Cucina napoletana

tradizione culinaria di Napoli

La cucina napoletana ha antichissime radici storiche che risalgono al periodo greco-romano, e si è arricchita nei secoli con l'influsso delle differenti culture che si sono susseguite durante le varie dominazioni della città. Importantissimo è stato l'apporto della fantasia e creatività dei napoletani nella varietà di piatti e ricette oggi presenti nella cultura culinaria partenopea.

Litografia tratta da un originale di Teodoro Duclère (18161869), intitolata "Il tavernaio".
Totò nel film Miseria e nobiltà
(napoletano)
«'O purpo se coce int' all'acqua soja.»
(italiano)
«Il polpo si cuoce nella sua acqua.[1]»

In quanto capitale del regno, la cucina di Napoli ha acquisito molto dalle tradizioni culinarie dell'intera Campania, raggiungendo un connubio tra piatti di terra (pasta, verdure, latticini) e piatti di mare (pesce, crostacei, molluschi). Una vasta gamma di ricette risente delle influenze della cucina dei nobili, come timballi e sartù di riso, dalla preparazione elaborata, mentre quelle più popolari sono caratterizzate da ingredienti poveri ma nutrienti, come pasta e fagioli ed altre a base di legumi.

Notizie storiche

 
Piatto greco con pesci, probabilmente atto a contenere portate di mare (Altes Museum, Berlino). Provenienza: Magna Grecia.
 
Un affresco di Pompei con frutta, che può suggerirci alcuni dei gusti a tavola degli antichi romani. Provenienza: museo archeologico di Napoli.
 
Un affresco di Pompei con un'aragosta e diversi molluschi, già ingredienti della cucina romana. Provenienza: Museo archeologico di Napoli.

Non è sempre banale ritrovare riferimenti diretti alla tradizione culinaria del periodo greco-romano. Tra le tracce dei gusti culinari classici, diversi piatti di fattura greca raffigurano pesci e molluschi, segno del consumo di piatti di mare in quell'epoca. In diversi affreschi pompeiani sono rappresentati cesti di frutta (fichi, melograni), mentre nella villa di Poppea ad Oplontis è dipinto un dolce, di cui non è dato conoscere gli ingredienti. Si può far probabilmente risalire al garum romano la colatura d'alici tipica di Cetara, ed è forse una reminiscenza del gusto agrodolce tipico della cucina di Apicio e degli antichi romani l'uso di condire diversi piatti salati con l'uva passa, come nella pizza di scarole, o le braciole al ragù. Anche l'impiego del grano nella pastiera, dolce tipico di Pasqua, potrebbe avere un valore simbolico legato ai culti di Cerere ed ai riti pagani di fertilità celebrati nel periodo dell'equinozio di primavera[2]. Dal vocabolo greco στρόγγυλος, stróngulos, che significa "di forma tondeggiante"[3] prendono il nome gli struffoli natalizi. Ed il nome della pizza, infine, deriva probabilmente da pinsa, participio passato del verbo latino pinsere[4], che vuol dire schiacciare.

Dalle varie dominazioni, principalmente quella francese e quella spagnola, si è delineata la separazione tra una cucina aristocratica ed una popolare[5]. La prima, caratterizzata da piatti elaborati e di ispirazione internazionale, sostanziosi e preparati con ingredienti ricchi, mentre la seconda legata ad ingredienti della terra: cereali, legumi, verdure. A seguito delle rielaborazioni avvenute durante i secoli, e della contaminazione con la cultura culinaria più nobile, spesso anche i piatti con ingredienti più semplici risultano molto gustosi.

Tra i primi autori che riportano ricette napoletane, troviamo Cristoforo di Messisburgo[6], attivo presso gli Estensi, e fatto Conte Palatino da Carlo V nel 1533, che riporta:

«A fare dieci piatti di maccheroni alla napoletana

Piglia libbre 8 di fiore di farina, e la mollena[7] d'un pane grosso boffetto, mogliato in acqua rosata, e uova fresche quattro, e oncie 4 di zuccaro; e bene impasta ogni cosa insieme, e fa bene la tua pasta, menandola per un pezzo. Poi ne farai spoglie più tosto grossette che sottili, e le tagliarai in liste strette e longhette; e farai che stiano alquanto fatti. Poi li cuocerai in brodo grasso bogliente, e li imbandirai nei piatti o sopra capponi o anadre o altro, con zuccaro e cannella dentro e di sopra. E per li giorni da pesce, li cuocerai nell'acqua senza butiro, o con butiro fresco se vorrai.»

Più avanti, sempre nel '500, Bartolomeo Scappi, cuoco pontificio, fa altri riferimenti alla cucina napoletana. Tra questi la ricetta «Per fare torta reale di piccioni, da' Napoletani detta pizza di bocca di dama» oppure «Per fare torta con diverse materie, da' napoletani detta pizza». A quei tempi, il termine pizza non si riferiva necessariamente alla pietanza alla quale siamo abituati oggi. Scrive infatti lo Scappi:

«Abbisi once sei d'amandole ambrosine monde e quattr'once di pignoli ammogliati mondi e tre once di dattoli freschi privi dell'anime e tre once di fichi freschi, tre once di zibibbo senz'anime, et ogni cosa pestisi nel mortaro, sbruffandole alle volte d'acqua rosa, di modo che venga come pasta; giungasi con esse materie otto rossi d'ova fresche crude, once sei di zuccaio, un'oncia di cannella pista, un'oncia e mezza di mostaccioli napoletani muschiati fatti in polvere, quattro once d'acqua rosa; e fatta che sarà d'ogni cosa in una composizione, abbisi la tortiera onta con uno sfoglio di pasta reale et il tortiglione sfogliato incirca non troppo grosso, e mettasi la composizione in la tortiera, mescolata con quattro once di butiro, facendo che non sia più alta d'un dito, e senza essere coperta facciasi cuocere al forno e servasi calda e fredda a beneplacito. In essa pizza si può mettere d'ogni sorta condite.»

Nel '600 anche Antonio Latini cita esempi di cucina napoletana, come la minestra di foglia alla napoletana:

«Si piglia una gallina e si mette a bollire insieme con la vacca, quando questa sarà più che mezza cotta, accioché la gallina non si disfaccia; e vi si mettono dentro lingue salate di porco, ma bollite, carne salata che prima sia stata a mollo, una soppressata, un pezzo di filetto, un pezzo di ventresca di porco, ossa mastre, annoglio, un pezzo di lardo battuto con il suo sale, a proporzione; e quando saranno le sopradette robbe cotte, metterai il brodo che raccoglierai dentro un tegame, tagliando le sopradette robbe in fette e la gallina ancora o cappone; tenendo ogni cosa da parte, metterai nel brodo un terzo della sudetta robba tagliata, e poi v'aggiungerai torzi ripieni, cocuzze e cipolle parimenti ripiene di vitella battuta con rossi d'ova, un poco di mollica di pane ammollato nel brodo, passarina, pignoli, a suo tempo, acini d'agresta e il pastume che avrai fatto servirà per riempire tutte le sopradette robbe, con le solite spezierie ed erbette odorifere. Vi potrai anche aggiungere la lattuga o la scarola ripiena; l'altra carne che sarà restata, l'anderai accomodando con ordine dentro il tegame o in un altro vaso, framezzata con fettarelle di fianchetto ripieno, con zizza prima bollita, salsiccia spaccata per metà; levatele la sua pelle, fette sottili di cascio parmiggiano grattato, fonghi di Genova, prima dissalati e bolliti con ossa mastre, avvertendo che sia il brodo buono, che sarà una minestra di buon gusto ...»

Sicuramente uno dei più grandi cuochi che si distinsero tra il '700 e l'800 nelle corti nobiliari di Napoli fu Vincenzo Corrado, al quale si devono preparazione di timballi ed altre ricette elaborate, preparazioni di carne di cacciaggione e descrizioni di sontuosi banchetti.

Le prime informazioni sulle ricette della classe napoletana più povera ci vengono da Matilde Serao che, nel Ventre di Napoli descrive alcune ricette popolari, tra le quali la zuppa di meruzze e la zuppa di freselle con il brodo di polpo.

Ingredienti principali

La pasta

 
Giorgio Sommer (1834-1914), "Napoli - Fabbrica di maccheroni". Fotografia colorita a mano. Numero di catalogo: 6204.

La varietà di pasta napoletane è tale che giustificherebbe un capitolo a parte. Nella cucina napoletana è molto più diffusa la pasta di semola di grano duro, di produzione industriale, rispetto alle paste fatte in casa, che sono molto più diffuse nell'entroterra campano ed in altre regioni d'Italia. La produzione industriale della pasta nel napoletano risale almeno al XVI secolo, quando a Gragnano[9] si trovavano le condizioni ideali per essiccarla e conservarla. A Napoli sono considerati molto importanti anche i tempi di cottura della pasta, che deve essere ben "al dente", in particolare se deve essere successivamente mantecata in padella.

Tra le varietà più diffuse vi sono, oltre a quelle più classiche, come spaghetti, linguine e bucatini, anche i formati tipici locali, come i paccheri e gli ziti, che tradizionalmente vengono spezzati a mano, prima di essere cotti e conditi con il ragù. Per la preparazione di pasta con i legumi viene usata anche la pasta mista (pasta ammescata), una volta venduta a prezzo più basso perché risultante dai rimasugli spezzati degli altri formati, ma oggi venduta come un formato a sé stante. Da non trascurare sono gli gnocchi, preparati con farina e patate. Vi sono anche formati meno tradizionali, ma oggi molto diffusi, tra i quali gli scialatielli.

Il pomodoro

 
Il Pomodoro, fresco o come prodotto dell'industria conserviera, è un ingrediente principe della cucina napoletana.

Il pomodoro, originario dall'America, fu importato in Europa dagli spagnoli nel XVI secolo, ma venne ignorato dal punto di vista alimentare per circa due secoli. Lo si trova citato per la prima volta nel 1743 in un canto di carnevale, ma solo tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX secolo divenne comune a molte ricette, e la sua coltivazione si diffuse fino a diventare una delle più importanti della Campania. Tra le varietà più famose a Napoli vi è il pomodoro Sammarzano, quasi estinto alla fine del XX secolo e recentemente recuperato alle coltivazioni. Importanti sono i pomodorini del Vesuvio che si conservano a lungo raccolti a grappolo da appendere fuori al balcone ('o piennolo).

A Napoli è sorta l'industria conserviera che ha portato in tutto il mondo i celebri "pelati" e il "concentrato" di pomodoro. Molti sono poi i metodi casalinghi di conservarlo, dai pomodori in bottiglia, fatti a pezzi oppure passati per essere sempre pronti alle utilizzazioni più varie, alla famosa "conserva" in cui il pomodoro viene stracotto e concentrato fino a diventare una crema scura e vellutata.

Ortaggi e verdure

 
La pucchiacchella, pianta spontanea, una volta venduta per l'insalata insieme alla rucola da ortolani ambulanti.

I piatti a base degli ortaggi dell'agro campano, come la parmigiana di melanzane o i peperoni ripieni, possono diventare veri e propri protagonisti della tavola. Tra i prodotti più tipici vanno ricordati i friarielli, la scarola liscia o riccia, diverse varietà di broccoli, la verza e le verdure da minestra. Diffusissimi sono tutti i tipi di legumi.

Le zucchine sono ampiamente utilizzate; le più grandi vanno preparate fritte e con l'aceto e la menta (a scapece). I fiori maschili delle zucchine si possono preparare fritti in pastella (i sciurilli)[10]. Oltre ai normali peperoni di grosse dimensioni, rossi e gialli, tipici sono i peperoncini verdi dolci, che si preparano fritti. I carciofi più pregiati sono le cosiddette mammarelle, grandi, tondeggianti e con venature violacee alle foglie. Sono ideali per essere gustati semplicemente lessati con un pinzimonio di olio extravergine di oliva e sale.

L'insalata accompagna molti piatti, specialmente quelli a base di pesce. Più spesso della lattuga viene impiegata l'incappucciata (simile a quella che oggi viene chiamata iceberg), più croccante, che viene mescolata anche a carote, finocchio, rucola (che una volta veniva raccolta spontanea nelle campagne e venduta dagli ambulanti insieme alla meno nobile pucchiacchella), e ravanelli, tradizionalmente quelli lunghi e più piccanti, oggi sempre più rari e quasi completamente sostituiti da quelli tondi e più dolci.

Le olive nere usate nella cucina napoletana sono quelle di Gaeta.

In epoca di guerra non era raro usare anche gli ingredienti di scarto di legumi e verdure. Sono in letteratura riportate ricette di pasta con i baccelli di fave o piselli[11].

Formaggi e latticini

 
La mozzarella di bufala è il latticino più tipico della Campania.
«...pigliala con due dita, premi la mozzarella, se cola il latte te la pigli, se no desisti!»

Presenza importante nella cucina napoletana e campana sono i latticini. Tra questi vanno ricordati:

  • La ricotta di fuscella[12], freschissima e leggera, venduta originariamente in cestini vegetali
  • La ricotta fresca, che viene consumata sia fresca, che come condimento (ad esempio, sulla pasta al ragù)
  • La ricotta salata, più stagionata, tipica del periodo di Pasqua
  • La caciottella fresca[13] della penisola sorrentina, dal sapore molto delicato
  • La mozzarella di bufala, prodotto a pasta filata, la cui produzione è concentrata soprattutto nella zona dell'aversano e nella piana del Sele
  • Il fiordilatte[14], preparato con latte vaccino, che ha la sua migliore produzione nella zona di Agerola
  • La provola affumicata[15], un fiordilatte aromatizzato al fumo di legno di leccio, colorata esternamente marrone, ed internamente giallognola, dal gusto intenso
  • I bocconcini del cardinale[16], o burrielli, mozzarelline conservate in anfore di terracotta e immerse nella panna o nel latte
  • Le scamorze, bianche o affumicate
  • Il burrini[17] di Sorrento, piccoli provoloncini dal cuore di burro
  • I bebè[18], i provoloni[19] e i caciocavalli[20][21] di varia stagionatura.

Pesce e frutti di mare

  Lo stesso argomento in dettaglio: Nomi comuni dei pesci.
 
Pesci in un mosaico di Pompei. Museo archeologico di Napoli
 
I Cicenielli sono una delle prelibatezze di mare della cucina napoletana.

Tutto il pesce del Tirreno è abbondantemente presente nella cucina napoletana. Molto apprezzati sono anche i pesci meno pregiati e più economici, tra i quali soprattutto le alici. Ottimo è il pesce per la zuppa: scorfani, tracine, cuocci[22], così come pesci di media e grande taglia, tra i quali spigole e orate, ormai venduti prevalentemente da itticoltura, o come dentici, saraghi e pezzogne[23]. Anche pesci di piccolissimo taglio sono usati:

  • I cicenielli, novellame di pesce azzurro, piccolissimi e trasparenti, cotti lessi o con la pastella.
  • I fravagli, lunghi pochi centimetri, principalmente di triglia o retunni[24], tipicamente da fare fritti.

Il baccalà, importato dai mari del nord Europa, viene preparato fritto o anche con le patate e pomodoro.

Molti cefalopodi sono utilizzati (polpi, seppie, calamari), così come i crostacei. I frutti di mare: cozze, cannolicchi, taratufi[25], fasolari, telline[26], sconcigli[27] e maruzzielli[28], sono ancora oggi talvolta consumati anche crudi, sebbene sempre più raramente rispetto a qualche decennio fa. Una nota particolare la merita la definizione di vongola verace[29], da non confondere con la vongola filippina[30], spesso chiamata verace nei mercati del nord Italia, ed il lupino[31].

Da deprecare è il consumo di datteri di mare[32], per fortuna oggi vietato per legge, in quanto per la loro pesca vengono seriamente danneggiate le costiere calcaree, prevalentemente della penisola sorrentina.

Le carni

La carne non è troppo usata nella cucina napoletana, anche perché era un ingrediente che scarseggiava presso le mense dei poveri. Non troviamo quindi nella tradizione filetti, costate o tagliate di carne, ed anche il taglio della carne può risultare deludente per gli standard del nord e centro italia. I tagli di maiale preferiti sono le tracchie ossia le costine, molto grasse, che sono cotte soprattutto nel ragù, e le braciole, che vengono avvolte con un ripieno di uvetta, pinoli ed altri aromi, richiuse con gli stuzzicadenti, e cotte con il ragù. Le salsicce a Napoli sono preparate con la carne tagliata grossolanamente (a ponta 'e curtiello). Una interessante variante è costituita dalle cervellatine, più sottili delle regolari salsicce.

Capretto e agnello si gustano cucinati con patate e piselli al forno, specialmente in occasione di Pasqua; il coniglio ha la sua migliore preparazione all'ischitana e il pollo viene rosolato alla cacciatora col pomodoro.

Sono diffusi anche interiora e frattaglie varie: i fegatini di maiale, avvolti dalla tipica rete di grasso ed una foglia d'alloro, la trippa, i tipici 'o pere e 'o musso, e la piccante zuppa di soffritto, utilizzata per condire la pasta o come sugo sulle freselle.

Il Pane

 
Pagnotta carbonizzata ritrovata a Pompei. Provenienza: Museo archeologico di Napoli.

Il pane più utilizzato è il "pane cafone", cresciuto a lievitazione naturale, cotto a legna, con grossi buchi all'interno e dalla scorza croccante. Sono anche diffusi gli sfilatini, rimembranze delle baguette francesi, ma più corti e un po' più larghi, e le rosette, piccoli panini tondi.

Primi piatti

 
Carlo Brogi (1850-1925) - "Napoli - Macchronaio napoletano - Scena dal vero". Numero di catalogo: 10458

La varietà dei primi piatti nella cucina napoletana è molto vasta, e comprende sia piatti molto semplici, come pasta al pomodoro e basilico o il semplicissimo aglio e uoglio (aglio e olio) fino a preparazioni elaborate, tra le quali il ragù che può richiedere, nella versione più tradizionale, cinque o sei ore di preparazione[33]. I primi piatti si rifanno a due tradizioni complementari: una cucina povera, basata su principalmente su ingredienti della terra, ed una cucina più ricca, dove hanno posto frutti di mare o carne in preparazioni talvolta elaborate.

Primi piatti poveri

 
Gli spaghetti aglio, olio e peperoncino sono una delle più semplici ricette napoletane.

Tra gli alimenti più poveri ci sono le freselle, ciambelle biscottate di pane duro, dalla facile conservazione, che, bagnate, sono la base della caponata[34], condite con aglio, olio, origano e basilico.

La cucina più povera abbina spesso la pasta con i legumi. Popolarissime sono: pasta e fagioli, conditi con le cotiche, pasta e ceci, pasta e lenticchie, e pasta e piselli. Ormai è rarissimo l'uso delle cicerchie. In maniera analoga ai legumi sono preparate pasta e patate, pasta e cavolfiore, pasta e zucca. Il metodo di cottura della cucina più popolare consiste nel far cuocere prima i condimenti (ad esempio, soffriggere l'aglio nell'olio, quindi aggiungere i fagioli lessati, oppure soffriggere la cipolla ed il sedano ed aggiungere le patate tagliate a cubetti), quindi allungare con l'acqua, portare ad ebollizione, salare, ed aggiungere la pasta cruda. La pasta, cuocendo insieme ai condimenti, conserverà l'amido, che invece viene perso se la pasta viene cotta a parte e poi scolata. Questo procedimento rende il sugo della pasta più cremoso ("azzeccato"), ed è contrapposto ad una tradizione più "nobile" che preferisce preparare questi piatti in maniera più brodosa, aggiungendo alla fine la pasta cotta a parte. Per un primo piatto povero ma più nutriente, la pasta può essere semplicemente condita con uovo alla stracciatella e formaggio, la cosidetta pasta caso e ova.

 
Un piatto di spaghetti alla puttanesca.

Gli spaghetti, conditi con sugo di pomodoro, ulive di Gaeta e capperi prendono il nome di spaghetti alla puttanesca. Fantasiosa è anche la ricetta ideata per le tavole più povere, in assenza di costosi frutti di mare: gli spaghetti conditi con un sugo di pomodorini con aglio, olio e prezzemolo vengono definiti spaghetti alle vongole fujute, dove le vongole sono presenti solo nella fantasia dei commensali.

La frittata di maccheroni

La frittata si può preparare anche con gli avanzi di pasta, sia in bianco che conditi col sugo di pomodoro. Si mescola la pasta cotta al dente con uovo battuto e formaggio. Può essere arricchita con svariati ingredienti. Cotta su entrambi i lati, se ben fatta risulta compatta, e può essere anche tagliata a fette e consumata durante gite fuori porta.

Primi piatti più ricchi

La cucina aristocratica usa la la pasta per preparazioni elaborate, come timballi, poco utilizzati ormai nella cucina di ogni giorno. Il sartù di riso è un timballo a base di riso ripieno di fegatini di pollo, salsicce, polpettine di carne, fior di latte o provola, piselli, funghi, e condito con ragù, o, nella versione "in bianco" con besciamella.

Tra i piatti "ricchi", ma comunque di uso comune, vi è la pasta condita con diversi sughi, come:

  • La bolognese, vagamente ispirata al ragù emiliano, preparata con un trito di carota e cipolla, carne macinata e pomodoro
  • La genovese, che non ha niente a che fare con Genova, ed è preparata con un sugo di carne a base di abbondante cipolla rosolata ed altri aromi

Con il ragù sono tradizionalmente conditi gli ziti, lunghi maccheroni cavi, che vengono spezzati a mano prima della cottura. Il ragù viene anche usato, insieme al fiordilatte, per condire gli gnocchi alla sorrentina, che sono poi tradizionalmente ripassati a forno in un pignatiello, tipico pentolino monoporzione di coccio.

Primi piatti di pesce

 
Gli Spaghetti alle vongole sono il primo piatto di mare più popolare.

Spaghetti, linguine e paccheri sono abbinati benissimo a frutti di mare e pesce. Di qui i piatti tipici da pranzi importanti (matrimoni, in particolare). I più tipici sono:

Ma esistono moltissime altre varianti, ad esempio gli spaghetti con il sugo in bianco del merluzzo. La cucina povera a base di legumi si può abbinare ai frutti di mare, così da avere, ad esempio, pasta e fagioli con le cozze, o varianti più moderne come zucchine e vongole o cozze, che però finiscono per perdere ogni connotazione tradizionale.

Piatti di riso

Oltre al già citato sartù di riso, nella cucina più povera, viene preparato tipicamente il riso con la verza, insaporito da scorzette di formaggio parmigiano che fondono durante la cottura. A base di pesce, invece è il risotto alla pescatora che si prepara con molluschi vari (vongole, lupini, polpi seppie, calamari), crostacei (gamberi, scampi) e con un brodo ottenuto dalle scorze di questi ultimi. Sono anche diffusi anche a Napoli gli arancini (detti in napoletano palle 'e riso).

La pizza

  Lo stesso argomento in dettaglio: Pizza napoletana.
 
La pizza Margherita, realizzata in onore della regina Margherita di Savoia nel 1889 dal pizzaiolo Raffaele Esposito.
File:Authentic Neapolitan Pizza Marinara.jpg
La pizza marinara è forse la pizza napoletana più tradizionale.

La pizza è forse il più celebre prodotto gastronomico di tutta la cucina napoletana. Le sue radici sono antichissime, sicuramente risalenti almeno all'epoca romana, quando erano diffuse diverse focacce di grano, citate in alcune opere di Virgilio[35]. Il nome, infatti, probabilmente deriva dal latino pinsa[4], participio passato del verbo pinsere, che significa schiacciare. La pizza vera e propria, ricoperta di salsa di pomodoro, risale a poco più di due secoli or sono, e fu presto popolarissima sia presso i napoletani più poveri e che presso i nobili, compreso i re Borbone. Il successo della pizza conquistò anche i sovrani piemontesi, tanto è vero che proprio alla regina Margherita di Savoia nel 1889 il pizzaiolo Raffaele Esposito dedicò la "pizza Margherita" che rappresentava il nuovo vessillo tricolore con il bianco della mozzarella, il rosso del pomodoro ed il verde del basilico. La cottura della vera pizza necessita il forno a legna che riesce a raggiungere alte temperature tra i 450 e i 485°C[36]. Per questo motivo, sia la pizza fatta in casa che quella preparata nei locali che utilizzano forni elettrici non riescono a pareggiare l'inconfondibile ed unico sapore della vera pizza napoletana.

Secondi piatti di mare

Fra le ricette di pesce, primeggiano i polpi alla luciana, così detti dal popolare rione di Santa Lucia nel quale nacquero, cotti con peperoncino piccante e l'immancabile pomodoro. Il polpo si prepara anche semplicemente lesso, all'insalata, condito con limone, prezzemolo, ed olive verdi. In una maniera più ricca, viene preparata l'insalata di mare dove oltre al polpo si usano seppie, calamari e gamberi.

Il pesce di media taglia viene spesso cucinato all'acqua pazza, ossia con pomodorino e prezzemolo; quelli di taglia più grande anche semplicemente grigliati, accompagnati, nelle occasioni più importanti, da gamberoni e mazzancolle.

Le cozze sono preparate in vari modi tra cui semplicemente all'impepata, rapidamente lessate e pepate, e condite con qualche goccia di succo di limone, che ogni commensale spremerà sui singoli mitili. Vongole ed altri frutti di mare sono gustati spesso sauté, passati in padella con aglio ed olio, e serviti su crostini, o al gratin, gratinati a forno con pangrattato.

Anche il pesce meno nobile viene spesso usato per gustose ricette. Tra queste:

  • Le alici dorate e fritte, spinate e passate in farina ed uovo prima di essere fritte.
  • Le alici marinate, sia in succo di limone che aceto.
  • Le alici arreganate, spinate e cotte rapidamente in tortiera con aglio, olio, origano e condite con succo di limone o aceto.

I cicenielli, piccolissimi pesci, sono preparati lessi o con fritti un una leggera pastella, così come le alghe di mare. La frittura di paranza è di solito fatta con merluzzetti, triglie, fricassuari (piccole sogliolette), ma possono esserci anche altre varietà di pesce di piccolo taglio, come alici o mazzoni (ghiozzi). La frittura va mangiata caldissima (frijenno magnanno, si suole dire in napoletano). I piccoli gamberetti di nassa, i più freschi venduti ancora vivi e saltellanti, sono fritti rapidamente, e senza essere prima infarinati, come invece avviene per la paranza.

Secondo piatti di carne

I secondi di carne non sono troppo vari nella cucina napoletana. Oltre ai già citati pollo alla cacciatora e coniglio all'ischitana, sono preparate salsicce o cervellatine, che tradizionalmente sono fritte e accompagnate da contorni a base di verdure, o di braciole e tracchie (spuntature) di maiale, tipicamente consumate come secondo piatto dopo che sono state cotte al ragù per condire la pasta. Un modo tipico di cucinare le fettiine di carne di vitello è alla pizzaiola, ossia con pomodoro, aglio ed origano.

Altri piatti di carne sono stati già citati nella sezione sugli ingredienti.

Piatti di verdure

 
Un piatto di parmigiana di melanzane.

I piatti a base di verdure talvolta trasformano ingredienti semplici in piatti molto ricchi ed elaborati. Tra questi vanno citati:

Fritture

Oltre alla già citata frittura di pesce, molte verdure si cucinano dorate e fritte (carciofi, zucchine, cavolfiore). Nelle fritture più ricche, si aggiunge anche fegato, ricotta e, una volta, si aggiungevano anche le cervella. La mozzarella si può preparare dorata e fritta (con farina e uovo) o in carrozza, come la prima, ma fritta tra due fette di pane ammorbidite nel latte. Tra le fritture napoletane vi sono anche i crocchè di patate ed i sciurilli, acquistabili anche per strada nelle tipiche friggitorie[37], insieme a scagliozzi[38], pastacresciute e melanzane fritte.

Le frittate, non solo di maccheroni, fanno parte della tradizione napoletana. La più celebre è la famosa frittata di cipolle, che ha per base le cipolle, ben dorate.

Contorni

Numerosi sono i contorni, soprattutto a base di verdure. Tra questi:

  • Gli zucchini alla scapece, fritti e conditi con aceto e menta fresca. Sembra che il termine scapece, un modo tipico di preparare le zucchine, derivi dal latino ex Apicio, dal nome del creatore.
  • Le melanzane a funghetti, in due versioni: fritte a listarelle e condite con pomodorini, oppure soffritte a dadini.
  • I peperoni in padella, conditi con ulive di Gaeta e capperi.
  • I peperoncini verdi fritti, non piccanti, che sono poi conditi con salsa di pomodorini.
  • I friarielli, soffritti con aglio, olio e peperoncino, spesso accompagnano le salsicce e cervellatine, per le quali si servono come contorno anche patatine fritte tagliate a cubetti.
  • Le scarole o il cavolo cappuccia, soffritti in padella e conditi con ulive nere di Gaeta, capperi, pinoli, uva passa ed acciughe.

Rustici

Tra i piatti rustici più diffusi, vi sono:

  • La pizza di scarole, preparata con scarole soffritte e condite con aglio, pinoli, uvetta, olive di Gaeta e capperi, e ricoperta di una pasta semplice di farina, acqua e lievito
  • Il casatiello, o tòrtano, tipico del periodi di Pasqua, consumato anche il giorni di pasquetta durante le gite fuori porta

In rosticceria sono oggi molto diffusi e apprezzati i panini napoletani, che in realtà non sono panini veri e propri, bensì rustici imbottiti di salumi e formaggio.

Dolci

 
Le Sfogliatelle ricce, dolce la cui tradizione risale al XVII secolo.

La tradizione culinaria napoletana annovera una grande varietà di dolci ed è sicuramente, insieme a quella siciliana, tra le migliori d'Italia e d'Europa. Tra i dolci principali, sono da ricordare i seguenti:

  • La sfogliatella, frolla o riccia, ideata nel settecento nel monastero di Santa Rosa situato a Conca dei Marini, nei pressi di Amalfi, il cui ripieno contiene una crema di ricotta, semolino, canditi, vaniglia e cedro. Tra le varianti che si trovano oggi vi è la Santa Rosa, più grande e completata da crema ed amarene, e le code d'arargosta, ripiene di una pasta bignè e farcite con vari tipi di crema.
  • Il babà, variante napoletana di un dolce che ha probabilmente origini polacche.
  • Le zeppole di San Giuseppe, fritte o al forno, sono ciambelle ricoperte di crema e di amarene.
  • La pastiera, del periodo di Pasqua, è un dolce tipicamente realizzato a casa, più che in pasticceria. Tra gli ingredienti vi è il grano, che a Napoli viene venduto già lessato e pronto per l'uso. L'uso di questo ingrediente potrebbe essere legato ai culti della fecondità di epoca greco-romana[2].
  • Gli struffoli natalizi, dolce tipico fatto da molte palline piccole e fritte, condite con miele. Questo dolce ha probabili origini greche, come riportato nell'introduzione storica.
  • La delizia al limone, creazione degli anni '70, ma entrata di diritto nella tradizione dolciaria campana. A base di limoni della costiera sorrentina e limoncello.
  • La torta caprese, a base di mandorle e cioccolato. Con la delizia al limone ed il babà è tra i dolci preferiti per i pranzi e le cene che celebrano matrimoni ed altri eventi importanti.

Famosi sono anche gelati, tra cui le coviglie e gli spumoni di preparazione più tradizionale.

I piatti delle feste

 
Gli struffoli, sono tipici di Natale, ed hanno probabili origini greche.

I piatti legati a periodi festivi meritano un capitolo a parte per varietà e ricchezza.

Piatti natalizi

La cena della vigilia si fa tipicamente con spaghetti alle vongole, seguiti dal capitone fritto e dal baccalà fritto, accompagnati dall' Insalata di rinforzo che è preparata con cavolfiore lesso, sottaceti, peperoni tondi sottaceto dolci o piccanti (le pupaccelle), ulive e acciughe.

I dolci natalizi sono:

La cena della vigilia si completa con le ciociole, ossia frutta secca (noci, nocciole e mandorle), fichi secchi e le castagne del prete, cotte a forno.

Tipici del pranzo di Natale sono la minestra maritata oppure i tagliolini in brodo di gallina.

Piatti pasquali

 
Casatiello pasquale.
 
La pastiera è il dolce tipico di Pasqua.

Il piatto principale di Pasqua è il casatiello, anche consumato il giorno di pasquetta durante le gite fuori porta, accompagnato dalla fellata, banchetto di affettati misti (principalmente salame e capocollo) e ricotta salata, oppure da agnello o capretto al forno con patate e piselli. Il dolce tipico di Pasqua è la pastiera, dolce realizzato tradizionalmente in casa, del quale esistono molte varianti[41], con leggere differenze in ciascuna famiglia.

Altre feste

Per il carnevale la versione napoletana della lasagna non prevede besciamella. Tra i dolci è d'uso il sanguinaccio con i savoiardi, ma si preparano anche le chiacchiere, diffuse con altri nomi in tutt'Italia, ed il sanguinaccio, che nella versione originale viene preparato con sangue di maiale e cioccolato. Al sanguinaccio sono spesso abbinati i savoiardi, biscotti leggeri da pasticceria.

Tipico del 2 novembre è il torrone dei morti, che, a differenza del torrone classico, non è a base di miele, ma di cacao, ed è preparato in vari gusti, con nocciole o frutta secca e candita, ma anche al caffè, o altri gusti ancora.

Frutta

La frutta è spesso presente al termine del pasto, specielmente d'estate. Abbondante è la produzione locale, tra cui spicca la mela annurca. Le fette di anguria ('o mellone) erano una volta vendute fresche d'estate sulle bancarelle dei mellunari, ormai scomparsi. La saporita pesca gialla col pizzo (percuoco, in napoletano) viene anche usata, a pezzi, per insaporire il vino rosso del Monte di Procida, freddo, similmente alla sangria.

La frutta secca è consumata tipicamente durante le feste di Natale, con il nome di ciociole.

Vini

La tradizione vinicola italiana annovera molti vini campani di qualità che si abbinano bene alla cucina locale. Tra i bianchi vi sono il Greco di Tufo, la Falanghina, il Fiano di Avellino, l'Asprinio di Aversa, mentre tra i rossi il Taurasi in primo luogo, nonché l'Aglianico, il Piedirosso o pere 'e palummo, il Solopaca, il Lacryma Christi del Vesuvio. Quest'ultimo si produce sia bianco che rosso.

Caffè

«Sul becco io ci metto questo "coppitello" di carta... il fumo denso del primo caffè che scorre, che è poi il più carico non si disperde. Come pure ... prima di colare l'acqua, che bisogna farla bollire per tre quattro minuti, per lo meno ... nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata ... in modo che, nel momento della colata, l'acqua in pieno calore già si aromatizza per conto suo»

Al termine di un pranzo o di una cena non può mancare una tazzulella 'e cafè, che a Napoli è unica per aroma e densità. Sul motivo per cui il caffè napoletano sia così speciale ci sono molte teorie, che vanno dall'acqua del Serino[42] all'abilità dei baristi napoletani. Nessuna di queste ha mai avuto una verifica scientifica.[senza fonte] Nelle case la caffettiera napoletana, detta anche cuccumella, pur ancora in vendita, è ormai stata largamente rimpiazzata dalla moka.

Liquori

I pranzi e le cene più abbondanti terminano con caffè e liquore. All'ormai diffusissimo limoncello era una volta preferito il liquore ai quattro frutti, ossia limone, arancia, mandarino e limo, una variante locale del bergamotto, ormai molto difficile da reperire in commercio. Il nocillo, diffuso in molte regioni d'Italia, è tra gli amari tradizionalmente più apprezzati.

Gastronomia da asporto napoletana

A Napoli da tempo immemore è diffuso l'uso di acquistare e consumare cibi tipici per strada. Questa funzione era anticamente svolta dai thermopolia di epoca romana, rinvenuti negli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano ed in numerosi altri siti archeologici della zona. Tipici sono alcuni prodotti da friggitoria[37] che si possono ancora oggi acquistare, soprattutto nelle vie del centro storico, tra i quali vanno citate le pastacresciute, gli scagliozzi ed i sciurilli, oltre alle melanzane fritte e ai piccoli crocchè di patate. La pizza a libretto e la pizza fritta si trovano ancora presso le pizzerie di via dei Tribunali, port'Alba e piazza Cavour. Alla Pignasecca sono ancora attive alcune botteghe di carnacuttari che vendono vari tipi di trippa, 'o pere e 'o musso o la storica zuppa 'e carnacotta. Da Mergellina a via Caracciolo sono ancora numerosi i venditori di taralli 'nzogna e pepe[43] (sugna e pepe), mentre rarissima è ormai la presenza de 'o broro 'e purpo (il brodo di polpo), una volta declamato dai venditori ambulanti. Fino a non molti anni fa erano diffuse bancarelle che vendevano 'o spassatiempo (il "passatempo"), ossia noccioline, semi di zucca e ceci tostati, lupini in salamoia, il cui nome deriva dal tempo necessario per sgusciare questi tipi di semi, frutta secca e legumi.

Note

  1. ^ Il proverbio, che prende spunto da una regola fondamentale della cucina dei polpi alla luciana, si riferisce a quelle persone fastidiose e poco accorte che finiscono per essere vittime delle proprie (cattive) azioni. In qualche senso, ricorda il proverbio cinese: «Se hai un nemico, siediti vicino al fiume e aspetta. Prima o poi vedrai passare il suo cadavere».
  2. ^ a b Vedi anche l'articolo a pag. 12 sul la voce del pasticciere, rivista dell'Associazione Pasticcieri Napoletani.
  3. ^ Vedi l'articolo sugli struffoli dal portale gastronomico cooker.net.
  4. ^ a b Vedi anche l'etimologia del nome pizza descritta sul sito pizza.it.
  5. ^ Vedi anche l'articolo sulla storia della cucina campana dal sito emmeti.it.
  6. ^ Vedi anche l'articolo su Cristoforo di Messisburgo sul sito Il colle di Scipio.
  7. ^ mollena = mollica.
  8. ^ Antonio Latini, Lo scalco alla moderna, Bibliotheca Culinaria, 1992., ISBN 88-8617-401-2
  9. ^ Vedi anche l'[articolo] dal sito [taste of Sorrento].
  10. ^ Le zucchine hanno fiori maschili e femminili separati. I fiori femminili si trovano anche sulle zucchine novelle, appena cresciute, ma solo quelli maschili sono ottimali per essere fritti come sciurilli
  11. ^ Vedi Frijenno Magnanno, nella bibliografia. sez. Ricette della carestia, pag. 417.
  12. ^ La ricotta di fuscella è riconosciuta come un prodotto agroalimentare tradizionale della Campania. Vedere anche la scheda descrittiva ('nota:: manca la scheda dal sito ufficiale della regione Campania).
  13. ^ La caciottina canestrata di Sorrento è riconosciuta come un prodotto agroalimentare tradizionale della Campania. Vedere anche la scheda descrittiva
  14. ^ Il fiordilatte è riconosciuto come un prodotto agroalimentare tradizionale della Campania. Vedere anche la scheda descrittiva.
  15. ^ La provola affumicata è riconosciuta come un prodotto agroalimentare tradizionale della Campania. Vedere anche la scheda descrittiva.
  16. ^ I bocconcini alla panna di bufala sono riconosciuti come un prodotto agroalimentare tradizionale della Campania. Vedere anche la scheda descrittiva
  17. ^ I burrini sono riconosciuti come un prodotto agroalimentare tradizionale della Campania. Vedere anche la scheda descrittiva
  18. ^ I bebè di Sorrento sono riconosciuti come un prodotto agroalimentare tradizionale della Campania. Vedere anche la scheda descrittiva
  19. ^ Il provolone del monaco è riconosciuti come un prodotto agroalimentare tradizionale della Campania. Vedere anche la scheda descrittiva
  20. ^ Il caciocavallo podolico è riconosciuti come un prodotto agroalimentare tradizonale della Campania. Vedere anche la scheda descrittiva
  21. ^ Il caciocavallo affumicato è riconosciuti come un prodotto agroalimentare tradizionale della Campania. Vedere anche la scheda descrittiva
  22. ^ a b Il pesce che in napoletano viene chiamato cuoccio ha come nome scientifico Triglia lanterna, ed in altre regioni italiane prende anche il nome di gallinella o cappone
  23. ^ La pezzogna ha come nome scientifico: Pagellus centrodontus, ed in altre regioni viene anche chiamata occhione o besugo.
  24. ^ Il retunno ha come nome scientifico: Spicara smaris.
  25. ^ I taratufi appartengono alla specie Venus verrucosa
  26. ^ Il nome scientifico della tellina è Donax trunculus.
  27. ^ Gli sconcigli hanno come nome scientifico Haustellum brandaris.
  28. ^ I maruzzielli sono lumache di mare della famiglia Buccinidae.
  29. ^ La specie della vongola verace è Venerupis decussata
  30. ^ La specie della vognola filippina è Venerupis philippinarum.
  31. ^ Il lupino ha come nome scientifico Dosinia exoleta.
  32. ^ I datteri di mare appartengono alla specie Lithophaga lithophaga.
  33. ^ La ricetta originale del ragù napoletano è presente nel secondo dei due testi del Cavalcanti in bibliografia, II ed., pag. 367, ed è anche riportata nel testo in bibliografia della Francesconi, a pag. 32, dove viene anche descritta una versione più moderna del ragù.
  34. ^ da non confondere con l'omonima ricetta, la caponata siciliana.
  35. ^ Vedi anche l'articolo sulla pizza dal sito fuocoelegna.it.
  36. ^ Vedi anche il disciplinare per la definizione di standards internazionali per l'ottenimento del marchio "Pizza Napoletana".
  37. ^ a b Vedi anche i 'articolo le friggitorie napoletane sul sito La madia travelfood.
  38. ^ Vedi anche la ricetta degli scagliozzi dal sito settimana santa.
  39. ^ Vedi vita e opera di Bartolomeo Scappi
  40. ^ Vedi anche le ricette di Bartolomeo Scappi.
  41. ^ Vedi ad esempio la ricetta della pastiera da wikibooks, oppure una ricetta della pastiera dal portale cooker.net.
  42. ^ Napoli riceve ancora oggi parte della propria fornitura d'acqua dall'acquedotto del Serino, già attivo in epoca romana, quando raggiungeva il porto militare di Miseno. Vedi anche la presentazione dal sito greenopoli.
  43. ^ Vedere la ricetta dei taralli 'nzogna e pepe sul portale cooker.net.

Bibliografia

La cucina napoletana più antica è descritta nei testi del Corrado e del Cavalcanti. Molte ricette, sia classiche che rivisitate in chiave più contemporanea, sono riportate in testi più recenti. Molti libri di cucina napoletana, oltre alle ricette più tipiche, contengono anche rivisitazioni in chiave partenopea di altre ricette. Non è raro, ad esempio, trovare ricette come cotoletta alla milanese, carne alla genovese, sugo alla bolognese, o altro.

  • (NAP) Vincenzo Corrado, Il cuoco galante, in copia anastatica, 3ª ed., Sara Bolognese (BO), Forni, 1990 [1786].
  • (NAP) Vincenzo Corrado, Pranzi giornalieri variati ed imbanditi in 672 vivande secondo i prodotti della stagione, 3ª ed., Napoli, Grimaldi, 2001 [1832].
  • (NAP) Ippolito Cavalcanti, Cucina casareccia, Milano, Polifilo, 2005 [1839]. ISBN 88-7050-324-0
  • (NAP) Ippolito Cavalcanti, Cucina teorico - pratica, in copia anastatica, Napoli, Grimaldi, 2002 [1852].
  • Jeanne Caròla Francesconi, La vera cucina di Napoli, Newton, 1995. ISBN 88-8183-021-3
  • Luciano Pignataro, La cucina napoletana di mare, Newton & Compton, 2005. ISBN 88-5410-167-2
  • Gianni De Bury, Frijenno magnanno, con introduzione di Luciano De Crescenzo, Sorrento, Franco Di Mauro, 1990. ISBN 88-8526-300-3
  • Gianni De Bury, Sapori di casa nostra, Sorrento, Franco di Mauro, 1998. ISBN 88-8736-504-0
  • Lya Ferretti, Piero Serra, Il grande libro della pasticceria napoletana, 4ª ed., Franco Di Mauro, 1983. ISBN 88-8526-305-4
  • Claudio Novelli, Né pomodoro né pasta. 150 piatti napoletani del Seicento, Napoli, Grimaldi & C., 2003. ISBN 88-88338-70-5

Voci correlate

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