono esclusivamente organismi bentonici sessili, con larve a breve periodo di vita planctonica. Vivono a tutte le profondità e in tutti gli ambienti, colonizzano sia fondi molli sia fondi duri. Prediligono nettamente i fondi rocciosi in quanto molte specie necessitano per la loro fissazione di un substrato duro. Le specie adattate alla vita sui fondi mobili come substrati sabbiosi o fangosi sono in numero decisamente minore. La loro distribuzione sui fondali mobili è in genere legata alla presenza di ciottoli o altri corpi duri su cui le spugne si ancorano attraversando spesso lo strato di sedimento mediante lunghi peduncoli.

 
La spugna incrostante Phorbas tenacior

Il corpo provvisto alla superficie di pori inalanti deve infatti essere mantenuto libero dall’accumulo di sedimento, affinché si possa attuare il passaggio dell’acqua che convoglia il nutrimento ai coanociti attraverso il sistema dei canali.

Alcune specie sono epibionti di altri organismi bentonici, come coralli, molluschi conchigliati, fanerogame marine e mangrovie; altre specie sono endobionti, vivono nello spessore dei fondi sabbiosi oppure come organismi perforanti scavano gallerie nelle rocce e negli organismi calcarei.

 
La gigantesca spugna barile tropicale Xestospongia testudinaria, caratterizzata da un enorme osculo

Le specie più grosse e appariscenti sono forme epibentoniche che si trovano in genere oltre i 10-15 m di profondità, in ambienti come le barriere coralline o il coralligeno.

 
La spugna sciafila Clathrina clathrus

Molte specie sono sciafile, non tollerano cioè ambienti molto illuminati, ma prediligono ambienti riparati come anfratti rocciosi, grotte sottomarine o pareti a strapiombo. Per questo motivo nelle acque superficiali le spugne abbondano negli ambienti ombrosi e riparati, soprattutto nelle grotte e negli anfratti, dove rappresentano uno dei più cospicui ed appariscenti costituenti della fauna bentonica: le spugne tendono ad essere la componente bentonica dominante negli ambienti sciafili.

Un importante ruolo ecologico che le spugne rivestono è legato all’elevato numero di altri organismi simbionti e commensali che molte specie di poriferi ospitano, proteggendoli dalla predazione. Molte specie di spugne accolgono come endosimbionti (che vivono al loro interno) organismi autotrofi fotosintetici quali cianobatteri e microalghe dinoflagellate (zooxantelle), che spesso ne determinano la colorazione (che può variare da colori molto accesi e sgargianti a colorazioni biancastre a seconda dell’esposizione alla luce), la forma e la distribuzione (queste spugne necessitano di far arrivare la radiazione solare agli endosimbionti per permettere loro la fotosintesi).

Le spugne, soprattutto nelle acque temperate, sono minacciate da pochissimi predatori che solitamente non sono comunque in grado di danneggiare l’intero organismo; i principali predatori delle spugne sono rappresentati da nudibranchi e policheti, che “brucano” attivamente le superfici delle spugne.

Cnidari

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L'anemone di mare Alicia mirabilis

Gli cnidari o celenterati (Cnidaria) sono animali caratterizzati dalla presenza di tentacoli muniti di cnidociti, anche dette cnidocisti o cnidoblasti (da qui il nome del gruppo), cellule ectodermiche altamente complesse e specializzate, a forma di sacco, che contengono organelli chiamati cnidi, che includono capsule, che prendono il nome di nematocisti, nelle quali risiede un filamento sensorio urticante, un meccanorecettore noto come cnidociglio, utilizzato sia a scopo difensivo contro i predatori sia a scopo offensivo per la cattura delle prede (gli cnidari sono predatori). Le cnidociti sono disposte principalmente sulle espansioni tentacolari. Lo cnidociglio possiede una terminazione sensitiva; allo stato di riposo è avvolto a spirale dentro la capsula, ma quando viene stimolato si estroflette come una molla unitamente alla secrezione di alcune tossine. Il veleno contenuto nelle cnidociti è una miscela di sostanze a basso peso molecolare e di sostanze tossiche di natura proteica. L’estroflessione del filamento non avviene solo per semplice contatto ma è necessario uno stimolo chimico fornito dalla preda stessa.

 
Polipo della madrepora gialla Leptopsammia pruvoti

Gli cnidari mostrano il primo livello di evidente, seppur relativamente semplice, organizzazione anatomica: sono infatti provvisti di un abbozzo di sistema muscolare, una rete nervosa primitiva ed una struttura gastrica, la cavità gastrovascolare o celenteron. Un altro nome a cui ci si riferisce a questi animali è quello di celenterati, termine che deriva dal greco koilos (cavità) ed enteron (intestino) e che descrive proprio il celenteron, la cavità unica, a forma di sacco, del corpo degli cnidari, che corrisponde funzionalmente al canale digerente e alle diverse cavità interne degli altri metazoi. La cavità gastrovascolare svolge le funzioni digestiva e vascolare e si apre in una singola apertura, la bocca, circondata da una corona di tentacoli ricchi di cnidociti urticanti. La bocca quindi comunica direttamente con la cavità gastrovascolare, dove ha luogo la digestione del cibo; le parti non digerite vengono espulse sempre attraverso la bocca, che funge quindi anche da ano. La simmetria della cavità gastrovascolare permette di distinguere dei settori a spicchio detti setti radiali. Lungo le pareti dello stomaco vi sono lunghi filamenti tubulari chiamati mesenteri. All’interno della cavità gastrica sono localizzate anche le gonadi.

 
Polipo del pomodoro di mare (Actinia equina)

Gli cnidari sono accomunati anche dalla presenza di due strati di cellule, uno strato esterno detto ectoderma o epidermide e uno strato interno detto endoderma o gastrodermide, che funge da membrana di rivestimento del celenteron, separati da uno strato intermedio amorfo gelatinoso, la mesoglea. Le cnidociti, a cui si deve la denominazione del phylum, sono localizzate nello strato epidermico.

 
La gorgonia rossa (Paramuricea clavata), con polipi coloniali

Gli cnidari bentonici appaiono in forma di polipo; i polipi sono organismi bentonici sessili, ancorati al substrato ed incapaci di movimento. La forma polipoide consiste in un corpo colonnare, quasi cilindrico, la cui estremità superiore è provvista di una corona di tentacoli rivolti verso l’alto, attorno all’apertura orale. I polipi degli antozoi possono essere duri, come nei coralli duri o madrepore, o molli, come nelle attinie, in base alla secrezione o meno di uno scheletro calcareo rigido di carbonato di calcio, e solitari, come nelle attinie, o coloniali, come nei coralli e nelle gorgonie, a seconda dell’assenza o della presenza di collegamenti mesenterici. Il corallo infatti, spesso percepito comunemente come un singolo individuo, in realtà è formato da migliaia di polipi geneticamente identici, ognuno grande in genere pochi millimetri.

I polipi coloniali si riproducono asessualmente per gemmazione. Le giovani larve che si sviluppano dalle uova vengono rilasciate nell’acqua, dove trascorrono un breve periodo libere e natanti prima di fissarsi ad un substrato e trasformarsi in individui adulti. Gli antozoi colonizzano ogni tipo di substrato, duro o molle, orizzontale o verticale, esposto alla luce o ombreggiato, dalla zona di marea fino al piano batiale; la maggior parte delle specie predilige fondi duri.

La maggior parte degli cnidari polipoidi bentonici appartiene alla classe degli antozoi (Anthozoa), che a sua volta è divisa in due sottoclassi: Octocorallia ed Hexacorallia.

 
Il corallo mollo Alcyonium digitatum

Ottocoralli ed esacoralli si distinguono per il numero di tentacoli presenti su ogni polipo: gli ottocoralli presentano sempre otto tentacoli su ogni polipo; gli esacoralli sempre sei o multipli di sei.

 
Il corallo rosso (Corallium rubrum), specie sciafila, che non tollera zone ampiamente illuminate

Gli ottocoralli (Octocorallia) sono sempre coloniali, con polipi retrattili ad otto tentacoli pennati (dotati cioè di piccole appendici laterali note come pinnule, che servono ad aumentare la possibilità di intercettare le prede planctoniche di cui i polipi si nutrono), le colonie possono essere ramificate, come nel corallo rosso, o a ventaglio, come nelle gorgonie. Gli ottocoralli sono in gran parte molli, come gli alcionacei (Alcyonacea), noti comunemente come coralli molli, e i pennatulacei (Pennatulacea), conosciuti come pennatule o penne di mare, nei quali è assente uno scheletro rigido ed il sostegno del corpo è dovuto a spicole sparse nei tessuti ed all’assorbimento d’acqua che ingerita dai polipi dà rigidità al corpo. Sono poche le specie di ottocoralli in cui le spicole calcaree sono saldate tra loro a formare uno scheletro calcareo duro, secreto dalle cellule della mesoglea (scleroblasti). In Alcyonium lo scheletro consiste di spicole che contengono un asse organico secreto dagli scleroblasti sul quale si depositano cristalli di calcite (CaCO3 che cristallizza nel sistema romboedrico); in Heliopora, delle zone tropicali, lo scheletro è formato da fibre cristalline di aragonite (CaCO3 che cristallizza nel sistema rombico) fuse in lamelle; nelle gorgonie lo scheletro coloniale ha un asse semirigido di natura proteica, costituito da una sostanza cornea, la gorgonina (proteina affine al collagene ad alto contenuto di tirosina); nel corallo rosso (Corallium rubrum), una specie sciafila del Mediterraneo, le cellule ectodermiche migrano nella mesoglea e secernono delle spicole calcaree che si cementano insieme mediante altro CaCO3, i polipi comunicano tra loro con tubi gastrodermici che decorrono alla superficie della colonia intorno allo scheletro. Questi ottocoralli, seppur non considerati dei coralli costruttori primari in senso stretto, partecipano all’impalcatura carbonatica delle biocostruzioni come biocostruttori secondari.

 
La madrepora cuscino (Cladocora caespitosa), specie fotofila endemica del Mediterraneo, unico corallo duro ermatipico mediterraneo biocostruttore di formazioni coralline
 
Una madrepora costruttrice tropicale: il corallo Acropora

Gli esacoralli (Hexacorallia), caratterizzati da polipi muniti da un numero di tentacoli uguale a sei o multiplo di sei, possono essere solitari e a corpo molle, come le attinie o anemoni di mare (Actiniaria) e i cerianti (Ceriantharia), sebbene siano in massima parte coloniali e con scheletro calcareo duro, come le madrepore o sclerattinie (Scleractinia). Le sclerattinie sono considerate i coralli costruttori propriamente detti, sono i veri biocostruttori primari delle barriere coralline. Le madrepore sono provviste di scheletro calcareo rigido e compatto secreto dall’epidermide e costituito da carbonato di calcio sotto forma di calcite (CaCO3); nella colonia ciascun polipo è protetto da una propria coppa calcarea, il corallite, in cui sono presenti dei setti. Hanno una distribuzione globale, ma nei mari temperati costituiscono colonie piccole (ad esempio la mediterranea Cladocora caespitosa), mentre nelle zone tropicali e subtropicali arrivano ad una notevole diversificazione. Un’ulteriore definizione è quella di coralli ermatipici (da bioerma, che significa scogliera di natura biologica), un termine che identifica anche la presenza, nei loro tessuti molli, di microalghe endosimbionti, le zooxantelle, facenti parte dei dinoflagellati (Dinoflagellata). Queste microalghe, presenti nello strato endodermico, hanno un ruolo fondamentale per la deposizione di carbonato di calcio. Sono invece definiti coralli aermatipici tutti quei coralli privi di zooxantelle o non costruttori. A causa della presenza di zooxantelle endosimbionti, che facilitano e accelerano la deposizione di carbonato di calcio, le sclerattinie tropicali richiedono particolari condizioni di luce e temperatura. Dal momento che le zooxantelle necessitano di luce solare per svolgere la fotosintesi, i coralli costruttori tropicali crescono solo in ambienti illuminati dove è presente una buona irradiazione solare; è questo il motivo per cui la crescita dei coralli costruttori tropicali avviene in acque basse, nei primi metri della zona eufotica, e le scogliere coralline non si sviluppano a profondità maggiori di 50 metri. I coralli costruttori tropicali inoltre sono organismi stenotermi, poco tolleranti a variazioni della temperatura ambientale, e richiedono acque calde: nel corso dell’anno deve necessariamente esservi una temperatura costante dell’acqua per tutti i periodi dell’anno, non inferiore ai 18 °C e non superiore ai 32 °C, con un intervallo ottimale che sembra essere compreso tra i 23 °C e i 29 °C[11].

Platelminti

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Il platelminta Prostheceraeus roseus

I platelminti (Platyhelminthes), anche detti vermi piatti per via del loro corpo sottile ed appiattito dorso-ventralmente, sono i più semplici e primitivi animali a simmetria bilaterale.

 
Il platelminta Pseudoceros dimidiatus

La classe dei turbellari comprende molte specie bentoniche. Essi abitano negli interstizi delle rocce e su diversi tipi di fondo. Sono essenzialmente forme striscianti che si spostano sul substrato grazie a contrazioni della muscolatura tramite una combinazione di movimenti ondulatori ciliari e muscolari. Nella regione anteriore sono spesso presenti delle pieghe cefaliche leggermente sollevate, ricche di cellule nervose sensoriali, che captano gli stimoli ambientali esterni permettendo così un’efficiente percezione dell’ambiente esterno ed un’efficace ricerca del cibo. Sono predatori, la maggior parte di loro si nutre di ascidie, perciò abbondano nei fondi in cui le ascidie sono molto comuni, in acque ricche di materiale sospeso. Vi sono diverse specie nel Mediterraneo, ma è nelle barriere coralline tropicali che i turbellari, soprattutto policladi, sono rappresentati da numerose specie spesso caratterizzate da colorazioni sgargianti. Spesso assumono l’aspetto di molluschi nudibranchi velenosi per evitare la predazione (mimetismo batesiano); per riconoscerli da questi bisogna osservarne il movimento in quanto non hanno il piede carnoso ma si muovono contraendo il bordo.

I rabdoceli, più minuti, sono invece diffusi sui fondi sabbiosi e fangosi spesso insinuandosi tra i granelli di sabbia e costituiscono pertanto un tipico elemento della fauna bentonica interstiziale.

Briozoi, brachiopodi, foronidei

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I briozoi, i brachiopodi e i foronidei sono animali bentonici che nel loro insieme sono definiti lofoforati in quanto provvisti di lofoforo, un caratteristico organo circolare o a ferro di cavallo che circonda la bocca e che serve per la cattura del cibo. Il lofoforo è rivestito di ciglia le quali provocano movimenti dell’acqua che conducono il nutrimento sospeso nell’acqua fino alla bocca.

 
Il briozoo Myriapora truncata
 
Il briozoo Schizoporella errata
 
Il briozoo Reteporella grimaldii

I briozoi (Bryozoa) sono i lofoforati più diffusi e più rappresentati nell’ambiente bentonico. Si tratta di forme coloniali costituite da numerosi individui, gli zooidi, di dimensioni microscopiche. Ciascuno di questi zoidi secerne uno scheletro detto zoccia che può essere calcificato, oppure corneo e più sottile. Ne derivano colonie di varia forma, dall’arborescente e cespugliosa a quella di piastre incrostanti sul substrato. Le colonie di briozoi derivano per riproduzione asessuale da un singolo individuo detto ancestrula, il quale si è sviluppato per metamorfosi di una larva pelagica. L’alimentazione, che avviene mediante correnti prodotte dalle ciglia del lofoforo, è quella tipica dei microfagi filtratori e consiste di diversi organismi del plancton come batteri, diatomee, protozoi ed anche piccoli crostacei. I briozoi possono attaccarsi a qualsiasi tipo di substrato purché solido, compresi altri animali e alghe. Si tratta quindi di animali bentonici coloniali tipici dei fondi rocciosi. Di solito vivono in zone di strapiombo o di grotta, o semplicemente sotto ciottoli e sassi, comunque in condizioni di luce attenuata (sono organismi sciafili). I briozoi fanno delle piccole dimensioni una strategia: difficilmente saranno in competizione con i grandi organismi sessili come coralli e gorgonie, capaci di monopolizzare una porzione importante del substrato per secoli. Ai briozoi bastano pochi cm di spazio e pochi mesi per accrescersi, riprodursi e compiere il proprio ciclo vitale.

 
Il brachiopode Terebratalia transversa

I brachiopodi (Brachiopoda) sono organismi marini bentonici che presentano una superficiale somiglianza con i molluschi bivalvi. Il corpo è racchiuso e protetto da una conchiglia calcitica o chitinofosfatica costituita da due valve disuguali, ma le due valve sono disposte ventralmente e dorsalmente e non sono riunite da legamento come nei molluschi bivalvi. Di solito la valva ventrale è più grossa della dorsale e diversa. I brachipodi si fissano al substrato tramite un peduncolo. Il lofoforo è costituito da due braccia recanti ciascuna una doppia serie di cirri, e avvolte a spirale, che occupano quasi tutta la cavità delimitata dal mantello e dal sacco dei visceri. Con il movimento dei cirri produce una corrente d’acqua che reca particelle alimentari, e ha funzione respiratoria.

 
Il foronideo Phoronis hippocrepia

I foronidei (Phoronida) vivono singolarmente o in grossi aggregati (non coloniali) in ambiente litorale, entro tubi chitinosi autosecreti nei quali si muovono liberamente, affossati nella sabbia o fissi a substrati solidi come pali, conchiglie, rocce dove si alimentano per filtrazione tramite il lofoforo. Protetti e sostenuti dai loro tubi, hanno una cuticola sottile non chitinosa ed un lofoforo avvolto a spirale costituito da due pieghe parallele della parete del corpo, che viene dilatato idraulicamente grazie alla contrazione di muscoli circolari. Il movimento del lofoforo convoglia le particelle alimentari verso la bocca. Nella parete del corpo sono presenti muscoli longitudinali che permettono l'accorciamento del corpo ed il ritiro del lofoforo nel tubo.

Anellidi

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Tra gli anellidi o vermi segmentati (Annelida) i più rappresentativi in ambiente marino sono sicuramente i policheti, che costituiscono uno dei gruppi più importanti della fauna bentonica. Sono detti vermi segmentati perché hanno il corpo suddiviso in segmenti che prendono il nome di metameri.

I policheti (Polychaeta) sono organismi esclusivamente marini, quasi esclusivamente bentonici (sono poche e rare le specie che fanno parte del plancton) e sono caratterizzati dalla presenza, in ogni metamero, di numerose setole sottili e chitinose, dette chete, organizzate in ciuffi su digitazioni laterali dette parapodi. La ripartizione ecologica dei policheti è vastissima: possono vivere tanto sui fondi duri rocciosi che su quelli mobili sabbiosi o fangosi. I policheti possono essere distinti, sulla base della loro ecologia, in due gruppi: erranti (vagili) o sedentari (sessili).

 
Il vermocane (Hermodice carunculata), un polichete errante

I policheti erranti sono vagili, conducono vita libera: si spostano sul substrato strisciando per mezzo dei parapodi e mediante contrazioni del corpo. Hanno un corpo tipicamente costituito da metameri simili (metameria omonoma) con parapodi ben sviluppati. Le chete, numerose in ogni metamero, permettono il movimento: aiutano i metameri ad ancorarsi al substrato e ad evitare lo scivolamento. Sono dotati di un capo ben differenziato con organi di senso specializzati, e presentano in genere una proboscide estroflettibile spesso dotata di mandibole. Sono prevalentemente predatori (di cnidari, molluschi, piccoli crostacei, echinodermi ecc.) o limivori, ma alcune specie sono filtratrici e altre erbivore. Tra i policheti erranti più tipici e più studiati nel Mediterraneo vi è sicuramente il vermocane o verme di fuoco (Hermodice carunculata), vorace predatore di cnidari e molluschi che può superare i 50 cm di lunghezza. È caratterizzato da setole silicee uncinate e fragilissime che, se sfiorate, penetrano nella cute causando dolorose ferite (da qui il nome “verme di fuoco”). Il vermocane è una specie termofila, e a causa del riscaldamento globale si sta diffondendo sempre di più nel Mediterraneo, ed è ora considerata una specie invasiva.

 
Lo spirografo (Sabella spallanzanii), un polichete sedentario

I policheti sedentari sono organismi sessili che vivono in un tubo calcareo indurito di consistenza cartacea, prodotto dall'animale stesso, dentro cui si ritira in caso di pericolo. Sono sospensivori filtratori, si nutrono di sostanze organiche in sospensione nella colonna d'acqua, che catturano grazie alla presenza nella zona cefalica di una corona di branchie filiformi ricoperte di cilia e di ghiandole mucose, la cui funzione è di invischiare le particelle alimentari. Queste hanno una colorazione che alterna giallo-marrone, marrone scuro e bianco. Una specie tipica del Mediterraneo è lo spirografo (Sabella spallanzanii). Nelle barriere coralline tropicali sono ampiamente diffusi i cosiddetti vermi albero di natale (Spirobranchus giganteus), policheti sedentari dalle branchie coloratissime e presenti in diverse colorazioni, vivono infossati nei coralli, scavano buchi negli esoscheletri dei coralli e si ritirano nei propri tubi calcarei in caso di pericolo.

Tunicati

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I tunicati o urocordati (Tunicata o Urochordata), nonostante l'aspetto, sono strettamente imparentati con i vertebrati. La parentela con i vertebrati sta nel fatto che le larve dei tunicati presentano una corda dorsale (notocorda), una struttura flessibile a forma di tubo che si riscontra anche negli embrioni dei vertebrati e che nei vertebrati, durante lo sviluppo, diventa la colonna vertebrale.

 
L'ascidia coloniale Clavelina lepadiformis

Tra i tunicati gli ascidiacei (Ascidiacea), noti come ascidie, nella fase adulta fanno parte del benthos. Si tratta di organismi sessili, fissi al substrato, il cui corpo è protetto da una tunica coriacea fibrosa la cui costituente principale, la tunicina, è una molecola simile alla cellulosa. Un cestello branchiale occupa la parte centrale della cavità del corpo, rendendo possibile la respirazione e la cattura dell’alimento. Sono infatti organismi filtratori, prelevano dall’acqua l’alimento rappresentato essenzialmente da minuti organismi del plancton in sospensione. L’appartenenza ai cordati è testimoniata dalla presenza nella fase larvale, planctonica, di un abbozzo di corda dorsale, che scompare completamente nell’adulto, bentonico.

 
L'ascidia coloniale Clavelina coerulea

Le ascidie adulte possono vivere solitarie (ascidie solitarie) o aggregate (ascidie sociali e composte) su fondali diversi del litorale: colonizzano sia substrati duri sia fondi fangosi, ricchi di detrito organico. Le ascidie sono più abbondanti in acque non limpidissime, ricche di materiale sospeso e plancton che rappresenta il nutrimento. Alcune specie ospitano nel loro corpo microalghe simbionti e quindi amano la luce, altre sono sciafile e colonizzano ambienti più riparati, come anfratti, grotte e pareti verticali o a strapiombo.

Le ascidie solitarie sono organismi simili alle spugne, dalla tipica forma ‘a sacchetto’, con due cavità, un sifone inalante e uno esalante, in mezzo una grande branchia a cestello che fa da filtro, cattura le particelle alimentari e le convoglia a un canale digerente.

Ruolo ecologico del benthos

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Considerata la ricchezza di specie e di nicchie ecologiche occupate e la loro abbondanza nell'ambiente acquatico, gli organismi bentonici hanno una grandissima valenza ecologica nel caratterizzare l'ecologia e le caratteristiche strutturali e trofiche degli ecosistemi acquatici.

Biocostruzioni

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Biocostruzione marina.

Molti organismi marini bentonici sono dei cosiddetti biocostruttori. Gli organismi marini biocostruttori sono organismi bentonici che, grazie alla loro capacità di depositare carbonato di calcio (CaCO3), sono in grado di formare grandi strutture tridimensionali ad elevata complessità strutturale, che prendono il nome di biocostruzioni. Le biocostruzioni marine sono ambienti bentonici dominati da organismi sessili carbonatici, sostengono una biodiversità eccezionalmente ricca e diversificata e offrono servizi ecosistemici cruciali per l’uomo e per l’economia globale.

 
Aspetto tipico di una biocostruzione mediterranea, a cui è associato un ricco popolamento bentonico di fondo duro

Una biocostruzione è una qualsiasi struttura di carbonato di calcio edificata da organismi marini, i biocostruttori, che si eleva dal fondo verso la superficie del mare e modifica, sia fisicamente che ecologicamente, l’ambiente locale[12][13][14].

Esempi tipici di biocostruzione sono le barriere coralline e il coralligeno.

Gli ambienti di biocostruzione carbonatica sono tra i più importanti e diversificati ecosistemi marini: si tratta di grandi strutture estremamente diversificate che aumentano l’eterogeneità e la tridimensionalità dell’ambiente e quindi il numero di nicchie ecologiche, favorendo la biodiversità. Infatti i biocostruttori modificano i substrati primari (geologici) e forniscono substrati secondari (biogenici) per nuovi organismi, sia biocostruttori sia non biocostruttori.

Le biocostruzioni tendono ad aumentare di volume e/o di spessore nel tempo per l’accumulo progressivo del prodotto di calcificazione di generazioni successive di organismi biocostruttori, ma possono andare incontro a bioerosione a seguito dell’azione di organismi demolitori[15].

Le biocostruzioni marine sono pertanto ambienti che possiedono caratteristiche ecologiche, morfologiche e strutturali uniche.

La prima caratteristica è data dalla complessità della struttura, che dipende a sua volta da numerosi fattori, sia di origine biotica (le specie biocostruttrici e le loro forme di crescita, le interazioni biotiche ecc.) sia di origine abiotica (la morfologia e la geologia dei fondali, la profondità, l’esposizione alla luce ecc.).

La seconda caratteristica riguarda la rigidità della struttura, che è garantita dalla capacità di fissare carbonato di calcio da parte degli organismi biocostruttori. Questo attributo determina una maggiore resistenza della struttura agli agenti disgreganti o demolitori e una maggiore stabilità nel tempo[16].

Gli organismi biocostruttori comprendono un’ampia gamma di organismi marini appartenenti a diversi taxa, sia eterotrofi sia autotrofi, sia animali sia vegetali, accomunati dalla capacità di deporre carbonato di calcio, il materiale che costituisce i loro talli, esoscheletri, conchiglie, tubi. Tutti questi elementi carbonatici vengono affiancati, stratificati, intrecciati in modo tale da aumentare la tridimensionalità dell’ambiente. Per la loro capacità di strutturare il paesaggio marino creando habitat tridimensionali complessi e favorendo la biodiversità, i biocostruttori sono considerati degli ingegneri ecosistemici (ecosystem engineers).

 
Una barriera corallina tropicale, una biocostruzione di acque calde tropicali poco profonde estremamente ricca di biodiversità; i principali biocostruttori sono le madrepore in endosimbiosi con zooxantelle

Nei mari tropicali i responsabili delle biocostruzioni sono in massima parte antozoi dell’ordine Scleractinia (sclerattinie o madrepore) in fotosimbiosi con microalghe dinoflagellate, le zooxantelle, anch’esse responsabili della calcificazione. Per quanto riguarda il Mar Mediterraneo, le biocostruzioni più estese ed importanti sono rappresentate dai popolamenti coralligeni del circalitorale, costituiti primariamente da poche specie di alghe rosse (Rhodophyta) calcaree sciafile che si sviluppano sia su substrati duri sia su substrati mobili, in condizioni di scarsa luminosità[17][18]. Le alghe rosse appartenenti alla sottoclasse Corallinophycidae, caratterizzate da un tallo impregnato di carbonato di calcio, hanno la capacità di formare ampie concrezioni che modificano la forma e la struttura del fondale, aumentando così la tridimensionalità dell’ambiente bentonico; le alghe rosse Lithophyllum sp. e Mesophyllum sp. sono tra i principali biocostruttori del coralligeno Mediterraneo.

 
La madrepora cuscino (Cladocora caespitosa), unico corallo zooxantellato biocostruttore del Mediterraneo

Per quanto riguarda i coralli mediterranei, un ruolo importante lo ha la madrepora Cladocora caespitosa, unico corallo biocostruttore endemico del Mediterraneo provvisto di zooxantelle fotosimbionti. A profondità maggiori, altri antozoi come coralli molli (es. Corallium rubrum) e gorgonie (es. Paramuricea clavata), provvisti di spicole calcaree e ramificazioni, aumentano la tridimensionalità dell’ambiente.

Altri animali mediterranei sono capaci di fissare carbonato di calcio ed aumentare così l’eterogeneità dell’ambiente; tra questi vi sono briozoi (es. Pentapora fascialis e Myriapora truncata), molluschi gasteropodi (vermetidi) e bivalvi, policheti (sabellariidi e serpulidi, es. Serpula vermicularis), cirripedi.

Con la loro struttura tridimensionale, le biocostruzioni accolgono una grande varietà di nicchie e di organismi, favorendo una ricca biodiversità.

Gli ambienti di scogliera corallina tropicale sono tra i più importanti e biodiversificati ecosistemi marini al mondo: sebbene occupino circa l’1% degli oceani del pianeta, ospitano il 25-30% della biodiversità marina globale[19]. La diversità tassonomica e morfologica degli animali nelle scogliere coralline è maggiore che in qualsiasi altro ecosistema della Terra.

Le biocostruzioni del Mediterraneo sono considerate il secondo più importante hotspot di biodiversità Mediterranea, dopo le praterie di Posidonia oceanica[20], ma bisogna considerare che a causa della complessità strutturale tridimensionale delle biocostruzioni ed in assenza di una stima precisa del numero di specie presenti, le biocostruzioni potrebbero ospitare più specie di qualsiasi altra comunità biologica del Mediterraneo[21].

È possibile classificare gli organismi bentonici delle biocostruzioni in categorie: l’epifauna o epibenthos cresce al di sopra della formazione; la criptofauna vive nelle cavità e negli anfratti; l’endofauna o endobenthos comprende gli organismi che si infossano nelle tasche di sedimento deposto all’interno delle cavità.

 
Struttura e biodiversità di una biocostruzione mediterranea: ricchezza di microhabitat e di organismi del benthos.

La struttura tridimensionale e cavernosa delle biocostruzioni ospita una comunità molto complessa di organismi bentonici dominata da filtratori (spugne, idrozoi, antozoi, briozoi, serpulidi, molluschi, tunicati), mentre all’interno delle crepe e degli interstizi è presente una fauna molto ricca e diversificata (policheti, crostacei, echinodermi)[22].

Come conseguenza della ricca componente di organismi bentonici legati al substrato, molti predatori nectonici nuotatori attivi (teleostei, condroitti, cefalopodi) dipendono dagli ambienti di biocostruzione per il loro sostentamento, e molti approfittano dei rifugi offerti dalle biocostruzioni per riprodursi e deporre le uova.

Per la loro natura le biocostruzioni marine, sia quelle delle regioni tropicali sia quelle presenti nel Mar Mediterraneo, rivestono un’enorme importanza sia ecologica sia anche economica, in quanto:

  • sono hotspot di biodiversità, caratterizzate da una grande ricchezza di habitat e da un’elevata diversità in specie anche laddove vi sono pochi nutrienti;
  • gli organismi calcarei sono fondamentali nel bilancio della CO2;
  • contribuiscono a contrastare l’erosione costiera;
  • sono tra gli ambienti più apprezzati dai subacquei, e quindi di grande valore estetico e turistico;
  • rappresentano un’importante risorsa economica per la presenza di molte specie di interesse commerciale.

L’importanza della conservazione delle biocostruzioni pertanto risiede non solo nel loro valore estetico, ma anche nella comprovata rilevanza di carattere biologico, ecologico ed economico, e offrono importanti servizi ecosistemici.

Organismi del benthos come bioindicatori

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Un indicatore biologico, o bioindicatore, è un organismo usato per valutare una variazione della qualità dell'ambiente a causa di uno stress naturale o antropico. Il bersaglio biologico indagato, subisce anch’esso delle modifiche del proprio stato naturale, le quali possono essere rilevate per determinare le condizioni di salute dell'ambiente. Molti organismi del benthos sono usati come bioindicatori della qualità ambientale e dello stato ecologico degli ambienti naturali.

I macroinvertebrati bentonici svolgono un ruolo fondamentale negli ecosistemi acquatici. Questi organismi possono essere utilizzati per indicare la presenza, la concentrazione e l'effetto degli inquinanti nell'ambiente acquatico. Alcuni contaminanti dell'acqua, come nutrienti, sostanze chimiche provenienti dal ruscellamento e metalli[23], si depositano nei sedimenti dei letti dei fiumi, dove risiedono molti benthos. Essi sono altamente sensibili alla contaminazione, quindi la loro vicinanza ad elevate concentrazioni di inquinanti rende questi organismi ideali per studiare la contaminazione dell'acqua[24].

Il benthos può essere utilizzato come indicatore biologico dell'inquinamento idrico attraverso valutazioni ecologiche della popolazione o attraverso l'analisi di biomarcatori. Nelle valutazioni ecologiche della popolazione è possibile rilevare un valore relativo dell'inquinamento idrico. L'osservazione del numero e della diversità dei macroinvertebrati in un corpo idrico può indicare il livello di inquinamento. Nelle acque altamente contaminate si troverà un numero ridotto di organismi e solo specie resistenti all'inquinamento[25]. Nelle valutazioni dei biomarcatori, è possibile raccogliere dati quantitativi sulla quantità e sull'effetto diretto di specifici inquinanti in un corpo idrico. La risposta biochimica dei tessuti interni dei macroinvertebrati può essere studiata approfonditamente in laboratorio. La concentrazione di una sostanza chimica può causare molti cambiamenti, tra cui il cambiamento dei comportamenti alimentari[26], infiammazioni e danni genetici[27], effetti che possono essere rilevati al di fuori dell'ambiente del corso d'acqua. L’analisi dei biomarcatori è importante per mitigare gli impatti negativi dell’inquinamento idrico perché può rilevare l’inquinamento idrico prima che abbia un effetto ecologico evidente sulle popolazioni di benthos[28].

Zonazione del benthos e ambienti bentonici

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Le comunità bentoniche presenta aspetti e composizione diversi a seconda della profondità. Si determina pertanto una zonazione in fasce verticali il cui numero e la cui ampiezza varia a seconda dei criteri adoperati. La zonazione in ecologia è l’individuazione di zone a cui sono associati specifici popolamenti (biocenosi) che li caratterizzano.

Il modello di zonazione più usato per il Mediterraneo è quello promosso da Pérès e Picard (1964), e sottolinea l’importanza dei fattori abiotici chimico-fisici nel controllare la presenza e la distribuzione degli organismi bentonici: l’esposizione al moto ondoso e alle maree, l’illuminazione, la temperatura, la salinità, la granulometria ecc. creano un insieme di condizioni che favoriscono la crescita di specie che sono adattate alla vita in questo ambiente.

La zonazione di Pérès e Picard si basa sulla suddivisione del dominio bentonico in una serie di piani. L’unità strutturale di base del modello di zonazione del benthos di Pérès e Picard è infatti rappresentata dal piano, definito come lo spazio verticale del dominio bentonico marino dove le condizioni ecologiche, funzione della situazione in rapporto al livello del mare, sono costanti o variano regolarmente entro due livelli critici che rappresentano i limiti del piano stesso. Tali piani hanno ciascuno dei popolamenti in vicinanza dei livelli critici che segnano le condizioni limite dei piani interessati. Un primo distinguo che si può fare nella zonazione del benthos è quello tra sistema fitale e afitale.

Sebbene il sistema fitale ricopra solamente l’8% dei fondali marini del pianeta (contro il 92% del sistema afitale), parleremo in massima parte delle comunità di questa zona: conosciamo molto di più di questo 8% piuttosto che del 92% del sistema afitale, questo perché, in primis, è logicamente più facile studiare le comunità a basse profondità, e poi perché nel sistema fitale c’è luce, quindi ci sono molti più organismi, il fondo del sistema fitale è quindi molto più popolato.

Il sistema fitale è suddiviso in 4 piani:

  • il piano sopralitorale si trova nell’interfaccia tra l’ambiente marino e quello terrestre, è raggiunto direttamente dal mare solo occasionalmente da grandi maree e dagli spruzzi del moto ondoso;
  • il piano mesolitorale o intertidale è compreso tra il limite superiore e inferiore delle maree, può essere più o meno esteso e questo dipende dalle escursioni delle maree stesse;
  • il piano infralitorale è perennemente sommerso e delimitato superiormente dalla presenza di specie vegetali che non sono in grado di sopportare emersioni prolungate (es. Cystoseira), ed inferiormente dalla profondità massima in cui è possibile la presenza delle praterie di fanerogame marine (es. Posidonia oceanica), nell’infralitorale delle regioni tropicali si sviluppano le barriere coralline;
  • il piano circalitorale è caratterizzato da scarsa luminosità, che si estende dal limite inferiore del piano infralitorale fino alla profondità massima di 150-200 m, oltre la quale le alghe pluricellulari non riescono ad esplicare la fotosintesi; tipico ambiente del circalitorale è il coralligeno.

Piano sopralitorale

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Piano sopralitorale.
 
Aspetto tipico del piano sopralitorale

Il piano sopralitorale o zona degli spruzzi si colloca nella zona di transizione tra l’ambiente terrestre e quello marino. È limitato superiormente dall’altezza massima raggiunta dagli spruzzi dei frangenti ed inferiormente dal livello più alto della più alta alta marea. L’acqua del mare perviene nel piano sopralitorale solo in occasione delle grandi maree o di mare agitato.

L’ampiezza del piano sopralitorale varia a seconda del tipo di costa e della sua esposizione, da pochi cm a vari metri. Nei mari dove vi è una notevole ampiezza di marea, come la Manica e il Mare del Nord, l’acqua perviene a contatto degli organismi sopralitorali durante maree particolarmente grandi come quelle equinoziali, mentre in mari come il Mediterraneo dove la marea ha scarsa importanza l’apporto dell’acqua si ha solo attraverso gli spruzzi delle onde in condizioni di mare agitato.

 
Organismi bentonici tipici del piano sopralitorale: i molluschi poliplacofori (chitoni)

Essendo il piano sopralitorale costituito da quella parte del dominio bentonico che si trova all’interfaccia tra l’ambiente marino e quello terrestre, in esso si incontra un popolamento misto di duplice origine.

 
Organismi bentonici tipici mollusco del piano sopralitorale: il mollusco gasteropode Patella vulgata e i crostacei cirripedi Chthamalus stellatus

Le comunità più note del piano sopralitorale sono quelle che si sviluppano su substrato duro. La vita vegetale è caratterizzata da cianobatteri che conferiscono alla roccia un colore scuro; tale fascia rappresenta quindi un indice pratico per valutare l’ampiezza del piano sopralitorale.

 
Un crostaceo tipico del piano sopralitorale: il granchio Pachygrapsus marmoratus

La vita animale del piano sopralitorale è rappresentata soprattutto da crostacei, echinodermi e molluschi poliplacofori come Chiton, bivalvi come Mytilus, gasteropodi come le patelle (Patella) e littorinidi (come Littorina) che si nutrono di alghe e compiono delle notevoli migrazioni verticali in rapporto alle condizioni di agitazione del mare. Caratteristici crostacei del piano sopralitorale sono i cirripedi Chthamalus e Euraphia che aderiscono spesso in grande numero sulla roccia sopralitorale, conservando nel loro guscio per molto tempo l’acqua marina incapsulata al momento dell’esondazione. Al benthos più mobile appartengono decapodi come il granchio Pachygrapsus marmoratus e isopodi come Ligia italica, dotati di grande attività in quanto si spostano spesso a scopo alimentare nel piano mesolitorale.

Pozze di marea

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Nel piano sopralitorale sono compresi anche degli ambienti particolari: le pozze sopralitorali (o pozze di marea).

Si tratta di uno dei biotopi più interessanti del piano sopralitorale sotto l’aspetto ecologico. Nelle pozze, che si formano soprattutto su fondo roccioso, si insediano organismi in grado di resistere ai cambiamenti dei fattori ecologici che caratterizzano questi micro-ambienti soggetti a periodi, anche lunghi, di disseccamento. Il loro popolamento infatti è caratterizzato da specie molto tolleranti, capaci di adattarsi a variazioni molto importanti di salinità (poiché l’acqua può diventare salmastra o soprassalata in rapporto alle piogge e all’evaporazione), di temperatura (il sole che batte nel litorale aumenta la temperatura dell’acqua raccolta nella pozza), di ossigeno (che diminuisce all’aumentare di temperatura) e di pH. Il variare delle condizioni ecologiche nel corso dell’anno determina, in una stessa pozza, il succedersi di popolamenti molto diversi. Le pozze, di dimensioni e morfologie diverse, sono alimentate da spruzzi di acqua marina e acque meteoriche.

Piano mesolitorale

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Piano mesolitorale.
 
Organismi bentonici tipici del piano mesolitorale: l'anemone di mare Actinia equina e i molluschi bivalvi Mytilus galloprovincialis

Il piano mesolitorale o mediolitorale, anche detto zona intertidale, comincia a livello della più alta alta marea e finisce a livello della più bassa bassa marea: il limite superiore è quindi rappresentato dal massimo livello del mare, mentre il limite inferiore corrisponde alla fascia scoperta dalle estreme basse maree.

Quindi mentre nel piano sopralitorale l’acqua c’è solo in occasione delle grandi maree, nel piano mesolitorale l’acqua c’è con regolarità, in relazione alle estensioni di marea: quando c’è bassa marea il piano mesolitorale è scoperto dall’acqua, quando c’è alta marea il piano mesolitorale è coperto dall’acqua. Il piano mesolitorale è caratterizzato quindi da periodiche emersioni ed immersioni in funzione delle maree.

Il piano mesolitorale è uno dei più conosciuti e più studiati: è facilmente raggiungibile dalla costa, non richiede imbarcazioni e non richiede l’utilizzo di particolari strumenti sofisticati e specializzati.

L’ampiezza del piano mesolitorale varia notevolmente in coste diverse in rapporto all’escursione di marea; nel Mediterraneo essa è di circa 30 cm soltanto mentre nella Manica e nel Mare del Nord può essere di vari metri. L’unica eccezione nel Mediterraneo è rappresentata dall’alto Adriatico, dove si possono avere abbassamenti ed innalzamenti della marea di circa 1 m (es. acqua alta nella laguna di Venezia). Il mesolitorale è un ambiente molto particolare per la vita. I fattori fisici che influenzano i popolamenti del piano mesolitorale sono:

  • periodiche emersioni e immersioni dovute alle maree ma anche al vento ed alla pressione atmosferica;
  • temperatura (in immersione è più o meno uniforme, legata alla T del mare, in emersione può essere estremamente variabile);
  • disseccamento (importante visto che quasi tutti gli animali di questo ecosistema sono di origine marina);
  • mancanza di ossigeno quando l’organismo non è esposto al suo medium respiratorio.

Il mesolitorale è quindi un ambiente in cui vivere è molto difficile. Gli organismi del piano mesolitorale devono infatti saper sopportare alterni e regolari periodi di emersione e immersione, devono cioè saper stare per un certo periodo fuori dall’acqua e per un certo periodo sott’acqua; devono essere tolleranti e resistenti nei confronti delle variazioni di temperatura (la capacità termica dell’acqua è decisamente superiore a quella dell’aria); devono essere resistenti al disseccamento e alla carenza di ossigeno.

Quindi, vivere nel piano mesolitorale presenta molte difficoltà. Eppure, nel mesolitorale la vita c’è. Molti organismi sono riusciti a sviluppare adattamenti particolari che hanno consentito loro di colonizzare un ambiente così difficile ed estremo come il mesolitorale. Il parametro che caratterizza gli organismi che colonizzano il mesolitorale è la resistenza al disseccamento.

La biodiversità del mesolitorale aumenta progressivamente andando da terra verso mare.

Anche che le specie che vivono nella zona dell’orizzonte superiore, quella che sta per più tempo fuori dall’acqua, sono generalmente ben protette: abbiamo infatti crostacei cirripedi sessili (es. Chthamalus e Balanus), che hanno un carapace modificato all’interno del quale riescono a chiudersi completamente e quindi ad isolarsi dall’ambiente esterno, e molluschi come Littorina e Patella, le cui conchiglie funzionano perfettamente come isolanti riducendo l’evaporazione e la perdita di acqua. Il piede delle patelle, aderendo con forza al substrato roccioso, trattiene una quantità di acqua sufficiente ad impedire la disidratazione, e consente loro di sopportare lunghi periodi di emersione. L’adesione è resa possibile anche dalla secrezione di una sostanza viscosa. Quindi per vivere in ambienti così rigidi caratterizzati da importanti periodi di emersione fuori dall’acqua, è necessario essere ben protetti: gli organismi a guscio duro in questa zona prevalgono rispetto agli organismi a corpo molle.

Scendendo verso l’orizzonte inferiore, la colonizzazione aumenta, e così si ha quindi un popolamento più ricco con organismi anche a corpo molle. La biodiversità è maggiore negli orizzonti inferiori del mesolitorale perché i periodi di emersione sono meno lunghi; i popolamenti intertidali infatti sono composti da specie di origine marina, e gli orizzonti inferiori sono caratterizzati da parametri più marini. Ma una maggiore biodiversità vuol dire anche maggiore competizione: infatti negli orizzonti inferiori c’è molta competizione.

 
Competizione intraspecifica per lo spazio tra due anemoni di mare

Il piano mesolitorale è quindi un piano ben colonizzato, e questo comporta di conseguenza forti e frequenti fenomeni di competizione, sia interspecifica sia intraspecifica.

La zonazione verticale degli organismi del mesolitorale è quindi determinata negli orizzonti superiori dalle caratteristiche fisiologiche degli organismi stessi, cioè da quanto un organismo è capace di stare fuori dall’acqua (quindi da quanto è tollerante nei confronti dell’umettamento, della necessità di ossigeno, delle variazioni termiche ecc.), e negli orizzonti inferiori, più colonizzati, dalla competizione e dalla predazione.

Gli organismi degli orizzonti inferiori non riescono a sopravvivere agli orizzonti superiori, mentre gli organismi degli orizzonti superiori sono perfettamente adattati agli orizzonti superiori ma vengono surclassati da quelli degli orizzonti inferiori in termini di performance metaboliche, accrescimento, capacità di sfruttare le risorse.

Piano infralitorale

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Piano infralitorale.

Il piano infralitorale è il primo piano del dominio bentonico che è sempre sommerso: nel piano infralitorale l’acqua c’è sempre.

Ambienti e biocenosi tipiche del piano infralitorale sono le praterie di fanerogame marine (come Posidonia oceanica) e, nelle calde acque costiere delle regioni tropicali, le barriere coralline. Si tratta di ambienti estremamente ricchi di biodiversità.

Il piano infralitorale comincia a livello della più bassa bassa marea e termina in genere in corrispondenza della fine della zona eufotica. La profondità precisa dell’infralitorale dipende cioè dalla trasparenza delle acque, ed è quindi variabile a seconda della penetrazione della luce. Tale profondità può essere, in acque molto torbide, di soli 20 m così come può, in acque particolarmente trasparenti, superare i 40-45 m. In genere comunque la profondità del piano infralitorale è compresa tra 25-45 m. In Mediterraneo l’infralitorale termina in media a 35 m di profondità.

L’infralitorale è definito biologicamente dallo sviluppo della grande maggioranza delle alghe fotofile e delle praterie di fanerogame marine, come Posidonia oceanica, Zostera marina e Cymodocea nodosa, ed unisce i requisiti ecologici di una completa immersione degli organismi che vi abitano, di un notevole idrodinamismo e della considerevole penetrazione della luce solare, che rende possibile un’attiva fotosintesi e quindi una ricca vita vegetale.

In rapporto a ciò l’infralitorale è il più complesso dei piani bentonici per ricchezza di specie, per l’abbondanza dei gruppi faunistici e floristici, per la diversificazione dei biotopi e delle biocenosi e per i rapporti ecologici che si instaurano tra i vari organismi (competizione, predazione, commensalismo, mutualismo, ecc.). Dove c’è tanta biodiversità, le interazioni ecologiche sono complesse.

I popolamenti dell’infralitorale variano, come per i piani precedenti, in rapporto alla natura del substrato: esistono quindi comunità infralitorali legate ai fondi duri e altre legate ai fondi molli, oltre a quelle sviluppate su fondi misti.

Le comunità nell’infralitorale possono essere:

  • a dominanza vegetale, come nel caso delle comunità ad alghe fotofile (su fondi duri) e delle praterie di fanerogame marine (come le praterie di Posidonia, su fondi molli);
  • a dominanza animale, come nel caso delle barriere coralline delle regioni tropicali. I popolamenti a dominanza animale su fondi molli si sviluppano invece in aree scoperte da vegetazione e comprendono tutta una serie di comunità a base di bivalvi ed echinodermi.

Praterie di fanerogame marine

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Prateria di Posidonia oceanica

Le comunità a dominanza vegetale di fondo molle più importanti e più caratteristiche dell’infralitorale sono rappresentate sicuramente dalle praterie di fanerogame marine (come le praterie di Posidonia oceanica, endemica del Mediterraneo).

Le praterie di fanerogame marine sono ambienti, tipici dei fondi molli del piano infralitorale, costituiti da piante angiosperme (non alghe) che si stabiliscono in fondi molli lungo le coste, le baie e gli estuari nell’infralitorale. Sono ambienti ricchi di biodiversità ed hanno un ruolo ecologico molto importante in tutti i mari, compreso il nostro Mediterraneo.

 
Prateria di Cymodocea nodosa
 
Prateria di Zostera marina

Le fanerogame marine del Mediterraneo che formano praterie sommerse sono Cymodocea nodosa, Zostera marina, Nanozostera noltii, Posidonia oceanica e Halophila stipulacea. In altri mari, ad esempio in quelli tropicali, si associano alla Cymodocea anche altre fanerogame quali ad esempio quelle del genere Thalassia.

Le praterie di Zostera hanno scarsa importanza nel Mediterraneo mentre sono molto più diffuse nella Manica e nel Mare del Nord, e danno ricetto ad una ricca biocenosi con forme epibionti rappresentate da spugne, briozoi, ascidie, gasteropodi ecc.

Le più importanti praterie del Mediterraneo sono quelle di Cymodocea nodosa e soprattutto di Posidonia oceanica, specie endemica di questo mare.

I fattori ambientali abiotici che maggiormente influenzano la distribuzione delle praterie di fanerogame marine sono la luminosità, la trasparenza dell’acqua, la salinità, l’esposizione all’aria e all’idrodinamismo; la presenza di fondali idonei (in rapporto alla loro struttura le fanerogame marine colonizzano ambienti a diversa granulometria, la quantità di nutrienti disponibili e la concentrazione di inquinanti (le fanerogame marine sono molto sensibili ai fenomeni di contaminazione da idrocarburi e metalli pesanti).

Di questi fattori ambientali, il più limitante è senza dubbio la luminosità: essendo le fanerogame organismi vegetali autotrofi, necessitano di luce abbondante per poter effettuare la fotosintesi, per questo il piano infralitorale rappresenta per loro l’ambiente ideale della zonazione bentonica, mentre al di sotto di questo, cioè nel piano circalitorale, queste praterie non si possono formare perché la luce è troppo scarsa. Posidonia oceanica, pianta endemica del Mediterraneo, ha una distribuzione che va tipicamente da 0 a 40 m di profondità, predilige acque oligotrofiche, che permettono di sfruttare al meglio la penetrazione della luce alle profondità maggiori.

 
Prateria di Posidonia oceanica a cui si associa una ricca biodiversità

Le praterie di fanerogame marine svolgono diverse funzioni ecologiche molto importanti:

Le praterie di fanerogame costituiscono un ecosistema particolarmente complesso, che produce grande quantità di materia organica e di ossigeno. Essendo le fanerogame marine importantissimi produttori di ossigeno, l’ossigeno è un fattore limitante in mare, è chiaro quindi che la vita si concentra in un ambiente, come quello delle praterie di fanerogame, dove i produttori producono tantissimo ossigeno. Le praterie sono l’habitat ideale per la vita di moltissimi organismi marini: dai più semplici ai pesci, che vi trovano un habitat consono alla deposizione delle uova e allo sviluppo larvale, fino a grossi rettili e mammiferi pascolatori, come tartarughe di mare e dugonghi, che transitano nelle praterie per alimentarsi e brucare le fanerogame. Vi trovano le condizioni ottimali una quantità rilevante di epifiti, che si insediano sulle foglie della fanerogama sfruttandole come substrato. La fanerogama offre quindi diversi substrati (radici, rizomi, foglie) colonizzabili dagli organismi bentonici, anche a causa di questo la biodiversità è molto alta.

Gli erbai densi di Posidonia oceanica non costituiscono un’entità biocenotica unica ma possono essere visti in più dimensioni, una associata alle fronde (popolamento rappresentato principalmente da organismi epifiti e da pesci pascolatori), una ai rizomi e al substrato.

In particolare, gli organismi associati alle praterie di fanerogame possono essere suddivisi in diversi gruppi a seconda dei microhabitat che occupano:

  • organismi mobili e fissi dello strato fogliare;
  • organismi che occupano la colonna d’acqua sovrastante la prateria e tra le foglie;
  • organismi mobili e fissi che vivono tra i rizomi;
  • fauna delle matte composta sia da organismi sessili sia da organismi mobili.

Mentre tra le fronde albergano una flora ed una fauna epifitica di tipo fotofilo, sui rizomi e nel substrato si sviluppano, a causa della forte riduzione della luce, organismi tipicamente sciafili.

 
Salpe (Sarpa salpa), pesci erbivori pascolatori che si nutrono delle foglie nelle praterie di fanerogame marine

Tra gli organismi sessili che vivono nella fauna delle matte dominano idrozoi, briozoi e policheti serpulidi, mentre gli organismi mobili della fauna delle matte sono rappresentati primariamente da molluschi gasteropodi quali Rissoa, Gibbula e Bittium, crostacei anfipodi, isopodi e decapodi. Grazie alla presenza nelle foglie di composti fenolici che funzionano da deterrenti per gli erbivori e di carboidrati strutturali poco digeribili, pochi sono i consumatori diretti delle foglie di fanerogame marine; tra questi alcuni ricci di mare come Paracentrotus, isopodi come Idotea e pesci come Sarpa salpa sono sicuramente tra gli organismi che consumano quantitativamente più degli altri, andando talvolta a modificare anche in modo molto importante l’aspetto dell’intera prateria.

Le praterie di fanerogame marine sono altamente produttive e supportano un’alta biomassa vegetale. Si tratta di hotspot di produzione primaria che raggiunge valori fino a 10 volte più elevati rispetto alle aree circostanti prive di praterie. A volte la biomassa degli epifiti è superiore a quella delle foglie; deve essere quindi considerata non solo la produzione primaria della fanerogama, ma anche la produzione primaria degli epifiti autotrofi costituiti da microalghe e macroalghe. Si stima che i valori in produzione primaria in praterie di fanerogame con densità superiore a 200 ciuffi per m² rappresentano un contributo di circa 1.1% alla produzione primaria marina globale.

La stretta relazione tra struttura e funzionamento degli ecosistemi delle praterie di fanerogame risulta evidente nello studio delle relazioni trofiche tra i vari comparti. La ricca e diversificata comunità epifita che si forma sulle lunghe foglie di Posidonia oceanica in estate rappresenta la via principale di trasferimento energetico, enfatizzando il ruolo strutturale di questa specie. Nella stagione fredda, quando la componente algale è meno diversificata, il trasferimento di energia è vicariato dal detrito. Il basso contenuto in carboidrati strutturali nelle specie a crescita più rapida fa sì che in questi sistemi pionieri la via delle foglie possa rivestire un’importanza maggiore. La rete trofica che si instaura in questi sistemi è regolata da relazioni multiple, variabili su scala sia spaziale sia temporale, e che dipendono dalla fanerogama, dagli epifiti, dagli erbivori e dagli altri consumatori.

Barriere coralline

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Barriera corallina.
 
Aspetto tipico di una barriera corallina, con i suoi principali biocostruttori, le madrepore o sclerattine, e altri organismi bentonici associati

Nelle calde acque costiere delle regioni tropicali e subtropicali il piano infralitorale è caratterizzato da un popolamento a dominanza animale molto caratteristico e di grande interesse ecologico: le barriere coralline.

Una barriera corallina è una biocostruzione marina costituita in primo luogo da organismi biocostruttori facenti parte degli cnidari antozoi esacoralli dell’ordine delle sclerattinie, i cosiddetti coralli duri o madrepore.

L’importanza delle barriere coralline è notevolissima, per la sua superficie occupata, per la straordinaria ricchezza della biodiversità associata e per la complessità di rapporti ecologici, biomassa e produttività.

Le barriere coralline sono biocostruzioni grandi e massicce costituite primariamente da organismi fissatori di carbonato di calcio. I coralli duri o madrepore sono i principali biocostruttori, in quanto ‘fissano’ carbonato di calcio per la calcificazione del loro esoscheletro. Una barriera corallina quindi altro non è che un’enorme impalcatura costituita da carbonato di calcio fissato da organismi; si parla quindi di una biocostruzione.

 
Una barriera corallina tropicale. La colorazione di questo corallo e la capacità di costruire un esoscheletro di carbonato di calcio così grandi ed estesi è dovuta alla presenza di microalghe endosimbionti, le zooxantelle.

I coralli costruttori sono in endosimbiosi con delle microalghe dette zooxantelle, appartenenti ai dinoflagellati (si parla pertanto di coralli ermatipici). Le microalghe (le più note sono quelle del genere Symbiodinium), crescono nei tessuti vivi del corallo. Poiché i coralli sono predatori, il significato delle zooxantelle endosimbionti non è direttamente nutritivo ma lo è indirettamente in quanto esse forniscono con le loro secrezioni sostanze utili al metabolismo dell’animale, producendo ossigeno ed eliminando i metaboliti del corallo; è stato osservato che le zooxantelle contribuiscono a oltre il 90% del fabbisogno energetico dei coralli che le ospitano. Quindi la presenza delle zooxantelle è fondamentale per i coralli: si tratta di una simbiosi obbligata; senza le microalghe, i coralli che costruiscono le barriere coralline non potrebbero sopravvivere a lungo, e di conseguenza non esisterebbero le barriere coralline.

 
Corallo tropicale del genere Acropora. Grazie alle zooxantelle i coralli tropicali riescono a crescere in grandi dimensioni e a deporre grandi quantità di carbonato di calcio con il quale costruire i loro esoscheletri, è quindi grazie alle zooxantelle che esistono le grandi barriere coralline. A causa della necessità delle zooxantelle di vivere esposte alla luce in ambienti ben illuminati per effettuare la fotosintesi, le barriere coralline crescono solo in acque poco profonde e ben illuminate dalla luce del sole

È stato dimostrato che le zooxantelle che vivono in endosimbiosi con i coralli costruttori sono essenziali per la fissazione del carbonato di calcio, materiale che costituisce l'esoscheletro dei coralli: infatti le microalghe aiutano i processi di calcificazione dello scheletro del corallo. I coralli non provvisti di zooxantelle simbionti non riescono da soli a fissare quantità di carbonato di calcio tali da formare barriere coralline, l’endosimbiosi con le microalghe è pertanto fondamentale per l’edificazione delle barriere coralline: senza le zooxantelle che vivono nei tessuti dei coralli quindi le barriere coralline non esisterebbero.

Essendo le zooxantelle organismi autotrofi che necessitano di abbondante luce solare per effettuare la fotosintesi, ed essendo la loro presenza fondamentale per l’edificazione della barriera corallina, i coralli tropicali richiedono rigide condizioni di profondità, di luminosità, di trasparenza dell’acqua e di temperatura per poter formare le barriere coralline. I coralli non ermatipici (cioè sprovvisti di zooxantelle) sono infatti diffusi anche in mari non tropicali ed a profondità considerevoli, però non sono capaci di formare delle costruzioni paragonabili alle barriere coralline tropicali.

La presenza delle zooxantelle, e la necessità di luce solare per effettuare la fotosintesi, costringe i coralli costruttori di barriera corallina a crescere in acque costiere superficiali poco profonde e ben illuminate; è per questo motivo che le barriere coralline tropicali si trovano solo a basse profondità in zone ben illuminate.

Le barriere coralline necessitano di un forte irraggiamento solare, come è consueto nelle regioni tropicali. L’esigenza di un’elevata luminosità per poter esplicare al meglio la funzione fotosintetica delle zooxantelle spiega perché la crescita dei coralli costruttori dei reef avvenga soprattutto nei primi metri della zona eufotica, attorno a isole e continenti. I coralli costruttori crescono fin dove arriva la luce del sole, quindi sott’acqua possono raggiungere una profondità di 15-25 m con un massimo di 40-50 m. Senza una sufficiente illuminazione, la fotosintesi delle zooxantelle non può realizzarsi e ciò riduce la capacità dei coralli di produrre carbonato di calcio e quindi di ‘edificare’ i reefs. La quantità di luce diminuisce al crescere della latitudine dove la penetrazione dei raggi solari in profondità può stagionalmente essere inferiore anche a 10 m. La quantità di luce che raggiunge le profondità massime è quella degli atolli corallini in oceano aperto. Per la crescita delle barriere coralline è fondamentale inoltre la trasparenza dell’acqua: l’acqua deve essere limpida senza sedimenti, sabbia o fanghi in sospensione. È anche per questo motivo che i reef si formano in zone lontane dalle foci fluviali o dai fondali fangosi, che sono ambienti molto torbidi.

I coralli costruttori dei reef sono molto sensibili e poco tolleranti (non sono euritermi ma stenotermi): richiedono acque calde. Sebbene i coralli possano sopportare brevi esposizioni a temperature estreme, nel corso dell’anno deve necessariamente esservi una temperatura costante dell’acqua: superiore in media ai 20 °C, comunque non inferiore ai 18 °C e non superiore ai 32 °C per tutti i periodi dell’anno. Sembra che la temperatura ideale per la crescita dei coralli sia compresa tra i 23 °C e i 29 °C. Dove la temperatura dello strato superficiale del mare non varia oltre questi limiti di tolleranza, l’area è potenzialmente idonea per lo sviluppo di barriere coralline. Questa prerogativa si verifica sostanzialmente solo nelle acque costiere tropicali: nei mari temperati infatti, come il mar Mediterraneo, le specie di coralli che nei mari tropicali danno origine alle barriere coralline sono assenti. Sulle coste occidentali dell’Africa e dell’America, comprese tra i tropici, le formazioni coralline mancano o sono molto ridotte soprattutto a causa di correnti fredde che in quelle zone raggiungono le latitudini tropicali. La temperatura delle acque influenza anche la presenza di alcune specie piuttosto di altre: così acque a 25-29 °C sono ottimali per coralli ramificati mentre sotto i 24 °C crescono per lo più forme lisce e compatte. I coralli non riescono a sopportare temperature molto basse né troppo alte e in caso di fenomeni di abbassamento o di innalzamento eccessivo della temperatura dell’acqua muoiono rapidamente. Un aumento della temperatura anche modesto mette i coralli in forte difficoltà. L’aumento della temperatura dell’acqua, anche di pochi gradi, provocato dalle modificazioni climatiche planetarie ha infatti importanti ripercussioni sull’intero ecosistema. Il passaggio nell’Oceano Indiano della corrente calda di El Niño proveniente dal Pacifico ha causato la morte di vasti tratti di barriera corallina. Le barriere coralline sono assenti nel Mediterraneo perché le temperature invernali delle acque del Mediterraneo scendono al di sotto dei 18 °C, sono quindi cioè troppo basse.

I coralli duri o madrepore vivono in tutti i mari del globo, ma mentre nei mari freddi e temperati costituiscono colonie piccole, nelle zone tropicali e subtropicali assumono un notevole sviluppo tale da formare le barriere coralline. L’osservazione della distribuzione geografica delle barriere coralline evidenzia come il loro sviluppo dipenda dal verificarsi di precise condizioni ambientali, riscontrabili solo in alcune acque costiere tropicali. Le barriere coralline sono diffuse in tutta la fascia intertropicale tra i 30° di latitudine Nord e i 30° di latitudine Sud. Le aree geografiche con maggiore sviluppo delle barriere coralline sono i Caraibi, il Mar Rosso, l’Oceano Indiano (Africa orientale, India, Maldive), l’arcipelago della Sonda (Malesia, Indonesia, Timor), l’Australia settentrionale, la Polinesia e le Antille. Si stima che le barriere coralline coprano 284.300 km² (109.800 miglia quadrate), poco meno dello 0,1% della superficie degli oceani. La regione indo-pacifica (che comprende Mar Rosso, Oceano Indiano, Sud-Est asiatico e Pacifico) rappresenta il 91,9% di questo totale. Il sud-est asiatico rappresenta il 32,3% di quella cifra, mentre il Pacifico, inclusa l'Australia, rappresenta il 40,8%. Le barriere coralline atlantiche e caraibiche invece rappresentano il 7,6%. In Australia, al largo delle coste del Queensland, si snoda la più grande barriera corallina del mondo, la Grande Barriera Corallina australiana (The Great Barrier Reef): 2.900 barriere collegate tra loro, 900 isole, 345.000 chilometri quadrati, oltre 2.200 km di lunghezza. Ospita circa 1.500 specie di pesci.

Le barriere coralline formano alcuni degli ecosistemi più produttivi del mondo, fornendo habitat marini complessi e vari che supportano un'ampia gamma di altri organismi.

Sebbene occupino solo circa l'1% dei mari e degli oceani del pianeta, le barriere coralline ospitano più del 25% della biodiversità marina globale, questo rende le barriere coralline dei veri e propri hot spot di biodiversità.

La biodiversità marina delle barriere coralline è dominata dal benthos, che rappresenta circa il 95% della biodiversità totale di questi ecosistemi, ma alle barriere coralline si associa anche una ricca componente del plancton e del necton.

 
Le barriere coralline ospitano una ricchissima biodiversità marina

Le barriere coralline ospitano una ricchissima varietà di animali invertebrati, tra cui poriferi (spugne), cnidari (coralli, gorgonie, attinie o anemomi di mare, pennatule, meduse), platelminti (vermi piatti), anellidi (vermi segmentati), molluschi (bivalvi, gasteropodi, cefalopodi), briozoi, brachiopodi, nemertini, crostacei (gamberetti, aragoste, canocchie, gamberi, granchi, paguri), echinodermi (ricci di mare, stelle di mare, stelle serpentine, cetrioli di mare, gigli di mare), ascidie. Tra gli animali vertebrati, le barriere coralline ospitano una ricchissima diversità di pesci appartenenti a diverse famiglie, sia pesci cartilaginei sia pesci ossei. I rettili sono rappresentati da tartarughe di mare e serpenti di mare. Molte specie di uccelli marini delle regioni costiere tropicali trovano nutrimento dalle barriere coralline. A parte gli esseri umani, i mammiferi sono rari sulle barriere coralline, con l'eccezione principale di cetacei in visita come i delfini.

 
Gli effetti dello sbiancamento dei coralli, con conseguenze devastanti per l'ecosistema della barriera corallina
 
Un corallo Acropora cervicornis sbiancato; se le microalghe non tornano entro pochi giorni, il corallo è destinato a morire di fame

Una delle minacce più importanti per le barriere coralline negli ultimi anni è il cosiddetto fenomeno dello sbiancamento dei coralli (coral bleaching), sempre più frequente e dannoso a causa dei recenti cambiamenti climatici globali e del riscaldamento globale. Lo sbiancamento dei coralli è un fenomeno che si verifica quando i coralli espellono le zooxantelle, facendoli apparire bianchi o molto chiari. Questo processo è spesso innescato da stress ambientali, come l'aumento della temperatura dell'acqua, l'acidifcazione dei mari o l'inquinamento. Questo fenomeno è quindi molto dannoso per l'ecosistema della barriera corallina, dal momento che le zooxantelle forniscono ai coralli fino al 90% del loro fabbisogno energetico attraverso la fotosintesi, e partecipano attivamente alla biocostruzione della struttura carbonatica. Temperature elevate, anche di pochi gradi, possono stressare i coralli e indurli a espellere le zooxantelle. In genere il fenomeno dello sbiancamento si verifica quando la temperatura dell'acqua si mantiene a lungo oltre i 30 °C. Questo è molto preoccupante soprattutto in un'ottica di cambiamenti climatici e di riscaldamento globale: i fenomeni di sbiancamento dei coralli potrebbero aumentare sempre di più a causa del progressivo aumento delle temperature, con effetti devastanti per la biodiversità e per l'ecosistema. Le conseguenze dello sbiancamento sono diverse. Innanzitutto si ha perdita di colore: i coralli perdono il loro colore vivace e appaiono bianchi o pallidi. Se lo stress persiste, i coralli possono morire di fame, poiché le zooxantelle forniscono loro gran parte dell'energia. Lo sbiancamento dei coralli può portare alla perdita di specie marine che dipendono dalle barriere coralline per il cibo e il riparo, comportando quindi un drastico calo di biodiversità. Molte popolazioni umane dipendono dalle barriere coralline per il turismo, la pesca e la protezione dalle tempeste, quindi lo sbiancamento può avere anche gravi conseguenze economiche e sociali, oltre che ecologiche ed ambientali.

Biocostruzione a Cladocora caespitosa

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La madrepora cuscino (Cladocora caespitosa)

Nel Mediterraneo un ruolo simile a quello dei coralli tropicali è svolto dalla madrepora cuscino (Cladocora caespitosa), specie endemica del Mediterraneo che grazie ad un esoscheletro duro di carbonato di calcio e all'endosimbiosi con zooxantelle (proprio come i coralli delle barriere coralline tropicali) sviluppa formazioni coralline di grande valenza ecologica. Cladocora caespitosa è l'unico corallo duro mediterraneo che ospita zooxantelle endosimbionti. Questa specie, spesso nota come madrepora a cuscino per via della morfologia globosa e massiva più o meno regolare della colonia di polipi, è la più grande sclerattinia del Mediterraneo, dove è uno dei principali organismi biocostruttori)[29][30][31]. È una specie endemica del Mediterraneo, dove colonizza prevalentemente fondi duri poco profondi. Cladocora caespitosa vive in preferenza tra blocchi rocciosi detritici con poca vegetazione vicino alla sabbia, a 1-70 m di profondità, ed è in grado di tollerare basse temperature invernali (< 10 °C) e bassi valori di salinità. L’intera colonia può superare i 50 cm di diametro. Il tasso di accrescimento di questo corallo è pari a 2,9-5,2 mm l’anno, quindi colonie di 50 cm possono superare i 100-150 anni di età. La forma della colonia varia in funzione dell’intensità luminosa, della profondità e dell’idrodinamismo, passando da cuscinetto compatto a strutture meno dense, più ramificate o incrostanti. La colorazione è giallastra, bruna o verdastra per la presenza di zooxantelle. Le colonie di Cladocora caespitosa si possono fondere in banchi di parecchi metri di larghezza, sono quindi in grado di edificare notevoli biocostruzioni. La presenza delle zooxantelle limita la diffusione di questo corallo alla fascia fotica superficiale, dove la luce, necessaria alle zooxantelle per la fotosintesi, è molto presente. Le formazioni a Cladocora caespitosa infatti raggiungono le massime estensioni non oltre i 25-30 m di profondità, in acque poco agitate, a basso idrodinamismo. Le formazioni a Cladocora caespitosa di maggiori dimensioni oggi si trovano in Croazia, nel Parco Nazionale di Mljet, a una profondità compresa tra 5 e 15 metri, dove vi sono banchi di notevoli dimensioni, alti alcuni decimetri ed estesi per diversi metri quadri.

Ogni singola colonia è sede di una notevole biodiversità. L’importanza ecologica e l’interesse scientifico delle biocostruzioni a Cladocora caespitosa è legato all’elevata biodiversità e alle associazioni bentoniche, che comprendono caratteristici popolamenti di alghe calcaree, poriferi incrostanti, cnidari, policheti e ascidie. Crostacei, echinodermi e piccoli pesci bentonici trovano riparo tra fessure, cavità e anfratti nella biocostruzione. Diverse specie di crostacei e pesci di interesse commerciale dipendono dalle biocostruzioni a Cladocora caespitosa per la loro alimentazione e riproduzione.

 
Sbiancamento in Cladocora caespitosa

Le formazioni a Cladocora caespitosa sono minacciate da molti fattori, come gli ancoraggi delle imbarcazioni, che danneggiano irrimediabilmente le colonie, il cambiamento climatico, in particolare l’innalzamento della temperatura dell’acqua oltre i 29 °C, che causa lo sbiancamento associato all’espulsione dalla colonia delle alghe simbionti[32][33][34][35][31], le mucillagini[36], la competizione con l’alga alloctona invasiva Caulerpa racemosa, che ricopre rapidamente le colonie causando il soffocamento dei polipi[37] e predatori invasivi come il mollusco gasteropode Coralliophila meyendorffi[38] e l'anellide polichete Hermodice carunculata[39]. Oggi Cladocora caespitosa è nella categoria “Endangered” della Red List IUCN 2015, ed è una specie protetta.

Piano circalitorale

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Piano circalitorale.

Il piano circalitorale del dominio bentonico si estende dal limite inferiore dell’infralitorale, cioè in genere da 35-40 m circa di profondità, fino al limite della piattaforma continentale a circa 150-200 m, profondità limite in cui le alghe possono fare fotosintesi. Al di sotto di tale limite, che corrisponde con il limite della zona fotica, la luce è estinta, le alghe non possono fare fotosintesi ed inizia la zona afotica.

Il piano circalitorale quindi è caratterizzato da scarsa luminosità, pur essendo comunque sempre incluso nella zona fotica perché un po’ di luce c’è, abbastanza da poter permettere alle alghe di effettuare fotosintesi.

Il circalitorale in Mediterraneo, su substrato roccioso, è condizionato da una intensità luminosa compresa tra 0,9% e 0,01% di quella della superficie. La temperatura oscilla tra 18 °C e 13,5 °C. Il limite inferiore del manto vegetale generalmente si interrompe tra 120 e 150 metri di profondità. Quindi il parametro abiotico di discontinuità che caratterizza il circalitorale è la luce.

Dal punto di vista biologico ed ecologico il circalitorale è sicuramente meno complesso rispetto all’infralitorale, soprattutto perché c’è meno luce, e questo riduce la biodiversità. Va comunque detto che in alcuni ambienti tipici del circalitorale, quali il coralligeno e le grotte, di vita ce n’è, e anche molta.

A causa dell’attenuazione della luce, nel piano circalitorale non si riscontra una vegetazione ricca come quella vista nell’infralitorale. Infatti nel piano circalitorale la componente animale è più abbondante rispetto alla componente vegetale.

Tuttavia anche negli ambienti del circalitorale è presente un’importante flora sia macroalgale (rappresentata soprattutto da alghe calcaree a tallo calcificato) sia microalgale.

Il piano circalitorale è caratterizzato da una componente bentonica sciafila, che cioè non sopporta di essere sottoposta ad un’eccessiva illuminazione. Questo aspetto riguarda sia lo zoobenthos, dominato da antozoi, poriferi, briozoi e ascidie (benthos tipicamente sciafilo), sia il fitobenthos.

Il piano circalitorale comprende sia fondi duri rocciosi sia fondi molli; sugli uni e sugli altri si può avere un concrezionamento biologico costituito da alghe rosse calcaree con sviluppo di una particolare biocostruzione denominata coralligeno.

Coralligeno

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Coralligeno.
 
Aspetto tipico del coralligeno, con ricca biodiversità bentonica associata

Per coralligeno si intende una biocostruzione tipica del circalitorale ricca di biodiversità che formano un paesaggio di organismi animali e vegetali sciafili e perennanti con un concrezionamento più o meno importante fatto di alghe calcaree a profondità comprese tra 25 e 200 m. A differenza delle barriere coralline tropicali infatti, il coralligeno è una biocostruzione i cui organismi biocostruttori primari sono alghe rosse calcaree, quindi dei vegetali, non animali.

Il termine “coralligeno” è stato coniato da Marion nel 1883 studiando concrezioni calcaree nel Golfo di Marsiglia contenenti frammenti di corallo rosso. Tra i biologi marini non esiste consenso sulla definizione di coralligeno. Secondo Ballesteros (2006) si tratta di “fondi duri di origine biogenica in massima parte originati dall’accumulo di alghe calcaree incrostanti in condizioni di luce moderata e acque relativamente calme”. Secondo Cinelli e Tunesi (2009) il coralligeno è “una popolazione che crea substrati duri di origine biologica attraverso l’accumulo generato specialmente da alghe incrostanti. Secondo Relini (2009), è difficile dare una definizione univoca perché non è costituito da una comunità o un gruppo di comunità ma dall’equilibrio tra biocostruttori e biodemolitori (o biodistruttori).

Il coralligeno è una biocostruzione realizzata principalmente da alghe calcaree in condizioni di:

  • irradianza debole (bassa quantità di luce);
  • temperatura relativamente bassa e costante;
  • salinità costante;
  • idrodinamismo debole.

L’architettura e la morfologia di questa biocostruzione sono principalmente controllate dalla produzione biologica di carbonato di calcio che risponde a cambiamenti climatici, oceanografici e ad apporti terrigeni.

 
L'alga rossa calcarea Mesophyllum expansum, con il tallo impregnato di carbonato di calcio, è tra i principali biocostruttori del coralligeno

Il popolamento coralligeno, caratterizzato da organismi tipicamente sciafili, comprende numerose specie vegetali e animali che si sviluppano in condizioni di luminosità ridotta. Esse prosperano su un substrato concrezionato da alcune specie dominanti, in particolare alghe rosse a tallo calcareo, briozoi e serpulidi. Le alghe rosse biocostruttrici più importanti nel coralligeno sono le alghe rosse calcaree, come quelle dei generi Lithophyllum, Neogoniolithon e Mesophyllum, e le peissonneliacee, come Peyssonnelia rubra. Tutte queste alghe sono caratterizzate dal possesso di un tallo impregnato di carbonato di calcio che concorre in modo fondamentale alla biocostruzione. Queste alghe calcaree infatti, con la loro attività biocostruttrice, sono i biocostruttori primari del coralligeno, ricoprendo e saldando mediante una sorta di cemento, detriti di roccia, resti di animali e scorie di varia origine.

 
Il briozoo Pentapora fascialis
 
L'anellide polichete serpulide Serpula vermicularis

Come detto, partecipano alla biocostruzione coralligena anche altri organismi. Tra questi, il foraminifero Miniacina miniacea, i briozoi Pentapora fascialis e Myriapora truncata, l’anellide serpulide Serpula vermicularis e gli antozoi esacoralli Leptopsammia pruvoti e Parazoanthus axinellae.

I bioconcrezionamenti prodotti dai biocostruttori del coralligeno, proprio per questo sviluppo tridimensionale che garantisce un ambiente ad alta eterogeneità, forniscono un rifugio ed un substrato perfetto per l’insediamento a molti organismi del benthos.

Nel popolamento coralligeno infatti sono importanti, oltre agli elementi concrezionati precedentemente citati, anche molti poriferi, antozoi (in particolare gorgonie e alcionacei), echinodermi (specialmente ofiure), policheti, gasteropodi e bivalvi.

Rispetto al loro significato ecologico e alla loro posizione nella struttura del coralligeno, gli animali che contribuisce alla formazione del coralligeno possono essere distinti in diverse categorie: la criptofauna, che colonizza i piccoli fori e fessure della struttura coralligeno; l’epifauna, che vive sopra le concrezioni, e l’endofauna, che vive all'interno della formazione e che rappresenta circa il 67% delle specie animali presenti.

 
La margherita di mare (Parazoanthus axinellae)

Spesso il coralligeno è caratterizzato da larghe distese di coralli come la madrepora gialla (Leptopsammia pruvoti) o le margherite di mare (Parazoanthus axinellae), ma anche di Alcyonium coralloides e di gorgonie, come la gorgonia rossa (Paramuricea clavata), la gorgonia gialla (Eunicella cavolinii) e la gorgonia bianca (Eunicella singularis).

 
La foresta di gorgonia rossa (Paramuricea clavata)

Le grandi “foreste” di gorgonie sono uno degli aspetti più tipici del coralligeno. Le gorgonie e molti altri animali importanti del coralligeno sono sessili e filtratori, nutrendosi di particellato organico sospeso nell’acqua. Importano così energia dalla colonna d’acqua, sfruttandone la produzione primaria (fitoplancton) e paraprimaria (detrito) e realizzando un collegamento tra il benthos e l’ambiente pelagico. La gorgonia rossa (Paramuricea clavata) è la gorgonia più caratteristica del coralligeno mediterraneo, con colonie rosso rubino che, in certe località, possono volgere al giallo. Popola i fondali rocciosi privilegiando gli anfratti poco raggiunti dalla luce. È infatti una specie sciafila, cioè amante della penombra. Altre specie di gorgonie tipiche del coralligeno sono la gorgonia gialla (Eunicella cavolinii) e la gorgonia bianca (Eunicella singularis). Le gorgonie sono organismi molto sensibili al riscaldamento delle acque, e pertanto sono seriamente minacciate dai cambiamenti climatici: eventi di mortalità di massa di questi organismi sono sempre più frequenti nel Mediterraneo a causa del riscaldamento globale.

Come detto, la stabilità del coralligeno è garantita dall’equilibrio tra biocostruttori e biodemolitori. Tra i principali biodemolitori del coralligeno si possono ricordare la spugna Cliona viridis o gli echinoidei pascolatori di alghe rosse, come Sphaerechinus granularis ed Echinus melo.

Benthos di acqua dolce

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Nella biologia delle acque dolci il termine benthos è utilizzato per riferirsi a organismi sul fondo di corpi idrici d'acqua dolce, come laghi, fiumi e ruscelli[40].

Per quanto riguarda gli ecosistemi d'acqua dolce definiti lotici, ovvero i corsi d'acqua superficiali quali fiumi e torrenti, ospitano una comunità macrobentonica molto diversificata, sia in termini di gruppi tassonomici presenti, sia di posizione occupata nella rete trofica.

Individui bentonici appartengono ad esempio ai Phylum Arthropoda, Annelida e Mollusca.
Tra gli Arthropoda si annovera la classe degli Hexapoda, con individui appartenenti tra gli altri Ordini dei Plecoptera, Ephemeroptera, Trichoptera e Odonata. Tra gli Annelida, la classe degli Hirudinea ed Oligochaeta. Infine, tra i Mollusca la classe dei Bivalvia e dei Gastropoda.

Classificazione funzionale

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Per quanto riguarda i diversi livelli della rete trofica dei corsi d'acqua superficiali, occupano principalmente 6 diverse categorie[10][41][42][43]:

  • Frammentatori: sono detritivori che si nutrono di depositi di materiale organico grossolano, nutrendosi ad esempio delle foglie degli alberi cadute nell'acqua
  • Collettori: si nutrono di particelle minute di sostanza organica, di diametro inferiore ai 2 mm
  • Raccoglitori: raccolgono la sostanza organica dal sedimento
  • Filtratori: trattengono con un apparato boccale appositamente conformato le minuscole particelle di cibo e i batteri veicolati dalla corrente
  • Pascolatori e raschiatori: hanno appendici boccali idonee a raccogliere o raschiare le patine algali o il materiale organico attaccato al substrato.
  • Predatori: Sono carnivori, predatori di altri invertebrati d'acqua dolce oppure parassiti di vertebrati di dimensioni superiori.

Costituiscono, inoltre, la maggiore fonte di cibo per gli altri predatori acquatici, come ad esempio i pesci, creando l'interconnessione trofica tra gli organismi microscopici e i vertebrati di maggiori dimensioni.

Bibliografia

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