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Tarpan

Il tarpan di Cherson, l'unico esemplare mai fotografato, che tuttavia potrebbe non essere stato geneticamente puro (immagine pubblicata nel 1884)
Stato di conservazione
Estinto
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
OrdinePerissodactyla
FamigliaEquidae
GenereEquus
SpecieE. ferus
SottospecieE. f. ferus
Nomenclatura trinomiale
Equus ferus ferus
Boddaert, 1785

Il tarpan (Equus ferus) era una specie del genere dei cavalli, ormai estinta tra il XVIII e il XIX secolo. Considerato a lungo una forma occidentale dei cavalli selvatici un tempo diffusi in Eurasia, studi genetici più recenti hanno invece rivelato che si trattava di un incrocio tra cavalli selvatici dell'Eurasia occidentale e antenati degli attuali cavalli domestici. Sebbene alcune testimonianze sul tarpan possano risalire all'antichità, esso divenne noto soprattutto nel XVIII secolo, grazie ai resoconti di esploratori come Samuel Gottlieb Gmelin e Peter Simon Pallas, che osservarono questi animali durante spedizioni nell'Europa orientale. Tra le caratteristiche fisiche comunemente attribuite al tarpan figuravano una testa grande, orecchie appuntite, un mantello grigiastro e una criniera dall'aspetto arruffato o ispido, il cui aspetto esatto resta oggetto di dibattito: non è chiaro, infatti, se fosse più simile a una criniera pendente o eretta. La statura relativamente ridotta era un altro tratto distintivo. L'areale di distribuzione del tarpan si estendeva dagli Urali verso ovest, attraversando le steppe russe fino all'Europa centrale e occidentale, dove abitava sia le aree aperte sia quelle boschive. Questa duplice presenza ha spinto alcuni studiosi a distinguere tra un «tarpan delle steppe» e un «tarpan dei boschi», ipotizzando differenze anatomiche e morfologiche tra le due varianti. Tuttavia, tale suddivisione non gode di un consenso unanime.

Anche il comportamento del tarpan è noto principalmente grazie a resoconti storici. Viveva in branchi simili a quelli dei cavalli domestici, composti da femmine con i loro piccoli e guidati da uno stallone, il quale proteggeva il gruppo allontanando i maschi rivali. Questi branchi probabilmente si spostavano su ampie aree alla ricerca di cibo. Alcune testimonianze riportano che il tarpan si nutrisse talvolta di balle di fieno appartenenti ai contadini locali e che, occasionalmente, integrasse nelle sue mandrie le giumente domestiche. Tali comportamenti, uniti alla caccia per scopi alimentari, potrebbero aver contribuito ai conflitti con le comunità umane e accelerato il processo di estinzione. Se in Europa occidentale e centrale il tarpan scomparve già nel Medioevo o nella prima età moderna, in Europa orientale sopravvisse più a lungo: l'ultimo esemplare selvatico di tarpan dei boschi fu abbattuto intorno al 1814, mentre l'ultimo tarpan delle steppe venne ucciso nel 1879. Alcuni esemplari in cattività sopravvissero ancora per qualche tempo, ma la specie era ormai destinata all'estinzione.

La prima descrizione scientifica del tarpan risale al 1785, basandosi su osservazioni raccolte in Europa orientale. Si ritiene che almeno gli ultimi esemplari fossero fortemente incrociati con cavalli domestici, anche se il grado di questa commistione resta incerto. Alcune testimonianze storiche e caratteristiche scheletriche hanno portato alcuni studiosi a ipotizzare che razze come il Konik o il pony Exmoor possano essere discendenti diretti del tarpan, un'idea che però non ha trovato conferme definitive. Inoltre, il possibile ruolo del tarpan nel processo di domesticazione dei cavalli, avvenuto tra 6000 e 5000 anni fa, rimane ambiguo e non supportato da prove genetiche. Sebbene nel XX secolo si sia spesso ritenuto che il tarpan fosse un parente stretto del cavallo di Pržewalski, studi genetici più recenti hanno smentito questa ipotesi, escludendo una relazione diretta tra le due specie.

Etimologia

Il termine «tarpan» ha origine nel linguaggio popolare tartaro e, tra il XVIII e il XX secolo, veniva utilizzato per designare non solo i cavalli selvatici presumibilmente tali, ma anche cavalli domestici inselvatichiti, i loro ibridi e persino gli asini selvatici presenti nella steppa della Russia meridionale.[1] La prima menzione documentata di questa parola risale al 1762 ed è attribuita al geografo russo Pëtr Ivanovič Ryčkov. Nel suo studio sull'area di Orenburg, nel sud della Russia, Ryčkov descrisse il tarpan (тарпан) distinguendolo dal kulan (кулан), un altro abitante delle steppe, e lo classificò tra i cavalli (koni, кони).[2] Nonostante queste osservazioni, rimane incerto se i cavalli liberi delle steppe meridionali russe indicati con il nome tarpan fossero autentici cavalli selvatici, cavalli domestici inselvatichiti o ibridi tra le due tipologie.[3] In seguito, il termine «tarpan» venne applicato anche a popolazioni equine che non erano mai state chiamate così durante la loro esistenza, come ad esempio i cavalli del parco naturale presso Zamość.[4][5] Oggi, il termine è spesso usato per riferirsi alla forma del cavallo selvatico dell'Eurasia occidentale. Già nella seconda metà del XVIII secolo, però, autori contemporanei come Peter Simon Pallas avevano sollevato dubbi sulla natura autenticamente selvatica del tarpan.[6][1] Secondo le interpretazioni più recenti, questa forma equina è con ogni probabilità il risultato di un’ibridazione tra cavalli domestici e selvatici, riflettendo la complessità delle popolazioni equine storiche delle steppe eurasiatiche.[7]

Descrizione

Aspetto

 
Il tarpan di Samuel Gottlieb Gmelin (1770)
 
Il tarpan di Peter Simon Pallas (1776)
 
Il tarpan di Charles Hamilton Smith (1841)

Le dimensioni e l'aspetto del tarpan possono essere ricostruiti con una certa accuratezza grazie ai resoconti storici, anche se le misurazioni documentate sono poche e provengono principalmente da esemplari vissuti tra il XIX e l'inizio del XX secolo. Un esempio significativo è rappresentato dall'ultimo tarpan, morto nel 1918 a Dubrovka, vicino Poltava, che presentava un'altezza al garrese compresa tra 140 e 145 cm.[8] Per confronto, il Konik, considerato da alcuni un potenziale discendente diretto del tarpan, raggiunge un'altezza media al garrese di 129,4 cm nei maschi e 128 cm nelle femmine, sulla base di un campione di 119 individui analizzati. Questi dati suggeriscono che il tarpan fosse un cavallo di taglia medio-piccola, una caratteristica confermata da numerosi resoconti storici. Le prime descrizioni dettagliate del tarpan risalgono alla seconda metà del XVIII secolo. Samuel Gottlieb Gmelin, che li osservò nel 1770 a Voronež, li descrisse come simili ai piccoli cavalli domestici russi, ma con tratti distintivi: testa grande, orecchie lunghe e appuntite (simili a quelle di un asino), criniera corta e arruffata, mantello grigio sul dorso che diventava più chiaro sul ventre, e zampe scure nella parte inferiore.[9] Poco dopo, Peter Simon Pallas, basandosi su osservazioni effettuate lungo il fiume Volga nel 1771 e nel 1776, confermò molte di queste caratteristiche. Tuttavia, secondo Pallas, la maggior parte degli individui osservati era di colore marrone pallido, con arti più chiari rispetto alla descrizione di Gmelin, e raramente erano presenti esemplari di colore marrone scuro, nero o grigio. Esemplari pezzati, invece, non furono mai osservati.[6] Ulteriori descrizioni provengono da Belsazar Hacquet, che intorno al 1760 notò cavalli simili nel parco naturale di Zamość. Questi animali erano piccoli, di colore nero-brunastro, con testa grande, criniera e coda scure e a pelo corto. Inoltre, Hacquet osservò una caratteristica peculiare nei maschi: una sorta di «barba».[10] Charles Hamilton Smith, nel 1841, aggiunse che il tarpan non fosse più grande di un asino domestico e descrisse una variabilità nel colore del mantello, che includeva tonalità grigie, marrone chiaro e isabella. Hamilton Smith notò anche che il tarpan subiva un cambio stagionale del mantello: corto e liscio in estate, lungo e folto in inverno.[11][12][13][1]

Le descrizioni storiche suggeriscono possibili variazioni regionali nel colore del mantello del tarpan. Ad ovest del Volga, il tarpan era prevalentemente di un grigio topo, mentre più a est, fino agli Urali, si riscontravano mantelli misti tra grigio e marrone giallastro. Oltre gli Urali, erano frequenti colorazioni giallastre o marrone rossiccio. Tuttavia, non è sempre chiaro se i resoconti riguardanti i cavalli selvatici di queste aree si riferissero effettivamente al tarpan o se includessero altre specie, come il cavallo di Pržewalski. Ad esempio, Hamilton Smith suggerì nel 1841 una possibile sovrapposizione, considerando il tarpan una versione più primitiva di queste specie equine.[11] Nel caso del tarpan europeo, come quello presente nella foresta di Białowieża, si evidenzia una predominanza di mantelli grigi e la presenza di una striscia dorsale scura, come riportato da Julius von den Brinken.[14] Questa caratteristica era già descritta nel Medioevo, con riferimenti di autori come Alberto Magno e Anton Schneeberger, che menzionavano cavalli selvatici con mantelli simili, sebbene non sia chiaro se si trattasse effettivamente di tarpan. Un aspetto ancora dibattuto è la tipologia della criniera del tarpan: alcuni resoconti indicano che fosse eretta, simile a quella delle zebre e del cavallo di Pržewalski, mentre altri suggeriscono una criniera pendente, osservata, ad esempio, in un esemplare catturato nel 1866 nelle steppe di Zagradov, in Crimea, noto come tarpan di Cherson. Una criniera parzialmente pendente fu osservata anche nell'ultimo esemplare di Dubrovka.[12][13][1]

Riguardo al mantello, le rappresentazioni figurative e i ritrovamenti genetici suggeriscono una grande varietà cromatica nei cavalli selvatici preistorici, con il marrone come colore predominante, affiancato da nero, grigio e varianti «leopardate» o maculate.[15][16][17] Questi stessi colori caratterizzavano anche i primi cavalli domestici, con l'apparizione relativamente precoce di tonalità fulve.[15][18] La distribuzione dei colori sembra rispecchiare adattamenti ambientali: tonalità chiare erano più comuni in habitat di steppa, mentre quelle scure offrivano un vantaggio nelle foreste.[19][16]

Caratteristiche del cranio e della dentatura

Secondo Vladimir Georgievič Geptner, nonostante l'ampia distribuzione storica del tarpan, i reperti osteologici disponibili sono estremamente limitati. Negli anni '60, infatti, erano conservati solo due scheletri completi nei musei di Europa e Asia occidentale. Tuttavia, lo studio dei crani preservati ha permesso di ottenere alcune informazioni sulle proporzioni del tarpan. La lunghezza media del cranio era di 47,9 cm, con una larghezza di 20,6 cm a livello dell'orbita. Il rostro, nella zona dei denti incisivi, misurava circa 7 cm in larghezza, mentre il diastema, lo spazio tra la parte anteriore e quella posteriore della dentatura, si estendeva per circa 9,2 cm. Questi dati, sebbene frammentari, forniscono importanti indizi sulle caratteristiche anatomiche di questa specie.[12][13]

Distribuzione e habitat

L'area di distribuzione esatta del tarpan non è completamente nota, ma le testimonianze storiche suggeriscono che questo cavallo abitasse sia le steppe sia le foreste dell'Eurasia. Una possibile linea di confine settentrionale potrebbe essere tracciata intorno alla Lituania e alla regione di Kaliningrad, poiché non esistono prove della sua presenza più a nord. Verso sud, la specie potrebbe aver occupato il territorio dei Carpazi, estendendosi fino all'attuale Repubblica di Moldavia. Ad est, l'areale del tarpan si estendeva attraverso la regione del Mar Nero, comprendendo la penisola di Crimea e le principali vallate fluviali del Dnestr, del Don e del Kuban', fino ad arrivare al Volga. È plausibile che il suo limite orientale fosse rappresentato dagli Urali, anche se non si hanno informazioni precise sulla sua estensione oltre questa catena montuosa. L'estensione meridionale rimane incerta a causa della mancanza di dati storici. Anche definire l'esatta estensione occidentale del tarpan è complesso. Fonti medievali suggeriscono che la sua presenza potesse superare l'attuale Polonia, arrivando in Germania, Danimarca, Francia e forse spingendosi fino alla penisola iberica. Tuttavia, queste indicazioni non sono confermate da prove concrete e rimangono quindi oggetto di dibattito tra gli studiosi.[13]

Biologia

Le abitudini di vita del tarpan possono essere ricostruite principalmente attraverso resoconti storici, e sembra che il suo comportamento non fosse molto diverso da quello dei cavalli domestici moderni o del cavallo di Pržewalski. Secondo Samuel Gottlieb Gmelin, i tarpan vivevano in gruppi guidati da un maschio dominante, un ruolo che, come avviene per altre specie sociali, si presume il maschio abbia conquistato lottando.[9] Le dimensioni dei gruppi variavano da cinque a venti individui, come riportato da Peter Simon Pallas, sebbene Charles Hamilton Smith menzioni anche raduni di diverse centinaia di esemplari.[11] I giovani maschi venivano scacciati dal gruppo del maschio dominante e vivevano come solitari fino a formare un proprio gruppo,[6] come confermato da Hamilton Smith. Secondo Gmelin, i tarpan erano molto veloci, estremamente timidi e fuggivano al minimo rumore.[9] Belsazar Hacquet li descrive come impossibili da addomesticare, coraggiosi e difensivi contro i predatori.[10] Hamilton Smith osserva che le vocalizzazioni del tarpan erano più acute e intense rispetto a quelle dei cavalli domestici, e che le mandrie in fuga erano particolarmente veloci, con il maschio a chiudere il gruppo, difendendolo da predatori come orsi e lupi con calci potenti. Hamilton Smith descrive anche migrazioni stagionali: in estate i tarpan si spostavano a nord, mentre in autunno ritornavano a sud.[11] Pallas sottolinea la predilezione per le aree montuose ricche di sorgenti d'acqua, mentre in inverno in tarpan si dirigevano verso alture libere dalla neve grazie ai venti, dove trovavano cibo.[6] Gmelin riporta che i tarpan spesso razziavano i depositi di fieno dei contadini, e che si accoppiavano non di rado con le cavalle domestiche,[9] fenomeno che anche Pallas osservò.[6][1]

Tassonomia

Classificazione generale

Il tarpan appartiene alla famiglia degli equidi (Equidae) ed è una specie del genere Equus, rendendolo uno dei rappresentanti moderni di questa famiglia.All'interno del genere, il tarpan è strettamente imparentato con il cavallo domestico (Equus caballus) e il cavallo di Pržewalski (Equus przewalskii), formando insieme il gruppo «caballoide». Questo gruppo si distingue dalle zebre e dagli asini, che appartengono al gruppo «stenonoide» o «non-caballoide». Una delle differenze tra queste linee evolutive risiede nella struttura caratteristica dei molari inferiori. La separazione tra queste due linee, secondo dati molecolari genetici, risale a circa 3,4-4,4 milioni di anni fa, durante il Pliocene.[20][21][22] Le relazioni esatte tra le specie del gruppo caballoide non sono ancora completamente chiare. Tuttavia, dal punto di vista genetico, il tarpan rappresenta un ibrido tra cavalli selvatici dell'Eurasia occidentale e cavalli domestici, con una possibile origine nell'area dell'attuale Ucraina.[7] La linea ancestrale del cavallo domestico si è separata da quella del cavallo di Pržewalski durante il tardo Pleistocene circa 117000 anni fa, sebbene alcune stime varino tra 45000 e 364000 anni, a seconda dello studio.[23][24][21][25]

Nome scientifico

La classificazione sistematica del tarpan è stata oggetto di discussione. Nel corso del XX secolo, il tarpan è stato spesso classificato come parte della specie Equus caballus, cioè il cavallo domestico, o come Equus ferus, spesso indicato come «cavallo selvatico». Alcuni autori, inoltre, hanno considerato valido anche il nome Equus przewalskii per riferirsi al tarpan.[8][13] Il tarpan è stato generalmente trattato come una sottospecie, con denominazioni comuni come Equus caballus ferus o Equus ferus ferus nei testi scientifici, ma la separazione tra i due nomi è stata spesso ambigua, poiché talvolta venivano usati come sinonimi. La denominazione Equus caballus risale a Linneo nel 1758, nel suo Systema Naturae, riferendosi al cavallo domestico (dal latino caballus per «cavallo» o «cavallo da sella»).[26] Il nome Equus ferus, invece, fu introdotto sempre nel 1758 da Pieter Boddaert, riferendosi a un cavallo selvatico delle steppe russe, che in vari resoconti storici era stato identificato come tarpan.[27] Equus przewalskii fu introdotto solo nel 1881 dallo zoologo Ivan Semenovič Poljakov.[28] La continua incertezza sulla classificazione ha portato l'ICZN (Commissione internazionale di nomenclatura zoologica) a stabilire nel 1954 che la specie tipo per il genere Equus fosse Equus caballus, basandosi sulla regola di priorità e confermando la prima denominazione data da Linneo.[29] Per risolvere le difficoltà di classificazione tra animali domestici e selvatici, un gruppo di scienziati ha proposto nel 2003 un'integrazione delle norme per le denominazioni scientifiche degli animali domestici introdotte da Linneo. Questa proposta, denominata Opinion 2027 e discussa dall'ICZN come Case 3010, ha portato alla conservazione dei nomi dati da Linneo per le forme domestiche, rendendoli utilizzabili sia per forme selvatiche che domestiche.[30][31] In questo contesto, la denominazione Equus caballus ferus implica che il cavallo domestico e il tarpan appartengano alla stessa specie, mentre Equus ferus suggerirebbe che il tarpan sia indipendente dal cavallo domestico. A causa della regola di priorità, non è possibile utilizzare la denominazione Equus ferus caballus per il cavallo domestico né Equus przewalskii ferus.[32]

Nel corso del XX secolo, il tarpan, il cavallo domestico e il cavallo di Pržewalski sono stati talvolta considerati conspecifici, anche se con variazioni nella denominazione. Un elemento che testimonia la stretta parentela è la capacità di interfecondità, dimostrata tra il cavallo di Pržewalski e quello domestico, e probabilmente possibile anche tra il tarpan e il cavallo domestico, come riportato da resoconti storici. Tuttavia, non esistono dati genetici per il tarpan. Il cavallo domestico e il cavallo di Pržewalski costituiscono linee distinte almeno dal tardo Pleistocene e presentano differenze anatomiche e citogenetiche, poiché quest'ultimo possiede un paio di cromosomi in più (66 rispetto ai 64 del cavallo domestico).[33] Nel 1986, Colin P. Groves ipotizzò una stretta relazione tra il cavallo di Pržewalski e il tarpan, basata sull'analisi di alcuni cavalli con caratteristiche intermedie trovati a est degli Urali, suggerendo una continuità tra le due forme che non permetteva una separazione netta a livello di specie. In questa visione, il cavallo di Pržewalski rappresentava il ramo orientale e il tarpan quello occidentale del «cavallo selvatico». Groves identificò diverse differenze anatomiche tra le due forme, come il cranio più corto del cavallo di Pržewalski, caratterizzato da una cresta occipitale più pronunciata, un diastema più breve e denti molari più grandi rispetto al tarpan.[12][34] In studi successivi, Groves rivalutò le sue posizioni, mettendo in discussione lo status dei cavalli intermedi e classificando sia il tarpan sia il cavallo di Pržewalski come specie separate. Questa posizione fu confermata nella revisione della sistematica degli ungulati del 2011, realizzata da Groves insieme a Peter Grubb, consolidando così il cavallo domestico, il cavallo di Pržewalski e il tarpan come specie separate.[35]

Forschungsgeschichte und Etymologie

Storia

 
Pëtr Ivanovič Ryčkov utilizzò per la prima volta nel 1762 il termine tarpan in un contesto scientifico.

Uno dei primi riferimenti ai cavalli selvatici nell'Europa orientale proviene da Erodoto nel V secolo a.C. Nel quarto libro delle sue Storie, Erodoto menziona cavalli selvatici «bianchi» che pascolano lungo il fiume Hypanis, identificato oggi con il Bug Meridionale nella regione della Podolia in Ucraina.[36] Tuttavia, è controverso se questi animali fossero effettivamente «bianchi», poiché la parola greca λευκός (leukos) può anche significare «chiaro» e potrebbe quindi riferirsi a una colorazione grigia. Nel 732, Papa Gregorio III inviò il missionario Bonifacio nell'odierna Germania per scoraggiare, tra le altre cose, il consumo frequente di carne di cavallo domestico e selvatico tra i Turingi e i Sassoni. Ulteriori riferimenti si trovano nelle annotazioni di Alberto Magno del XII secolo e nei registri dell'Ordine Teutonico del XV e XVI secolo, che documentano la presenza di cavalli selvatici vicino a città che oggi si trovano in Polonia, come Ełk o Węgorzewo.[11][37][1] Nel XVII e XVIII secolo, le testimonianze sui cavalli selvatici dell'Europa orientale aumentarono grazie ai numerosi naturalisti in viaggio. Guillaume le Vasseur de Beauplan, ingegnere e architetto francese che mappò ampie aree della Polonia e dell'Ucraina negli anni 1630 e 1640, descrisse nel 1650 l'indomabilità dei cavalli selvatici e notò quelli che considerava difetti nei loro zoccoli.[38][1]

Informazioni dettagliate sul tarpan emersero dalle spedizioni di Samuel Gottlieb Gmelin e Peter Simon Pallas, due naturalisti tedeschi che viaggiarono in Russia quasi contemporaneamente negli anni 1770. Gmelin osservò i cavalli vicino a Voronež sul fiume Don, mentre Pallas li studiò lungo la Samara, un affluente del Volga. Entrambe queste regioni si trovano nella Russia meridionale. Nei rispettivi resoconti di viaggio, Reise durch Rußland di Gmelin e Reise durch verschiedene Provinzen des Rußischen Reichs di Pallas, vi sono lunghe sezioni dedicate al tarpan, che includono descrizioni fisiche e dettagli sul loro comportamento. Tuttavia, Pallas riteneva che i cavalli da lui osservati non fossero veri cavalli selvatici, ma piuttosto cavalli domestici inselvatichiti, pur riferendosi a loro con il termine tarpan.[9][6] Altre preziose informazioni furono fornite da Belsazar Hacquet, medico dell'esercito austriaco, che intorno al 1760, durante la Guerra dei Sette Anni, si trovò nella regione di Zamość, nella Polonia meridionale.[10] Anche lo scrittore polacco Kajetan Kozmian visitò questa zona circa venticinque anni dopo e riportò alcune osservazioni sul tarpan. Infine, Charles Hamilton Smith merita menzione: nel suo libro del 1841, The Natural History of the Horse, fornì un'ampia trattazione sul tarpan e alcune delle prime informazioni sul cavallo di Pržewalski.[11][1]

Erstbeschreibung

 
Pieter Boddaert introdusse nel 1785 la denominazione scientifica Equus ferus

La prima descrizione scientifica del tarpan come Equus ferus fu realizzata dallo zoologo olandese Pieter Boddaert nel 1785, nel suo lavoro Elenchus Animalium. Tra le caratteristiche distintive della nuova specie, Boddaert evidenziò il manto grigio scuro, la criniera corta e riccia, la coda corta e le lunghe orecchie. Per la sua descrizione, Boddaert si basò principalmente sugli scritti di Gmelin e Pallas. Oltre a Voronež, in Russia, indicò anche l'Arabia, la Tartaria e la Cina continentale come areale di distribuzione, anche se oggi si considera la regione di Voronež come terra typica del tarpan.[27][35] Un sinonimo parzialmente utilizzato per il tarpan è Equus gmelini, introdotto nel 1912 da Otto Antonius per onorare Gmelin. Antonius giustificò questa denominazione ritenendo che l'aspetto del tarpan fosse simile a quello di un asino, per via del grande capo e degli arti lunghi e sottili. Come Boddaert, anche Antonius si basò sulle descrizioni di Gmelin, integrandole con i dati ricavati da alcuni esemplari catturati nella seconda metà del XIX secolo e dai due scheletri noti.[39]

Tarpan delle steppe e tarpan dei boschi

La questione se al tarpan debbano essere assegnate sottospecie distinte è stata oggetto di un lungo dibattito. Oltre all'occasionale inclusione del cavallo di Pržewalski nella stessa specie, si discute la divisione tra un «tarpan delle steppe» e un «tarpan dei boschi». La descrizione iniziale di Equus ferus di Pieter Boddaert del 1785 si basava su esemplari provenienti dalle steppe dell'Europa orientale. Nel 1828, Julius von den Brinken, capo forestale del Regno di Polonia, propose la denominazione Equus sylvestris per il tarpan della foresta di Białowieża,[14] termine poi comunemente usato per il «tarpan dei boschi». Al «tarpan dei boschi» vengono solitamente attribuiti un corpo più piccolo e leggero, un cranio con una faccia più corta e arti più corti, oltre a una decolorazione più marcata del manto in inverno.[12][13] Il suo areale comprendeva le foreste dell'Europa orientale e centrale, ma non si sa quanto si estendesse verso ovest. Non è chiaro se i resoconti storici – come quelli citati da Hamilton Smith nel 1841[11] – su un tipo di cavallo selvatico massiccio con cranio largo e mandibola robusta che viveva in Europa occidentale e centrale si riferissero al «tarpan dei boschi». Uno dei principali sostenitori della separazione tra «tarpan dei boschi» e «tarpan delle steppe» fu Tadeusz Vetulani, ricercatore polacco che, nel 1927, propose il nome scientifico Equus gmelini silvaticus per il tarpan della foresta di Białowieża, basandosi su fonti storiche e materiali cranici,[4][40][41][42] anche se non tutti questi reperti sono oggi attribuiti con certezza al tarpan.[3] Vetulani ipotizzò che l'aumento delle foreste in Europa centrale dopo l'ultima era glaciale avesse favorito l'adattamento del tarpan a un ambiente boschivo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la distinzione tra tarpan dei boschi e delle steppe fu ripresa da alcuni studiosi, come Vladimir Georgievič Geptner negli anni '50 e '60[8][13] e, in parte, da Colin P. Groves negli anni '80.[12] Tuttavia, in lavori successivi, Groves abbandonò questa divisione, sostenendo che non vi fossero sufficienti motivi per una tale separazione.[34][35][1]

Rapporti con l'uomo

Estinzione

Il ritiro del tarpan dal suo vasto areale di diffusione iniziò molto presto. In Danimarca, dove veniva cacciato intensamente, sembra fosse presente in grande numero fino al XII secolo. Probabilmente durante il Medioevo o all'inizio dell'era moderna, il tarpan scomparve dall'Europa occidentale e centrale, sopravvivendo più a lungo nelle aree boschive e steppiche dell'Europa orientale. Tuttavia, anche in Polonia e Lituania, la specie divenne sempre più rara. Nel 1783, Kajetan Kozmian, durante una visita al parco naturale e riserva di caccia principesca di Zamość, nel sud della Polonia, scrisse che il tarpan era stato recentemente estirpato in natura in Polonia. Poco prima, secondo alcuni resoconti, gli ultimi esemplari intorno alla foresta di Białowieża sarebbero stati catturati e trasferiti nel parco di Zamość, suggerendo che il tarpan fosse già assente a Białowieża prima del 1800.[43][3] Similmente, Julius von den Brinken riportò che il tarpan era ancora abbastanza comune in Polonia un secolo prima e che, quaranta anni prima, poteva essere avvistato occasionalmente in Lituania.[14] Il possibile ultimo tarpasn selvatico che viveva nei boschi fu abbattuto intorno al 1814 nei pressi di Kaliningrad.[8][13][1]

Nelle steppe dell'Europa orientale, il tarpan si estinse probabilmente intorno al 1880. Uno degli ultimi esemplari selvatici noti fu una femmina uccisa nel 1879 ad Askanija-Nova, in Ucraina. Dalla fase finale della sua esistenza sono noti quattro individui. Il primo fu catturato come puledro nel 1853 vicino a Melitopol' e allevato in una tenuta, ma il suo destino rimane incerto a causa dello scoppio della guerra di Crimea. Il secondo esemplare, proveniente da una mandria vicino alla penisola di Crimea, fu chiamato «tarpan della Crimea» o «della Tauride». Catturato alla fine degli anni 1850, fu donato allo zoo di Mosca, che, non avendo spazio per ospitarlo, lo cedette all'Accademia delle Scienze Russa. L'animale morì all'età di circa otto anni in una proprietà privata, e il suo scheletro è conservato presso l'Accademia. Il terzo esemplare, noto come «tarpan di Cherson» o «di Šatilov», fu catturato come puledro a metà degli anni 1860 nei pressi di Cherson e allevato in una tenuta. Nel 1884 fu trasferito allo zoo di Mosca, dove visse ancora per alcuni anni. Di questo tarpan esiste una fotografia, e il suo scheletro è conservato presso l'Università Lomonosov di Mosca. L'ultimo esemplare, noto come «tarpan di Dubrovka», morì intorno al 1918 in cattività.[39][8][13]

Le cause della scomparsa del tarpan sono con molta probabilità di origine antropica. Un fattore rilevante fu la caccia, riservata alla nobiltà nel Medioevo dell'Europa centrale. Inoltre, numerosi resoconti storici indicano che, almeno nelle steppe, le popolazioni locali, come i Tatari e i Cosacchi, utilizzavano il tarpan come risorsa alimentare. Il tarpan era noto per razziare i depositi di fieno, attaccare cavalli domestici o attrarli nel suo gruppo. Inoltre, condivideva le stesse fonti d'acqua dei cavalli domestici, risorsa piuttosto scarsa nelle regioni di steppa. Questo portò a frequenti conflitti con i contadini locali, contribuendo, insieme alla pressione della caccia, all'estinzione della specie.[13][1]

Domesticazione

 
Il konik, una razza di cavalli domestici a cui si attribuisce una somiglianza con il tarpan

La domesticazione dei cavalli dai loro antenati selvatici risale al periodo compreso tra il 4000 e il 3000 a.C. Uno dei principali centri di questa pratica fu l'Asia centrale, dove, intorno al 3500 a.C., si sviluppò la cultura di Botai, situata nell'attuale Kazakistan settentrionale. Questa cultura, collocata tra il Neolitico e l'età del rame, utilizzava il cavallo come fonte di cibo e materie prime. L'usura caratteristica dei premolari dei cavalli suggerisce l'uso di morsi, indicando che gli animali potrebbero già essere stati utilizzati per cavalcare. Per questo popolo delle steppe, privo di mezzi di trasporto su ruote e, a parte i cani, di altri animali domestici, l'uso del cavallo rappresentò probabilmente un significativo aumento della mobilità.[44][45][46][47] Analisi genetiche condotte nel 2018 hanno rivelato che i cavalli della cultura di Botai costituiscono un gruppo fratello del cavallo di Pržewalski. Questo suggerisce che il cavallo di Pržewalski discenda dai cavalli dei Botai, i quali si sarebbero inselvatichiti dopo la scomparsa della cultura. Di conseguenza, il cavallo di Pržewalski non può più essere considerato l'antenato dei cavalli domestici.[48][49] Infine, alcuni studiosi dubitano che i cavalli della cultura di Botai fossero realmente addomesticati.[50]

L'analisi del 2018 ha rivelato che i cavalli della cultura di Botai non sono gli antenati dei cavalli domestici attuali, suggerendo che la domesticazione del cavallo abbia avuto origine altrove. Per lungo tempo, né i dati genetici né le evidenze archeologiche sono riusciti a individuare con precisione il tempo e il luogo della seconda domesticazione del cavallo. tra i possibili centri d'origine sono stati proposti le steppe pontico-caspiche, l'Anatolia orientale, la penisola iberica, il Levante e l'Iran occidentale.[48][51] Il ruolo del tarpan in questo processo è stato oggetto di ampio dibattito.[52]Uno studio genetico del 2021 ha identificato che l'attuale cavallo domestico deriva da una popolazione ancestrale risalente a circa il 3000 a.C. in Eurasia occidentale, probabilmente associata ai complessi tardo-neolitici delle culture di Majkop o di Jamna nell'area del Mar Nero. Intorno al 2200 a.C., i cavalli domestici si diffusero anche al di fuori delle steppe, forse in relazione alla cultura della ceramica cordata in Europa.[7][53] I cavalli domestici moderni mostrano un'elevata diversità nel DNA mitocondriale, ma una scarsa variabilità nel cromosoma Y. Ciò suggerisce che nel processo di domesticazione sia stato utilizzato un numero relativamente ridotto di stalloni, rispetto alle fattrici. Inoltre, l'introgressione locale di femmine selvatiche e possibili episodi di domesticazione indipendente hanno contribuito alla notevole diversità mitocondriale.[54][55][56][57]

Alcune razze di cavalli domestici, come il Konik e forse anche l'Exmoor e il Dülmen, sono considerate da alcuni studiosi discendenti dirette del tarpan. Questa ipotesi si basa principalmente su caratteristiche craniche e scheletriche, oltre che su resoconti storici. Per quanto riguarda il Konik, si racconta che discenda dalla popolazione di tarpan ospitata nella riserva di caccia principesca di Zamość, distribuita nel 1806 per aiutare i contadini della regione di Biłgoraj in difficoltà economiche e incrociatasi con i cavalli domestici locali.[43] Tuttavia, questa interpretazione è spesso oggetto di dibattito.[3] Ad oggi, non esistono prove sufficienti a supporto dell'ipotesi che il Konik e altre razze primitive derivino direttamente dal tarpan. Studi genetici sul cavallo domestico non evidenziano particolarità genetiche di queste razze rispetto ad altre.[58][55][1]

Incrocio con i cavalli domestici

È molto probabile che non tutti i cavalli selvatici descritti nelle regioni dell'Europa orientale fossero veri cavalli selvatici; alcuni potrebbero essere stati cavalli domestici inselvatichiti o ibridi. Alcuni autori polacchi del XVIII secolo notarono, ad esempio, che i cavalli selvatici locali soffrivano di problemi agli zoccoli, che portavano a deformità nelle zampe, suggerendo così che si trattasse di cavalli domestici tornati allo stato selvatico. Altri studiosi dell'epoca, come Peter Simon Pallas, affermavano che tutti i cavalli selvatici presenti tra il Volga e gli Urali fossero in realtà esemplari domestici tornati allo stato selvatico.[6][59] Charles Hamilton Smith, invece, considerava questa ipotesi troppo speculativa e credeva che esistessero ancora veri cavalli selvatici non addomesticati nel XIX secolo.[11][1]

Il grado di incrocio tra il tarpan e il cavallo domestico è oggetto di discussione. Dopo le guerre, infatti, i cavalli dei soldati venivano spesso abbandonati in natura e potevano integrarsi con i branchi di tarpan. Inoltre, i maschi di tarpan talvolta rapivano le femmine domestiche e uccidevano i maschi domestici concorrenti. Nei secoli XVIII e XIX si riportavano frequentemente avvistamenti di cavalli selvatici con colorazioni insolite, o di branchi con esemplari chiaramente appartenenti a razze domestiche. Pallas descrisse cavalli con caratteristiche tipiche dei selvatici, come testa grande, orecchie appuntite, criniera e coda corte e ricce, ma annotò anche cavalli di colore grigio o bianco o con gli arti chiari, caratteristiche spesso considerate tratti di domesticazione.[6][1]

Per queste ragioni, molti autori considerano i tarpan degli ultimi due secoli come una popolazione di ibridi selvatici o persino come cavalli domestici inselvatichiti. Ciò varrebbe anche per il tarpan di Cherson, la cui criniera pendente poteva raggiungere una lunghezza di 48 cm. Tuttavia, alcuni studiosi sono più cauti e non considerano la questione completamente risolta. Ad esempio, anche nel cavallo di Pržewalski la criniera può pendere durante il passaggio dal manto estivo a quello invernale.[39] Vladimir Georgievič Geptner, tra gli altri, sostiene che nel XIX secolo il tarpan in Russia meridionale presentava caratteristiche abbastanza uniformi, suggerendo una mescolanza limitata con cavalli domestici. Inoltre, non esistono segnalazioni di stalloni domestici che abbiano preso il controllo di branchi di tarpan. Tuttavia, Geptner osserva che in alcune regioni il grado di ibridazione potrebbe essere stato più elevato. Attualmente solo pochi studiosi considerano i tarpan storici come veri cavalli selvatici puri.[13][1]

Abbildzüchtung

[[Datei:Hinweisschild Tarpane Neandertal.jpg|mini|Im Wildgehege Neandertal (sowie etlichen anderen Tierparks in Deutschland) wird der Eindruck vermittelt, der Tarpan würde noch existieren. Die dortigen Tiere sind jedoch Heckpferde]] Es gab mehrere Bestrebungen, den Tarpan mit Hilfe von Abbild- oder „Rückzüchtung“ zu rekonstruieren. Die bekannteste ist das Heckpferd, die die Brüder Heinz und Lutz Heck in den 1930er Jahren starteten. Gegründet wurde das Projekt auf dem Przewalski-Pferd und verschiedenen Ponyrassen. Dadurch kam bereits 1933 ein erstes graugefärbtes Fohlen zur Welt. Teilweise werden die Tiere bis heute als „Tarpan“ bezeichnet.[60][61] Ein weiteres Vorhaben initiierte Tadeusz Vetulani ebenfalls in den 1930er Jahren. Sein Ziel war es, den „Waldtarpan“ wieder im Białowieża-Waldgebiet einzuführen. Hierzu verwendete er das Konik, von dem er mehrere Exemplare im Biłgoraj-Gebiet einfangen und in ein 4 ha großes umzäuntes Schutzgebiet in der Umgebung des Urwaldes verbringen ließ.[5][43] Die Arbeiten konnten mit einer Unterbrechung durch den Zweiten Weltkrieg – während dem das Projekt von sowjetischer und teils deutscher Seite betrieben wurde – in den 1950er Jahren wieder aufgenommen werden. Nach Vetulanis Tod 1952 verlagerte es die polnische Regierung nach Popileno im Nordosten Polens, wobei die Pferdegruppe aufgeteilt wurde. Das „Rückzüchtungsprojekt“ insgesamt lief in den 1970er Jahren aus, die Pferde dienten folgend zur Zuchterhaltung des Koniks.[3]

Literatur

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Einzelnachweise

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  7. ^ a b c Pablo Librado, Naveed Khan, Antoine Fages, Mariya A. Kusliy, Tomasz Suchan, Laure Tonasso-Calvière, Stéphanie Schiavinato, Duha Alioglu, Aurore Fromentier, Aude Perdereau, Jean-Marc Aury, Charleen Gaunitz, Lorelei Chauvey, Andaine Seguin-Orlando, Clio Der Sarkissian, John Southon, Beth Shapiro, Alexey A. Tishkin, Alexey A. Kovalev, Saleh Alquraishi, Ahmed H. Alfarhan, Khaled A. S. Al-Rasheid, Timo Seregély, Lutz Klassen, Rune Iversen, Olivier Bignon-Lau, Pierre Bodu, Monique Olive, Jean-Christophe Castel, Myriam Boudadi-Maligne, Nadir Alvarez, Mietje Germonpré, Magdalena Moskal-del Hoyo, Jarosław Wilczyński, Sylwia Pospuła, Anna Lasota-Kuś, Krzysztof Tunia, Marek Nowak, Eve Rannamäe, Urmas Saarma, Gennady Boeskorov, Lembi Lōugas, René Kyselý, Lubomír Peške, Adrian Bălășescu, Valentin Dumitrașcu, Roxana Dobrescu, Daniel Gerber, Viktória Kiss, Anna Szécsényi-Nagy, Balázs G. Mende, Zsolt Gallina, Krisztina Somogyi, Gabriella Kulcsár, Erika Gál, Robin Bendrey, Morten E. Allentoft, Ghenadie Sirbu, Valentin Dergachev, Henry Shephard, Noémie Tomadini, Sandrine Grouard, Aleksei Kasparov, Alexander E. Basilyan, Mikhail A. Anisimov, Pavel A. Nikolskiy, Elena Y. Pavlova, Vladimir Pitulko, Gottfried Brem, Barbara Wallner, Christoph Schwall, Marcel Keller, Keiko Kitagawa, Alexander N. Bessudnov, Alexander Bessudnov, William Taylor, Jérome Magail, Jamiyan-Ombo Gantulga, Jamsranjav Bayarsaikhan, Diimaajav Erdenebaatar, Kubatbeek Tabaldiev, Enkhbayar Mijiddorj, Bazartseren Boldgiv, Turbat Tsagaan, Mélanie Pruvost, Sandra Olsen, Cheryl A. Makarewicz, Silvia Valenzuela Lamas, Silvia Albizuri Canadell, Ariadna Nieto Espinet, Ma Pilar Iborra, Jaime Lira Garrido, Esther Rodríguez González, Sebastián Celestino, Carmen Olària, Juan Luis Arsuaga, Nadiia Kotova, Alexander Pryor, Pam Crabtree, Rinat Zhumatayev, Abdesh Toleubaev, Nina L. Morgunova, Tatiana Kuznetsova, David Lordkipanidze, Matilde Marzullo, Ornella Prato, Giovanna Bagnasco Gianni, Umberto Tecchiati, Benoit Clavel, Sébastien Lepetz, Hossein Davoudi, Marjan Mashkour, Natalia Ya. Berezina, Philipp W. Stockhammer, Johannes Krause, Wolfgang Haak, Arturo Morales-Muñiz, Norbert Benecke, Michael Hofreiter, Arne Ludwig, Alexander S. Graphodatsky, Joris Peters, Kirill Yu. Kiryushin, Tumur-Ochir Iderkhangai, Nikolay A. Bokovenko, Sergey K. Vasiliev, Nikolai N. Seregin, Konstantin V. Chugunov, Natalya A. Plasteeva, Gennady F. Baryshnikov, Ekaterina Petrova, Mikhail Sablin, Elina Ananyevskaya, Andrey Logvin, Irina Shevnina, Victor Logvin, Saule Kalieva, Valeriy Loman, Igor Kukushkin, Ilya Merz, Victor Merz, Sergazy Sakenov, Victor Varfolomeyev, Emma Usmanova, Viktor Zaibert, Benjamin Arbuckle, Andrey B. Belinskiy, Alexej Kalmykov, Sabine Reinhold, Svend Hansen, Aleksandr I. Yudin, Aleksandr A. Vybornov, Andrey Epimakhov, Natalia S. Berezina, Natalia Roslyakova, Pavel A. Kosintsev, Pavel F. Kuznetsov, David Anthony, Guus J. Kroonen, Kristian Kristiansen, Patrick Wincker, Alan Outram und Ludovic Orlando: The origins and spread of domestic horses from the Western Eurasian steppes. Nature, 2021, doi:10.1038/s41586-021-04018-9
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  49. ^ Antoine Fages, Kristian Hanghøj, Naveed Khan, Charleen Gaunitz, Andaine Seguin-Orlando, Michela Leonardi, Christian McCrory Constantz, Cristina Gamba, Khaled A. S. Al-Rasheid, Silvia Albizuri, Ahmed H. Alfarhan, Morten Allentoft, Saleh Alquraishi, David Anthony, Nurbol Baimukhanov, James H. Barrett, Jamsranjav Bayarsaikhan, Norbert Benecke, Eloísa Bernáldez-Sánchez, Luis Berrocal-Rangel, Fereidoun Biglari, Sanne Boessenkool, Bazartseren Boldgiv, Gottfried Brem, Dorcas Brown, Joachim Burger, Eric Crubézy, Linas Daugnora, Hossein Davoudi, Peter de Barros Damgaard, María de los Ángeles de Chorro y de Villa-Ceballos, Sabine Deschler-Erb, Cleia Detry, Nadine Dill, Maria do Mar Oom, Anna Dohr, Sturla Ellingvåg, Diimaajav Erdenebaatar, Homa Fathi, Sabine Felkel, Carlos Fernández-Rodríguez, Esteban García-Viñas, Mietje Germonpré, José D. Granado, Jón H. Hallsson, Helmut Hemmer, Michael Hofreiter, Aleksei Kasparov, Mutalib Khasanov, Roya Khazaeli, Pavel Kosintsev, Kristian Kristiansen, Tabaldiev Kubatbek, Lukas Kuderna, Pavel Kuznetsov, Haeedeh Laleh, Jennifer A. Leonard, Johanna Lhuillier, Corina Liesau von Lettow-Vorbeck, Andrey Logvin, Lembi Lõugas, Arne Ludwig, Cristina Luis, Ana Margarida Arruda, Tomas Marques-Bonet, Raquel Matoso Silva, Victor Merz, Enkhbayar Mijiddorj, Bryan K. Miller, Oleg Monchalov, Fatemeh A. Mohaseb, Arturo Morales, Ariadna Nieto-Espinet, Heidi Nistelberger, Vedat Onar, Albína H. Pálsdóttir, Vladimir Pitulko, Konstantin Pitskhelauri, Mélanie Pruvost, Petra Rajic Sikanjic, Anita Rapan Papěsa, Natalia Roslyakova, Alireza Sardari, Eberhard Sauer, Renate Schafberg, Amelie Scheu, Jörg Schibler, Angela Schlumbaum, Nathalie Serrand, Aitor Serres-Armero, Beth Shapiro, Shiva Sheikhi Seno, Irina Shevnina, Sonia Shidrang, John Southon, Bastiaan Star, Naomi Sykes, Kamal Taheri, William Taylor, Wolf-Rüdiger Teegen, Tajana Trbojević Vukičević, Simon Trixl, Dashzeveg Tumen, Sainbileg Undrakhbold, Emma Usmanova, Ali Vahdati, Silvia Valenzuela-Lamas, Catarina Viegas, Barbara Wallner, Jaco Weinstock, Victor Zaibert, Benoit Clavel, Sébastien Lepetz, Marjan Mashkour, Agnar Helgason, Kári Stefánsson, Eric Barrey, Eske Willerslev, Alan K. Outram, Pablo Librado und Ludovic Orlando: Tracking Five Millennia of Horse Management with Extensive Ancient Genome Time Series. Cell 177, 2019, S. 1419–1435, doi:10.1016/j.cell.2019.03.049
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