Alcuni animali descritti per la prima volta da Georg Steller (del quale non esistono ritratti), in senso orario partendo dall'alto a sinistra: aquila di mare di Steller, ghiandaia di Steller, leone marino di Steller, ritina di Steller ed edredone di Steller.

Georg Wilhelm Steller (Bad Windsheim, 10 marzo 1709Tjumen', 14 novembre 1746) è stato un botanico, zoologo, medico ed esploratore tedesco attivo in Russia, considerato un pioniere della storia naturale dell'Alaska[1][2].

Biografia

Steller, figlio di un cantore luterano di nome Johann Jakob Stöhler (Stöller dopo il 1715), nacque a Windsheim, vicino Norimberga, in Germania, e studiò presso l'università di Wittenberg. In seguito viaggiò in Russia come medico su una nave da guerra che trasportava in patria i feriti. Giunto in Russia nel novembre del 1734, incontrò il naturalista Daniel Gottlieb Messerschmidt (1685-1735) all'Accademia Imperiale delle Scienze. Due anni dopo la morte di Messerschmidt, Steller ne sposò la vedova ed entrò in possesso degli appunti che lo studioso aveva raccolto durante i suoi viaggi in Siberia, non consegnati all'Accademia[3]

Steller era a conoscenza della Seconda Spedizione in Kamchatka di Vitus Bering, che aveva lasciato San Pietroburgo nel febbraio del 1733. Si offrì volontario per unirsi a questa e la sua richiesta venne accettata. Lasciò quindi San Pietroburgo nel gennaio del 1738 accompagnato dalla moglie, che decise di rimanere a Mosca e di non spingersi oltre. Steller incontrò Johann Georg Gmelin a Yeniseysk nel gennaio del 1739. Fu lo stesso Gmelin a raccomandare che Steller prendesse il suo posto durante la pianificata esplorazione della Kamchatka. Assunto il ruolo di Gmelin, Steller raggiunse finalmente Okhotsk e il grosso della spedizione nel marzo del 1740, proprio quando le navi di Bering, la San Pietro e la San Paolo, stavano per essere terminate.

 
L'Arco di Steller sull'isola di Bering.

Nel settembre del 1740, le due navi della spedizione, al comando di Bering, salparono per la penisola della Kamchatka: dopo aver navigato attorno alla sua punta meridionale, ne risalirono il litorale fino alla baia di Avacha, sulla costa pacifica. Steller scese a terra sulla costa orientale della Kamchatka per trascorrere l'inverno a Bolsherechye, dove aiutò ad organizzare una scuola locale e iniziò ad esplorare la Kamchatka. Quando Bering lo convocò affinché si unisse al viaggio alla ricerca dell'America e dello stretto tra i due continenti come scienziato e medico di bordo, Steller attraversò la penisola con una slitta trainata da cani. Dopo che la San Pietro di Bering rimase separata dalla gemella San Paolo in una tempesta, Bering continuò a navigare verso est, aspettandosi di toccare presto terra. Steller, esaminando attentamente le correnti marine, i relitti galleggianti e la fauna selvatica, insistette perché il capitano si dirigesse verso nord-est. Dopo una considerevole perdita di tempo, la nave si diresse infine verso nord-est, approdando in Alaska, a Kayak Island, lunedì 20 luglio 1741. Bering voleva restare sull'isola solo il tempo necessario per fare scorta di acqua fresca, ma Steller lo pregò affinché potesse avere maggior tempo a disposizione per esplorare la zona e gli furono concesse dieci ore di tempo. In questo tempo, in quanto primo non nativo ad aver messo piede sul suolo dell'Alaska, Steller divenne il primo naturalista europeo a descrivere un gran numero di piante e animali nordamericani, tra cui una ghiandaia che in seguito prenderà il nome di ghiandaia di Steller.

Delle sei specie di uccelli e mammiferi che Steller scoprì durante il viaggio, due (la ritina di Steller e il cormorano di Pallas) sono estinte e tre (il leone di mare di Steller, l'edredone di Steller e l'aquila di mare di Steller) sono in pericolo di estinzione o versano in condizioni di grave diminuzione. La ritina in particolare, un imponente parente boreale del dugongo, scomparve appena 27 anni dopo essere stata scoperta e descritta da Steller: la sua popolazione, già esigua, divenne rapidamente vittima di una caccia eccessiva da parte degli equipaggi russi che seguirono la scia di Bering.

La ghiandaia di Steller è una delle poche specie che commemorano questo naturalista a non essere attualmente minacciate. Durante il suo breve incontro con questo uccello, Steller riuscì a dedurre che la ghiandaia era una parente della ghiandaia azzurra americana, un fatto che sembrava provare che l'Alaska facesse davvero parte del Nordamerica.

 
Il memoriale eretto nel 2009 in un parco di Tyumen, in Siberia, dove Steller morì di febbre a soli 37 anni.

Anche se Steller cercò di trattare la crescente epidemia di scorbuto che aveva colpito l'equipaggio con foglie e bacche che aveva raccolto, gli ufficiali disprezzarono la sua proposta. Steller e il suo assistente furono quindi tra i pochi a non essere colpiti da questo disturbo. Durante il viaggio di ritorno, con solo dodici membri dell'equipaggio in grado di muoversi e il sartiame che stava rapidamente cadendo a pezzi, la spedizione fece naufragio su quella che in seguito divenne nota come isola di Bering. Quasi metà dell'equipaggio era morta di scorbuto durante il viaggio. Steller si prese cura dei sopravvissuti, tra i quali lo stesso Bering, ma il vecchio capitano non poté essere salvato e morì. I sopravvissuti si accamparono sull'isola con il poco cibo e acqua rimasti a disposizione, una situazione resa ancor peggiore dalle frequenti incursioni delle volpi artiche. Nonostante i disagi subiti dall'equipaggio, Steller studiò molto accuratamente la flora, la fauna e la topografia dell'isola. Di particolare importanza scientifica furono le uniche osservazioni dettagliate sul comportamento e l'anatomia della ritina di Steller, un grosso mammifero sirenide che durante l'era glaciale era diffuso in tutto il Pacifico settentrionale, ma la cui sola popolazione relitta era confinata ai letti di kelp delle acque poco profonde attorno alle isole del Commodoro e si estinse nemmeno 30 anni dopo essere stata scoperta dagli europei.

Basandosi su queste e altre osservazioni, Steller scrisse in seguito De Bestiis Marinis («Sulle bestie del mare»), descrivendo gli animali dell'isola, tra cui il callorino dell'Alaska, la lontra marina, il leone marino di Steller, la ritina di Steller, l'edredone di Steller e il cormorano di Pallas. Steller rivendicò inoltre l'unico avvistamento di un particolare criptide marino, la scimmia marina di Steller.

Nei primi mesi del 1742 l'equipaggio utilizzò materiale recuperato dalla San Pietro per costruire una nuova nave, che venne battezzata Bering, e fare ritorno così alla baia di Avacha. Steller trascorse i due anni successivi esplorando la penisola della Kamchatka. A causa delle sue simpatie per i nativi Kamciadali, venne accusato di fomentare la ribellione e fu richiamato a San Pietroburgo. Ad un certo punto fu messo agli arresti e fatto tornare a Irkutsk per un'udienza. Venne liberato e proseguì nuovamente il suo viaggio in direzione di San Pietroburgo, ma lungo la strada fu colpito dalla febbre e morì a Tyumen.

I suoi diari, che raggiunsero l'Accademia e furono poi pubblicati da Peter Simon Pallas, furono usati da altri esploratori del Pacifico settentrionale, compreso lo stesso Capitano Cook.

Scoperte e commemorazioni

Georg Steller descrisse un certo numero di animali e piante, di cui alcuni ne commemorano il nome, nella nomenclatura volgare o in quella scientifica:

Ad Anchorage, in Alaska, esiste una scuola secondaria chiamata Steller Secondary School.

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Come leggere il tassobox
Grandule mediterranea
 
Stato di conservazione
Rischio minimo[4]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseAves
OrdinePterocliformes
FamigliaPteroclidae
GenereSyrrhaptes
SpecieS. paradoxus
Nomenclatura binomiale
Syrrhaptes paradoxus
(Pallas, 1773)

La grandule mediterranea (Syrrhaptes paradoxus (Pallas, 1773)) è una specie della famiglia uccello di medie dimensioni appartenente alla famiglia degli Pteroclidi[5].

Descrizione

Dimensioni

Misura 31-39 cm di lunghezza, per un peso di circa 250-408 g nel maschio e 207-370 nella femmina. L'apertura alare è di 54-65 cm[6].

Aspetto

La grandule mediterranea è un robusto uccello di medie dimensioni, dalla colorazione generale criptica, con un misto di macchie e strisce verdi oliva, marroni, beige, gialle, grigie e nere. Le regioni inferiori e le zampe ricoperte di piume sono di colore bianco sporco[7].

 
Grandule mediterranea.

I sessi sono differenti, e il piumaggio del maschio varia a seconda del periodo dell'anno. Durante la stagione riproduttiva, ha il vertice, la maggior parte del collo, il dorso e le copritrici del sottoala di colore verde-giallastro, con macchie giallo opache nella regione scapolare. Anche le guance sono gialle, con una sottile striscia nera che si estende dal becco, attraverso l'occhio, fino alla nuca. L'iride è marrone e il becco è grigio ardesia. Sulla gola, immediatamente sotto il becco, è presente una macchia nera, sotto la quale, attorno al petto, si trova una larga banda bruno-rossastra, delimitata sopra e sotto da una sottile striscia nera. Le copritrici alari esterne sono castane, con margini bianchi e neri, e le primarie sono nere con margini chiari: ciò fa sì che in volo sia il margine anteriore dell'ala che quello posteriore appaiano bordati di nero. Il groppone e la coda sono screziati da barre nere e giallo-brunastre e le lunghe timoniere centrali sono grigio ardesia. Al di fuori della stagione riproduttiva, tutte le parti superiori, compresi vertice e guance, sono barrati di nero e giallo-brunastro, mentre la macchia nera sulla gola scompare, divenendo biancastra[7].

La femmina è generalmente simile al maschio, ma ha una colorazione più spenta. Le guance e il collo sono di colore beige-oro e sono privi dei riflessi verdastri presenti nel maschio. Attraverso l'occhio corre una striscia nera. Il mento è bianco e sul petto si trova un'ulteriore fascia giallo-beige con un'ampia striscia nera sopra, un'altra più sottile a circa un terzo della discesa e un'ulteriore striscia nera sottile alla base. Il dorso e le ali sono grigi, barrati di nero. Il groppone e la coda (che presenta timoniere centrali più corte di quelle del maschio) hanno una colorazione simile a quella del maschio, ma presentano barre nere più sottili[7].

I maschi della sottospecie orientale, P. a. caudacutus, hanno le regioni inferiori di un colore più spento rispetto agli uccelli europei, e le femmine hanno copritrici alari bianche invece che gialle. In volo, la grandule mediterranea può essere facilmente identificata grazie alla brillante colorazione bianca delle regioni inferiori e del sottoala, e per le lunghe timoniere centrali della coda[7].

Voce

Quando è a terra, la grandule mediterranea è generalmente silenziosa, ma in aria comunica con i conspecifici con un forte kattar-kattar emesso frequentemente, un ga-ga-ga nasale e un gang gang di bassa intensità[7].

Comportamento

Al di fuori della stagione riproduttiva, le granduli mediterranee vagano per gli spazi aperti in stormi numerosi. Questi densi raggruppamenti sono costituiti da adulti e da numerosi giovani che cercano in primavera i luoghi ove potersi abbeverare. Nel mese di marzo, queste bande si sciolgono e ad aprile è possibile osservare le prime coppie stabilitesi. Comunque, non è raro vedere numerose coppie che nidificano a poca distanza l'una dall'altra. Tuttavia, nel mese di maggio, vi sono ancora dei piccoli gruppi e bisognerà attendere la fine del mese perché anche questi si disgreghino completamente. La stagione degli amori inizia spesso con l'avvento delle piogge primaverili. I maschi cominciano quindi il tradizionale inseguimento delle femmine, con la testa abbassata e la coda eretta e in parte aperta a ventaglio. Questi rituali di solito hanno luogo durante il mese di maggio, ma covate precoci si possono trovare già a partire dalla seconda metà del mese di aprile.

In Spagna, le popolazioni di granduli mediterranee sono considerate sedentarie, anche se sono soggette a brevi spostamenti in autunno e inverno. Solo in casi eccezionali, comunque, si allontanano dai loro soliti territori di nidificazione[6].

Volo

Durante la parata nuziale, questi uccelli volano rapidamente ed effettuano forti accelerazioni. Le ali emettono allora fischi come quelle delle tortore[6].

Alimentazione

Quasi tutta la dieta di questa specie è costituita da sostanze di origine vegetale. La grandule mediterranea mangia soprattutto semi, erbe, piante selvatiche e chicchi di cereali. Occasionalmente, becchetta anche foglie verdi e gemme. Nel continente africano e nei deserti arabici, dove le risorse alimentari sono scarse, recupera i semi che trova negli escrementi dei cammelli. Come i galliformi, inghiotte una grande quantità di sabbia e piccoli sassolini al fine di facilitare la digestione[6].

Riproduzione

Le granduli mediterranee non costruiscono un nido. Si accontentano di depositare le loro uova in una piccola cavità naturale del terreno. È stato riferito che, nei deserti africani, arrivino talvolta a lasciare le loro uova nell'impronta dello zoccolo di un cammello. In Spagna, la grandule scava più frequentemente un buco accanto ad un cespuglio o ad un arbusto o in una zona ben esposta al sole. Questa depressione scavata nella terra o nella sabbia non supera mai 10-15 centimetri di diametro e 1-4 centimetri di profondità. Il suo interno non è coperto con alcun materiale, tranne in rari casi quando l'uccello vuole proteggere il nido dal vento. La femmina di solito depone tre uova, che vanno dal bianco-grigio o dal marrone chiaro al rosa con delle macchie bruno scure, marroni, rossastre o grigio chiare. Le uova vengono deposte nel giro di 24 ore, e la femmina inizia a covare non appena la deposizione della covata è completa. I maschi si tengono nelle vicinanze e subentrano alla femmina non appena questa lascia il nido in serata per placare la sete. I maschi sono dotati di placche incubatrici, mentre le femmine, che covano esclusivamente di giorno, quando le temperature sono molto elevate, devono fare attenzione affinché le uova non siano calcinate dal sole.

Le uova si schiudono dopo 19 o 20 giorni, contemporaneamente o nel giro di 48 ore al massimo. I pulcini sono ricoperti da un piumaggio mimetico bruno-giallastro e beige, con strisce nere più o meno visibili sulla parte superiore. Non appena il loro piumino si è asciugato, nel giro di 12-24 ore, lasciano il nido, seguono gli adulti e si nascondono nella boscaglia, nutrendosi da soli e becchettando per terra. Dopo tre settimane, hanno già sviluppato delle corte ali e acquisito la totalità del piumaggio giovanile. Non appena sono autosufficienti, formano piccoli gruppi familiari che vanno in cerca di luoghi adatti per abbeverarsi in compagnia dei genitori[6].

Distribuzione e habitat

La grandule mediterranea nidifica in Nordafrica e Medio Oriente, Turchia, Iran, Iraq e Kazakistan. In Europa nidifica in Spagna, Portogallo e nelle regioni meridionali della Francia. Le popolazioni orientali, specialmente quelle del Kazakistan, migrano verso il Pakistan e alcune aree dell'India settentrionale durante l'inverno[8].

Frequenta zone aperte ricoperte da terreni sassosi, zone semiaride ai margini dei deserti, pianure prive di alberi e, più raramente, distese di fango ormai prosciugate. In inverno può visitare terreni arati o incolti, ma preferisce i terreni sabbiosi ed è molto meno dipendente da una copertura vegetativa della ganga (Pterocles orientalis), specie che occupa un areale simile. Non si spinge mai al di sopra dei 1000 metri di quota[7].

Tassonomia

Ne vengono riconosciute due sottospecie[5]:

Conservazione

La grandule mediterranea è classificata come «specie a rischio minimo» (Least Concern) da BirdLife International. Occupa infatti un areale molto vasto e la sua popolazione, stimata tra 130.000 e 1.500.000 unità, è considerata stabile[9]. L'areale sembra essere addirittura in espansione nelle regioni sud-orientali della Turchia, forse a causa dei cambiamenti climatici. Tuttavia, le popolazioni in alcune zone dell'Europa stanno diminuendo a causa dei cambiamenti nella produzione agricola. La specie rimane comune in Spagna, ma nell'unica località rimasta nel sud della Francia dove questa è presente, a La Crau, nel 2002 rimanevano solo circa 170 coppie, mentre nello stesso anno in Portogallo c'erano meno di 100 coppie di uccelli nidificanti[7].

Aspetto

Questo uccello voluminoso dai piedi piumati è facilmente riconoscibile quando le condizioni di osservazione sono buone. La sua struttura differisce sotto certi aspetti da quella degli altri pteroclidi, in quanto ha una testa relativamente piccola e una lunga coda che durante il volo fa sembrare più avanzata la posizione delle ali. Il maschio adulto ha testa arancio-ocra e nuca e petto grigi. La parte inferiore del petto è delimitata da sottili barre trasversali nere. La parte bassa dell'addome è di colore beige-bianco, delimitato da una larga fascia nera che circonda il ventre. Il dorso, le copritrici alari, le secondarie, il groppone e la coda sono di colore beige-sabbia, con degli chevron neri sulla mantellina e le scapolari, oltre a un gran numero di punti o linee nero-brunastre sulle copritrici medie e maggiori, vale a dire le copritrici delle primarie. Le remiganti primarie sono color gola di piccione. Il margine delle timoniere esterne è chiaro. La femmina è una versione del maschio dai colori più spenti, con screziature e macchie su vertice, parte posteriore delle copritrici auricolari, nuca e copritrici alari. La fascia ventrale, inoltre, è bruno-porpora e una sottile barra nera sottolinea la gola di colore beige. La zona grigia sul petto è assente. I giovani somigliano alle femmine. Tuttavia, in essi tutti i segni scuri distintivi su parti superiori e inferiori appaiono più attenuati[6].

Biologia

 
 

I sirratti conducono vita gregaria. Al di fuori della stagione riproduttiva possono essere visti in stormi di diverse centinaia di esemplari. Talvolta, in estate, anche gli esemplari che non si riproducono possono radunarsi in assembramenti. Questi uccelli non temono l'uomo e fanno sfoggio di notevole confidenza. Sono migratori parziali, che a volte danno luogo a vere e proprie «invasioni». Durante l'inverno, nel periodo che va da settembre ad aprile, le aree di nidificazione situate più a nord vengono abbandonate in massa. Tuttavia, lo sviluppo di questi spostamenti è perfettamente giustificato dall'arrivo di nevicate più o meno importanti, mentre le drammatiche e improvvise invasioni di interi territori che hanno avuto luogo nell'Europa occidentale nel 1863, 1888-89 e 1906, nel nord della Cina (1860) e in Manciuria (1912-13 e 1922-23) rimangono in parte ancora inspiegate. Tuttavia, possiamo trovare la causa di spostamenti così lontani dall'areale dalla combinazione di diversi fattori: inverni particolarmente rigidi e siccità prolungate che causano una drammatica carenza di risorse alimentari[6].

Alimentazione

I sirratti hanno una dieta prevalentemente vegetariana. Si nutrono di semi di piante selvatiche e degli steli verdi di numerose specie vegetali, appartenenti alla famiglia delle leguminose, poligonacee, chenopodiacee, crucifere e graminacee. In alcune zone, mangiano anche semi di piante coltivate, come grano o miglio. Occasionalmente, compaiono sul suo menu anche ninfe di insetti. Non è insolito per questi animali razzolare sul terreno come volatili domestici in cerca di nutrimento. Talvolta i sirratti vanno ad abbeverarsi di sera, ma lo fanno soprattutto al mattino tra le 6 e le 10. Il picco di maggiore attività si registra tra le 9 e le 10, e termina in ogni caso entro e non oltre mezzogiorno[6].

Riproduzione

Il nido è costruito a terra, senza alcuna imbottitura, a volte nascosto da erba o cespugli, in un ambiente coperto di detriti. I sirratti nidificano generalmente in piccole colonie libere nelle quali i nidi distano tra 4 e 6 metri tra loro. La femmina depone abitualmente 3 uova a forma di ellisse, di colore beige o giallo-ocra macchiato di marrone, che vengono deposte in un intervallo di 4-5 giorni e la cui incubazione dura da 22 a 28 giorni dopo la deposizione del primo uovo. La femmina si dedica probabilmente da sola alla cova, anche se in alcune occasioni è stato segnalato anche l'intervento del maschio. Come nella maggior parte degli altri pteroclidi, quest'ultimo è incaricato di portare l'acqua ai piccoli. I giovani sono in grado di volare a partire dall'età di 25 giorni e acquisiscono il piumaggio tipico degli immaturi a quella di 3 mesi. Raggiungono la maturità sessuale nella prima estate e si riproducono da marzo a luglio. Giovani ricoperti di piumino sono stati osservati anche in periodi successivi, a volte fino a inizio agosto. Tuttavia, non è stato possibile stabilire se tali casi corrispondessero a seconde o terze covate, se si trattasse di covate sostitutive o semplicemente di deposizioni tardive[6].

 
Uovo di Syrrhaptes paradoxus.

Distribuzione e habitat

Il sirratte di Pallas frequenta zone aperte aride come steppe e zone semi-desertiche, ma anche regioni agricole coltivate. D'altra parte, evita le aree desertiche prive di acqua, dando la preferenza a regioni asciutte, pianeggianti o collinari, ma dotate di artemisia, arbusti e piante xerofile. All'interno del suo areale, lo troviamo in estate principalmente ad altitudini comprese tra i 1300 e i 3250 metri, mentre in inverno scende a quote più basse, che tuttavia non scendono mai al di sotto dei 2400 metri nel nord della Mongolia. Il sirratte è una specie endemica dell'Asia centrale e orientale. I limiti occidentali della sua distribuzione sono situati sulle sponde del mar Caspio e del lago d'Aral. Da qui, l'areale si estende attraverso Turkestan, Kazakistan, Siberia sud-occidentale, Mongolia meridionale e occidentale, Cina settentrionale e Tibet[6].

L'enigmatico barghelac

  Lo stesso argomento in dettaglio: Bugherlac.

Nel capitolo LXXI del suo Milione[10], Marco Polo parla del barghelac[10] (reso anche come bugherlac o bargelach - dal turkmeno bağırlak - in altre traduzioni)[11][10], un uccello che vive nella «pianura di Bargu» (vale a dire la valle del fiume detto oggi Barguzin, a est del lago Baikal)[12]:

«In quel luogo non ci sono esseri viventi né uomini né donne né animali né uccelli, salvo certi uccelli che si chiamano barghelac dei quali i falconi si nutrono. Sono grandi come pernici, hanno i piedi simili a quelli dei pappagalli, la coda sembra una coda di rondine ed il loro volo è velocissimo.»

L'identificazione di questa specie è controversa; l'orientalista Henry Yule ritiene che si tratti quasi certamente del sirratte di Pallas; anche se con un nome simile (boghurtlak o baghurtlak) in lingua turca vengono indicate anche altre due specie di pteroclidi, la grandule mediterranea (Pterocles alchata) e la ganga (Pterocles orientalis), nessuna delle due abita nella regione corrispondente alla pianura di Bargu[13]. Sempre Yule osserva che né il sirratte né gli Pterocles hanno zampe «da pappagallo», anche se il riferimento al pappagallo potrebbe essere spiegato da una certa similitudine nell'andatura, più che nella morfologia[13].

Note

  1. ^ Evans, Howard Ensign. Edward Osborne Wilson (col.) The Man who Loved Wasps: A Howard Ensign Evans Reader. in: Evans, Mary Alice. Big Earth Publishing, 2005. pp. 169. ISBN: 1555663508.
  2. ^ Nuttall, Mark. Encyclopedia of the Arctic. Routledge, 2012. pp. 1953. ISBN: 1579584365.
  3. ^ Frank N. Egerton, [39:AHOTES2.0.CO;2 A History of the Ecological Sciences, Part 27: Naturalists Explore Russia and the North Pacific During the 1700s], in Bulletin of the Ecological Society of America, vol. 89, n. 1, 2008, pp. 39-60, DOI:10.1890/0012-9623(2008)89[39:AHOTES]2.0.CO;2.
  4. ^ (EN) BirdLife International, BlackPanther2013/Sandbox/kakapo, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  5. ^ a b (EN) F. Gill e D. Donsker (a cura di), Family Pteroclidae, in IOC World Bird Names (ver 14.2), International Ornithologists’ Union, 2024. URL consultato il 15 maggio 2014.
  6. ^ a b c d e f g h i j (EN) Pin-tailed Sandgrouse (Pterocles alchata), su hbw.com. URL consultato il 25 dicembre 2017.
  7. ^ a b c d e f g Steve Madge, Philip J. K. McGowan e Guy M. Kirwan, Pheasants, Partridges and Grouse: A Guide to the Pheasants, Partridges, Quails, Grouse, Guineafowl, Buttonquails and Sandgrouse of the World, A & C Black, 2002, pp. 445-446, ISBN 9780713639667.
  8. ^ John Gooders, Birds of Heath and Woodland: Pin-tailed Sandgrouse, Londra, Orbis Publishing, 1979, p. 7, ISBN 0856133809.
  9. ^ S. Butchart e J. Ekstrom, Species factsheet: Pterocles alchata, su birdlife.org, BirdLife International, 2013. URL consultato il 28 luglio 2013.
  10. ^ a b c Milione/70
  11. ^ Marco Polo, Il Milione di Marco Polo testo di lingua del secolo decimoterzo ora per la prima volta pubblicato ed illustrato dal conte Gio. Baldelli Boni. Tomo primo, Firenze: da' torchi di Giuseppe Pagani, 1827, p. 128 (Google libri)
  12. ^ Il Milione di Marco Polo; scritto in italiano da Maria Bellonci; collaborazione per le ricerche di Anna Maria Rimoaldi; introduzione di Valeria Della Valle, Milano: A. Mondadori, 1997, p. 360 (Google libri).
  13. ^ a b Henry Yule, The book of ser Marco Polo, the venetian, concerning the kingdoms and marvels of the East; newly translated and edited by colonel Henry Yule, 2. ed. revised, London: J. Murray, Note 3.)
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Folidoti
 
Pangolino di Giava (Manis javanica)
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
SottoclasseTheria
InfraclasseEutheria
SuperordineLaurasiatheria
(clade)Ferae
OrdinePholidota
Weber, 1904

I Folidoti (Pholidota Weber, 1904, 1904) sono un ordine di mammiferi comprendente attualmente una sola famiglia, quella dei pangolini (Manidi). Questi sono animali insettivori specializzati nella cattura di formiche e termiti, come indica chiaramente la presenza di forti artigli e di una bocca di forma tubulare munita di una mascella priva di denti e di una lunga lingua. Si differenziano da tutti gli altri mammiferi per la presenza di un rivestimento corporeo formato da grandi scaglie cornee sovrapposte. In caso di minaccia, possono arrotolarsi su sé stessi formando una palla. I pangolini possono vivere sul terreno o sugli alberi, a seconda della specie, e conducono di solito una vita notturna, anche se le notizie riguardanti la loro biologia sono piuttosto scarse. La famiglia comprende tre generi e otto specie, di cui quattro diffuse in Asia orientale, meridionale e sud-orientale e quattro nell'Africa a sud del Sahara. I pangolini prediligono sia le foreste che le distese aperte e si incontrano in pianura e sulle montagne fino a medie altitudini.

L'attuale nome con cui viene indicata la famiglia dei pangolini, Manidae, venne introdotto nel 1821. In passato, nel XIX secolo e agli inizi del XX secolo, i pangolini erano considerati parenti stretti dei formichieri e degli armadilli. Con i primi condividono la bocca priva di denti e dotata di una lunga lingua. L'assenza dei denti portò alla creazione di un taxon chiamato Edentata, in cui tutti e tre i gruppi di animali furono classificati a lungo. Solamente a partire dalla metà degli anni '80 i moderni studi di genetica molecolare hanno dimostrato che i pangolini sono più strettamente imparentati con l'ordine dei Carnivori. Le somiglianze con i formichieri e gli armadilli, quindi, sono solamente frutto di una convergenza evolutiva. A causa della mancanza dei denti, ma anche dello stile di vita specializzato, i pangolini del passato hanno lasciato pochi resti fossili. I primi rappresentanti della famiglia dei Manidi risalgono al Pliocene, circa 5 milioni di anni fa, ma forme imparentate con essi erano presenti già nell'Eocene medio, circa 47 milioni di anni fa.

Tutte e otto le specie di pangolino sono oggi considerate più o meno minacciate e protette a livello internazionale. Le principali cause che ne minacciano la sopravvivenza sono il consumo della carne, che viene venduta come una specialità alimentare esotica, da un lato, e l'utilizzo delle scaglie e di altre parti del corpo in rituali locali, nonché nella medicina tradizionale cinese, dall'altro. Di conseguenza, i pangolini non vengono solo cacciati intensamente, ma sono anche tra i mammiferi più contrabbandati del mondo.

Descrizione

Aspetto esterno

 
Pangolino cinese (Manis pentadactyla) imbalsamato: si possono notare i grandi artigli delle zampe anteriori e la coda muscolosa, in grado di sostenere il peso dell'animale.
 
Pangolino indiano (Manis crassicaudata).

I pangolini hanno un corpo allungato con arti corti, testa piccola e appuntita e coda lunga. La lunghezza testa-tronco varia a seconda della specie, dai 25-43 cm dei più piccoli pangolino tricuspide (Phataginus tricuspis) e pangolino dalla coda lunga (Phataginus tetradactyla) ai 67-81 cm del rappresentante più grande della famiglia, il pangolino gigante (Smutsia gigantea). La coda misura a sua volta dai 25 ai 70 cm. Nei pangolini che vivono sugli alberi la lunghezza della coda supera quella del resto del corpo, mentre nelle altre specie essa presenta lunghezza uguale o inferiore. Il peso varia tra 1,6 e 33 kg, con i maschi generalmente più grandi delle femmine. Una specie fossile, Manis palaeojavanica, vissuta nel Sud-est asiatico durante il Pleistocene, raggiungeva una lunghezza totale di circa 2,5 m, rappresentando così la più grande specie di pangolino finora conosciuta[1][2][3].

La testa del pangolino è piccola e di forma conica. Anche gli occhi sono piccoli, protetti da palpebre sporgenti e prive di ghiandole. Le specie africane sono prive di padiglione auricolare, mentre in quelle asiatiche spesso è presente solo una cresta ispessita. Il naso è chiuso da una piega cutanea (Plica alaris), di particolare utilità quando gli animali aderiscono con i loro musi alle strutture costruite dagli insetti per assumere il cibo[2][3].

La principale caratteristica di questi animali, tuttavia, è il rivestimento costituito da grandi scaglie cornee che ricopre la parte superiore della testa, il tronco, la parte esterna degli arti (in alcune specie non gli avambracci) e la parte superiore e inferiore della coda. Solo il muso, il ventre e l'interno degli arti sono privi di scaglie, ma sono ricoperti da una pelle grigia e ruvida ricoperta da peli bianchi, marroni o neri. Nei pangolini africani, la serie mediana delle scaglie, a due terzi circa della lunghezza del corpo, si biforca verso la coda in due serie distinte, mentre in quelli asiatici la stessa serie di scaglie prosegue ininterrotta fino alla punta della coda. Sul lato inferiore della coda, inoltre, i pangolini arboricoli presentano una superficie libera ricoperta di pelle ispessita. Nelle specie asiatiche, tra le scaglie della parte posteriore del corpo crescono singoli peli[2][3].

Gli arti sono corti e forti e terminano con cinque dita (pentadattili). Le zampe anteriori mostrano adattamenti a uno stile di vita fossorio, in quanto le tre dita centrali sono dotate di lunghi artigli ricurvi, di cui quello centrale è significativamente più grande. Gli artigli del primo e del quinto dito, tuttavia, sono di dimensioni ridotte e non vengono utilizzati durante lo scavo. Le zampe posteriori sono più forti e leggermente più lunghe, e dotate anch'esse di cinque dita munite di artigli. Generalmente, gli artigli delle zampe anteriori dei pangolini che vivono sul terreno sono più lunghi e meno ricurvi di quelli che vivono sugli alberi; questi ultimi, a loro volta, possiedono gli artigli delle zampe posteriori notevolmente più lunghi, in modo da consentire la locomozione sugli alberi[4][2][5].

Cranio

 
Cranio di pangolino tricuspide (Phataginus tricuspis).

Il cranio raggiunge un lunghezza compresa tra 6 e 16 cm. Ha generalmente una forma conica, con un rostro di forma tubolare un po' più stretto del resto della testa e leggermente accorciato verso la parte anteriore. Poiché il cibo non viene masticato, i muscoli masticatori sono notevolmente regrediti, tanto che come siti per la connessione rimangono solo poche prominenze ossee. Ciò fa sì che il cranio sia molto liscio, nonché uno tra quelli dalla struttura più semplice all'interno della classe dei mammiferi[6].

Una particolarità del cranio degna di nota è lo sviluppo incompleto dell'arcata zigomatica, una caratteristica che i pangolini condividono con i formichieri sudamericani, anch'essi animali specializzati in una dieta a base di formiche e termiti, e si ritiene pertanto che sia un aspetto correlato a questo tipo di alimentazione. Tuttavia, in alcuni pangolini, come il pangolino cinese, si incontrano talvolta esemplari con l'arcata zigomatica fusa[7]. Altre caratteristiche generali del cranio sono la lunghezza dell'osso nasale e la grandezza dell'osso parietale rispetto all'osso frontale[8][9].

I denti mancano completamente e la mascella inferiore è concepita solo come un semplice osso a forma di lama, con articolazioni alla sua estremità debolmente sviluppate, posteriori e sferiche, che lasciano poco spazio per il movimento della stessa. La sinfisi della mascella inferiore forma una superficie piatta su cui può scorrere la lingua[10][2]. Tuttavia, all'estremità posteriore della sinfisi, si trova una coppia di protuberanze ossee, appuntite e di forma conica, somiglianti a dei canini, segno distintivo di tutti i pangolini[8][9].

Rivestimento dermico

 
Primo piano dell'armatura di scaglie.

L'armatura di scaglie, assieme al resto della pelle, costituisce da un quarto a un terzo circa del peso corporeo totale. È formata da 160-290 scaglie singole, di cui poco meno della metà sulla coda. Sono mobili e si sovrappongono tra loro come delle tegole. Sono disposte in file, il cui numero varia, sul dorso, da 13 a 25. Il colore delle scaglie varia dal marrone scuro al verde oliva fino al giallastro. Hanno forma triangolare a «V»; le più grandi possono essere larghe e lunghe da 7 a 8 cm. Sulla loro superficie sono presenti delle ondulazioni nel senso della lunghezza, mentre gli spigoli sono appuntiti. Le scaglie più grandi sono situate di solito sul dorso, con la punta rivolta all'indietro. Quando l'animale si appallottola su sé stesso, le estremità affilate delle scaglie lo fanno assomigliare ad una pigna semiaperta. Tale armatura protegge i pangolini sia dai morsi delle formiche e delle termiti che dai parassiti della pelle, nonché dagli attacchi dei grandi predatori o dalle ferite provocate dal passaggio in tane sotterranee[2][11].

Le scaglie sono formazioni cheratinizzate dell'epidermide, appoggiate su piegature rivolte all'indietro del derma sottostante. Nella sezione trasversale si possono distinguere tre strati: lo strato dorsale superiore occupa circa un sesto dello spessore e consiste di cellule appiattite fortemente cheratinizzate. Lo strato intermedio, che occupa lo spazio più grande, è formato da cellule meno cheratinizzate e appiattite. Lo strato ventrale (o inferiore) forma la parte inferiore della scaglia e ha uno spessore di appena poche cellule. Tutti e tre gli strati si formano a partire da diverse aree germinali dell'epidermide. L'assenza di filamenti indica che le squame non corrispondono a peli appiccicati tra loro come si pensava in precedenza. La loro struttura è paragonabile a quella delle unghie dei primati e, come queste, le scaglie crescono costantemente, compensando l'usura. Di conseguenza, differiscono anche dalle squame che ricoprono il corpo dei rettili squamati, che a volte devono essere cambiate ogni anno[12].

Si ritiene che l'armatura di scaglie sia una caratteristica comparsa già nelle prime fasi evolutive dei pangolini, come Eomanis, vissuto nell'Eocene medio, circa 47 milioni di anni fa, i cui resti fossili sono stati rinvenuti a Messel, in Assia[13]. Forse questi animali svilupparono originariamente solo una coda squamosa, in maniera omologa a quanto si riscontra oggi in alcuni rappresentanti dell'ordine dei roditori, come il topolino domestico o la nutria, o delle tupaie, e solo successivamente le scaglie andarono a formare un'armatura completa del corpo[14].

Scheletro

 
Scheletro di pangolino dalla coda lunga (Phataginus tetradactyla).

Il numero di vertebre varia da specie a specie, e va dalle 48 del pangolino di Temminck (Smutsia temminckii) alle oltre 70 del pangolino dalla coda lunga[15]. A seconda delle specie, la colonna vertebrale è formata in tutto da 7 vertebre cervicali, da 12 a 15 vertebre toraciche, da 5 o 6 vertebre lombari, da 2 a 4 vertebre sacrali e da 21 a 50 vertebre caudali[16][2]. I pangolini riescono a raggomitolarsi perfettamente su sé stessi, in quanto il bacino è molto corto, l'ileo è piegato verso l'esterno e le vertebre lombari sono allungate. Le vertebre caudali presentano una serie di chevron sul lato inferiore, che fungono da base per i forti muscoli della coda, grazie ai quali essa può essere avvolta intorno al corpo quando l'animale si arrotola[17]. Il processo xifoideo all'estremità posteriore dello sterno giunge fino alla regione pelvica e funge da punto di inserzione per i complessi muscoli della lingua[18].

In tutte le specie di pangolino, sia in quelle scavatrici che in quelle arboricole, l'omero è particolarmente forte. Presenta un'articolazione del gomito molto ampia e - caratteristica tipica di questi animali - una sviluppata crista deltoidea, una cresta ossea che funge da punto di inserzione per i muscoli della spalla. Nel femore, la terza sporgenza (Trocanther tertius), un altro punto di inserzione muscolare, è situato verso il basso, in prossimità dell'articolazione del ginocchio, ed è quindi appena visibile. Nei Folidoti più primitivi questa era situata molto più alto ed era più sviluppata[19][20]. Un'altra caratteristica particolare del pangolino sono le estremità delle dita (vale a dire le falangi distali), sia delle zampe anteriori che posteriori, che hanno una forma allungata e presentano in cima profonde rientranze in cui si inseriscono gli artigli[9].

Organi interni

Una particolarità dei pangolini è la lunga lingua vermiforme ricoperta di saliva appiccicosa, grazie alla quale assumono il cibo. Nel pangolino gigante essa può essere lunga fino a 70 cm ed essere estroflessa fuori per 25 cm, mentre nel pangolino cinese essa può crescere fino a 41 cm di lunghezza e avere un diametro di 1,1 cm[21]. La sua complessa muscolatura è costituita da fibre muscolari estendentisi longitudinalmente e radialmente. A riposo, la sua parte anteriore viene tenuta arrotolata in bocca. La superficie della lingua è irruvidita nella parte anteriore da una serie di papille coniche, mentre sulla sua parte superiore si trovano papille gustative fungiformi. La lingua non è collegata con l'osso ioide, come in altri mammiferi, ma con la parte posteriore dello sterno attraverso un sistema muscolare esterno, corrispondente in parte all'osso ioide. L'osso ioide, invece, ha una funzione diversa: viene utilizzato infatti per frantumare all'ingresso dell'esofago gli insetti rimasti attaccati alla lingua. Le ghiandole salivari sono molto grandi e si estendono fin nella regione toracica e ascellare[18][22][23].

Lo stomaco, molto muscoloso, è deputato alla frantumazione meccanica degli insetti. È dotato di un epitelio squamoso corneo e stratificato, che lo protegge dai morsi e dal veleno delle formiche e delle termiti. La muscolatura del piloro, notevolmente sviluppata, macina il cibo ingerito e garantisce un'ulteriore frantumazione grazie ad una serie di spine ossificate (spine piloriche); in aggiunta, per favorire tale processo, i pangolini ingeriscono piccoli sassolini. Le ghiandole piloriche sono molto lunghe e di forma tubolare, e sono riunite in ammassi ghiandolari che si svuotano attraverso un passaggio centrale verso il piloro[24][25]. Nel pangolino cinese l'intero tratto intestinale raggiunge una lunghezza di 5,2 m e circa 1 cm di diametro. È di forma tubolare e non presenta alcuna differenza tra l'intestino tenue e l'intestino crasso: solo pochi esemplari presentano un leggero ispessimento o formazione a spirale che potrebbero indicare la transizione da intestino tenue a crasso. Il cieco non è presente[21]. I pangolini sono dotati di ghiandole anali, le cui secrezioni odorose vengono utilizzate come mezzo di comunicazione e, forse, di difesa. Le femmine hanno un utero bicorne (Uter bicornis). I maschi hanno un pene piccolo, ma non hanno scroto: i testicoli sono situati infatti sotto la pelle[2][26].

Il cervello è molto semplice e di piccole dimensioni - nel pangolino di Giava ha un peso che costituisce appena lo 0,2-0,5% del peso corporeo[27]. Solo il bulbo olfattivo è ben sviluppato, e si ritiene pertanto che l'olfatto giochi un ruolo importante nella ricerca del cibo e nella comunicazione con i conspecifici. Secondo quanto indicherebbe la struttura del cervello, e principalmente del cervelletto, le specie asiatiche sarebbero più primitive di quelle africane[28].

Distribuzione e habitat

 
Distribuzione dei pangolini.
Specie asiatiche

     Pangolino indiano

     Pangolino cinese

     Pangolino di Giava

     Pangolino delle Filippine


Specie africane

     Pangolino di Temminck

     Pangolino tricuspide

     Pangolino gigante

     Pangolino dalla coda lunga

I pangolini vivono nell'Africa a sud del Sahara e nell'Asia meridionale, sud-orientale e nelle regioni meridionali di quella orientale. In Africa, la loro area di distribuzione si estende dal Senegal e dal Sudan fino al Sudafrica. In Asia, sono diffusi dal Pakistan e dal Nepal, attraverso l'India, la penisola indocinese, la Cina meridionale e la penisola malese, fino al Borneo e alle Filippine. I pangolini vivono quindi principalmente in regioni tropicali[2].

Il loro habitat comprende un'intera varietà di ambienti diversi, come foreste rivierasche e paludose, foreste pluviali, savane aperte e savane arbustive, oltre a formazioni vegetative a mosaico. Inoltre, si adattano bene anche ad ambienti secondari creati dall'uomo, come piantagioni, giardini urbani e terreni agricoli, che devono tuttavia fornire abbastanza ripari sotto forma di alberi o rocce e tane. Questi animali, tuttavia, evitano gli insediamenti umani e i campi coltivati e sono sensibili ai pesticidi. Sui monti Nilgiri, in India, il pangolino indiano (Manis crassicaudata) viene segnalato fino ad un'altitudine di circa 2300 m. Requisito fondamentale per la presenza dei pangolini è, oltre a una fitta vegetazione di sottobosco, la presenza di fonti alimentari sufficienti di formiche e termiti e di acqua[2].

A causa dei diversi habitat frequentati e in alcuni casi alla specializzazione su diversi tipi di fonti alimentari, le specie simpatriche raramente tendono ad occupare le stesse nicchie ecologiche. In alcuni casi, tuttavia, si incontra un maggior grado di specializzazione. Per esempio, nelle regioni in cui coabita con il pangolino tricuspide, il pangolino dalla coda lunga tende a prediligere regioni più acquitrinose. Il pangolino cinese (Manis pentadactyla), invece, vive anche nelle regioni settentrionali del Vietnam, dove condivide l'areale con il pangolino di Giava (Manis javanica): quest'ultimo, tuttavia, si incontra quasi sempre ad altitudini superiori ai 600 m. Anche con gli altri insettivori altamente specializzati, come l'oritteropo africano (Orycteropus), non c'è quasi nessuna competizione nelle stesse aree occupate, grazie alla particolare specializzazione di nicchia dei pangolini[2].

Note

  1. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Dubois 1926
  2. ^ a b c d e f g h i j k Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Gaubert 2011
  3. ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Heath 2013
  4. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Pocock 1924
  5. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore PSG
  6. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Walker
  7. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Emry 2004
  8. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Gaudin et al. 1999
  9. ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Rose et al. 2005
  10. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Heath 1992
  11. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Irshad et al. 2015
  12. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Spearman 1967
  13. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Königswald et al. 1981
  14. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Meyer et al. 2013
  15. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Heath 1995
  16. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Jentink 1882
  17. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Storch 2004
  18. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Doran et al. 1973
  19. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Emry 1970
  20. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Botha et al. 2007
  21. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Lin et al. 2015
  22. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Chan 1995
  23. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Prapong et al. 2009
  24. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Nisa et al. 2010
  25. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Beal et al. 2009
  26. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Heath 2013a
  27. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Weber 1892
  28. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Hackethal 1976
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Come leggere il tassobox
Canguro rosso
 
Maschio allo zoo di Melbourne
 
Femmina allo zoo di Nashville
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa
SuperphylumDeuterostomia
PhylumChordata
SubphylumVertebrata
InfraphylumGnathostomata
SuperclasseTetrapoda
ClasseMammalia
SottoclasseTheria
InfraclasseMetatheria
SuperordineAustralidelphia
OrdineDiprotodontia
SottordineMacropodiformes
FamigliaMacropodidae
GenereMacropus
SottogenereOsphranter
SpecieM. rufus
Nomenclatura binomiale
Macropus rufus
(Desmarest, 1822)
Sinonimi

Kangurus rufus
Desmarest, 1822

Areale
 

Il canguro rosso (Macropus rufus (Desmarest, 1822)) è il più grande tra tutti i canguri, oltre ad essere il più grosso mammifero terrestre originario dell'Australia e il più grande marsupiale vivente. È diffuso in gran parte dell'Australia continentale: evita solamente le più fertili aree del sud, la costa orientale e le foreste pluviali del nord.

Descrizione

 
Il cranio (museo di Wiesbaden, Germania).
 
Una femmina al Botanic Garden Zoo di Wagga Wagga, Australia.

È un canguro molto grande, con lunghe orecchie appuntite e muso squadrato. I maschi sono ricoperti da una corta pelliccia bruno-rossastra, che sbiadisce fino a divenire di un beige chiaro sulle parti inferiori e sugli arti. Le femmine sono più piccole dei maschi e presentano un manto di colore grigio-azzurro con sfumature marroni, grigio chiaro sul ventre, anche se le femmine che vivono nelle regioni aride mostrano una colorazione più simile a quella dei maschi. Possiede arti anteriori dotati di piccole unghie, arti posteriori muscolosi usati per saltare e una coda robusta che viene spesso utilizzata come un treppiede quando l'animale è in posizione di riposo. Le zampe del canguro rosso funzionano un po' come una fascia elastica, con il tendine di Achille che si allunga quando l'animale scende e rilascia la sua energia per spingerlo in alto e in avanti, consentendogli la sua caratteristica andatura a balzi. Così facendo, i maschi possono coprire anche 8-9 m di lunghezza e 1,8-3 m di altezza con un unico salto, anche se l'andatura media è di 1,2-1,9 m[2][3].

I maschi possono raggiungere una lunghezza di 1,3-1,6 m, ai quali vanno aggiunti altri 1,2 m di coda. Le femmine sono notevolmente più piccole, con una lunghezza del corpo di 85-105 cm e una coda di 65-85 cm[3][4]. Le femmine pesano tra i 18 e i 40 kg, mentre i maschi generalmente pesano circa il doppio, potendo raggiungere tra i 55 e i 90 kg[4][5]. In posizione eretta, un canguro rosso misura circa 1,5 m di altezza alla sommità della testa[6]. I maschi più grandi, comunque, possono superare gli 1,8 m di altezza: l'esemplare più grande di cui sono state confermate le dimensioni era alto circa 2,1 m e pesava 91 kg[5].

Il canguro rosso mantiene la temperatura interna in un punto di omeostasi di circa 36 °C grazie a tutta una serie di adattamenti fisici, fisiologici e comportamentali. Tra questi ricordiamo uno strato di pelliccia isolante, l'abitudine di essere meno attivo e rimanere all'ombra quando le temperature sono più elevate, nonché il rinfrescarsi ansimando, sudando e leccandosi gli arti anteriori.

Grazie alla posizione dei suoi occhi, il canguro rosso ha un campo visivo di circa 300° (precisamente di 324° con circa 25° di sovrapposizione)[7].

Biologia

 
Canguro rosso in un ambiente arido.
 
Canguro rosso al Desert Park di Alice Springs.

Mentre il record mondiale di salto in alto per l'uomo è di 2,45 m e quello di salto in lungo è di 8,96 m, il canguro può elevarsi fino a 3,3 m in altezza e spingersi oltre 9 m in lunghezza. Questo marsupiale, tuttavia, si esibisce in tali prestazioni solo in caso di estrema necessità, per esempio quando deve fuggire, in campo aperto, da un predatore. Di solito, invece, se si deve spostare per andare ad abbeverarsi o soltanto per avvicinarsi a un suo simile, si limita a compiere salti inferiori ai 2 m di lunghezza. Quando procede con la sua andatura prettamente bipede (zampe posteriori), il canguro sembra rimbalzare sul suolo e scattare in alto come una molla. Tale tipo di spostamento può raggiungere i 20 km orari, ma, in caso di pericolo, questo animale è in grado di lanciarsi anche a velocità superiori. Quando bruca, il canguro si tiene di solito proteso in avanti e si sposta molto lentamente servendosi di tutti e quattro gli arti, un po' come si muove il coniglio. Esso poggia le zampe anteriori sul suolo e attira la coda a sé, lasciando che le zampe posteriori basculino liberamente. In questa posizione, il peso si sposta sulla parte posteriore del corpo e sulla coda, che funge per così dire da «quinta zampa». Questo tipo di locomozione quadrupede, basato sulla successione di quattro movimenti distinti, sembra esiga un quantitativo di energia di gran lunga superiore a quello necessario per il salto. Studi effettuati per calcolare il consumo energetico di un canguro in movimento hanno dimostrato che, quando il grande marsupiale si sposta a una velocità inferiore ai 18 km orari, impiega più energia di un animale dello stesso peso che corra a quattro zampe. Al contrario, quando accelera, il canguro consuma meno ossigeno grazie a un meccanismo fisiologico favorito dalle fasce muscolari molto elastiche.

Di indole piuttosto placida, il canguro rosso sa tuttavia difendersi con estremo accanimento in caso di necessità. Se un esemplare isolato viene attaccato da una muta di dingo (Canis familiaris dingo) o cani selvatici, esso cerca preferibilmente di rifugiarsi nel primo specchio d'acqua disponibile, immergendosi fino al petto. Qui, in posizione eretta, il canguro attende che i cani nuotino verso di lui per poi cercare di afferrarli con le zampe anteriori e di tenerli sott'acqua fino a farli annegare. Se questa tattica fallisce, per esempio per la scarsa profondità dell'acqua, o più facilmente per l'assoluta mancanza d'acqua, l'animale si mette allora con la schiena contro un albero e respinge gli assalitori sferrando potenti calci, che si rivelano spesso mortali se colpiscono con precisione il bersaglio. Allo stesso modo, quando due maschi si battono per una femmina, talvolta si afferrano e si prendono a pugni; se il combattimento diventa più violento, i contendenti saltano in avanti l'uno verso l'altro e si sferrano reciprocamente potenti calci, cercando di procurarsi profonde ferite nel ventre.

Alimentazione

Quando manca circa un'ora al calare del sole, i canguri iniziano a mettersi alla ricerca del cibo e a dirigersi verso le più vicine sorgenti d'acqua. Il canguro rosso, come la maggior parte degli altri canguri, si nutre essenzialmente di erbe (dal 60% al 90% del suo regime alimentare) e di piante erbacee a fiori come l'erba medica o il trifoglio; inoltre, è particolarmente ghiotto di Triodia spinifex, o «erba porcospino», una graminacea le cui foglie, rigide e appuntite come spilli, assomigliano ad aculei. Questa pianta, che cresce nelle regioni aride e semiaride, si presenta in forma di cespugli che talvolta ricoprono la savana per centinaia di chilometri. Anche i chenopodi, piccole piante erbacee molto ricche di sali, rientrano nel regime alimentare del canguro, in una porzione non superiore al 10% della sua dieta complessiva. Il canguro rosso invece, al contrario dei suoi cugini prossimi, i wallaroo, non consuma praticamente mai foglie di acacia o di eucalipto. Le ricerche non hanno chiarito per quale motivo il canguro prediliga alcune piante e ne trascuri altre. L'équipe del biologo australiano P. T. Bailey ha ipotizzato che un possibile criterio di selezione possa essere costituito dalla percentuale di zuccheri (carboidrati solubili) presente in alcune piante. I maschi mangiano in media un'ora in più delle femmine, forse perché queste attingono a nutrimenti più ricchi di proteine, soprattutto durante i periodi di siccità, e perché concentrano le loro ricerche di cibo in pascoli più favorevoli, probabilmente per migliorare la qualità del loro latte. In tale direzione si sono mosse le ricerche del biologo australiano A. E. Newsome, che ha studiato le differenze nei regimi alimentari dei canguri maschi e dei canguri femmine dell'Australia centrale. Questi marsupiali impiegano parecchie ore per nutrirsi. Nel 1986, l'australiano D. Priddel ha stabilito che, in qualsiasi stagione, i canguri dedicano dalle 7,1 alle 10,5 ore al giorno per cibarsi. Altri studi hanno dimostrato che il 78% del tempo riservato alla brucatura era notturno: durante le 6 ore successive al tramonto e poco prima dell'alba. Oltre che di notte, i canguri si dedicano alla propria alimentazione durante le prime due ore del giorno (80% della brucatura diurna) e poco prima del calare del sole. Questi animali, infatti, nonostante un buon adattamento al clima arido del loro areale di diffusione, temono comunque il caldo eccessivo: per questo, durante le giornate più torride nelle savane del Nuovo Galles del Sud, essi cercano l'ombra.

Allo stato selvatico, il canguro rosso vive generalmente in piccoli gruppi piuttosto liberi, forse senza una stretta gerarchia. Il gruppo raramente supera gli 8-10 individui e in tal caso comprende un maschio, una o più femmine e i piccoli di entrambi i sessi. I maschi sono organizzati in base a una sommaria gerarchia, sovente basata sulle dimensioni, che si manifesta in particolare durante il corteggiamento della femmina. Spesso si incontrano piccoli gruppi di giovani animali o isolati esemplari anziani; sono frequenti anche gruppi ristretti di 2-3 animali. In genere, il comportamento sociale dei canguri è legato alle condizioni meteorologiche e ambientali. Pertanto, quando le piogge abbondanti fanno spuntare nuova vegetazione nella savana, essi hanno comportamento piuttosto individualistico, mentre diventano gregari quando la siccità inaridisce i pascoli. In tali circostanze, questi marsupiali sono capaci di percorrere da 10 a 20 km per ritrovarsi a brucare, in gruppi di diverse decine di animali, su pascoli abbondanti, dove i primi canguri arrivati non respingono mai gli esemplari che giungono in seguito.

Riproduzione

Il canguro rosso si accoppia per tutto l'anno, in quanto il ciclo riproduttivo è influenzato dalle condizioni ambientali e non è legato a una stagione definita. La femmina raggiunge la maturità sessuale fra i 14 e i 22 mesi di vita, il maschio dopo i 2 anni di età. Il ciclo della femmina dura 35 giorni. L'ovulo si sviluppa nell'utero fino a diventare, nel giro di circa 33 giorni, un embrione larvale con un peso che va da 0,8 a 1 g, e lungo da 2,5 a 5 cm. Nudo, però con le zampette anteriori già dotate di unghie, l'embrione comincia la sua ascesa - della durata di 5 minuti - verso il marsupio, aggrappandosi ai peli della madre. Una volta raggiunta la meta si attacca con la bocca a uno dei 4 capezzoli e resta in questa posizione per tutto il periodo dello sviluppo embrionale (190 giorni). Dopo 110 giorni, il piccolo immaturo è ricoperto di peli ed entro 150 giorni inizia a fare capolino con la testa dalla tasca; dopo 200 giorni esso comincia a uscirne, ma vi rientra immediatamente al minimo pericolo. Fra i 235 e i 250 giorni circa, il piccolo canguro abbandona definitivamente la tasca materna. A questo stadio del suo sviluppo pesa fra i 2 e i 4 kg e succhia ancora il latte della madre, pur dimostrandosi molto più indipendente. Per un po' di tempo, il cucciolo continuerà ancora a seguire la madre. Solo dopo un anno, quando peserà circa 10 kg, lo svezzamento sarà completato.

Il clima, caratterizzato dall'alternanza di periodi secchi e piovosi, influisce sulla riproduzione dei canguri. Una volta che una femmina ha dato alla luce un piccolo, ha luogo un estro venereo post partum (viene liberato un ovulo), mentre il piccolo precedente si trova ancora nella tasca marsupiale in fase di sviluppo poco avanzata. Questo nuovo ovulo viene fecondato, ma resta nell'utero allo stadio di blastocito (sviluppo precoce) fino al successivo periodo delle piogge. Solo allora il suo sviluppo riprende, quando la femmina porta ancora nel marsupio, che tuttavia ben presto lascerà, un piccolo di qualche mese. A questo punto il ciclo ricomincia. Una femmina, dunque, può simultaneamente custodire, nel proprio marsupio, un piccolo già grande che prende ancora il latte a una prima mammella, un embrione in via di sviluppo che succhia il latte a una seconda mammella, oltre a un ovulo nell'utero, in attesa che il primogenito lasci la tasca.

Distribuzione e habitat

L'Australia è caratterizzata dalla presenza di varie fasce climatiche. La costa settentrionale da Capo York a Brisbane presenta temperature uniformi ed elevate con abbondanti piogge, soprattutto in estate (clima equatoriale con monsone). Qui predomina la foresta equatoriale, ricca di liane e felci arborescenti. Le coste sud-orientali e sud-occidentali godono di un clima marittimo, pressoché mediterraneo, con precipitazioni poco abbondanti, soprattutto in inverno. Nelle regioni orientali si estendono foreste di eucalipto, di araucaria e di felci arborescenti. Il canguro rosso è diffuso in un'area piuttosto vasta, che coincide con i territori più aridi dell'Australia. La specie è insediata nelle steppe semiaride delle regioni meridionali - coperte di sterpaglie, di acacie e di piante alofite, cioè che vivono in ambienti salini - e nell'entroterra. Quest'ultimo è costituito da una regione orientale secca, dove dominano la steppa e la savana tropicale, coperte da arbusti desolati di acacie e da eucalipti nani, e da una regione centrale dal clima molto più secco, pressoché desertico, dove risalta una vegetazione rada di cespugli compatti e di arbusti particolarmente carichi di spine chiamati scrubs, fra i quali Triodia spinifex, una graminacea detta «erba porcospino».

Il ciclo vitale del canguro rosso è strettamente correlato con le condizioni climatiche. Nelle regioni più aride, dove le precipitazioni non superano mai i 250 mm l'anno, i frequenti periodi di siccità limitano le dispinibilità alimentari e la qualità del cibo, con inevitabili ripercussioni sulla riproduzione e sulle possibilità di sopravvivenza del canguro. Fra il 1975-1976 e il 1982, per esempio, la popolazione di canguri rossi è raddoppiata nelle regioni occidentali del Nuovo Galles del Sud grazie a condizioni climatiche favorevoli, mentre la siccità del 1982 ha portato a un decremento degli esemplari di questa specie pari, in media, al 43%. Osservazioni a lungo termine hanno potuto accertare che un incremento di 100 mm delle precipitazioni medie annue nelle regioni orientali del Paese (480 mm) è accompagnato da un parallelo aumento del 30% degli esemplari di canguri. Nelle regioni occidentali, si registra un identico incremento di canguri, anche se le precipitazioni medie annue (205 mm) aumentano di soli 50 mm. D'altra parte, quando in queste aree si verificano, rispettivamente, tassi di piovosità media annua inferiori di 100 mm e di 60 mm alle medie abituali, le popolazioni di canguri restano stabili, diminuendo solo qualora le piogge divengano ancora più scarse.

Behaviour

 
Mob of red kangaroos at the Wagga Wagga Botanic Gardens

Red kangaroos live in groups of 2–4 members. The most common groups are females and their young.[8] Larger groups can be found in densely populated areas and females are usually with a male.[9] Membership of these groups is very flexible, and males (boomers) are not territorial, fighting only over females (flyers) that come into heat. Males develop proportionately much larger shoulders and arms than females.[10] Most agonistic interactions occur between young males, which engage in ritualised fighting known as boxing. They usually stand up on their hind limbs and attempt to push their opponent off balance by jabbing him or locking forearms. If the fight escalates, they will begin to kick each other. Using their tail to support their weight, they deliver kicks with their powerful hind legs. Compared to other kangaroo species, fights between red kangaroo males tend to involve more wrestling.[11] Fights establish dominance relationships among males, and determine who gets access to estrous females.[8] Alpha males make agonistic behaviours and more sexual behaviours until they are overthrown. Displaced males live alone and avoid close contact with others.[8]

 
Fighting red kangaroos

Reproduction

  Lo stesso argomento in dettaglio: Kangaroo § Reproduction and life cycle.

The red kangaroo breeds all year round. The females have the unusual ability to delay birth of their baby until their previous Joey has left the pouch. This is called embryonic diapause. Copulation may last 25 minutes.[11] The red kangaroo has the typical reproductive system of a kangaroo. The neonate emerges after only 33 days. Usually only one young is born at a time. It is blind, hairless, and only a few centimetres long. Its hind legs are mere stumps; it instead uses its more developed forelegs to climb its way through the thick fur on its mother's abdomen into the pouch, which takes about three to five minutes. Once in the pouch, it fastens onto one of the two teats and starts to feed. Almost immediately, the mother's sexual cycle starts again. Another egg descends into the uterus and she becomes sexually receptive. Then, if she mates and a second egg is fertilised, its development is temporarily halted. Meanwhile, the neonate in the pouch grows rapidly. After approximately 190 days, the baby (called a joey) is sufficiently large and developed to make its full emergence out of the pouch, after sticking its head out for a few weeks until it eventually feels safe enough to fully emerge. From then on, it spends increasing time in the outside world and eventually, after around 235 days, it leaves the pouch for the last time.[12] While the young joey will permanently leave the pouch at around 235 days old, it will continue to suckle until it reaches about 12 months of age. A doe may first reproduce as early as 18 months of age and as late as five years during drought, but normally she is two and a half years old before she begins to breed.[13]

The female kangaroo is usually permanently pregnant, except on the day she gives birth; however, she has the ability to freeze the development of an embryo until the previous joey is able to leave the pouch. This is known as diapause, and will occur in times of drought and in areas with poor food sources. The composition of the milk produced by the mother varies according to the needs of the joey. In addition, red kangaroo mothers may "have up to three generations of offspring simultaneously; a young-at-foot suckling from an elongated teat, a young in the pouch attached to a second teat and a blastula in arrested development in the uterus".[11]

The kangaroo has also been observed to engage in alloparental care, a behaviour in which a female may adopt another female's joey. This is a common parenting behaviour seen in many other animal species like wolves, elephants and fathead minnows.[14]

Relationship with humans

 
A red kangaroo crossing a highway

The red kangaroo is an abundant species and has even benefited from the spread of agriculture and creation of man-made waterholes. However competition with livestock and rabbits poses a threat. It is also sometimes shot by farmers as a pest although a "destruction permit" is required from the relevant state government.

Kangaroos dazzled by headlights or startled by engine noise often leap in front of vehicles, severely damaging or destroying smaller or unprotected vehicles. The risk of harm to vehicle occupants is greatly increased if the windscreen is the point of impact. As a result, "kangaroo crossing" signs are commonplace in Australia.

Commercial use

Like all Australian wildlife, the red kangaroo is protected by legislation, but it is so numerous that there is regulated harvest of its hide and meat. Hunting permits and commercial harvesting are controlled under nationally approved management plans, which aim to maintain red kangaroo populations and manage them as a renewable resource. Harvesting of kangaroos is controversial, particularly due to the animal's popularity.[13]

In the year 2000, 1,173,242 animals were killed.[15] In 2009 the government put a limit of 1,611,216 for the number of red kangaroos available for commercial use. The kangaroo industry is worth about A$270 million each year, and employs over 4000 people.[16] The kangaroos provide meat for both humans and pet food. Kangaroo meat is very lean with only about 2% fat. Their skins are used for leather.

Note

  1. ^ (EN) Ellis, M., van Weenen, J., Copley, P., Dickman, C., Mawson, P. & Woinarski, J. 2016, BlackPanther2013/Sandbox/kakapo, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ Red Kangaroo – Zoos Victoria, su zoo.org.au, www.zoo.org.au. URL consultato il 16 aprile 2009 (archiviato dall'url originale il 14 luglio 2008).
  3. ^ a b M. Yue, Macropus rufus, su Animaldiversity.ummz.umich.edu, 2001. URL consultato il 25 settembre 2015.
  4. ^ a b Red kangaroo videos, photos and facts – Macropus rufus, su ARKive. URL consultato il 25 settembre 2015.
  5. ^ a b Gerald Wood, The Guinness Book of Animal Facts and Feats, 1983, ISBN 978-0-85112-235-9.
  6. ^ P. Menkhorst e F. Knight, A Field Guide to the Mammals of Australia, Melbourne, Offord University Press, 2001, ISBN 0-19-555037-4.
  7. ^ Red Kangaroo Fact Sheet, su library.sandiegozoo.org. URL consultato il 4 ottobre 2015.
  8. ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Tyndale 2005
  9. ^ Johnson, C. N., Variations in Group Size and Composition in Red and Western Grey Kangaroos, Macropus rufus (Desmarest) and M. fulignosus (Desmarest), in Australian Wildlife Research, vol. 10, 1983, pp. 25–31, DOI:10.1071/WR9830025.
  10. ^ Jarman, P., Mating system and sexual dimorphism in large, terrestrial, mammalian herbivores, in Biological Reviews, vol. 58, n. 4, 1983, pp. 485–520, DOI:10.1111/j.1469-185X.1983.tb00398.x.
  11. ^ a b c McCullough, Dale R. and McCullough, Yvette (2000) Kangaroos in Outback Australia, Columbia University Press. ISBN 0-231-11916-X.
  12. ^ Evolution of Biodiversity, BCB705 Biodiversity, University of the Western Cape
  13. ^ a b Vincent Serventy, Wildlife of Australia, South Melbourne, Sun Books, 1985, pp. 38–39, ISBN 0-7251-0480-5.
  14. ^ Riedman, Marianne L., The Evolution of Alloparental Care in Mammals and Birds, in The Quarterly Review of Biology, vol. 57, n. 4, 1982, pp. 405–435, DOI:10.1086/412936.
  15. ^ National commercial Kangaroo harvest quotas, su environment.gov.au, www.environment.gov.au. URL consultato il 16 aprile 2009 (archiviato dall'url originale il 6 June 2011).
  16. ^ Kangaroo Industry Assocn of Australia – Background Info, su kangaroo-industry.asn.au, www.kangaroo-industry.asn.au. URL consultato il 16 aprile 2009.