Utente:BlackPanther2013/Sandbox/1.0
Tarpan | |
---|---|
![]() Il tarpan di Cherson, l'unico esemplare mai fotografato, che tuttavia potrebbe non essere stato geneticamente puro (immagine pubblicata nel 1884) | |
Stato di conservazione | |
Classificazione scientifica | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Animalia |
Phylum | Chordata |
Classe | Mammalia |
Ordine | Perissodactyla |
Famiglia | Equidae |
Genere | Equus |
Specie | E. ferus |
Sottospecie | E. f. ferus |
Nomenclatura trinomiale | |
Equus ferus ferus Boddaert, 1785 |
Il tarpan (Equus ferus) era una specie appartenente al genere dei cavalli, scomparsa tra il XVIII e il XIX secolo. Viene spesso considerato una forma occidentale dei cavalli selvatici un tempo diffusi in Eurasia. Tuttavia, studi genetici indicano che fosse un incrocio tra cavalli selvatici dell'Eurasia occidentale e la linea degli odierni cavalli domestici. Le testimonianze riguardanti questo rappresentante dei cavalli potrebbero risalire fino all'antichità, ma il tarpan divenne noto soprattutto nel corso del XVIII secolo grazie ai resoconti di diversi esploratori, come Samuel Gottlieb Gmelin e Peter Simon Pallas, che osservarono questi animali durante spedizioni nell'Europa orientale. Tra le caratteristiche comunemente descritte si annoverano una testa grande, orecchie appuntite, un mantello grigiastro e una criniera arruffata o ispida. Quest'ultima è oggetto di dibattito, poiché non è chiaro se fosse più simile a una criniera pendente o eretta. Viene spesso sottolineata anche la statura ridotta del tarpan. L'areale di distribuzione si estendeva dagli Urali verso ovest, attraverso le steppe russe, fino all'Europa centrale e occidentale, dove i cavalli abitavano anche aree forestali. La presenza del tarpan sia in ambienti aperti che in zone boschive ha portato alcuni studiosi a distinguere un «tarpan delle steppe» e un «tarpan dei boschi», ritenendo che avessero differenze anatomiche ed esteriori. Tuttavia, questa suddivisione in due sottospecie non è universalmente accettata.
Analogamente al suo aspetto, anche lo stile di vita del tarpan è noto solo grazie a resoconti storici. Viveva in branchi simili a quelli dei cavalli domestici, costituiti da femmine con i loro piccoli, guidati da uno stallone che allontanava i giovani maschi concorrenti. Probabilmente questi branchi si spostavano su vaste aree. Diverse testimonianze riportano che il tarpan si nutrisse di balle di fieno appartenenti ai contadini locali e che a volte portasse nelle sue mandrie le giumente domestiche. Ciò potrebbe aver causato conflitti con la popolazione locale, contribuendo, insieme alla caccia per scopi alimentari, alla sua estinzione. Nell'Europa occidentale e centrale il tarpan scomparve forse già nel Medioevo o nella prima età moderna, mentre in Europa orientale sopravvisse più a lungo. L'ultimo tarpan dei boschi selvatico fu abbattuto intorno al 1814, mentre l'ultimo tarpan delle steppe fu ucciso nel 1879. Alcuni esemplari in cattività sopravvissero ancora per qualche tempo.
La specie fu descritta scientificamente nel 1785, basandosi su alcune osservazioni contemporanee provenienti dall'Europa orientale. Si ritiene che almeno gli ultimi tarpan fossero fortemente incrociati con cavalli domestici, ma il grado di questa commistione è incerto. Inoltre, alcune testimonianze storiche e caratteristiche scheletriche hanno portato all'ipotesi che razze di cavalli domestici come il Konik o l'Exmoor Pony possano essere discendenti diretti del tarpan, ipotesi però non confermata. Anche il coinvolgimento del tarpan nel processo di domesticazione dei cavalli, avvenuto tra 6000 e 5000 anni fa, rimane ambiguo e non supportato da prove genetiche. Infine, sebbene nel XX secolo il tarpan fosse talvolta considerato un parente stretto del cavallo di Pržewalski, studi genetici recenti hanno smentito questa relazione diretta.
Etimologia
Il termine «tarpan» deriva dal linguaggio popolare tartaro e, tra il XVIII e il XX secolo, nella steppa della Russia meridionale designava sia i cavalli selvatici presunti tali, sia i cavalli domestici inselvatichiti e i loro ibridi, oltre agli asini selvatici presenti nella regione.[1] La prima menzione documentata del termine «tarpan» risale al 1762 ed è attribuita al geografo russo Pjotr Ivanovič Ryčkov. Nel suo studio sull'area di Orenburg, nel sud della Russia, Ryčkov distingueva il tarpan (тарпан) dal kulan (кулан), entrambi abitanti delle steppe, collocando il primo tra i cavalli (koni, кони).[2] Tuttavia, non è chiaro se i cavalli che vagavano liberi nella steppa meridionale russa originariamente chiamati tarpan fossero veri cavalli selvatici, cavalli domestici inselvatichiti o ibridi tra i due.[3] Successivamente, il termine «tarpan» è stato esteso anche a popolazioni di cavalli che, durante la loro vita, non erano mai state chiamate così, come ad esempio i cavalli del parco naturale presso Zamość.[4][5] Oggi il termine viene spesso utilizzato per indicare la forma del cavallo selvatico dell'Eurasia occidentale. Tuttavia, già nella seconda metà del XVIII secolo, autori contemporanei come Peter Simon Pallas mettevano in dubbio la classificazione del tarpan come cavallo selvatico.[6][1] Inoltre, l'origine di questa forma è con ogni probabilità il risultato di un’ibridazione tra cavalli domestici e selvatici.[7]
Descrizione
Aspetto
Le dimensioni e l'aspetto del tarpan possono essere ricostruiti in modo abbastanza accurato grazie ai resoconti storici, anche se le misurazioni assolute documentate sono poche e provengono principalmente da esemplari vissuti nel XIX o all'inizio del XX secolo. Ad esempio, l'ultimo esemplare, morto nel 1918 a Dubrovka presso Poltava, aveva un'altezza al garrese compresa tra 140 e 145 cm.[8] Per confronto, il konik, considerato da alcuni un possibile discendente diretto del tarpan, presenta un'altezza media al garrese di 129,4 cm nei maschi e 128 cm nelle femmine (valori basati su 119 individui analizzati). Questo indica che il tarpan era un cavallo di taglia medio-piccola, come confermato da numerosi resoconti storici. Samuel Gottlieb Gmelin osservò i tarpan nel 1770 a Voronež e li descrisse simili ai piccoli cavalli domestici russi, ma con alcune differenze. Gli animali avevano una testa grande, orecchie lunghe e appuntite (simili a quelle di un asino), una criniera corta e arruffata e un mantello grigio sul dorso che diventava più chiaro sul ventre. Le zampe erano scure nella parte inferiore.[9] Peter Simon Pallas, nelle sue descrizioni del 1771 e 1776 basate su osservazioni lungo il fiume Volga, conferma molte delle caratteristiche descritte da Gmelin. Descrive i tarpan come simili a piccoli cavalli russi, con testa grande e robusta, orecchie appuntite, criniera e coda corte e arruffate. La maggior parte degli individui osservati era di colore marrone pallido, con arti più chiari rispetto a quanto descritto da Gmelin. Pallas nota anche che gli individui scuri (marrone scuro o nero) o grigi erano rari e non esistevano esemplari pezzati.[6] Belsazar Hacquet, intorno al 1760, osservò cavalli simili nel parco naturale di Zamość, descrivendoli come piccoli e di colore nero-brunastro, con testa grande, criniera e coda scure e a pelo corto. Notò inoltre che i maschi presentavano una sorta di «barba».[10] Charles Hamilton Smith, nel 1841, riportò che il tarpan non fosse più grande di un asino domestico. Confermò il mantello grigio, ma aggiunse la presenza di individui di colore marrone chiaro o isabella. Smith notò inoltre che le orecchie, corte o lunghe, erano posizionate in alto sul cranio, gli occhi erano piccoli e il tarpan subiva un cambio di pelliccia stagionale, con un mantello estivo corto e uno invernale lungo e folto.[11][12][13][1]
Secondo alcuni studiosi, c'erano differenze regionali nella colorazione del mantello del tarpan. Nel suo areale di distribuzione a ovest del fiume Volga, il tarpan aveva una tonalità prevalentemente grigio topo. Per gli esemplari a est del Volga fino agli Urali, si suppone una colorazione mista tra grigio e marrone giallastro. Più a est degli Urali, erano diffusi principalmente animali con mantelli giallastri o marrone rossiccio. Tuttavia, non è chiaro se i resoconti storici sui cavalli selvatici dell'area a est degli Ural si riferiscano effettivamente al tarpan. È possibile una sovrapposizione o una confusione con il cavallo di Pržewalski (Equus przewalskii), come suggerito dalle affermazioni di Hamilton Smith nel 1841. Hamilton Smith raffigurò nella sua pubblicazione un tarpan che, secondo lui, rappresentava una versione più primitiva di questi animali.[11] Per quanto riguarda il tarpan del territorio della foresta di Białowieża, Julius von den Brinken sottolinea la colorazione prevalentemente grigia e menziona la presenza di una striscia scura lungo la schiena.[14] Descrizioni di cavalli selvatici simili – con mantelli grigi, una striscia dorsale scura, criniera e coda scure – risalgono al Medioevo e si trovano, ad esempio, negli scritti di Alberto Magno del XII secolo, che descrive animali presenti in quella che oggi è la Germania, o in quelli di Anton Schneeberger del XVI secolo, che parla di cavalli selvatici della Prussia. Tuttavia, non è chiaro se queste testimonianze si riferiscano effettivamente al tarpan. Un'altra questione ancora irrisolta riguarda il tipo di criniera del tarpan: non si sa se fosse eretta o pendente, poiché i numerosi resoconti forniscono descrizioni discordanti. Le zebre e gli asini selvatici possiedono una criniera eretta, così come il cavallo di Pržewalski. Quest'ultimo, però, può mostrare una criniera parzialmente pendente durante il passaggio dal mantello estivo a quello invernale. Una criniera pendente è stata documentata in un tarpan catturato nel 1866 nelle steppe di Zagradov, presso Cherson, nella penisola di Crimea (il cosiddetto tarpan di Cherson o di Shatilov). Una criniera simile, sebbene meno pronunciata, è stata osservata anche nell'esemplare di Dubrovka.[12][13][1]
I resoconti e le descrizioni storiche indicano che il tarpan europeo aveva frequentemente un mantello «grigiastro», sebbene in alcuni casi non sia chiaro se si trattasse di un grigio topo o di un marrone topo. Finora non sono disponibili studi genetici specifici sul tarpan storicamente documentato. Tuttavia, la colorazione del mantello di alcuni cavalli selvatici del tardo Pleistocene e dell'Olocene inferiore, distribuiti tra la Penisola Iberica e la Siberia, è stata determinata geograficamente. Questi studi hanno rivelato una vasta gamma di variazioni di colore, con il marrone come tonalità più comune, mentre il colore nero, pur geneticamente rilevabile, era meno frequente. Inoltre, erano presenti cavalli con mantelli «leopardati» o macchiati. Tutte queste variazioni cromatiche si ritrovano anche nelle rappresentazioni figurative di cavalli selvatici nelle pitture rupestri dell'Europa occidentale risalenti al Paleolitico superiore.[15][16][17] Gli stessi colori del mantello caratterizzavano i primi cavalli domestici dell'Olocene medio, con l'emergere relativamente precoce di forme di colore fulvo, mentre cavalli dal mantello falbo (ossia con una tonalità di base schiarita) sembrano essere apparsi in epoca successiva.[15][18] Tuttavia, è probabile che tonalità più chiare fossero già presenti nei cavalli selvatici, come dimostrato anche dagli asini selvatici, che possono avere mantelli chiari. Questa caratteristica può essere interpretata come un adattamento agli ambienti: tonalità più chiare sarebbero risultate vantaggiose in habitat di steppa, mentre colori più scuri avrebbero offerto una protezione migliore nei territori boschivi.[19][16]
Caratteristiche del cranio e della dentatura
Secondo le dichiarazioni di Vladimir Georgievič Geptner, nonostante la vasta diffusione storica del tarpan, sono disponibili pochissimi reperti osteologici. Negli anni '60, infatti, in Europa e nell'Asia occidentale erano presenti solo due esemplari scheletrici nei musei. Dai crani conservati, è possibile determinare che la lunghezza media del cranio del tarpan era di 47,9 cm, con una larghezza di 20,6 cm a livello dell'orbita. Il rostro, nella zona dei denti incisivi, aveva una larghezza di circa 7 cm. Inoltre, il diastema, che separa la parte anteriore da quella posteriore della dentatura, si estendeva per circa 9,2 cm.[12][13]
Distribuzione e habitat
L'area di distribuzione esatta del tarpan non è nota, ma dalle testimonianze storiche si può supporre che abitasse sia le steppe che le foreste dell'Eurasia. Una linea approssimativa di confine a nord potrebbe essere tracciata intorno alla Lituania e alla regione di Kaliningrad, poiché non ci sono prove della sua presenza più a nord. A sud, la specie potrebbe essere stata presente nel territorio dei Carpazi, fino all'attuale Repubblica di Moldavia. A est, l'areale del tarpan si estendeva attraverso la regione del Mar Nero, inclusa la penisola di Crimea e le principali vallate fluviali del Dnestr, del Don e del Kuban' fino al Volga. È possibile che il suo limite orientale fosse rappresentato dagli Urali, mentre non si hanno informazioni sulla sua estensione meridionale. Anche l'estensione occidentale è defficile da definire. Le fonti medievali suggeriscono una possibile presenza che superava l'attuale Polonia, arrivando in Germania, Danimarca, Francia e ino alla penisola iberica.[13]
Biologia
Le abitudini di vita del tarpan possono essere ricostruite principalmente attraverso resoconti storici, e sembra che il suo comportamento non fosse molto diverso da quello dei cavalli domestici moderni o del cavallo di Pržewalski. Secondo Samuel Gottlieb Gmelin, i tarpan vivevano in gruppi guidati da un maschio dominante, un ruolo che, come avviene per altre specie sociali, si presume il maschio abbia conquistato lottando.[9] Le dimensioni dei gruppi variavano da cinque a venti individui, come riportato da Peter Simon Pallas, sebbene Charles Hamilton Smith menzioni anche raduni di diverse centinaia di esemplari.[11] I giovani maschi venivano scacciati dal gruppo del maschio dominante e vivevano come solitari fino a formare un proprio gruppo,[6] come confermato da Hamilton Smith. Secondo Gmelin, i tarpan erano molto veloci, estremamente timidi e fuggivano al minimo rumore.[9] Belsazar Hacquet li descrive come impossibili da addomesticare, coraggiosi e difensivi contro i predatori.[10] Hamilton Smith osserva che le vocalizzazioni del tarpan erano più acute e intense rispetto a quelle dei cavalli domestici, e che le mandrie in fuga erano particolarmente veloci, con il maschio a chiudere il gruppo, difendendolo da predatori come orsi e lupi con calci potenti. Hamilton Smith descrive anche migrazioni stagionali: in estate i tarpan si spostavano a nord, mentre in autunno ritornavano a sud.[11] Pallas sottolinea la predilezione per le aree montuose ricche di sorgenti d'acqua, mentre in inverno in tarpan si dirigevano verso alture libere dalla neve grazie ai venti, dove trovavano cibo.[6] Gmelin riporta che i tarpan spesso razziavano i depositi di fieno dei contadini, e che si accoppiavano non di rado con le cavalle domestiche,[9] fenomeno che anche Pallas osservò.[6][1]
Tassonomia
Classificazione generale
Il tarpan appartiene alla famiglia degli equidi (Equidae) ed è una specie del genere Equus, rendendolo uno dei rappresentanti moderni di questa famiglia.All'interno del genere, il tarpan è strettamente imparentato con il cavallo domestico (Equus caballus) e il cavallo di Pržewalski (Equus przewalskii), formando insieme il gruppo «caballoide». Questo gruppo si distingue dalle zebre e dagli asini, che appartengono al gruppo «stenonoide» o «non-caballoide». Una delle differenze tra queste linee evolutive risiede nella struttura caratteristica dei molari inferiori. La separazione tra queste due linee, secondo dati molecolari genetici, risale a circa 3,4-4,4 milioni di anni fa, durante il Pliocene.[20][21][22] Le relazioni esatte tra le specie del gruppo caballoide non sono ancora completamente chiare. Tuttavia, dal punto di vista genetico, il tarpan rappresenta un ibrido tra cavalli selvatici dell'Eurasia occidentale e cavalli domestici, con una possibile origine nell'area dell'attuale Ucraina.[7] La linea ancestrale del cavallo domestico si è separata da quella del cavallo di Pržewalski durante il tardo Pleistocene circa 117000 anni fa, sebbene alcune stime varino tra 45000 e 364000 anni, a seconda dello studio.[23][24][21][25]
Nome scientifico
La classificazione sistematica del tarpan è stata oggetto di discussione. Nel corso del XX secolo, il tarpan è stato spesso classificato come parte della specie Equus caballus, cioè il cavallo domestico, o come Equus ferus, spesso indicato come «cavallo selvatico». Alcuni autori, inoltre, hanno considerato valido anche il nome Equus przewalskii per riferirsi al tarpan.[8][13] Il tarpan è stato generalmente trattato come una sottospecie, con denominazioni comuni come Equus caballus ferus o Equus ferus ferus nei testi scientifici, ma la separazione tra i due nomi è stata spesso ambigua, poiché talvolta venivano usati come sinonimi. La denominazione Equus caballus risale a Linneo nel 1758, nel suo Systema Naturae, riferendosi al cavallo domestico (dal latino caballus per «cavallo» o «cavallo da sella»).[26] Il nome Equus ferus, invece, fu introdotto sempre nel 1758 da Pieter Boddaert, riferendosi a un cavallo selvatico delle steppe russe, che in vari resoconti storici era stato identificato come tarpan.[27] Equus przewalskii fu introdotto solo nel 1881 dallo zoologo Ivan Semenovič Poljakov.[28] La continua incertezza sulla classificazione ha portato l'ICZN (Commissione internazionale di nomenclatura zoologica) a stabilire nel 1954 che la specie tipo per il genere Equus fosse Equus caballus, basandosi sulla regola di priorità e confermando la prima denominazione data da Linneo.[29] Per risolvere le difficoltà di classificazione tra animali domestici e selvatici, un gruppo di scienziati ha proposto nel 2003 un'integrazione delle norme per le denominazioni scientifiche degli animali domestici introdotte da Linneo. Questa proposta, denominata Opinion 2027 e discussa dall'ICZN come Case 3010, ha portato alla conservazione dei nomi dati da Linneo per le forme domestiche, rendendoli utilizzabili sia per forme selvatiche che domestiche.[30][31] In questo contesto, la denominazione Equus caballus ferus implica che il cavallo domestico e il tarpan appartengano alla stessa specie, mentre Equus ferus suggerirebbe che il tarpan sia indipendente dal cavallo domestico. A causa della regola di priorità, non è possibile utilizzare la denominazione Equus ferus caballus per il cavallo domestico né Equus przewalskii ferus.[32]
Nel corso del XX secolo, il tarpan, il cavallo domestico e il cavallo di Pržewalski sono stati talvolta considerati conspecifici, anche se con variazioni nella denominazione. Un elemento che testimonia la stretta parentela è la capacità di interfecondità, dimostrata tra il cavallo di Pržewalski e quello domestico, e probabilmente possibile anche tra il tarpan e il cavallo domestico, come riportato da resoconti storici. Tuttavia, non esistono dati genetici per il tarpan. Il cavallo domestico e il cavallo di Pržewalski costituiscono linee distinte almeno dal tardo Pleistocene e presentano differenze anatomiche e citogenetiche, poiché quest'ultimo possiede un paio di cromosomi in più (66 rispetto ai 64 del cavallo domestico).[33] Nel 1986, Colin P. Groves ipotizzò una stretta relazione tra il cavallo di Pržewalski e il tarpan, basata sull'analisi di alcuni cavalli con caratteristiche intermedie trovati a est degli Urali, suggerendo una continuità tra le due forme che non permetteva una separazione netta a livello di specie. In questa visione, il cavallo di Pržewalski rappresentava il ramo orientale e il tarpan quello occidentale del «cavallo selvatico». Groves identificò diverse differenze anatomiche tra le due forme, come il cranio più corto del cavallo di Pržewalski, caratterizzato da una cresta occipitale più pronunciata, un diastema più breve e denti molari più grandi rispetto al tarpan.[12][34] In studi successivi, Groves rivalutò le sue posizioni, mettendo in discussione lo status dei cavalli intermedi e classificando sia il tarpan sia il cavallo di Pržewalski come specie separate. Questa posizione fu confermata nella revisione della sistematica degli ungulati del 2011, realizzata da Groves insieme a Peter Grubb, consolidando così il cavallo domestico, il cavallo di Pržewalski e il tarpan come specie separate.[35]
Forschungsgeschichte und Etymologie
Storia
Uno dei primi riferimenti ai cavalli selvatici nell'Europa orientale proviene da Erodoto nel V secolo a.C. Nel quarto libro delle sue Storie, Erodoto menziona cavalli selvatici «bianchi» che pascolano lungo il fiume Hypanis, identificato oggi con il Bug Meridionale nella regione della Podolia in Ucraina.[36] Tuttavia, è controverso se questi animali fossero effettivamente «bianchi», poiché la parola greca λευκός (leukos) può anche significare «chiaro» e potrebbe quindi riferirsi a una colorazione grigia. Nel 732, Papa Gregorio III inviò il missionario Bonifacio nell'odierna Germania per scoraggiare, tra le altre cose, il consumo frequente di carne di cavallo domestico e selvatico tra i Turingi e i Sassoni. Ulteriori riferimenti si trovano nelle annotazioni di Alberto Magno del XII secolo e nei registri dell'Ordine Teutonico del XV e XVI secolo, che documentano la presenza di cavalli selvatici vicino a città che oggi si trovano in Polonia, come Ełk o Węgorzewo.[11][37][1] Nel XVII e XVIII secolo, le testimonianze sui cavalli selvatici dell'Europa orientale aumentarono grazie ai numerosi naturalisti in viaggio. Guillaume le Vasseur de Beauplan, ingegnere e architetto francese che mappò ampie aree della Polonia e dell'Ucraina negli anni 1630 e 1640, descrisse nel 1650 l'indomabilità dei cavalli selvatici e notò quelli che considerava difetti nei loro zoccoli.[38][1]
Informazioni dettagliate sul tarpan emersero dalle spedizioni di Samuel Gottlieb Gmelin e Peter Simon Pallas, due naturalisti tedeschi che viaggiarono in Russia quasi contemporaneamente negli anni 1770. Gmelin osservò i cavalli vicino a Voronež sul fiume Don, mentre Pallas li studiò lungo la Samara, un affluente del Volga. Entrambe queste regioni si trovano nella Russia meridionale. Nei rispettivi resoconti di viaggio, Reise durch Rußland di Gmelin e Reise durch verschiedene Provinzen des Rußischen Reichs di Pallas, vi sono lunghe sezioni dedicate al tarpan, che includono descrizioni fisiche e dettagli sul loro comportamento. Tuttavia, Pallas riteneva che i cavalli da lui osservati non fossero veri cavalli selvatici, ma piuttosto cavalli domestici inselvatichiti, pur riferendosi a loro con il termine tarpan.[9][6] Altre preziose informazioni furono fornite da Belsazar Hacquet, medico dell'esercito austriaco, che intorno al 1760, durante la Guerra dei Sette Anni, si trovò nella regione di Zamość, nella Polonia meridionale.[10] Anche lo scrittore polacco Kajetan Kozmian visitò questa zona circa venticinque anni dopo e riportò alcune osservazioni sul tarpan. Infine, Charles Hamilton Smith merita menzione: nel suo libro del 1841, The Natural History of the Horse, fornì un'ampia trattazione sul tarpan e alcune delle prime informazioni sul cavallo di Pržewalski.[11][1]
Erstbeschreibung
[[Datei:Pieter Boddaert.jpg|mini|hochkant|Pieter Boddaert führte 1785 die wissenschaftliche Bezeichnung Equus ferus ein]] Die wissenschaftliche Erstbeschreibung des Tarpans als Equus ferus erstellte der niederländische Zoologe Pieter Boddaert im Jahr 1785 im Rahmen seines Werkes Elenchus Animalium. Als besondere Merkmale hob er für seine neue Art das schwarzgrau gefärbte Körperfell, die kurze lockige Mähne, den kurzen Schwanz und die langen Ohren hervor. Als Basis dienten Boddaert vor allem die Aufzeichnungen von Gmelin und Pallas. Neben Woronesch in Russland gab er noch zusätzlich Arabien, die Tatarei und Festlandchina als Verbreitungsgebiet an. Heute gilt erstere Lokalität als die Terra typica des Tarpan.[27][35] Ein teilweise gebrauchtes Synonym ist Equus gmelini. Dieses geht auf Otto Antonius zurück, der die Bezeichnung im Jahr 1912 schuf und damit Gmelin ehrte. Als Begründung gab Antonius die eher eselartige Gestalt des Tarpans an, die seiner Meinung nach aus dem großen Kopf und den langen und schlanken Gliedmaßen entstand. Er stützte sich wie Boddaert auf Gmelins Beschreibungen, bezog aber auch die wenigen, in der zweiten Hälfte des 19. Jahrhunderts gefangenen Individuen sowie die zwei bekannten Skelette mit ein.[39]
Steppentarpan und Waldtarpan
Eine länger anhaltende Debatte wird zu der Frage geführt, ob dem Tarpan - neben der gelegentlichen Eingliederung des Przewalski-Pferdes in die Art - mehrere Unterarten zuzuweisen seien. Hierbei handelt es sich um die Aufteilung in einen „Steppentarpan“ und einen „Waldtarpan“. Die Erstbeschreibung des Tarpans von Pieter Boddaert 1785 bezog sich auf Tiere aus den osteuropäischen Steppengebieten. Julius von den Brinken, seinerzeit Hauptförster des Königreichs Polen, führte im Jahr 1828 die Bezeichnung Equus sylvestris für den Tarpan des Białowieża-Waldgebietes ein.[14] Der Name wurde in der Folgezeit häufig für den „Waldtarpan“ gebraucht. Dem „Waldtarpan“ wird in der Regel ein kleinerer und leichterer Körperbau zugeschrieben, verbunden mit einem kürzeren Gesichtsanteil am Schädel und kürzeren Gliedmaßen, zudem auch mit einer stärkeren Ausbleichung des Fells im Winter.[12][13] Das Verbreitungsgebiet umfasste demnach die ost- und mitteleuropäischen Waldgebiete, wie weit es nach Westen reichte, ist unbekannt. Auch kann momentan nicht beantwortet werden, inwiefern sich einzelne römische und weitere historische Berichte – zitiert von Hamilton Smith 1841[11] – über einen in West- und Mitteleuropa auftretenden stämmigen Wildpferdtyp mit breitem Kopf, starkem Unterkiefer und robustem Körperbau auf den „Waldtarpan“ beziehen. Als einer der eifrigsten Verfechter der Abtrennung des „Waldtarpans“ vom „Steppentarpan“ erwies sich Anfang des 20. Jahrhunderts der polnische Forscher Tadeusz Vetulani. Dieser hatte im Jahr 1927, also gut einhundert Jahre nach von den Brinken, für den Tarpan des Białowieża-Waldgebietes den wissenschaftlichen Namen Equus gmelini silvaticus geprägt. Zur Untermauerung seiner Ansicht zog Vetulani neben Überlieferungen auch zahlreiches Schädelmaterial heran,[4][40][41][42] dessen Bezug zum Tarpan aus heutiger Sicht nicht immer eindeutig ist.[3] Vetulani nahm an, dass die zunehmende Bewaldung in Mitteleuropa nach der Weichsel-Kaltzeit zu einem an Wälder angepassten Wildpferdtypus führte. Gelegentlich wurde die Aufteilung des Tarpans in eine Wald- und Steppenform auch nach dem Zweiten Weltkrieg noch aufgegriffen, so unter anderem von Wladimir Georgijewitsch Heptner in den 1950er und 1960er Jahren,[8][13] teilweise auch von Colin P. Groves in den 1980er Jahren.[12] In späteren Arbeiten verzichtete Groves jedoch auf die Abtrennung und verwies darauf, dass keine nennenswerten Gründe dafür existieren.[34][35][1]
Tarpan und Mensch
Ausrottung und deren Gründe
Der Rückzug des Tarpans aus seinem einst weiten Verbreitungsgebiet begann schon sehr früh. In Dänemark soll er bis zum 12. Jahrhundert noch in großer Zahl vorgekommen sein und wurde aufwändig gejagt. Wahrscheinlich im Verlauf des Mittelalters oder der frühen Neuzeit war er schon aus den Gebieten des westlichen und zentralen Europa verschwunden. Am längsten hielt er sich dadurch in den Wald- und Steppengebieten des östlichen Europa. Aber auch auf dem Gebiet des heutigen Polen und Litauen wurde die Art immer seltener. Hierzu schreibt Kajetan Kozmian im Jahr 1783 anlässlich seines Besuches im Wildpark und fürstlichen Jagdrevier Zamość im südlichen Polen, dass der Tarpan kurz zuvor in freier Wildbahn in Polen ausgerottet wurde. Nur kurz zuvor sollen einzelnen Mitteilungen zufolge die letzten Pferde rund um das Białowieża-Waldgebiet eingefangen und in den Wildpark von Zamość verbracht worden sein. Dadurch war der Tarpan wohl schon vor dem Jahr 1800 nicht mehr in Białowieża anwesend.[43][3] Ähnlich wie Kozmian drückt sich später auch Julius von den Brinken aus. Nach ihm war der Tarpan in Polen hundert Jahre zuvor noch recht häufig und konnte vierzig Jahre zuvor noch gelegentlich in Litauen gesichtet werden.[14] Der möglicherweise letzte freilebende waldbewohnende Tarpan wurde um 1814 bei Kaliningrad erlegt.[8][13][1]
In den osteuropäischen Steppengebieten starb der Tarpan wahrscheinlich um 1880 aus. Als eines der letzten bekannten freilebenden Tiere wurde eine Stute im Jahr 1879 bei Askania Nova in der Ukraine getötet. Aus der jüngsten Phase sind vier Individuen näher bekannt. Ein Tier wurde 1853 als Fohlen bei Melitopol gefangen und wuchs auf einem Gutshof auf. Dessen Schicksal ist durch den Ausbruch des Krimkrieges nicht weiter gesichert. Das zweite Individuum stammte ursprünglich aus einer Herde nahe der Halbinsel Krim und erhielt daher auch die Bezeichnung Krim- oder Taurien-Tarpan. Es wurde Ende der 1850er Jahre gefangen und an den Moskauer Zoo weiter verschenkt, der es aber mangels Unterbringungsmöglichkeiten an die Russische Akademie der Wissenschaften weitergab. Das Tier starb im Alter von rund acht Jahren in Privatbesitz, sein Skelett befindet sich in der Akademie der Wissenschaften. Der Cherson- oder Shatilov-Tarpan, das dritte Exemplar, wurde Mitte der 1860er Jahre bei Cherson wiederum als Fohlen gefangen und wuchs ebenfalls auf einem Gut auf. Im Jahr 1884 gelangte er an den Moskauer Zoo, wo er noch einige Jahre lebte. Von ihm ist als einzigem Tarpan eine Fotografie überliefert. Das Skelett des Tieres wird an der Lomonossow-Universität in Moskau aufbewahrt. Das letzte Individuum, der Dubrowka-Tarpan, starb um 1918 ebenfalls in Gefangenschaft.[39][8][13]
Die Ursachen für das Verschwinden des Tarpans sind höchstwahrscheinlich menschlichen Ursprungs. Als ein wichtiger Faktor wird die Jagd gesehen, die im Mittelalter Mitteleuropas dem Adel vorbehalten war. Aus mehreren historischen Berichten ist zudem bekannt, dass zumindest in den Steppengebieten die lokalen Bewohner, vor allem die Tataren und Kosaken, die Pferde als Nahrungsressource nutzten. Darüber hinaus soll der Tarpan des Öfteren Heuballen geplündert und freilaufende Hauspferde getötet oder in seine eigene Gruppe getrieben haben. Außerdem nutzte er die gleichen Wasserquellen wie das Hauspferd, die in den Steppenregionen eher rar sind. Dadurch bestand neben dem Jagddruck offensichtlich zusätzlich ein Konflikt mit den lokalen Bauern, was letztendlich in der Ausrottung der Art resultierte.[13][1]
Domestikation
[[Datei:Oostvaardersplassen2a.jpg|mini|Koniks, eine Hauspferdrasse, der Ähnlichkeit mit dem Tarpan nachgesagt wird]] Die Domestizierung von Pferden aus wildlebenden Vorgängern erfolgte in einem Zeitraum von etwa 4000 bis 3000 v. Chr. Als eines der wichtigsten Zentren erwies sich Zentralasien, wo im heutigen nördlichen Kasachstan um rund 3500 v. Chr. die Botai-Kultur entstand. Diese endneolithisch-kupferzeitliche Kulturgruppe gründete auf der Verwendung des Pferdes als Nahrungs- und Rohstofflieferant. Charakteristisch abgenutzte Prämolaren der Pferde verweisen auf die Nutzung von Trensen, so dass die Tiere möglicherweise schon zum Reiten eingesetzt wurden. Für das Steppenvolk, das nicht über radgestützte Zugmittel oder, mit Ausnahme des Hundes, über Haustiere verfügte, bedeutete dies wohl eine wichtige Mobilitätssteigerung.[44][45][46][47] Genetische Analysen aus dem Jahr 2018 zeigten auf, dass die Pferde der Botai-Kultur die Schwestergruppe des Przewalski-Pferdes darstellen. Die an den Untersuchungen beteiligten Wissenschaftler schlussfolgern daraus einen Ursprung des Przewalski-Pferdes aus den Botai-Pferden, welche nach dem Untergang der Botai-Kultur verwilderten. Demnach käme das Przewalski-Pferd nicht mehr als Ausgangsform für die Domestikation des Hauspferdes in Frage.[48][49] Des Weiteren wird die mögliche Domestizierung des Pferdes durch die Träger der Botai-Kultur teilweise in Frage gestellt.[50]
Nach der Analyse des Jahres 2018 bilden die Pferde der Botai-Kultur somit nicht die Stammgruppe des Hauspferdes. Das Hauspferd muss daher an anderer Stelle erneut domestiziert worden sein. Zeit und Ort konnten lange Zeit weder genetisch noch archäologisch-zoologisch näher bestimmt werden. Als mögliche Ursprungsorte wurden unter anderem der pontisch-kaspische Steppenraum, das östliche Anatolien, die Iberische Halbinsel, die Levante und der westliche Iran erwogen.[48][51] Ob und inwiefern der Tarpan daran beteiligt war, bildete Grundlage eines ausführlichen Diskurses.[52] Eine genetische Studie aus dem Jahr 2021 zeigte dann auf, dass sich das heutige Hauspferd auf eine Ausgangsgruppe zurückführen lässt, die etwa um 3000 v. Chr. im westlichen Eurasien entstand. Eventuell steht dies mit den spätneolithischen Komplexen der Maikop- oder Jamnaja-Kultur des Schwarzmeergebietes im Zusammenhang. Spätestens um rund 2200 v. Chr. breiteten sich domestizierte Pferde auch außerhalb der Steppengebiete aus, diskutiert wird hier ein Zusammenhang mit der paneuropäischen Gruppe der Schnurkeramik.[7][53] Das heutige Hauspferd besitzt eine ausgesprochen diverse mitochondriale DNA, während gleichzeitig auf dem Y-Chromosom eine geringere Vielfalt nachweisbar ist. Dies legt nahe, dass zur Herausbildung des Hauspferdes wesentlich weniger Hengste als Stuten verwendet wurden und dass lokale Introgression durch Wildpferdstuten sowie mögliche lokale Domestikationsprozesse zur großen mitochondrialen Diversität des Hauspferdes führten.[54][55][56][57]
Abseits von dieser frühen Domestikation des Hauspferdes wird von einigen Hauspferdrassen teilweise angenommen, dass es sich um Abkömmlinge des Tarpans handelt. Dazu gehören vor allem das Konik, eventuell auch das Exmoor-Pony und das Dülmener Pferd. Die Vermutung beruht allerdings zumeist auf Schädel- und Skelettmerkmalen sowie auf historischen Berichten. So soll im Falle des Konik der ursprünglich im fürstlichen Jagdrevier von Zamość gehaltene Bestand des Tarpans um 1806 aufgrund wirtschaftlicher Schwierigkeiten auf die Bauern der Biłgoraj-Region verteilt worden und dort angeblich in deren Hauspferde aufgegangen sein,[43] was allerdings teilweise auch bezweifelt wird.[3] Weiterführende Belege für die Annahmen einer direkten Herleitung des Koniks und anderer ursprünglicher Hauspferdrassen aus dem Tarpan sind bisher nicht aufgezeigt worden; nach genetischen Studien am Hauspferd kann keiner dieser Rassen eine Sonderstellung zugesprochen werden.[58][55][1]
Vermischung mit Hauspferden
Sehr wahrscheinlich handelt es sich nicht bei allen beschriebenen wilden Pferden des osteuropäischen Raumes um tatsächliche Wildpferde, sondern um verwilderte Hauspferde oder Hybride. Unter anderem wurde von manchen polnischen Autoren aus dem 18. Jahrhundert angegeben, die wilden Pferde des Landes hätten Hufprobleme, was zu verkrüppelten Beinen führte, weshalb sie annahmen, dass es sich um verwilderte Hauspferde handelte. Andere zeitgenössische Autoren wie etwa Peter Simon Pallas gingen noch weiter und behaupteten, sämtliche wilden Pferde von der Wolga bis zum Ural seien verwilderte Hauspferde.[6][59] Dagegen hielt das beispielsweise Charles Hamilton Smith für zu spekulativ und ging von der Fortexistenz wilder, undomestizierter Pferde im 19. Jahrhundert aus.[11][1]
Wie stark sich der Tarpan mit dem Hauspferd vermischte, ist Gegenstand der Diskussion. Tatsächlich gelangten nach Kriegen des Öfteren Militärpferde in die Wildnis, da sie nicht mehr benötigt wurden. Auch entführten Tarpanhengste Hauspferdstuten und töteten konkurrierende Hauspferdhengste. Nicht selten wurde im 18. und 19. Jahrhundert von wilden Pferden mit abweichenden Fellfarben berichtet, ebenso von Herden, in denen sich eindeutige Hauspferdstuten befanden. Pallas beschrieb zwar einerseits Pferde mit Wildmerkmalen wie großen Köpfen, spitzen Ohren oder kurzer krauser Mähne und Schwanz, aber auch Farben wie Grau und Schimmel oder helle Gliedmaßen, was häufig als Domestikationsmerkmal gesehen wird.[6][1]
Aufgrund dessen hielt beziehungsweise hält eine Vielzahl von Autoren die Tarpane der letzten beiden Jahrhunderte für eine wilde Mischlingspopulation oder gar verwilderte Hauspferde. Dies wird auch beispielsweise für den Cherson-Tarpan diskutiert, dessen hängende Mähne bis zu 48 cm maß. Andere Autoren betrachten diese Frage kritischer und als nicht abschließend geklärt. So kommt auch beim Przewalski-Pferd unter anderem im Wechsel vom Sommer- zum Winterfell eine Hängemähne vor.[39] Als Argument gegen eine sehr starke Durchmischung des Tarpans führt unter anderem Wladimir Georgijewitsch Heptner an, dass die Art im 19. Jahrhundert im südlichen Russland recht einheitliche Merkmale zeigte. Außerdem gäbe es keine Berichte darüber, dass Hauspferdhengste Tarpanherden übernommen hätten. Allerdings vermerkt Heptner auch in einzelnen Regionen einen stärkeren Hybridisierungsgrad. Nur wenige Wissenschaftler gehen von allen historisch als Tarpan bezeichneten Tieren als reine, echte Wildtiere aus.[13][1]
Abbildzüchtung
[[Datei:Hinweisschild Tarpane Neandertal.jpg|mini|Im Wildgehege Neandertal (sowie etlichen anderen Tierparks in Deutschland) wird der Eindruck vermittelt, der Tarpan würde noch existieren. Die dortigen Tiere sind jedoch Heckpferde]] Es gab mehrere Bestrebungen, den Tarpan mit Hilfe von Abbild- oder „Rückzüchtung“ zu rekonstruieren. Die bekannteste ist das Heckpferd, die die Brüder Heinz und Lutz Heck in den 1930er Jahren starteten. Gegründet wurde das Projekt auf dem Przewalski-Pferd und verschiedenen Ponyrassen. Dadurch kam bereits 1933 ein erstes graugefärbtes Fohlen zur Welt. Teilweise werden die Tiere bis heute als „Tarpan“ bezeichnet.[60][61] Ein weiteres Vorhaben initiierte Tadeusz Vetulani ebenfalls in den 1930er Jahren. Sein Ziel war es, den „Waldtarpan“ wieder im Białowieża-Waldgebiet einzuführen. Hierzu verwendete er das Konik, von dem er mehrere Exemplare im Biłgoraj-Gebiet einfangen und in ein 4 ha großes umzäuntes Schutzgebiet in der Umgebung des Urwaldes verbringen ließ.[5][43] Die Arbeiten konnten mit einer Unterbrechung durch den Zweiten Weltkrieg – während dem das Projekt von sowjetischer und teils deutscher Seite betrieben wurde – in den 1950er Jahren wieder aufgenommen werden. Nach Vetulanis Tod 1952 verlagerte es die polnische Regierung nach Popileno im Nordosten Polens, wobei die Pferdegruppe aufgeteilt wurde. Das „Rückzüchtungsprojekt“ insgesamt lief in den 1970er Jahren aus, die Pferde dienten folgend zur Zuchterhaltung des Koniks.[3]
Literatur
- V. G. Heptner: Tarpan. In: V. G. Heptner, A. A. Nasimovich, Andreĭ Grigorévich Bannikov und Robert S. Hoffmann (Hrsg.): Mammals of the Soviet Union. Vol. I: Ungulates. Leiden, New York, 1988, S. 1037–1057, ISBN 90-04-08874-1
- Tadeusz Jezierski und Zbigniew Jaworski: Das Polnische Konik. Die Neue Brehm-Bücherei 658, Westarp Wissenschaften, Hohenwarsleben 2008, S. 1–260 (Kapitel 1: Herkunft und Zuchtgeschichte., S. 9–20)
- Ronald M. Nowak: Walker’s mammals of the world. 6. Auflage. Johns Hopkins University Press, Baltimore 1999, ISBN 0-8018-5789-9
Einzelnachweise
- ^ a b c d e f g h i j k l m n o Tadeusz Jezierski und Zbigniew Jaworski: Das Polnische Konik. Die Neue Brehm-Bücherei 658, Westarp Wissenschaften, Hohenwarsleben 2008, S. 1–260 (Kapitel 1: Herkunft und Zuchtgeschichte., S. 9–20)
- ^ Пётр Ива́нович Рычко́в: Топография Оренбургская, то есть обстоятельное описание Оренбургской губернии. St. Petersburg, 1762, S. 1–331 (S. 290) ([1])
- ^ a b c d e Cis Van Vuure: On the origin of the Polish konik and its relation to Dutch nature management. Lutra 57 (2), 2014, S. 111–130
- ^ a b T. Vetulani: Weitere Studien über den polnischen Konik (polnisches Landpferd). Bulletin de l'Academie Polonaise des Sciences Séries B, 1927, S. 835–949
- ^ a b T. Vetulani: Die Wiedereinführung des Waldtarpans in den Urwald von Białowieża (Bialowies). Bulletin de l'Academie Polonaise des Sciences Séries B II, 1936, S. 205–215
- ^ a b c d e f g h Peter Simon Pallas: Reise durch verschiedene Provinzen des Rußischen Reichs. St. Petersburg, 1771–1773, Erster Theil., 1771, S. 210–211 ([2]), Dritter Theil., 1776, S. 510–512 ([3])
- ^ a b c Pablo Librado, Naveed Khan, Antoine Fages, Mariya A. Kusliy, Tomasz Suchan, Laure Tonasso-Calvière, Stéphanie Schiavinato, Duha Alioglu, Aurore Fromentier, Aude Perdereau, Jean-Marc Aury, Charleen Gaunitz, Lorelei Chauvey, Andaine Seguin-Orlando, Clio Der Sarkissian, John Southon, Beth Shapiro, Alexey A. Tishkin, Alexey A. Kovalev, Saleh Alquraishi, Ahmed H. Alfarhan, Khaled A. S. Al-Rasheid, Timo Seregély, Lutz Klassen, Rune Iversen, Olivier Bignon-Lau, Pierre Bodu, Monique Olive, Jean-Christophe Castel, Myriam Boudadi-Maligne, Nadir Alvarez, Mietje Germonpré, Magdalena Moskal-del Hoyo, Jarosław Wilczyński, Sylwia Pospuła, Anna Lasota-Kuś, Krzysztof Tunia, Marek Nowak, Eve Rannamäe, Urmas Saarma, Gennady Boeskorov, Lembi Lōugas, René Kyselý, Lubomír Peške, Adrian Bălășescu, Valentin Dumitrașcu, Roxana Dobrescu, Daniel Gerber, Viktória Kiss, Anna Szécsényi-Nagy, Balázs G. Mende, Zsolt Gallina, Krisztina Somogyi, Gabriella Kulcsár, Erika Gál, Robin Bendrey, Morten E. Allentoft, Ghenadie Sirbu, Valentin Dergachev, Henry Shephard, Noémie Tomadini, Sandrine Grouard, Aleksei Kasparov, Alexander E. Basilyan, Mikhail A. Anisimov, Pavel A. Nikolskiy, Elena Y. Pavlova, Vladimir Pitulko, Gottfried Brem, Barbara Wallner, Christoph Schwall, Marcel Keller, Keiko Kitagawa, Alexander N. Bessudnov, Alexander Bessudnov, William Taylor, Jérome Magail, Jamiyan-Ombo Gantulga, Jamsranjav Bayarsaikhan, Diimaajav Erdenebaatar, Kubatbeek Tabaldiev, Enkhbayar Mijiddorj, Bazartseren Boldgiv, Turbat Tsagaan, Mélanie Pruvost, Sandra Olsen, Cheryl A. Makarewicz, Silvia Valenzuela Lamas, Silvia Albizuri Canadell, Ariadna Nieto Espinet, Ma Pilar Iborra, Jaime Lira Garrido, Esther Rodríguez González, Sebastián Celestino, Carmen Olària, Juan Luis Arsuaga, Nadiia Kotova, Alexander Pryor, Pam Crabtree, Rinat Zhumatayev, Abdesh Toleubaev, Nina L. Morgunova, Tatiana Kuznetsova, David Lordkipanidze, Matilde Marzullo, Ornella Prato, Giovanna Bagnasco Gianni, Umberto Tecchiati, Benoit Clavel, Sébastien Lepetz, Hossein Davoudi, Marjan Mashkour, Natalia Ya. Berezina, Philipp W. Stockhammer, Johannes Krause, Wolfgang Haak, Arturo Morales-Muñiz, Norbert Benecke, Michael Hofreiter, Arne Ludwig, Alexander S. Graphodatsky, Joris Peters, Kirill Yu. Kiryushin, Tumur-Ochir Iderkhangai, Nikolay A. Bokovenko, Sergey K. Vasiliev, Nikolai N. Seregin, Konstantin V. Chugunov, Natalya A. Plasteeva, Gennady F. Baryshnikov, Ekaterina Petrova, Mikhail Sablin, Elina Ananyevskaya, Andrey Logvin, Irina Shevnina, Victor Logvin, Saule Kalieva, Valeriy Loman, Igor Kukushkin, Ilya Merz, Victor Merz, Sergazy Sakenov, Victor Varfolomeyev, Emma Usmanova, Viktor Zaibert, Benjamin Arbuckle, Andrey B. Belinskiy, Alexej Kalmykov, Sabine Reinhold, Svend Hansen, Aleksandr I. Yudin, Aleksandr A. Vybornov, Andrey Epimakhov, Natalia S. Berezina, Natalia Roslyakova, Pavel A. Kosintsev, Pavel F. Kuznetsov, David Anthony, Guus J. Kroonen, Kristian Kristiansen, Patrick Wincker, Alan Outram und Ludovic Orlando: The origins and spread of domestic horses from the Western Eurasian steppes. Nature, 2021, doi:10.1038/s41586-021-04018-9
- ^ a b c d e Владимир Георгиевич Гептнер: Заметки о Тарпанах. Зоологический Журнал 34 (6), 1955, S. 1404–1423
- ^ a b c d e Samuel Gottlieb Gmelin: Reise durch Rußland zur Untersuchung der drey Natur-Reiche. Erster Theil. St. Petersburg, 1770–1784, S. 1–181 (S. 45–48) ([4])
- ^ a b c Balthasar Hacquet: Hacquets Neueste physikalisch-politische Reise durch die Dacischen und Sarmatischen oder nördlichen Karpathen. Dritter Theil. Nürnberg, 1794, S. 1–247 (S. 239) ([5])
- ^ a b c d e f g h Charles Hamilton Smith: The Natural History of the Horse. Edinburgh, London, Dublin, 1841, S. 1–352 (S. 146–173) ([6])
- ^ a b c d e f Colin P. Groves: The taxonomy, distribution, and adaptions of recent equids. In: R. H. Meadows und H. P. Uerpmann (Hrsg.): Equids in the ancient world. Wiesbaden, 1986, S. 11–65
- ^ a b c d e f g h i j k V. G. Heptner: Tarpan. In: V. G. Heptner, A. A. Nasimovich, Andreĭ Grigorévich Bannikov und Robert S. Hoffmann (Hrsg.): Mammals of the Soviet Union. Vol. I: Ungulates. Leiden, New York, 1988, S. 1037–1057 ([7])
- ^ a b c Julius von den Brinken: Mémoire descriptif sur la forêt impériale de Białowieza, en Lithuanie. Warschau, 1828, S. 1–127 (S. 49) ([8])
- ^ a b Arne Ludwig, Melanie Pruvost, Monika Reissmann, Norbert Benecke, Gudrun A. Brockmann, Pedro Castaños, Michael Cieslak, Sebastian Lippold, Laura Llorente, Anna-Sapfo Malaspinas, Montgomery Slatkin und Michael Hofreiter: Coat color variation at the beginning of horse domestication. Science 324, 2009, S. 485
- ^ a b Melanie Pruvost, Rebecca Bellone, Norbert Benecke, Edson Sandoval-Castellanos, Michael Cieslak, Tatyana Kuznetsova, Arturo Morales-Muñiz, Terry O’Connor, Monika Reissmann, Michael Hofreiter und Arne Ludwig: Genotypes of predomestic horses match phenotypes painted in Paleolithic works of cave art. PNAS 108 (46), S. 18626–18630, doi:10.1073/pnas.1108982108
- ^ Arne Ludwig, Monika Reissmann, Norbert Benecke, Rebecca Bellone, Edson Sandoval-Castellanos, Michael Cieslak, Gloria G. Fortes, Arturo Morales-Muñiz, Michael Hofreiter und Melanie Pruvost: Twenty-five thousand years of fluctuating selection on leopard complex spotting and congenital night blindness in horses. Philosophical Transactions of the Royal Society B 370, 2015, S. 20130386, doi:10.1098/rstb.2013.0386
- ^ Saskia Wutke, Norbert Benecke, Edson Sandoval-Castellanos, Hans-Jürgen Döhle, Susanne Friederich, Javier Gonzalez, Jón Hallsteinn Hallsson, Michael Hofreiter, Lembi Lõugas, Ola Magnell, Arturo Morales-Muniz, Ludovic Orlando, Albína Hulda Pálsdóttir, Monika Reissmann, Matej Ruttkay, Alexandra Trinks und Arne Ludwig: Spotted phenotypes in horses lost attractiveness in the Middle Ages. Scientific Reports 6, 2016, S. 38548, doi:10.1038/srep38548
- ^ Sue Baker: Exmoor Ponies: Survival of the Fittest – A natural history. Somerset Archaeological & Natural History Society, 2008, S. 1–256
- ^ Cynthia C. Steiner und Oliver A. Ryder: Molecular phylogeny and evolution of the Perissodactyla. Zoological Journal of the Linnean Society 163, 2011, S. 1289–1303
- ^ a b Julia T. Vilstrup, Andaine Seguin-Orlando, Mathias Stiller, Aurelien Ginolhac, Maanasa Raghavan, Sandra C. A. Nielsen, Jacobo Weinstock, Duane Froese, Sergei K. Vasiliev, Nikolai D. Ovodov, Joel Clary, Kristofer M. Helgen, Robert C. Fleischer, Alan Cooper, Beth Shapiro und Ludovic Orlando: Mitochondrial Phylogenomics of Modern and Ancient Equids. PLoS ONE 8 (2), 2013, S. e55950
- ^ Hákon Jónsson, Mikkel Schubert, Andaine Seguin-Orlando, Aurélien Ginolhac, Lillian Petersen, Matteo Fumagallic, Anders Albrechtsen, Bent Petersen, Thorfinn S. Korneliussen, Julia T. Vilstrup, Teri Lear, Jennifer Leigh Myka, Judith Lundquist, Donald C. Miller, Ahmed H. Alfarhan, Saleh A. Alquraishi, Khaled A. S. Al-Rasheid, Julia Stagegaard, Günter Strauss, Mads Frost Bertelsen, Thomas Sicheritz-Ponten, Douglas F. Antczak, Ernest Bailey, Rasmus Nielsen, Eske Willerslev und Ludovic Orlando: Speciation with gene flow in equids despite extensive chromosomal plasticity. PNAS 111 (52), 2014, S. 18655–18660
- ^ B. Wallner, G. Brem, M. Müller und R. Achmann: Fixed nucleotide differences on the Y chromosome indicate clear divergence between Equus przewalskii and Equus caballus. Animal Genetics 34 (6), 2003, S. 453–456
- ^ Hiroki Goto, Oliver A. Ryder, Allison R. Fisher, Bryant Schultz, Sergei L. Kosakovsky Pond, Anton Nekrutenko und Kateryna D. Makova: A Massively Parallel Sequencing Approach Uncovers Ancient Origins and High Genetic Variability of Endangered Przewalski’s Horses. Genome Biology and Evolution 3, 2011, S. 1096–1106, doi:10.1093/gbe/evr067
- ^ Clio Der Sarkissian, Luca Ermini, Mikkel Schubert, Melinda A. Yang, Pablo Librado, Matteo Fumagalli, Hákon Jónsson, Gila Kahila Bar-Gal, Anders Albrechtsen, Filipe G. Vieira, Bent Petersen, Aurélien Ginolhac, Andaine Seguin-Orlando, Kim Magnussen, Antoine Fages, Cristina Gamba, Belen Lorente-Galdos, Sagi Polani, Cynthia Steiner, Markus Neuditschko, Vidhya Jagannathan, Claudia Feh, Charles L. Greenblatt, Arne Ludwig, Natalia I. Abramson, Waltraut Zimmermann, Renate Schafberg, Alexei Tikhonov, Thomas Sicheritz-Ponten, Eske Willerslev, Tomas Marques-Bonet, Oliver A. Ryder, Molly McCue, Stefan Rieder, Tosso Leeb, Montgomery Slatkin und Ludovic Orlando: Evolutionary Genomics and Conservation of the Endangered Przewalski’s Horse. Current Biology 25 (19), 2015, S. 2577–2583, doi:10.1016/j.cub.2015.08.032
- ^ Carl von Linné: Systema naturae. 10. Auflage, 1758, Band 1, S. 73–74 ([9])
- ^ a b Pieter Boddaert: Elenchus animalium. Volume I. Rotterdam, 1785, S. 1–174 (S. 159–161) ([10])
- ^ Иван Семёнович Поляков: Лошадь Пржевальского (Equus Przewalskii n. sp.). Известия Императорского Русского Географического общества 16, 1881, S. 1–20 ([11])
- ^ International Commission on Zoological Nomenclature: Opinion 271. Addition to the „Official list of generic names in zoology“ of the generic names „Equus“ Linnaeus, 1758 (Class Mammalia) and „Alca“ Linnaeus, 1758 (Class Aves) („Opinion“ supplementary to „Opinion“ 16). Opinions and declarations rendered by the International Commission on Zoological Nomenclature 6, 1954–-1955, S. 43–50 ([12])
- ^ International Commission on Zoological Nomenclature: Opinion 2027 (Case 3010). Usage of 17 specific names based on wild species which are pre-dated by or contemporary with those based on domestic animals (Lepidoptera, Osteichthyes, Mammalia): conserved. Bulletin of the Zoological Nomenclature 60 (1), 2003, S. 81–84 ([13])
- ^ Anthea Gentry, Juliet Clutton-Brock und Colin P. Groves: The naming of wild animal species and their domestic derivatives. Journal of Archaeological Science 31, 2004, S. 645–651
- ^ Wolfgang Zessin, Elke Gröning und Carsten Brauckmann: Bemerkungen zur Systematik rezenter Equidae (Mammalia). Ursus, Mitteilungsblatt des Zoovereins und des Zoos Schwerin, 15 (1), 2009, S. 20–31
- ^ K. Benirschke, N. Malouf, R. J. Low und H. Heck: Chromosome Complement: Differences between Equus caballus and Equus przewalskii, Poliakoff. Science 148, 1965, S. 382–383
- ^ a b Colin P. Groves: Morphology, Habitat and Taxonomy. In: Lee Boyd und Katherine A. Houpt (Hrsg.): Przewalski’s Horse – The History and Biology of an Endangered Species. State University of New York, Albany 1994, S. 39–59 ISBN 0-7914-1890-1
- ^ a b c Colin Groves und Peter Grubb: Ungulate Taxonomy. Johns Hopkins University Press, 2011, S. 1–317 (S. 13–17)
- ^ Herodot: Historien. Deutsche Gesamtausgabe, übersetzt von August Horneffer, herausgegeben von Hans Wilhelm Haussig, 4. Auflage, Alfred Kröner, Stuttgart 1971, (Buch 4, Kapitel 52) ISBN 3-520-22404-6 ([14])
- ^ Richard Lydekker: The horse and its relatives. New York, London, 1912, S. 1–286 (S. 71–116) ([15])
- ^ Guillaume le Vasseur de Beauplan: Description d'Ukraine, qui sont plusieurs provinces du Royaume de Pologne. Rouen, 1650; deutsche Übersetzung Beschreibung der Ukraine, der Krim, und deren Einwohner., erschienen in Breslau, 1680, S. 1–236 (S. 116–117) ([16])
- ^ a b c Otto Antonius: Was ist der „Tarpan“? Naturwissenschaftliche Wochenschrift NF 11, 1912, S. 513–517 ([17])
- ^ T. Vetulani: Dwa dalsze źródła do problemu europejskiego tarpana leśnego. Roczniki Nauk Rolniczych i Leśnych 30, 1933, S. 206–212
- ^ T. Vetulani: Komentarze do dwóch prac o pochodzeniu koni. Roczniki Nauk Rolniczych i Leśnych 30, 1933, S. 163–188
- ^ T. Vetulani: Wyiaśnienia z popwpdu „Poprawek hipologicznych“ Edwarda Skorkowskiego. Roczniki Nauk Rolniczych i Leśnych 30, 1933, S. 371–382
- ^ a b c Edyta Pasicka: Polish Konik horse – characteristics and historical background of native descendants of Tarpan. Acta Scientiarum Polonorum, Medicina Veterinaria 12 (2–4) 2013, S. 25–38
- ^ Dorcas Brown und David Anthony: Bit wear, horseback riding and the Botai site in Kazakstan. Journal of Archaeological Science 25, 1998, S. 331–347
- ^ David W. Anthony und Dorcas R. Brown: Eneolithic horse exploitation in the Eurasian steppes: diet, ritual and riding. Antiquity 74, 2000, S. 75–387
- ^ David W. Anthony: The Horse, the Wheel, and Language. Princeton University Press, 2007, S. 1–553 (S. 193–224)
- ^ Alan K. Outram, Natalie A. Stear, Robin Bendrey, Sandra Olsen, Alexei Kasparov, Victor Zaibert, Nick Thorpe und Richard P. Evershed: The Earliest Horse Harnessing and Milking. Science 323 (5919), 2009, S. 1332–1335, doi:10.1126/science.1168594
- ^ a b Charleen Gaunitz, Antoine Fages, Kristian Hanghøj, Anders Albrechtsen, Naveed Khan, Mikkel Schubert, Andaine Seguin-Orlando, Ivy J. Owens, Sabine Felkel, Olivier Bignon-Lau, Peter de Barros Damgaard, Alissa Mittnik, Azadeh F. Mohaseb, Hossein Davoudi, Saleh Alquraishi, Ahmed H. Alfarhan, Khaled A. S. Al-Rasheid, Eric Crubézy, Norbert Benecke, Sandra Olsen, Dorcas Brown, David Anthony, Ken Massy, Vladimir Pitulko, Aleksei Kasparov, Gottfried Brem, Michael Hofreiter, Gulmira Mukhtarova, Nurbol Baimukhanov, Lembi Lõugas, Vedat Onar, Philipp W. Stockhammer, Johannes Krause, Bazartseren Boldgiv, Sainbileg Undrakhbold, Diimaajav Erdenebaatar, Sébastien Lepetz, Marjan Mashkour, Arne Ludwig, Barbara Wallner, Victor Merz, Ilja Merz, Viktor Zaibert, Eske Willerslev, Pablo Librado, Alan K. Outram und Ludovic Orlando: Ancient genomes revisit the ancestry of domestic and Przewalski’s horses. Science 360 (6384), 2018, S. 111–114, doi:10.1126/science.aao3297
- ^ Antoine Fages, Kristian Hanghøj, Naveed Khan, Charleen Gaunitz, Andaine Seguin-Orlando, Michela Leonardi, Christian McCrory Constantz, Cristina Gamba, Khaled A. S. Al-Rasheid, Silvia Albizuri, Ahmed H. Alfarhan, Morten Allentoft, Saleh Alquraishi, David Anthony, Nurbol Baimukhanov, James H. Barrett, Jamsranjav Bayarsaikhan, Norbert Benecke, Eloísa Bernáldez-Sánchez, Luis Berrocal-Rangel, Fereidoun Biglari, Sanne Boessenkool, Bazartseren Boldgiv, Gottfried Brem, Dorcas Brown, Joachim Burger, Eric Crubézy, Linas Daugnora, Hossein Davoudi, Peter de Barros Damgaard, María de los Ángeles de Chorro y de Villa-Ceballos, Sabine Deschler-Erb, Cleia Detry, Nadine Dill, Maria do Mar Oom, Anna Dohr, Sturla Ellingvåg, Diimaajav Erdenebaatar, Homa Fathi, Sabine Felkel, Carlos Fernández-Rodríguez, Esteban García-Viñas, Mietje Germonpré, José D. Granado, Jón H. Hallsson, Helmut Hemmer, Michael Hofreiter, Aleksei Kasparov, Mutalib Khasanov, Roya Khazaeli, Pavel Kosintsev, Kristian Kristiansen, Tabaldiev Kubatbek, Lukas Kuderna, Pavel Kuznetsov, Haeedeh Laleh, Jennifer A. Leonard, Johanna Lhuillier, Corina Liesau von Lettow-Vorbeck, Andrey Logvin, Lembi Lõugas, Arne Ludwig, Cristina Luis, Ana Margarida Arruda, Tomas Marques-Bonet, Raquel Matoso Silva, Victor Merz, Enkhbayar Mijiddorj, Bryan K. Miller, Oleg Monchalov, Fatemeh A. Mohaseb, Arturo Morales, Ariadna Nieto-Espinet, Heidi Nistelberger, Vedat Onar, Albína H. Pálsdóttir, Vladimir Pitulko, Konstantin Pitskhelauri, Mélanie Pruvost, Petra Rajic Sikanjic, Anita Rapan Papěsa, Natalia Roslyakova, Alireza Sardari, Eberhard Sauer, Renate Schafberg, Amelie Scheu, Jörg Schibler, Angela Schlumbaum, Nathalie Serrand, Aitor Serres-Armero, Beth Shapiro, Shiva Sheikhi Seno, Irina Shevnina, Sonia Shidrang, John Southon, Bastiaan Star, Naomi Sykes, Kamal Taheri, William Taylor, Wolf-Rüdiger Teegen, Tajana Trbojević Vukičević, Simon Trixl, Dashzeveg Tumen, Sainbileg Undrakhbold, Emma Usmanova, Ali Vahdati, Silvia Valenzuela-Lamas, Catarina Viegas, Barbara Wallner, Jaco Weinstock, Victor Zaibert, Benoit Clavel, Sébastien Lepetz, Marjan Mashkour, Agnar Helgason, Kári Stefánsson, Eric Barrey, Eske Willerslev, Alan K. Outram, Pablo Librado und Ludovic Orlando: Tracking Five Millennia of Horse Management with Extensive Ancient Genome Time Series. Cell 177, 2019, S. 1419–1435, doi:10.1016/j.cell.2019.03.049
- ^ William Timothy Treal Taylor und Christina Isabelle Barrón‑Ortiz: Rethinking the evidence for early horse domestication at Botai. Scientific Reports 11, 2021, S. 7440, doi:10.1038/s41598-021-86832-9
- ^ Norbert Benecke: 10 Jahre archäogenetische Forschungen zur Domestikation des Pferdes. Die Arbeiten der Jahre bis 2018. e-Forschungsberichte des DAI 2, 2018, S. 62–70 ([18])
- ^ Dan I. Rubenstein: Family Equidae (Horses and relatives). In: Don E. Wilson und Russell A. Mittermeier (Hrsg.): Handbook of the Mammals of the World. Volume 2: Hooved Mammals. Lynx Edicions, Barcelona 2011, ISBN 978-84-96553-77-4, S. 106–143
- ^ Pablo Librado, Gaetan Tressières, Lorelei Chauvey, Antoine Fages, Naveed Khan, Stéphanie Schiavinato, Laure Calvière-Tonasso, Mariya A. Kusliy, Charleen Gaunitz, Xuexue Liu, Stefanie Wagner, Clio Der Sarkissian, Andaine Seguin-Orlando, Aude Perdereau, Jean-Marc Aury, John Southon, Beth Shapiro, Olivier Bouchez, Cécile Donnadieu, Yvette Running Horse Collin, Kristian M. Gregersen, Mads Dengsø Jessen, Kirsten Christensen, Lone Claudi-Hansen, Mélanie Pruvost, Erich Pucher, Hrvoje Vulic, Mario Novak, Andrea Rimpf, Peter Turk, Simone Reiter, Gottfried Brem, Christoph Schwall, Éric Barrey, Céline Robert, Christophe Degueurce, Liora Kolska Horwitz, Lutz Klassen, Uffe Rasmussen, Jacob Kveiborg, Niels Nørkjær Johannsen, Daniel Makowiecki, Przemysław Makarowicz, Marcin Szeliga, Vasyl Ilchyshyn, Vitalii Rud, Jan Romaniszyn, Victoria E. Mullin, Marta Verdugo, Daniel G. Bradley, João L. Cardoso, Maria J. Valente, Miguel Telles Antunes, Carly Ameen, Richard Thomas, Arne Ludwig, Matilde Marzullo, Ornella Prato, Giovanna Bagnasco Gianni, Umberto Tecchiati, José Granado, Angela Schlumbaum, Sabine Deschler-Erb, Monika Schernig Mráz, Nicolas Boulbes, Armelle Gardeisen, Christian Mayer, Hans-Jürgen Döhle, Magdolna Vicze, Pavel A. Kosintsev, René Kyselý, Lubomír Peške, Terry O’Connor, Elina Ananyevskaya, Irina Shevnina, Andrey Logvin, Alexey A. Kovalev, Tumur-Ochir Iderkhangai, Mikhail V. Sablin, Petr K. Dashkovskiy, Alexander S. Graphodatsky, Ilia Merts, Viktor Merts, Aleksei K. Kasparov, Vladimir V. Pitulko, Vedat Onar, Aliye Öztan, Benjamin S. Arbuckle, Hugh McColl, Gabriel Renaud, Ruslan Khaskhanov, Sergey Demidenko, Anna Kadieva, Biyaslan Atabiev, Marie Sundqvist, Gabriella Lindgren, F. Javier López-Cachero, Silvia Albizuri, Tajana Trbojević Vukičević, Anita Rapan Papeša, Marcel Burić, Petra Rajić Šikanjić, Jaco Weinstock, David Asensio Vilaró, Ferran Codina, Cristina García Dalmau, Jordi Morer de Llorens, Josep Pou, Gabriel de Prado, Joan Sanmartí, Nabil Kallala, Joan Ramon Torres, Bouthéina Maraoui-Telmini, Maria-Carme Belarte Franco, Silvia Valenzuela-Lamas, Antoine Zazzo, Sébastien Lepetz, Sylvie Duchesne, Anatoly Alexeev, Jamsranjav Bayarsaikhan, Jean-Luc Houle, Noost Bayarkhuu, Tsagaan Turbat, Éric Crubézy, Irina Shingiray, Marjan Mashkour, Natalia Ya. Berezina, Dmitriy S. Korobov, Andrey Belinskiy, Alexey Kalmykov, Jean-Paul Demoule, Sabine Reinhold, Svend Hansen, Barbara Wallner, Natalia Roslyakova, Pavel F. Kuznetsov, Alexey A. Tishkin, Patrick Wincker, Katherine Kanne, Alan Outram und Ludovic Orlando: Widespread horse-based mobility arose around 2,200 BCE in Eurasia. Nature, 2024, doi:10.1038/s41586-024-07597-5
- ^ Carles Vilà, Jennifer A. Leonard, Anders Götherström, Stefan Marklund, Kaj Sandberg, Kerstin Lidén, Robert K. Wayne und Hans Ellegren: Widespread Origins of Domestic Horse Lineages. Science 291, 2001, S. 474–477
- ^ a b Thomas Jansen, Peter Forster, Marsha A. Levine, Hardy Oelke, Matthew Hurles, Colin Renfrew, Jürgen Weber und Klaus Olek: Mitochondrial DNA and the origins of the domestic horse. PNAS 99 (16), 2002, S. 10905–10910, doi:10.1073pnas.152330099
- ^ Gabriella Lindgren, Niclas Backström, June Swinburne, Linda Hellborg, Annika Einarsson, Kaj Sandberg, Gus Cothran, Carles Vilà, Matthew Binns und Hans Ellegren: Limited number of patrilines in horse domestication. Nature Genetics 36 (4), 2004, S. 335–336, doi:10.1038/ng1326
- ^ Vera Warmuth, Anders Eriksson, Mim Ann Bower, Graeme Barker, Elizabeth Barrett, Bryan Kent Hanks, Shuicheng Li, David Lomitashvili, Maria Ochir-Goryaeva, Grigory V. Sizonov, Vasiliy Soyonov und Andrea Manica: Reconstructing the origin and spread of horse domestication in the Eurasian steppe. PNAS 109 (21), 2012, S. 8202–8206, doi:10.1073/pnas.1111122109
- ^ J. Jordana, P. M. Pares und A. Sanchez: Analysis of genetic relationships in horse breeds. Journal of Equine Veterinary Science 15 (7), 1995, S. 320–328
- ^ Peter Simon Pallas: Zoographia Rosso-Asiatica, sistens omnium animalium in extenso Imperio Rossico et adiacentibus maribus observatorum recensionem, domicilia, mores et descriptiones anatomen atque icones plurimorum. St. Petersburg, 1831, S. 1–568 (S. 255–262) ([19])
- ^ Anonym: Breeding-back of the Tarpan. Nature 171, 1953, S. 1008
- ^ Hellabrunn. Der Münchner Tierpark: Tarpan. ([20])