Arte sasanide

arte dell'impero sasanide
Voci principali: Arte iranica, Impero sasanide.

Per arte sasanide s'intende l'arte iranica prodotta durante l'Impero sasanide (224-651), prima della conquista islamica della Persia (633-644) in seguito alla quale la produzione artistica iranica/persiana confluì in quella islamica.[1][2]

Arte sasanide
Ardashir I (r. 224-241) riceve l'anello del potere da Ahura Mazda, rilievi rupestri di Naqsh-e Rostam.
Piatto in argento dorato con re Ormisda II (r. 303-309) che caccia leoni (ca. 400) - Cleveland Museum of Art

Nel 224, l'ultimo re dei Parti, Artabano V (r. 216-224), fu sconfitto da Ardashir I (r. 224-241),[3] fondatore della dinastia sasanide che avrebbe regnato, nei quattrocento anni successivi, sugli attuali Iran e Iraq, sul Levante e gran parte dell'Anatolia, su parti dell'Egitto e dell'Arabia, estendendo la sua sovranità sino all'attuale Pakistan.[4] Fu quella, per la Persia e la Mesopotamia, un'età dell'oro che portò alla renovatio, anche artistica, del vecchio impero achemenide (705-330 a.C.). Tuttavia, vi furono anche influenze artistiche dalla Cina e dal Mediterraneo greco-romano, seppur caratteristica precipua dell'arte sasanide fu l'affrancamento dall'arte ellenistica in controtendenza all'arte degli Arsacidi (247 a.C.-224).[1][5]

L'arte sasanide fu altamente sviluppata, resa possibile dalla ricchezza della committenza imperiale e dalla posizione della Persia a metà strada tra l'Impero romano a ovest e l'Impero cinese a est, un crocevia cioè di scambi materiali e culturali. Taluni valori artistici sasanidi poterono così diffondersi oltre l'areale geopolitico persiano, raggiungendo l'Estremo Oriente e l'Atlantico, contribuendo in maniera determinante allo sviluppo dell'arte medievale europea quanto asiatica.[6]

I resti più apprezzabili dell'arte sasanide ce ne testimoniano l'architettura, la scultura, soprattutto rupestre, la metallurgia e la pittura. I rilievi in pietra erano probabilmente di gran lunga superati in numero da quelli interni in gesso, di cui sono sopravvissuti solo frammenti. Gli ortostati sono meno numerosi rispetto all'arte partica con l'importante eccezione del Colosso di Sapore I (r. 240-272), scolpito da una stalagmite in una grotta,[7] e non mancano riferimenti letterari ad altre statue colossali di re, oggi perdute. Anche la tradizione partica di decorare gli edifici con stucchi modellati continuò, includendo anche grandi scene figurative.[1][8]

L'arte sasanide raffigura scene di corte e cavalleresche, di notevole grandiosità stilistica, che riflettono la vita sontuosa e l'ostentazione della corte sasanide, come riportato dagli ambasciatori bizantini. Le immagini dei sovrani dominano molte delle opere sopravvissute, sebbene nessuna sia paragonabile al Colosso di Sapore I. Scene di caccia e di battaglia godevano di particolare popolarità, così come di danzatrici e intrattenitrici in abiti succinti. Sebbene l'arte partica preferisse la visione frontale, le rappresentazioni narrative dell'arte sasanide presentano spesso figure mostrate di profilo o di tre quarti, con le viste frontali meno frequenti.[1]

Premessa

Storiografia ed archeologia dell'arte sasanide

 
Arthur Upham Pope (1881-1969), uno dei pionieri nello studio dell'arte sasanide.

Dopo lavori pionieristici quali L'Iran sous les Sassanides (1936) del danese Arthur Christensen (1875-1945) e il Die Kunst Irans: Zur Zeit der Sasaniden (1943) del tedesco Kurt Erdmann (1901-1964), l'arte sasanide fu oggetto di studio sistematico non prima degli Anni 1960 (datano non a caso al 1964 la Architettura iranica dell'allora quarantunenne Giorgio Gullini ed al 1969 la ristampa postuma del Die Kunst Irans: Zur Zeit der Sasaniden di Erdmann), grazie al lavoro di studiosi come Arthur Upham Pope (1881-1969) e Roman Ghirshman (1895-1979) che ne avevano estrapolato le caratteristiche principali dal generale contesto della produzione artistica persiana, quest'ultima interessata da studi sistematici sin dagli Anni 1930. La materia è pertanto ancora da approfondire, oltretutto in un contesto già di per sé stesso confuso e cioè la c.d. "archeologia orientale" pre-islamica cui segue l'Epoca d'oro islamica (750-1280).

Il principale problema nello studio dell'arte sasanide é di tipo archeologico: mancano criteri affidabili di datazione basati su iscrizioni, monete o, in generale, stratigrafia. Questo perché la provenienza originale di molti reperti è sconosciuta. Mentre i rilievi rupestri dinastici sono in situ e altre decorazioni architettoniche sono state rinvenute nel corso di scavi archeologici scientifici, una più ampia varietà di opere d'arte (toreutica, sigilli, ecc.) è priva di contesto archeologico significativo. Alla metà degli Anni 1980 non era ancora mai stato condotto lo scavo completo di un sito persiano che avesse rivelato una vasta serie di strutture risalenti al solo periodo sasanide o avesse stabilito una sequenza ininterrotta su un lungo arco di tempo né tale inadeguato approfondimento archeologico si risolse entro il termine degli Anni 1990. Come risultato, le ricerche si sono ad oggi focalizzate principalmente sulle fasi iniziali (post-Parti) e finali (pre-Islam) dell'arte sasanide, a discapito della parentesi IV-V secolo, perché facilitate dalla presenza di prossimi orizzonti di datazione, post o ante, cui appoggiarsi.[6][9] Anche in questi ultimi casi non mancano però problematiche: la produzione ceramica, per esempio, è spesso indistinguibile tra ultimo periodo sasanide e primo periodo islamico, come ben esemplificato dal corpus delle c.d. "ceramiche di Susa".[10][11]

Caratteri generali, influenze e contaminazioni

Quella operata dai Sasanidi fu una renovatio dell'Impero achemenide (550-330 a.C.) svanito per opera della conquista di Alessandro Magno. Pertanto, l'arte sasanide nacque anzitutto come ripresa dei modelli artistici achemenidi in controtendenza all'arte ellenizzata dei Parti che pur aveva già reinterpretato l'arte ellenistica non adottandola in maniera sistemica ma solo formale.[12] La restaurazione artistica iranica dei Sasanidi fu facilitata dal luogo d'origine della dinastia fondata da Ardashir I (r. 224-241), la provincia di Fars, a suo tempo madrepatria degli stessi Achemenidi e quindi ricca di lasciti plastici dell'antica Persia, anzitutto la scultura rupestre. Nel tentativo di riportare in vita quel glorioso passato, la dinastia fondata da Ardashir I (r. 224-241) non si limitò a compiere delle semplici imitazioni delle opere che furono, ma cercarono di incoraggiare un'arte che dimostrasse un grande carattere e degli aspetti unici, anticipando per certi versi i tratti salienti dell'arte islamica. Per tutto il dominio sasanide, si inaugurarono spesso stili che si proponevano come innovatori e allo stesso tempo custodi delle forme e degli atavici usi della Persia, che nel periodo islamico raggiunsero le sponde del Mediterraneo.[6][13]

 
L'impero sasanide al suo apice (621):[4]

     Impero sasanide

     Occupazioni temporanee durante la guerra romano-persiana del 602-628

In termini artistici, la parentesi sasanide coincise con uno degli archi temporali durante i quali la civiltà iraniana poté maggiormente fiorire, ritrovando un livello di prosperità e sicurezza che era scomparsa con la caduta degli Achemenidi. Gran parte di quella che in seguito divenne nota come cultura musulmana, inclusa l'architettura e la scrittura, attinsero da questa rinnovata cultura persiana. Al suo apice, l'impero sasanide estesa la propria influenza artistica ben oltre i propri confini politici, facendo breccia nella produzione artistica dell'Asia centrale e della Cina, dell'impero bizantino e persino del regno merovingio (457-751) in Francia.

Come approfondiremo nel seguito, evidente è anzitutto il legame tra l'arte achemenide e quella sasanide per quanto riguarda il potentissimo medium del rilievo rupestre. Anche l'architettura achemenide influenzò i sasanidi per quanto riguarda forma degli edifici e distribuzione degli spazi ma non mancarono lasciti dell'arte partica, come, in architettura, il ricorso alla struttura del iwan[14] e l'uso della malta.[12] Come quella partica ed ancor prima quella achemenide, l'arte sasanide s'innestò nel fruttifico sostrato artistico iranico, potendo così attingere ad una notevole varietà di tradizioni e tecniche. Al netto dell'esplicita volontà di emanciparsi dall'arte ellenistica, ricorrono, nell'arte sasanide, taluni stilemi decorativi di chiara derivazione greco-romana, come le foglie d'acanto. Il contatto prolungato tra l'Impero romano e la sua arte ed i Sasanidi ne influenzò l'arte, soprattutto dopo la vittoria di Sapore I (r. 241-270) sull'imperatore romano Valeriano (r. 253-260) nel 260: un'influenza non a caso particolarmente evidente nei mosaici di Bishapur, forse realizzati da artisti romani deportati.[8][15] Non mancarono inoltre contatti e lasciti, anche artistici, per tramite della Via della seta, tra i Sasanidi e la Cina, in quel tempo in preda al caos politico provocato dal collasso della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.).[1][2][5]

Disponiamo oggi d'importanti resti di diverse manufatti artistici sasanidi: monumentali rilievi rupestri (probabilmente il lascito più significativo), pezzi di toreutica d'argento, decorazioni architettoniche in stucco e sigilli in pietre dure. Gli oggetti in altri materiali sono meno numerosi ma comunque sufficienti a fornire un'impressione variegata dell'arte del periodo: tessuti, pitture murali, mosaici pavimentali, vetri e ceramiche.[1]

Stilemi decorativi

Temi ricorrenti della produzione artistica sasanide, come tramandatoci dallo storico romano Ammiano Marcellino (330/332-pre 401) che accompagnò l'esercito romano nelle campagne contro Sapore II (r. 309-379),[16] erano la guerra e la caccia,[17] quest'ultima intesa come propedeutica alla prima e per questo praticata dai sovrani persiani sin dall'età di sette anni, il cui medium preferenziale era allora la toreutica: i soggetti raffigurati sono solitamente la caccia al cinghiale o la caccia al cervo seppur non manchino raffigurazioni della caccia al leone.[18][19] Il leone ed il cinghiale ricorrono di frequente come soggetti, intesi come simbolo della regalità laddove ornati dal nastro di stoffa, il pativ, insieme ad altri animali quali cervi, elefanti, stambecchi e altre capre selvatiche, cani ecc. Molti degli uccelli raffigurati (fagiani, pavoni, aquile, anatre) possono similarmente alludere al sovrano se recano il pativ nel becco. A volte insieme a volte separatamente da queste raffigurazioni di animali reali compaiono tutta una serie di creature mitologiche (grifoni, cavalli alati, simurg)[20] e composizioni grottesche simili ai grilli gotici come le due teste di cinghiale sormontate da ali che, nuovamente, simboleggiano il potere regale. Un motivo a sé, mutuato dalla cultura cinese, è il simbolo di felicità coniugale della coppia di anatre con il pativ nel becco.[21]

Uno stilema decorativo tipico e poi passato ad altre culture era l'albero della vita, sorta di summa di un ricchissimo repertorio figurativo fitoforme di palmetta alate, melograni (simbolo di fertilità), fogliame semplice, meandri ed archi vegetali. Sono presenti anche motivi puramente ornamentali come meandri, cornici, greche, zigzag e medaglioni perlati, tipicissimi. Alcuni motivi possono essere correlati al simbolismo astrale: gli zodiaci, le rappresentazioni della triade zoroastriana (sole, luna e stella Tishar), la svastica, la croce, la stella, la mezzaluna o la scure bipenne; i medaglioni perlati stessi avevano un forte simbolismo celeste. Altri motivi sono più legati al simbolismo religioso: la rappresentazione del pantheon zoroastriano; l'ariete con pativ che personifica la forza mistica Khvarenah; i cavalli alati con corone a mezzaluna e collari a nastro che simboleggiano Verethragna; il gallo, l'uccello solare per eccellenza, che scaccia il demone della pigrizia.[21]

Scultura

Rilievi rupestri

 
Panoramica della necropoli ruprestre di Naqsh-e Rostam.

Il rilievo rupestre vanta in Iran una tradizione millenaria che, sotto i Sasanidi, raggiunse il suo apice.[22] Come anticipato, infatti, i rilievi rupestri dinastici costituiscono il lascito forse più significativo dell'arte sasanide e, oltre ad illustrare lo sviluppo stilistico-cronologico di un ramo dell'arte sasanide, offrono importanti testimonianze sulla natura dello stato, della società e della religione dei primi Sasanidi.[23] La datazione dei rilievi si basa su:[24] l'eventuale presenza di iscrizioni, rare, ma spesso bilingui o trilingui (greco, partico, pahlavi) sul modello rituale «Questa è l'immagine dell'adoratore di Mazda, il divino (nome del re), re dei re dell'Iran e non dell'Iran, discendente degli dèi, figlio di […] e nipote di […]»; o sulla figura stessa del monarca, identificabile dalla barba, dai capelli e, soprattutto, dalla corona.[N 1]

Sono noti trentotto rilievi, la maggior parte dei quali si trova nel luogo d'origine della dinastia, Fars. Otto dei primi undici sovrani sasanidi, partendo dal fondatore della dinastia, Ardashir I (r. 224-241), si fecero raffigurare su un rilievo scolpito. La tradizione fu ripresa e rivitalizzata da Cosroe II (r. 598-628) nei rilievi di Taq-e Bostan.[6] La scultura rupestre sasanide era aulica, volta a glorificare la persona del re, ad immortalarne il potere, la gloria e la grandezza. Gli altri personaggi presenti sulla scena (divinità, dignitari, guerrieri, prigionieri, familiari) sono scenografia, elementi secondari destinati a mettere in risalto la figura centrale del monarca.[24] Degna di nota è la gestione della materia religiosa: anzitutto, è quasi assente; quando presenti, le divinità, come anticipato, concorrono alla glorificazione del sovrano; il culto del fuoco, centrale nello zoroastrismo sasanide, figura solo nel rilievo dell'investitura di Ardashir I a Firuzabad.[23]

I temi rappresentati della scultura rupestre sasanide sono:[23][24]

  • l'investitura del re: a cavallo o a piedi, il re riceve un diadema con turbante da una divinità, il più delle volte Ahura Mazda, a volte accompagnato da Anahita e Mitra. È importante notare che il re non è rappresentato come subordinato alla divinità ma come uguale ad essa (stesse dimensioni, stessa posizione – entrambi a cavallo o entrambi a piedi – stesso costume, eccetto per la corona, la divinità indossa una corona merlata);[25]
  • l'omaggio reso al re dai membri della sua famiglia e dai dignitari: disponiamo di ben quattro rilievi su questo tema per il solo Bahram II (r. 274-293), più alcuni altri. Le persone che rendono omaggio sono rappresentate nel gesto di deferenza sasanide, ovvero con la mano alzata e l'indice piegato;
  • il re e il suo seguito: tema riportato unicamente nel rilievo di Sapore I (r. 241-270) a Naqsh-e Rajab;
  • il trionfo del re sui nemici: nove rilievi in tutto dedicati a diversi avversari storici dei sasanidi – Parti (rilievo di Ardashir I a Firuzabad), Armeni (rilievo di Ardashir I a Salmas e rilievi in Azerbaigian), Romani (i tre rilievi di Sapore I, ognuno dei quali segna le sue tre vittorie successive sui Romani), Beduini e altri nomadi (rilievo di Bahram II a Bishapur e di Sapore II a Bishapur e Taq-e Bostan);
  • il re che giostra alla lancia contro un altro cavaliere: tre rilievi in tutto, due dei quali per Bahram II a Naqsh-e Rostam e uno per Yazdgard. Il tema del duello tra guerrieri o mard-o-mard trova riscontro anche in altre manifestazioni artistiche sasanidi e richiama la tradizione letteraria iranica dello Shāh-Nāmeh;[N 2]
  • il re cavaliere ricorre solo nel rilievo di Cosroe II (r. 590-628) a Taq-e Bostan: il re, in sella al suo leggendario stallone Shabdiz, il «più veloce cavallo del mondo»,[26] è rappresentato con panoplia da catafratto, solo gli occhi visibili, armato di lancia e scudo;[27]
  • la caccia ricorre solo nel rilievo di Cosroe II (r. 590-628) a Taq-e Bostan: una fedele rappresentazione delle feste venatorie che si svolgevano a corte (caccia al cervo e al cinghiale, musicanti, cortigiani, ecc.).[18][19] Un'altra rappresentazione rupestre di questo tema, seppur forzata, è nel rilievo di Bahram II (r. 274-293) che protegge la moglie e due dignitari da due leoni.

Scultura a tutto tondo

Pietra
 
Il Colosso di Sapore I, 6,7x2 m, una delle opere più rappresentative dell'arte sasanide.[7]

In controtendenza con l'arte partica che ne produsse molte, esistono pochissime sculture sasanidi in pietra a tutto tondo. La tecnica era comunque nota agli scultori del tempo che la utilizzarono spesso nella scultura in metallo approfondita nel seguito.

Una delle poche sculture litiche a tutto tondo sasanidi pervenuteci è il Colosso di Sapore I nella grotta di Mudan-e Shapur, vicino Bishapur: scolpita in una stalagmite, quindi concettualmente da intendere come un ortostato trasformato in un tutto tondo, è alta 6,7 m e larga alle spalle 2 m. La sua funzione è ancora sconosciuta: indica il luogo di sepoltura del monarca, testimonia la presenza di un santuario dedicato al suo culto o è un semplice omaggio?[28][29] Il costume reale e le armi vi sono rappresentati con grande dovizia di particolari e, come le proporzioni del corpo, richiamano le raffigurazioni rupestri di Sapore I a Naqsh-e Rajab.[7] Le fonti letterarie hanno tramandato l'esistenza di altre statue colossali di sovrani sasanidi che però, ad oggi, non sono state rinvenute.

Metallo

Esistono due gruppi di sculture in metallo a tutto tondo sasanide: (i) il gruppo delle c.d. "statuette reali"; e (ii) il gruppo degli "spadaccini".

Il primo gruppo comprende i manufatti più pregiati. Sono figure di 30-40 cm in bronzo o argento. I elementi comuni sono: (i) una corona con due mezzelune e un globo stellato (korymbos); (ii) un paio di ali su entrambi i lati della corona (molto comune in molte rappresentazioni); (iii) frontalità e mancanza di espressione; e (iv) un'identificazione problematica, poiché le corone sono diverse da quelle delle monete, il che spesso le fa risalire alla fine del periodo. Il pezzo più pregiato della serie è una testa d'argento conservata al Metropolitan Museum of Art da taluni identificata come Sapore II. Questo pezzo unico è stato realizzato martellando un'unica lastra d'argento, alcune delle quali sono state poi lavorate a sbalzo e altre cesellate. La testa è sormontata da un korymbos a coste e cupola e da una corona merlata con lune crescenti, mentre orecchini ovoidali e una collana di perle fungono da ornamento. Raffigurato frontalmente, con gli occhi spalancati, la perfetta simmetria del volto e capelli, barba e baffi stilizzati in modo irrealistico, il sovrano presenta un'espressione particolarmente congelata. Si possono tracciare parallelismi con le teste in stucco e alcuni studiosi si chiedono se quest'opera appartenesse a una statua. Si può citare anche, di fattura meno bella e in bronzo, una testa del museo del Louvre, proveniente da Ladjvard (Iran).

Il secondo gruppo comprende statue di più modeste dimensioni (10-12 cm) e materiale (bronzo). I soggetti sono tutte figure maschili vestite di pantaloni larghi e lunghi e di una corta tunica (un indumento caratteristico dell'epoca, se ci atteniamo ai rilievi bizantini raffiguranti sasanidi), con i capelli divisi in due ciocche e una lunga spada che penzola loro tra le gambe.

Una categoria a sé potrebbe poi essere costituita dai pezzi sparsi in metallo a tutto tondo pervenutici, tra i quali alcuni erano certamente decori per l'ebanisteria sassanide. Sono stati, per esempio, rinvenuti piedini per mobili a protome di grifone di circa 30 cm. Sono costituiti da una testa di rapace (aquila) sporgente verso l'esterno, talvolta dotata di corna e orecchie feline. Il movimento ondulatorio dell'animale dall'alto verso il basso si fonde con la forma arcuata del pezzo. Il grifone ha un'importante funzione simbolica nell'arte sasanide, legata alla forza e alla protezione quali attributi del potere regale.

Stucco

Le decorazioni a stucco sasanidi sono state scoperte all'inizio del XX secolo ed il loro studio presenta grandi lacune, dovute in particolare alla molteplicità delle decorazioni e alle numerose sparizioni. La più antica decorazione in stucco conservata è quella del complesso di Sapore I (r. 241-270) a Bishapur, che contiene meandri, racemi e foglie d'acanto. Più tardi, attribuibili a Sapore II (r. 309-379), sono probabilmente i busti dei sovrani rinvenuti nel palazzo di Kish[30][31] e gli interventi di ritocco/finitura dei rilievi rupestri coperti (v.si la grotta principale di Taq-e Rostan).[31][32] Le decorazioni in stucco variano notevolmente a seconda della posizione: nei palazzi, troveremo più spesso grandi composizioni figurative e busti di re (sulla falsariga dei rilievi rupestri dinastici ove lo stucco fu appunto impiegato),[23] mentre le case residenziali risultano più spesso ricoperte da busti femminili, danzatrici o persino piccole placche raffiguranti animali, come quelle scoperte a Ctesifonte. Questi ornamenti non si trovano in tutte le parti degli edifici ma principalmente negli iwan, nelle case residenziali e nelle sale colonnate.[33]

I soggetti raffigurati sono classificati in tre macro-categorie:[33]

  • grovigli di volute geometriche e floreali che nel tempo s'intrecciano in modo sempre più complesso, con una diversificazione dei motivi;
  • il repertorio figurativo antropomorfo di busti di re, figure femminili (numerose) a figura intera o in piccoli busti forse raffiguranti dee, regine e/o danzatrici; e
  • animali, sia reali sia immaginari.

La tecnica dello stucco sasanide innova rispetto alla tecnica greco-romana perché ricorre a stampi per realizzare pezzi poi posizionati uno accanto all'altro e ricoprivano la loro decorazione con una policromia non naturalistica: colore di sfondo blu, il più delle volte motivi rossi.[5] In alcuni motivi decorativi si nota un'ispirazione greco-romana. Il linguaggio figurato presenta molte difficoltà d'interpretazione, spaziando dalla glorificazione della maestà divina dei re (tema come già visto molto frequente) alla possibile testimonianza di un culto degli antenati o forse di chiave prettamente apotropaica.[33] Gli sviluppi tecnici dello stucco concorsero poi a mantenere vitale e aggiornato il medium scultoreo sasanide fondamentale del rilievo rupestre.[23]

Pittura

 
Un mosaico di Bishapur – Louvre.

La produzione pittorica sasanide, molto pratica sotto Sapore II (r. 309-379), ci è documentata più dalle fonti che dall'archeologia e si declina sostanzialmente in due medium, l'affresco[34] ed il mosaico.[35]

Affreschi

Resti di affreschi sasanidi sono stati rinvenuti a Firuzabad, Dura Europos, Susa, Ayvān-e Kerkha, Hajiabad, Tepe Hissar e Ctesifonte, tutti in contesti secolari ed in edifici che spaziano dalle residenze di personaggi illustri alle abitazioni ordinarie.[34] Poiché le stanze della maggior parte delle pitture murali sembrano fungere da sale di ricevimento o sale per le udienze, devono aver avuto una funzione pubblica e il loro significato ideologico sarebbe stato più importante del loro ruolo decorativo. I temi prediletti, in linea con la tradizione pittorica dei Parti[36] e come evidente già in altre forme artistiche sasanidi meglio approfondite e testimoniate, erano la guerra e la caccia:[18][19][34] le scene di battaglia sottolineavano il potere e il prestigio del monarca, così l'affresco di Dura Europos è paragonabile ai rilievi di FiruzabadI e Naqs-e Rostam, mentre la caccia era il principale passatempo dei re e della sua nobiltà come ben testimoniatoci anche dalle decorazioni sull'argenteria. Alcuni studiosi hanno addirittura suggerito che i rilievi di Taq-e Bostan V e VI potrebbero essere stati realizzati partendo da modelli pittorici.[37][38]

Mosaici

Il complesso musivo sasanide più importante pervenutoci si trova nel palazzo di Sapore I (r. 241-270), figlio ed erede di Ardashir I (r. 224-241), a Bishapur, sul pavimento del grande iwan ma ricorda così tanto la produzione romana da far ipotizzare possa trattarsi di un'opera romana. Diversi argomenti sostengono un'origine romano-siriana, riconducibile alla deportazione di parte della popolazione di Antiochia di Siria da parte di Sapore I: motivi geometrici con poche varianti (chevron, linee verticali spezzate, quadrati disposti sulle punte, solidi in prospettiva, intrecci), modelli femminili greco-romani e maschere dionisiache. D'altro canto, alcune opere sembrano essere state realizzate da artisti iraniani: le donne richiamano infatti il modello della "banchettatrice reclinata", ben evidente nella toreutica sasanide, e la tecnica è molto meno raffinata di quella greco-romana, più vicina alla produzione indigena iranica.[35]

Urbanistica

I Sasanidi fondarono un gran numero di città ed altrettante ne rifondarono o, quanto meno, rinominarono. Ci sono note in particolare attraverso la numismatica, le fonti scritte (il più delle volte medievali) e alcuni scavi (rilievi di superficie di campi di rovine, scoperte archeologiche isolate). La pianificazione urbana sasanide è ad oggi materia di studio poiché sicuramente eterogenea. In linea con una tradizione partica in realtà riconducibile a modelli assiri, alcune città sasanidi ebbero pianta circolare,[6] su tutte Firuzabad, la capitale del fondatore della dinastia, Ardashir I (r. 224-241), sia con intento mistico-religioso sia per garantirsi un vantaggio tattico-difensivo durante gli assedi. Esistevano però anche città organizzate su di una scacchiera quadrilatera di matrice greco-romana, solitamente associate alla presenza di architetti romani resi schiavi dai Sasanidi durante le loro guerre con Roma, come la celebre Bishapur, fondata da Sapore I (r. 241-270), figlio ed erede di Ardashir. Seppur città sasanidi quanto a distribuzione degli spazi ed edifici ivi contenuti, queste città non-circolari sono considerate dagli studiosi come "alternative" alla normale urbanistica della dinastia.

Citiamo nel seguito alcune importanti città dell'Impero:

  • Ardashir-i Kurrah (l'attuale Firuzabad) – Fondata da Ardashir I (r. 224-241), è il prototipo della città-rotonda sasanide, con un diametro di 2 km. Due assi ortogonali principali e otto minori la dividono in venti settori. Gli studiosi ritengono che la pianta sia stata stabilita secondo concetti centralizzatori e cosmologici ma non concordano sulla novità della pianta: alcuni la considerano il recupero d'una tradizione partica ed altri un'invenzione prettamente sasanide. Il palazzo del re era esterno rispetto alla città,[39] inizialmente collocato in un castello e poi nella pianura.
  • Veh-Ardashir, anche nota come Ctesifonte al-Madarin per distinguerla dalla più celebre Ctesifonte dei Parti[40] – Fondata da Ardashir I (r. 224-241) come città-rotonda, la città non ha però la pianta radialmente concentrica di Firuzabad e ricorre invece ad un'organizzazione ortogonale, a scacchiera. Le abitazioni sono organizzate in piccole stanze o addirittura, per quelle più importanti, in un iwan.[41]
  • Bay Shapur (Bishapur, presso l'attuale Kazerun) – Fondata da Sapore I (r. 241-270) per i Romani deportati da Antiochia, questa città ha una pianta ortogonale a scacchiera, similare a quelle greco-romane, poi ripresa nella pianta di successive città sasanidi quali Jundishapur o Ivan-i Karkkah. I quartieri sono riservati agli edifici ufficiali (edifici cerimoniali, amministrativi, culturali) e un grande palazzo si trova a est. La città giocava un ruolo importante nel sistema difensivo limitaneo nell'impero, ben protetta da una fortezza e da un fiume, ma ciò non le impedì di distinguersi anche per l'intensa attività intellettuale e scientifica.[8]
  • Susa, città iranica d'antichissima fondazione, già capitale del proto-storico Regno di Elam (3200-1127 a.C.)[42] fu anzitutto distrutta da Ardashir I (r. 224-241) perché fedele al re dei Parti Artabano IV (r. 216-224) ed immediatamente ricostruita per la sua posizione strategica lungo la via che collega l'Altopiano iranico al Golfo Persico. La città, limitrofa alla capitale di Ctesifonte,[40] fu anche residenza temporanea del Re. Una seconda riedificazione si dovette a Sapore II che ribattezzò la città Eran Kurreh Shapur (it. "Gloria dell'Iran eretta da Sapore").[43][44]

Architettura

  Lo stesso argomento in dettaglio: Architettura sasanide.
 
Ruderi del iwan del del Atash-kadeh di Ardashir I (r. 224-241) a Firuzabad.

L'architettura sasanide riutilizza le forme di quella achemenide, ben note ai committenti perché ben testimoniate nella loro madrepatria, il Fars,[5] Furono comunque introdotte innovative caratteristiche, anzitutto le volte monumentali e le cupole di pietra e mattoni. Il materiale utilizzato era invece quello tradizionale iranico (mattoni cotti e mattoni crudi, malta di macerie e gesso; rarissimo e riconducibile a maestranze romano-bizantine, coatte o remunerate, il ricorso alla pietra tagliata)[45] e la maggior parte del bagaglio tecnico equivalente a quello partico (fondamentale il ricorso agli iwan) o bizantino (si veda per esempio il riutilizzo di capitelli in pietra).

Caratteristiche strutturali e materiche

  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia delle cupole persiane.

L'architettura sasanide presenta alcuni elementi architettonici notevoli:[45]

  • volte paraboliche, realizzate grazie alla malta a presa rapida, non molto coerenti con gli antichi ideali di simmetria e quindi utilizzate quasi esclusivamente in ambienti funzionali o in stanze in cui non sono visibili;
  • iwan (sale a volta aperte su un lato da un ampio porticato) di origine partica, utilizzanti la stessa tecnica di volta delle volte paraboliche;[14]
  • cupola a tromba, invenzione sasanide che sviluppa la cupola circolare e la volta a botte già note a Parti e Romani (v.si "rotonda"),[46] spesso di grande diametro, come i 14 m della cupola nel tempio del fuoco di Ardashir I (r. 224-241);
  • pianta cruciforme, elemento presente nell'architettura orientale dal I millennio a.C. e ben noto anche ai Romani.

Gli edifici colonnati svolgono un ruolo secondario nell'architettura sasanide. Le snelle colonne di legno, forse rivestite di stucco, sono l'ennesimo elemento ripreso dagli Achemenidi. Dal IV secolo, compaiono pilastri quadrati o circolari compatti e spesso scanalati. I muri in mattoni sono ricoperti di stucco, affreschi o bassorilievi. I mattoni vengono anche utilizzati per creare elementi architettonici o decorativi come scale, fregi a festoni, rosoni, falsi archi, architravi con cornici in legno, ecc.[45]

Tipologia funzionale degli edifici

Architettura palatina

I palazzi costituiscono il maggior numero di rovine architettoniche sasanidi rinvenute fino ad oggi. L'identificazione è facilitata da un ricorrere di ben determinate caratteristiche:[45] (i) una pianta semplice e simmetrica attorno a un asse principale; (ii) un prospetto complesso, con piani integrati nelle stanze degli alti funzionari; e (iii) ambienti interni in cui ricorre la combinazione del iwan e della sala a cupola,[14] elemento che comunque figura anche nell'architettura religiosa, con, a volte, una stanza rettangolare in sostituzione della sala a cupola.

I due palazzi sasanidi più antichi sono anche i meglio conservati. Il Dezh Dokhtar (it. "Castello della Fanciulla"), su un altopiano roccioso che domina la pianura dell'allora neo-fondata città-tonda di Firuzabad,[39] fu il castello-palazzo di Ardashir I (r. 224-241), fondatore della dinastia, al tempo della sua guerra con i Parti per il dominio sulla Persia.[3] Entro il perimetro fortificato, la residenza vera e propria occupa il crinale più alto dello sperone, orientato sull'asse est-ovest, ampliato artificialmente con tre livelli di terrazze. L'accesso dal castello avveniva tramite un atrio che conteneva ovviamente aree per i nuovi arrivati e le guardie, nonché tramite una rampa di scale che conduceva al cortile inferiore con una cisterna nell'angolo sud-ovest. Si susseguivano poi un cortile inferiore, un cortile intermedio con una tribuna e ampie stanze laterali e la terrazza superiore con la residenza principesca, organizzata intorno ad un iwan affiancato da un'alta sala cupolata di 14 mq su cui gravitavano le stanze inferiori, organizzati su più piani di sale rettangolari oblunghe con pareti esterne curve e corridoi.[47] I difetti costruttivi del Dezh Dokhtar (mura non sufficientemente spesse, aperture troppo ampie, fondamenta non solide), indussero Ardashir, dopo l'incoronazione, ad erigere un secondo palazzo, l'Atash-kadeh, meno audace nella sua costruzione, eretto in un contesto politico diverso: il re, sicuro del suo trono, desiderava un palazzo più degno della sua funzione. Facendo tesoro del primo tentativo, i costruttori raddoppiarono lo spessore delle mura, innalzarono la cupola e scavarono porte molto più strette. Il palazzo ha quasi lo stesso insieme di stanze della residenza del Dezh Dokhtar ma include un cortile interno con una vasca su cui si apre un iwan e tre stanze a cupola al posto di una stanza centrale. Un'altra novità consiste in un palco di presentazione per il sovrano, situato in una stanza cupolata alta 5 m.

Molti edifici ridotti a macerie sono interpretati come palazzi sasanidi in ragione della presenza di un iwan affiancato ad una grande sala rettangolare (cupolata o meno): a Ctesifonte, nella città-santuario di Takht-e Soleyman (Azerbaijan)[48] o a Qasr-e Shirin. Il Taq-i Kisra di Ctesifonte, attribuito a Cosroe (r. 531-579), è probabilmente l'edificio sasanide più iconico e noto al mondo.[49][50]

Architettura religiosa

  Lo stesso argomento in dettaglio: Tempio del Fuoco e Chahartaq (architettura).
 
Il Cubo di Zoroastro a Naqsh-e Rostam, probabilmente un Tempio del Fuoco.

L'edificio templare precipuo dello zoroastrismo, il Tempio del Fuoco (pal. ātaškada),[51][52] s'identifica dalla presenza di un altare o di una base per l'altare e dalla sua posizione chiusa. Questo altare è sempre situato in un luogo ben preciso, isolato dal mondo esterno, a causa della ricerca della purezza, pertanto le tettoie aperte sono escluse. Data appunto al periodo sasanide, durante il quale lo Zoroastrismo divenne religione di stato,[53] il ricorso a strutture permanenti per l'adorazione del fuoco: templi destinati ad ospitare un fuoco perpetuo, simbolo della luce divina, l'accesso nei quali era privilegio della casta sacerdotale (pal. asronan) mentre i fedeli, dall'esterno, dovevano accontentarsi di adorare il fuoco da una delle aperture.[54][55][56]

Molti di questi templi presero la forma del čahārṭāq (lett. "quattro archi"), un'unità architettonica equilatera costituita da quattro archi o brevi volte a botte tra quattro pilastri angolari, con una cupola su pennacchi sopra il quadrato centrale; questo quadrato e le campate laterali sotto gli archi o le volte a botte costituiscono insieme una stanza con pianta cruciforme i cui accessi erano dotati di porte e strutture secondarie (ambulacri ed altro).[57]

Conosciamo oggi una cinquantina di čahārṭāq: misurano generalmente 8-10 m di lato e possono essere sia unità isolate sia circondati da deambulatorio, tutti in varie permutazioni: ad esempio, quelli scavati nel santuario del Qal-e Kaferan sul Monte Khajen,[58][59][60][61] nel santuario di Taq-e Soleyman[62][63] e nel Qaḷʿeh-i Yazdigird[64] (tutti con ambulacri e stanze aggiuntive) o quello rinvenuto nell'importante sito iraniano di Tureng Tepe[65] (un semplice cubo chiuso, forse con una stanza d'ingresso o un riparo). Innumerevoli altri čahārṭāq sono stati segnalati[66][67] In generale, l'orientamento dell'edificio verso i punti cardinali avviene tramite gli angoli ma a volte anche tramite i lati, come a Tureng Tepe, o è assente, come nei čahārṭāq a Taq-e Suleiman.[57]

Il primo esempio di čahārṭāq sasanide ufficialmente utilizzato come tempio del fuoco, il Taq-e Nisim, fu eretto a Firuzabad da Ardashir I (r. 224-241) per celebrare la sua vittoria sui Parti:[68] è un blocco cubico in pietra tagliata chiuso con quattro porte assiali che conducevano alle stanze annesse o iwan.[69] A Taq-e Soleyman, invece, sono stati rinvenuti due čahārṭāq: il più grande, circondato da un muro, con una cupola di 8 metri di diametro, attribuito alla committenza di Cosroe I (r. 531-579), e il c.d. "Adur Gushnasp",[70] uno dei "Tre Fuochi di Bahram",[71][72] che divenne meta di pellegrinaggio zoroastriani dai tempi di Cosroe II (r. 590-628). La sua pianta, particolarmente confusa, differisce da quella degli altri templi, probabilmente in ragione della sua duplice funzione di edificio d'uso regale e luogo di pellegrinaggio, contenendo due altari del fuoco (uno pubblico e uno accessibile solo dal limitrofo palazzo reale e quindi, presumibilmente, d'esclusivo uso regale).[73][74][75][76]L'ultimo tempio del fuoco sasanide noto fu costruito da Cosroe II a Qasr-e Shirin e si componeva invece di una semplice stanza quadrata.

Architettura funeraria e commemorativa

  Lo stesso argomento in dettaglio: Torri del silenzio.
 
Bassorilievo proveniente da Bishapur raffigurante Sapore II (r. 309-379) che trionfa su una rivolta.

La pratica funebre zoroastriana prevede che i morti non siano sepolti ma esposti al di fuori del consesso umano per essere dilaniati da cani e rapaci (fond. grifoni), dopodiché le ossa, ritualmente pure, possono essere lasciate sulle montagne o poste in una costruzione al riparo dalla pioggia e dalle bestie feroci. Mancavano quindi i presupposti cultuali per un'architettura funeraria monumentale.[77][78] Prima della conquista musulmana della Persia, le pratiche funebri zoroastriane erano svolte a cielo aperto, senza strutture dedicate che divennero invece obbligatorie sotto l'Islam (post 644) e presero il nome di "Torri del silenzio". Nel periodo sasanide, le ossa purificate dei defunti venivano spesso sepolte in ossari di pietra o ceramica, gli astōdān,[79] rinvenuti nel Fars, vicino a Naqsh-e Rostam e a Persepoli, ma la loro datazione e la loro esatta funzione rimangono problematiche. Sono noti due tipi:

  • camere funerarie rupestri, ricavate dalle tombe reali achemenidi, presentano facciate molto semplici, con volte e cupole. La maggior parte misura 50-51 cm ma alcune sono più piccole (circa 10 cm). Il sistema di chiusura è costituito da placche di pietra. Spesso, un'iscrizione formale, la dakhma, riporta il nome del defunto ed esprime la promessa del paradiso per la sua anima;
  • fosse scavate nella roccia presentano molte difficoltà di interpretazione e non sono necessariamente astōdān. Hanno un perimetro rettangolare o circolare, lungo circa 50 cm, con strette aperture (per proteggere dall'acqua piovana). I loro coperchi sono curvi verso l'esterno e cavi verso l'interno. Troppo piccole per fungere da altari per il fuoco, queste fosse forse servivano come luoghi di riposo per i cadaveri.

Si possono notare elementi particolari, come il monumento a colonna di Pijan che illustra la diversità degli astōdān. Si tratta di una sorta di gigantesco altare del fuoco con casse che fungono da astōdān e colonne commemorative simili a quelle già presenti nell'architettura achemenide.

Le fonti letterarie suggeriscono invece che i re sasanidi fossero sepolti in tombe, come gli antichi sovrani achemenidi, ma non vi è ancora alcuna conferma archeologica in tal senso.[77] Vicino a Bishapur, le piattaforme scavate nella roccia sembrano essere state letti mortuari.

La presenza nella Persia sasanide di altre religioni oltre al dominante mazdeismo comportò la presenza di altre pratiche funebri con relativo lascito architettonico-archeologico: sull'isola di Khay, vicino a Persepoli, per esempio, sono state invece rinvenute tombe cristiane contraddistinte da croci.

Architettura militare

L'architettura militare sasanide comprendeva città fortificate, cittadelle e castelli (pal. diz)[80] più o meno grandi (taluni veri e propri fortini), mura di anche notevoli dimensioni (16 m a Dastagird, per volontà di Cosroe II, r. 590-628, ) e torri (pal. borj) di vario genere.[81] Le caratteristiche ingegneristico-strutturali di queste fortificazioni (pal. bārū)[82] erano frutto di una tradizione antica di millenni[83] e trovarono la loro massima espressione delle fortificazioni limitanee che i Sasanidi utilizzarono per trincerare il loro dominio da possibili aggressioni.[84][85][86][87]

 
Panoramica dei ruderi del Dezh Dokhtar di Ardashir I (r. 224-241) sopra Firuzabad.

Architettonicamente, i Sasanidi fusero omogeneamente gli elementi tipicamente iranici dei castelli achemenidi con le innovazioni elleniche delle nuove fortezze seleucidi e partiche.[84] Le planimetrie delle loro fortezze includono solitamente torri semicircolari o paraboliche, distanziate l'una dall'altra lungo le mura di evidente impostazione greca ma ancora fortemente sporgenti come le torri angolari proiettanti delle fortezze achemenidi: strutture che cercano di mediare tra la necessità di difendersi dalla moderna artiglieria romana[88] e la volontà di fare delle mura un medium che trasmetta l'autorità regia. In linea con la tradizione iranica, nairi ancor prima che achemenide, le torri ed a volte le mura stesse racchiudono delle camere e presentano archi all'interno per ospitarvi il cammino di ronda, come nel castello di Iraj (presso la città di Varamin), permettendo l'utilizzo del cortile centrale, anche molto ampio, per l'acquartieramento di truppe in vista estemporanea o per l'addestramento della guarnigione.[89] Allo stesso modo, in molte fortezze le mura e le torri sono costruite assecondando la conformazione naturale del terreno[90] seppur non manchino nuove cittadella la cui progettazione è completamente artificiale.[80]

 
Il castello di Babak (Arasbaran), esempio sasanide di architettura militare iranica integrata all'orografia del paesaggio.[90]

Anche l'uso dei materiali da costruzione riflette peculiarità indigene molto forti. Nelle zone aride dell'Altopiano e nella pianura del Khuzestan adiacente all'Alluvio, prevaleva il mattone essiccato o cotto, mentre nelle regioni montuose era consueto l'uso della pietra, almeno per le fondamenta, sebbene anche lì le parti superiori delle mura difensive siano spesso in mattoni crudi sin dalla Preistoria. Il terrapieno in senso stretto era del tutto assente[N 3] ed era parimenti sconosciuto l'uso del legname in combinazione con pietra e terra, principalmente a causa della scarsità dello stesso, pratica invece di tradizione addirittura paleolitica nelle fortificazioni europee (pensiamo al "murus gallicus"). Anche nelle regioni caspiche ricche di legname di Gīlān e Māzandarān mancano prove archeologiche di strutture difensive in legno e terra.[80][82]

Arti decorative

Ceramica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Ceramica islamica dal sito di Susa.

La ceramica sasanide è ancora materia da approfondire e non facilmente distinguibile da quella partica. La principale fonte di materiale proviene ad oggi dagli scavi di Susa, la cui produzione locale, molto influenzata da quella mesopotamica, proseguì ancora nel III-IV secolo sulla falsariga della ceramica partica,[91] introducendo novità formali solo nel VI-VII secolo, quando la c.d. "giara panciuta sasanide" (piriforme, con corpo snello e collo stretto segnato alla base da una sporgenza)[92] soppiantò la giara cilindrica partica.[10] Per le decorazioni si distingue parimenti il passaggio da uno stile partico di pezzi al naturale, raramente incisi e smaltati in ratio 1:3 (di bianco, giallo, blu e verde) a un aumento delle incisioni, all'apparire della lavorazione a barbottina "a nido d'ape" ed a lavorazioni di vetrina con uno smalto alcalino, color turchese o blu scuro molto più accesi delle cromie partiche,[93] ed il ricorso a sfaccettature concave/circolari.[10][11] Il persistere di uno stile partico, povero quanto a decorazioni e caratterizzato da pezzi di forme grossolane, si evince nelle satrapie occidentali e settentrionali. Le satrapie orientali manifestano tendenze ceramiche centro-asiatiche non prima del VI secolo e solo nelle satrapie più meridionali si riscontra quanto meno la presenza di ceramica incisa.[10][94]

Gioielleria

 
Collana sasanide in oro, cristallo di rocca e pietre dure (III-VI secolo) – Musée Mariemont.

Le testimonianze scritte dell'età sasanide riferiscono dell'opulenza della corte dello Shāhānshāh (tappeti di seta intrecciati con fili d'oro; mobili in oro; ecc.)[95] ma poche scoperte archeologiche hanno confermato queste descrizioni. Gli studi sui resti sasanidi hanno ricostruito oltre 100 tipi di corone indossate dai sovrani sasanidi, soprattutto grazie alle fonti scritte ed alla glittica. Le varie corone testimoniano la situazione culturale, economica, sociale e storica di ogni periodo, rimarcando inoltre le preferenze di ogni re nell'epoca in cui esercitò il suo dominio. Tra i diversi simboli e segni rintracciabili si individuano sovente la luna, le stelle, l'aquila e la palma, con ciascuno di essi che espone la fede e le credenze religiose di chi indossava il copricapo reale.[N 1][96][97] Ciò premesso, il dato archeologico relativo alla gioielleria rimane scarso e ciò che rimane dell'oreficeria sasanide consiste principalmente nella produzione toreutica che approfondiremo nel seguito.[98][99]

Maggiori dati si possono ricavare dall'analisi dei rilievi rupestri dinastici, dai quali desumiamo che, nei primi anni della dinastia , il re ed i suoi magnati portavano un ampio collare tempestato di gioielli,[100] piatti o a disco, sopra al mantello, molto simile agli ornamenti per il collo partici indossati dalle figure maschili a Dura Europos nel II e III secolo.[101] In generale, gli uomini sasanidi d'alto rango indossano collari simil-partici almeno sino ad Ardashir II (r. 379-383), progressivamente sostituiti da una collana di perline che, introdotta da Sapore I (r. 241-270), diventa nei secoli simbolo unisex del ceto dominante imperiale,[102] eventualmente affiancato, a partire dal V secolo, da un pesante collare con due file di perline e pendenti centrali.[103][104][105] Le donne di basso ceto sociale (popolane e danzatrici) non potevano indossare gioielli e ricorrevano così a pesanti collari con pendenti singoli, doppi o tripli.[106]

Glittica

 
Sigillo sasanide con relativa bulla (V secolo) – British Museum.

In linea con la tradizione iranica in generale ed achemenide in particolare, i Sasanidi promossero l'uso della glittica, generalmente in pietra dura. La tecnica delle linee parallele fu abbandonata e l'iconografia divenne più rotonda e naturalistica. Il cambiamento è attestato dalle monete, e probabilmente anche dagli incisori di sigilli ma dobbiamo attendere nuovi studi per avere un parere definitivo su questa espansione.[107][108] Lo studio della glittica sasanide è permesso dal rinvenuto di un buon numero di bullae, le tavolette di cera cruda su cui i sigilli erano impressi, negli scavi di Ak-Tepe, Takht-i Sulayman, ecc.[6]

Monetazione

La monetazione sasanide è sia ben documentata sia fondamentale per la datazione della produzione artistica della dinastia fondata da Ardashir I (r. 224-241). L'usanza sasanide di cambiare la corona, sia per foggia sia per dimensioni, da un monarca all'altro rende infatti il conio uno strumento di datazione tanto utile quanto agevole per lo studioso.[N 1] In minor misura, le effigi dei monarchi sulle monete presentano anche modifiche nel vestiario. La moneta sasanide si distingue da quella partica, di tipo ellenizzante. Sul dritto è raffigurato il busto del sovrano, eventualmente affiancato da una seconda figura (la regina o il principe ereditario), e sul rovescio l'altare zoroastriano del fuoco tra due figure di religiosi o l'investitura del monarca.[6] Da un punto di vista cronologico, si evince che lo stile già ben codificato sotto Ardashir I e suo figlio Sapore I (r. 241-270) s'impoverisce al tempo di Sapore II (r. 309-379) salvo poi riprendere vigore seppur con disegni spesso altamente stilizzati.[109][110]

Tessitura

I tessuti, finissima espressione dell'artigianato sasanide, sono purtroppo una delle categorie di reperti della dinastia più difficili da catalogare cronologicamente per le più volte menzionate ragioni.[9] Dei circa 25 tessuti sasanidi oggi a disposizione degli studi, la maggior parte provengono dalla necropoli egizia di Antinopoli, forse prodotti durante l'occupazione sasanide dell'Egitto. Altra importante fonte di studio sono i tessuti raffigurati nei rilievi dinastici di Taq-e Bostan, Naqsh-e Rostam, Naqsh-e Rajab, ecc.[111][112][113]

Il comparto tessile costituiva certamente uno dei perni economici dell'impero, convenientemente collocato all'estremità occidentale della Via della seta, e fu un altro medium di diffusione dell'arte sasanide presso le altre culture. Pittura, scultura, ceramica e altre forme di decorazione condividevano i loro disegni con la tessitura. Già nel momento in cui furono realizzato, i tessuti sasanidi godevano di grande ammirazione e venivano imitati dall'Egitto all'Estremo Oriente; durante il Medioevo, in Europa, si soleva adoperarli nel mondo cristiano per rivestire le reliquie dei santi.[114] La "seta dei fagiani" nei reliquiario dell'Abbazia di Notre-Dame de Jouarre è uno degli esempi più belli di seta sasanide e il suo stato di conservazione permette di ammirare una decorazione di medaglioni tipici e colori caratteristici. Sotto i sasanidi, la tessitura raggiunse il suo culmine, come arte. A cavallo tra IV e V secolo, una nuova professione, chiamata "borseggio", consentì la produzione di tessuti più ampi e nuove possibilità di modelli attraverso il controllo individuale della spinta del filo. I prodotti in seta, i ricami, i broccati, i damaschi, gli arazzi, gli accessori per le sedie, i baldacchini, le tende e i tappeti venivano realizzati con pazienza e abilità certosina.

Le tecniche di tessitura erano varie: conosciamo quindi sciamiti di seta, tacheté di lana e seta, arazzi, tele di lana di capra, saia, taffetà. I principali centri produttori erano Susa, Shushtar e Jundishapur e l'attribuzione dei pezzi all'uno o all'altro centro è permessa da talune caratteristiche: l'uso del berclé, la differenza tra filati iranici e cinesi, l'uso della torsione a Z, ecc. I coloranti utilizzati erano molteplici ed utilizzati per ottenere colori vividi: indaco (blu scuro), colori vegetali (giallo e verde), rosso robbia (arancione), rosso chermes e rosso cocciniglia (violaceo e molto più costoso). Anche i materiali utilizzati erano diversi: seta (che approfondiremo nel seguito); lana di pecora o capra di alta qualità (Kashmir), a volte combinata con la seta; lino, combinato con la lana per le tele; ecc.[112]

Le decorazioni tipiche del repertorio tessile sasanide erano quelle già approfondite: (i) medaglioni/ruote con cornici di foglie e perle entro cui si disponevano forme animali, spesso affrontate all'albero della vita; (ii) scene di caccia;[18][19] e (iii) reticoli di cornici e figure (es. reticoli di diamanti che incorniciano uccelli).[112][113] Interessante osservare che i modelli raffigurati, oltre a richiamare altri tipi di decori (stucco, toreutica, ecc.) alludono a precipui modelli tessili/suntuari, ad esempio medaglioni di perle in stucco, argento e tessuto. Ampio spazio è dato al repertorio animale e gli animali stessi, come anticipato, indossano il tessuto, in questo caso il nastro pativ, quando smettono di essere mere creature e diventano simboli del potere regale. L'unica decorazione tessile adottata dagli aristocratici persiani che può essere considerata ufficiale sasanide è l'elemento a tre punti distribuito su tutti gli indumenti: può essere osservato su diversi oggetti sasanidi e anche a Tāq-e Bostān.[115]

Sete
  Lo stesso argomento in dettaglio: Seta bizantina.

L'origine della tessitura della seta, secondo lo storico arabo Al-Mas'ûdî (897-957), è occidentale (Siria e Mesopotamia). Secondo lui, la tessitura sarebbe stata conosciuta attraverso le deportazioni. Tuttavia, questa interpretazione è fortemente messa in discussione. Secondo lo storico romano Floro, gli alti standard della seta tra i Parti avevano già causato stupore tra gli eserciti romani. La tessitura della seta sarebbe quindi iniziata prima del periodo sasanide, e l'Iran sarebbe piuttosto un pioniere della bachicoltura. La seta proviene dalla Cina fino al 550, quando la sericoltura si afferma in Iran. L'impero rifornisce il mondo bizantino principalmente di manufatti, finché non riesce anche a stabilire il baco da seta, che innesca una vera e propria "guerra della seta".

Tappeti
  Lo stesso argomento in dettaglio: Tappeto persiano.

La produzione di grandi tappeti colorati, sulla scia dell'antichissima tradizione nata in Assiria, seguitò sotto i sasanidi. Quando il basileus Eraclio I (r. 610-641) espugnò il palazzo di Cosroe II (r. 590-628) a Ctesifonte, il Taq-i Kisra, nel iwan trovò un immenso tappeto il cui lato misurava 27 m: il Baharestan (it. "Tappeto d'Inverno" o "Tappeto primaverile"; قالى بهارستان; pal. Vahār-i Khosrow) di Cosroe I, sul quale erano dipinte delle scene primaverili ed estive allo scopo di rendere meno gravoso il trascorrere dell'inverno per il sovrano; sul tappeto, i fiori e i frutti realizzati con rubini e diamanti intessuti crescevano accanto a viali d'argento e ruscelli di perle incastonati su un fondale d'oro.[95][116] Il califfo Hārūn al-Rashīd (r. 786-809) si vantava del possesso di un grande tappeto sasanide riccamente tempestato di gioielli. I Persiani solevano altresì scrivere poesie d'amore sui loro tappeti.[114]

Vestiario
  Lo stesso argomento in dettaglio: Abbigliamento sasanide.

Ammiano Marcellino (330/332-pre 401) rimase colpito dalla magnificenza degli abiti sasanidi, «brillanti di molti colori scintillanti» e ricoperti d'oro, gemme e perle.[117] L'abbagliamento maschiale è quello meglio testimoniatoci dalle fonti artistiche: in linea con la tradizione iranica, era un vestiario appropriato ed applicabile alla pratica dell'equitazione: pantaloni larghi, stivali, tunica al ginocchio legata con una cintura (pal. kamar) e un pesante caffettano con cintura che diventa un capo incredibilmente sontuoso alla fine del periodo.[118] Il dato è fondamentale soprattutto se ricordiamo che la spina dorsale dell'esercito sasanide era composto dalle forze di cavalleria e che, quindi, per estensione, ogni uomo libero sasanide era un cavaliere.[119] L'abito delle donne di basso ceto sociale, ancora al tempo di Cosroe II (r. 590-628), perpetuava il modello partico,[120] riscontrabile anche nella moda femminile kusana,[121] della lunga tunica derivata dal chitone greco, senza cintura e con maniche lunghe, oppure smanicato e chiuso sotto il seno da una cinta, abbinata ad un velo drappeggiato intorno alla parte inferiore del corpo e passato sopra la spalla sinistra, di nuovo apparente derivato dal himation greco in uso anche alle matrone romane, indossato o allacciato alle spalle o tirato sopra la testa.[122] La nobildonna e, soprattutto, la regina avevano invece abiti più lussuosi: una veste diafana a maniche lunghe è cinta in vita da una cintura con nastro; un mantello leggero fluttua dalle spalle alle ginocchia, a volte fissato al petto da una chiusura composta da due cerchi con nastri pendenti plissettati; una collana di perline circonda il collo.[123]

Toreutica

 
Vaso in argento dorato con danzatrici (IV-V secolo) – Louvre.

La toreutica dell'argento, in particolare di piatti, rappresenta una delle produzioni più caratteristiche dell'Impero sasanide nonché una delle più problematiche da analizzare per i motivi predetti. Esistono diversi testi che menzionano la ricchezza dei re persiani e, tra XVIII e XX secolo, furono scoperti piatti d'argento e d'argento dorato poi confluiti in collezioni private a detrimento della ricerca storico-archeologica. La maggior collezione di questi pezzi è oggi al Ermitage di San Pietroburgo. La loro identificazione è eseguita tramite confronti con sigilli e monete e non mancano falsi, realizzati soprattutto nel corso dell'Ottocento ma disponiamo di un ampio corpus di opere ampiamente studiate e datate con vari gradi di certezza. La toreutica sasanide era spesso utilizzata come dono diplomatico, materia di scambio o di bottino, anche diversi secoli dopo la fabbricazione. Le fonti islamiche testimoniano che i pezzi erano ancora molto apprezzati nel X secolo. 

I metalli utilizzati erano anzitutto l'argento, di purezza e peso variabili a seconda del centro di produzione (centrale o provinciale) e della destinazione, e, in fase tarda fors'anche post-sasanide, il bronzo, con molto stagno e imitante i pezzi in argento. Anche le tecniche di decorazione sono varie. La più sofisticata consiste nell'inserire elementi d'argento a rilievo in una tacca nella parete di fondo che poteva essere scavato per rivelare la decorazione a rilievo o la decorazione può essere semplicemente incisa e/o cesellata. Piatti e ciotole sasanidi erano spesso in argento dorato, con motivi figurati.[124][125] Le analisi hanno rivelato che i fabbri sasanidi praticavano la doratura al mercurio;[126] rivestivano d'oro inizialmente i soli motivi (III-V secolo) e poi anche il fondo (V-VII secolo) dei pezzi. Sebbene l'oreficeria sasanide mostri una certa affinità con i modelli achemenidi, la sua influenza distintiva si estese a est, fino alla Cina e all'India, e a ovest, fino all'Europa.[127]

Diverse influenze caratterizzano la toreutica sasanide, come consueto nell'arte iranica. Nel V-VI secolo, vediamo la comparsa di ciotole con piede derivate da modelli occidentali, ciotole ovali e brocche derivate da modelli iranici orientali e stoviglie decorate a niello simili a vetreria che denotano un'influenza del Mediterraneo orientale. Un gruppo si ispira a pezzi tardo-partici ma la maggior parte delle opere sassanidi differisce dagli esempi di argenteria tardo-partica.

I prodotti della toreutica sasanide si dividono in:

  • Piatti – il tipo più comune e rappresentativo. Caratterizzati dalla presenza del piedistallo, raffigurano per la maggior parte scene di caccia, monarchi in trono e, più raramente, soggetti lezioni (es. banchetti dionisiaci). La superficie esterna può talvolta essere scanalata, con una decorazione che spesso rappresenta un animale, generalmente piuttosto naturalistica.
  • Vasi – i pezzi richiamano la produzione ceramica di Kish e Ctesifonte: pezzi grandi, alti 17-18 cm, con decorazione a sbalzo sul corpo, doratura su base e bordo, struttura piriforme. La decorazione è composta da motivi figurativi dionisiaci o mitologici.
  • Brocche e giare – una serie è influenzata dalle brocche d'argento tardoantiche (forma e decorazione): pezzi con corpo e bocchino ovoidali e collo cilindrico stretto; un'altra serie si desume dai rilievi rupestri ma è poco rappresentata nel corpus dei noti.
  • Ciotole e tazze – i pezzi hanno forme variegate (a piedi, emisferico, ellittico, ellittico e lobato), alcune addirittura uniche, come una ciotola molto profonda conservata al Hermitage. Le decorazioni non includono scene religiose o scene di guerra. Presente ma scarsa è la produzione dei rhyton, pezzi solitamente molto diffusi in area iranica, pur oggetto di raffigurazione su altri pezzi di toreutica.[128]

I piatti non erano destinati all'utilizzo ma solo all'ostentazione, mentre brocche, giare e tazze erano funzionali.

 
Rhyton sasanide con protome di donna e bufalo d'acqua (VII secolo) – Cleveland Museum of Art.[128]

La ricchezza dei pezzi, nonostante la loro dispersione in vari musei senza accurata analisi stratigrafico-archeologica, ha permesso la definizione di una cronologia di questa produzione artistica. Dal principio della dinastia e sino al 350 circa, la produzione era ad esclusivo beneficio delle élite sasanidi ed i soggetti raffigurati erano scene di caccia (di carattere celebrativo o religioso laddove, come anticipato, l'animale fosse simbolicamente collegato a concetti zoroastriani) o busti/ritratti dei reali. Nel secolo 350-450, la produzione decade ed i pezzi recano solo il tema del re cacciatore. Con Kavad I (r. 488-496, 498-531) e suo figlio Cosroe I (r. 531-579) la toreutica dell'argento torna agli antichi fasti con vecchi e nuovi soggetti quali banchetti dionisiaci, danzatrici, il calendario rituale zoroastriano, soggetti zoomorfi e fitoformi, semplici motivi geometrici, ecc. Contestualmente principia una produzione meno sontuosa, con pezzi in rame e lavorazioni e decorazioni più semplici, specchio dell'affermarsi di una nobiltà minore accanto ai magnati, interpretazione che permette anche di leggere sotto una luce diversa il diffondersi, soprattutto nella produzione periferica, di pezzi decorati con l'effige del re in trono a riaffermarne il potere dopo i torbidi del IV secolo.[129] La produzione sasanide continua per un po' dopo l'arrivo dell'Islam nelle regioni ancora dominate da sovrani indipendenti.

Le iscrizioni su questi oggetti sono per lo più tardive e non riflettono necessariamente l'epoca di creazione del pezzo, poiché spesso sono state aggiunte in un secondo momento. Generalmente riportano il peso in dracme o stateri (l'unità di misura permette di stabilire se l'iscrizione sia post-islamica o meno) e il nome del proprietario.

 
La "Coppa di Salomone" in oro, granato, cristallo di rocca e vetro – BnF, Gabinetto delle Medaglie.

Un pezzo particolarmente interessante è la c.d. "Coppa di Salomone", parte del tesoro di Saint-Denis dai tempi di Carlo il Calvo (r. 840-877), forse giunta in Francia con i doni del califfo Hārūn al-Rashīd (r. 786-809) per l'imperatore Carlo Magno (r. 768-814), oggi conservata nel Gabinetto delle Medaglie della Biblioteca nazionale di Francia. Non ascrivibile alla semplice toreutica, la coppa si compone d'una molteplicità di elementi. Nel centro campeggia un medaglione in cristallo di rocca raffigurante un re in trono (il seggio ha gambe a forma di cavalli alati e l'uomo regge una spada davanti a sé, in posa tipicamente sasanide). Tutt'intorno si allargano cerchi concentrici di cammei a facce lisce e rovesci in rilievo incastonati in una montatura d'oro, con vetro verde negli interstizi tra i montanti delle pietre e granati lungo il bordo. Il pezzo poggia su una base anulare d'oro. La datazione e l'origine dell'oggetto sono indefinite: potrebbe essere centroasiatico o, più probabilmente, sasanide. L'analisi della corona raffigurata collocherebbe il pezzo tra i regni di Kavad I (r. 488-496 e 498-531) e Cosroe II (r. 590-628).

Vetreria

Nonostante la quantità di reperti pervenutici, la vetreria sasanide rimane difficile da distinguere da quella dei periodi precedenti e successivi, poiché poche opere provengono da scavi, rendendo la datazione pressoché impossibile, né si conoscono centri di produzione vetraria sasanidi. La maggior parte del vetro è trasparente ma esiste anche vetro opaco di colore blu, viola o verde. Anche in questo caso vengono sviluppate numerose tecniche note da tempo: soffiatura, soffiatura in uno stampo, pressatura in uno stampo di modellazione, macchie e linee colorate, molatura e lucidatura a freddo per decorazione. Il vetro tagliato era già comune nel primo periodo sasanide.[130]

 
Pezzi di vetreria sasanide (VI-VII secolo) – MATM.[131]

Il vetro non decorato veniva utilizzato in semplici coppe a pareti dritte, calici a stelo, semplici bottiglie globulari, bottiglie piriformi con diaframmi nel collo e bottiglie con un solo manico. A scopo decorativo, venivano utilizzati solo motivi non figurativi di natura astratta. Le forme sono paragonabili a quelle del mondo romano. Esistono tre serie principali: (i) contenitori decorati con motivi ottenuti combinando faccette concave ed elementi lineari (linee, archi), alcuni dei quali forse databili all'inizio del periodo grazie al confronto con i ritrovamenti di Dura Europos; (ii) contenitori con motivi di copertura di sfaccettature concave sfalsate; e (iii) contenitori con dischi riservati. Veniva prodotto anche vetro soffiato a stampo, come bottiglie con costolature o motivi a nido d'ape. Tipici sono i vasi con decorazione a coda di rondine o a verruche a pinza.[130]

Coppe profonde con sfaccettature circolari poco profonde venivano esportate in Cina, da dove è giunto fino a noi un gran numero di oggetti in vetro sasanide.[132] I pezzi oggi ritenuti più esemplificativi della produzione sasanide sono un gruppo di vasi (ciotole poco profonde e aperte) con sfaccettature circolari, principalmente risalenti al VI-VII secolo.[131] Le predette bottiglie piriformi, modello ripreso anche dalla ceramica,[10][11] sembrano essere state realizzate per scopi speciali, poiché presentano dei fori al centro del fondo e potrebbero quindi essere state utilizzate come rhyton.[130]

Lascito

Prima ancora d'influenzare l'arte islamica, l'arte sasanide ebbe ovviamente modo d'influenzare significativamente l'arte dei due grandi imperi tra i quali i Sasanidi affermavano il loro dominio e cioè Roma (cui seguì Costantinopoli) e la Cina.

Arte romana e Arte bizantina

  Lo stesso argomento in dettaglio: Arte romana e Arte bizantina.

Sincreticamente a quanto occorso per il mosaico sasanide, anche il mosaico romano, in Siria, fu contaminato dalla produzione dell'impero rivale almeno a partire dal IV secolo. L'influsso iranico traspare dalla negligente resa prospettica, dalla stilizzazione delle figure umane e nella disposizione della decorazione,[133] oltreché dal ricorrere di stilemi decorativi chiaramente sasanidi, sia fitoformi (la rosetta floreale, il fiore che sboccia e l'albero stilizzato con frutti sovrapposti);[134] sia zoomorfe (l'uccello ed il leone con decori fluenti ed il simbolo regio sasanide delle due teste di cinghiale sormontate da un paio di ali).[134][135] Questo influsso orientaleggiante/persiano si riscontra a vari livelli in tutto l'areale romano a contatto con la sfera sasanide: così, nei predetti tessuti antinopolitani, stante la formale differenza tra manufatti egizi (torsione a S) e manufatti iranici (torsione a Z), tutti i pezzi presentano decorazioni persiane.[112]

 
Capitello dalla basilica di San Polieucto con decorazioni fitoformi sasanidi (VI secolo, Istanbul) – IAM.

L'arte bizantina primitiva mostra influenze sasanidi a partire dalla scultura architettonica della grande basilica di San Polieucto, costruita da Anicia Giuliana a Costantinopoli nel 524-527, che fu la chiesa più grande della capitale bizantina fino alla riedificazione di Hagia Sophia.[136] Nel tempio, i motivi fitoformi sui capitelli ed i piedritti, un insieme di fregi di palmette e foglie di melograno e giochi simmetrici di motivi vegetali e geometrici, sono chiaramente sasanidi. Decori simili divennero sempre più diffusi nel VI secolo e furono usati anche per la decorazione di Hagia Sophia durante la ristrutturazione giustinianea del 532.[137]

Interessanti sviluppi si verificarono anche in Armenia, terra contesa tra Roma e la Persia per secoli, interessata sia da una forte comunità cristiana sia da una proterva comunità zoroastriana, che al tempo del Regno d'Armenia (321 a.C.-428 d.C.) finì formalmente smembrata tra bizantini e sasanidi nel 428. Si ritiene che ivi l'influenza dello shāhār taq sasanide funse da modello per lo sviluppo della pianta a croce greca inscritta o "pianta quinconciale" poi iconica dell'architettura bizantina. Molti tessuti con motivi sasanidi sono poi pervenuti, per tramite dell'Armenia ancor prima che delle Crociate, nei tesori delle chiese occidentali ma, come anticipato, causa la mancanza di datazione certa non sappiamo se si tratta di manufatti sasanidi, post-sasanidi o finto-sasanidi. Uno degli esempi più eloquenti è un tessuto conservato al Louvre, la c.d. "Sindone di San Giudoco", proveniente dall'abbazia di San Giudoco e realizzata nel 901 probabilmente nella Persia islamica post-sasanide che riprendeva i motivi di elefanti dei tessuti rappresentati sui rilievi di Taq-e Bostan.[138]

I ricercatori ritengono addirittura che lo sviluppo delle volte nell'architettura romanica sarebbe stato influenzato, via la mediazione bizantina, più o meno fortemente dai Sasanidi.

Arte cinese

  Lo stesso argomento in dettaglio: Arte cinese.

Anche il mondo dell'Estremo Oriente fu toccato da queste influenze, anche se sembrano un po' meno visibili.[139] Così, un tessuto cinese in seta dipinta conservato a Shōsō-in (Nara, Giappone) e datato all'anno 731 e presenta motivi di influenza tipicamente sasanide (es. stambecchi alati), rientrando quindi nel novero dei tessuti sasanidi o post-sasanidi veicolati dall'ecumene islamico.

Arte islamica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Arte islamica.

Il passato iraniano pesa notevolmente sulle arti dell'Islam. La più grande eredità sasanide si trova nell'arte islamica, poiché la conquista araba portò all'integrazione iranica dell'impero califfale con il successivo exploit del c.d. "Intermezzo iraniano" (IX-X secolo) che portò addirittura ad un vero e proprio revival per la cultura e l'arte sasanide in seno all'Islam,[140] mentre i bizantini rimasero nemici. Tuttavia, l'Islam conservò sì alcuni concetti del passato sasanide cercando però al contempo di proporre dei canoni nuovi che sopprimessero quelli vecchi.[114]

Architettura e urbanistica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Architettura islamica.

Diversi elementi architettonici sono ripresi nell'architettura islamica. Gli iwan, che si trovano nelle planimetrie delle moschee iraniane come la Moschea del Venerdì (Isfahan), iniziata nel X secolo. Anche altri edifici (palazzi, madrase, khan, case con cortili interni, ecc.) utilizzano questo modulo, soprattutto a partire dal X secolo, tra l'Asia Minore e l'Afghanistan. Edifici con cupole su pennoni si trovano anche nei mausolei, in particolare nel Mausoleo Samanide di Bukhara. Questa combinazione si ritrova anche nelle abitazioni dell'Iran e dell'Asia centrale. La pianta di Firuzabad, una città completamente circolare, fu ripresa nella Città Rotonda di al-Mansur.[141]

Anche l'organizzazione dell'architettura riflette l'influenza sasanide:[141]

  • il "shāhār taq" sasanide influenza direttamente l'Imamzadeh islamico, con conseguenti difficoltà d'identificazione;
  • la torre del silenzio zoroastriana, come anticipato, è manifestazione di un mondo iranico ormai musulmano che ancora pratica i rituali mazdeisti. L'edifico influenzò le torri funerarie iranico musulmane come la celebre Torre di Gonbad-e Kavus;[142]
  • la combinazione di grandi stanze ufficiali e di alloggi si ritrova quindi tra i Safavidi, nei palazzi del piacere di Isfahan come il Palazzo Ali Qapu, il Chehel Sutun e il Hasht Behesht.

Interessante, in ultimo, il caso della Cittadella di Amman, costruita e decorata in stile sasanide ma con la tecnica locale giordana della pietra tagliata. Il suo nucleo è costituito da una camera a cupola preceduta da un iwan che si affaccia su un piccolo cortile.[141]

Motivi ornamentali

  Lo stesso argomento in dettaglio: Arte omayyade.
 
L'affresco del cavaliere sasanide nel Qasr al-Hayr al-Gharbi.[143]

Le immagini e i motivi ornamentali sasanidi sono diffusi in tutto il mondo medievale, in particolare nei tessuti. Nell'arte islamica, i motivi sasanidi si diffusero sin dal tempo degli Omayyadi (661-750).[143] I castelli omayyadi nel deserto recano diversi segni dell'influenza sasanide. A Qasr al-Hayr al-Gharbi troviamo due grandi affreschi, uno di chiara influenza sasanide (musicisti, danzatori e un cavaliere che caccia gazzelle in un parco) e l'altro greco-romana.[143] Nel Palazzo di Hisham si ripete la combinazione d'influenze bizantino-sasanidi, a riprova dell'impiego di maestranze straniere, siriane quanto iraniche, già riportato dallo storico sasanide convertitosi all'Islam ʿAbd Allāh ibn al-Muqaffaʿ († 756): ritorna la figura del cavaliere/gentiluomo (un califfo?) in abiti persiani affiancato questa volta da cavalli alati nel diwan e da rilievi in stucco.[144] Anche nella Grande moschea degli Omayyadi (Damasco) e nella Cupola della Roccia (Gerusalemme)[145] si ravvisano decorazioni sasanidi facilmente riconducibili alle maestranze impiegate nell'erigenda.[146]

Tecniche

Molte tecniche utilizzate nel mondo islamico derivano direttamente da quelle sasanidi anche perché gli artigiani iranici continuarono la loro attività anche dopo la conquista senza stravolgimenti nelle forme e nei contenuti, perpetuando così ancora per secoli tecniche, modelli e stilemi decorativi.[147][148] La lavorazione dell'argento sasanide, per esempio, restò in uso fino X secolo, cessando solo nel secolo successivo. Anche lo stucco sasanide attecchì e si sviluppò nel mondo islamico, tanto in Iran (Nizamabad, Chal Takhan) quanto in Siria (l'abbiamo già citato nel palazzo di Hisham),[144] Giordania (Khirbat al-Mafjar), ecc. L'arte rupestre, iconica dei Sasanidi, fu invece ripresa solo in epoca tarda dall'ultima dinastia reale persiana, i Qajar (1794-1925).[149]

Note

Esplicative

  1. ^ a b c La corona sasanide è sempre composta da un korymbos o globo, cioè una massa di capelli, veri o finti, assemblati in una sfera e ricoperta da un tessuto leggero più altri elementi distintivi che variavano di re in re. Stante l'attuale lavoro di catalogazione ed identificazione promosso dalla SNS, una tabella riassuntiva delle differenti corone dei sovrani sasanidi era già stata presentata in Frye 1983, p. 135. La corona delle divinità sasanidi era invece sempre uguale e caratterizzata dal suo bordo merlato (v.si Chaumot 1958).
  2. ^ Shāh-Nāmeh.
    «Iniziò la grande lotta tra due cavalli e due uomini coraggiosi come lupi, due cavalieri come leoni affamati e furiosi al momento della caccia. Si attaccarono a vicenda con le loro lunghe lance e quando il sole divenne più ardente nel cielo le loro lance non avevano più ferro e le gualdrappe e le redini dei loro cavalli erano inzuppate di sudore.»
  3. ^ Il terrapieno comparve in Iran per diretta influenza europea non prima del XVIII secolo(DE) Wolfram Kleiss, Europäische Befestigungsarchitektur in Iran, in AMI, vol. 13, 1980, p. 167.

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Bibliografia

Fonti

Studi

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Consultazione

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

In italiano
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In altre lingue