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Piccolomini
Blasonatura

D'argento, alla croce d'azzurro, caricata di cinque lune montanti d'oro.
D'argento, alla croce d'azzurro, caricata di cinque lune montanti d'oro; col capo d'oro al'aquila spiegata di nero, coronata dell campo


Et Deo et hominibus
Cimiero:L'aquila spiegata di nero coronata d'oro
Ornamenti:Lambrecchini azzurri e neri
Luoghi:Repubblica di Siena, Stato Pontificio, Regno di Napoli, Granducato di Toscana, Regno delle due Sicilie, Boemia.
Titoli:Patrizi di Siena, Conti del Sacro Romano Impero,Conti Palatini.
Già: Grandi di Spagna, Principi del Sacro Romano Impero e di Nachod, Duchi di Amalfi, Marchesi di Deliceto e Capestrano, Conti di Celano e Gagliano, Baroni di Balsorano, Pescina, Scafati e Carapelle, Principi di Valle di Casale e di Maida, Duchi di Laconia, Marchesi di Montesoro, Duchi di Montemarciano. Signori di numerosi feudi italiani ed esteri.
Capostipite:Piccolomo di Montone
Rami:Ramo di Bartolomeo
Ramo di Rustichino

Antica famiglia di Siena.

Storia della famiglia

Questa famiglia ha origini molto antiche. Come afferma il Malavolti, è plausibile che i Piccolomini siano di origine franca o germanica, alla stregua di molte altre antiche famiglie senesi del tempo. Così, come sembrerebbe emergere da un atto di compravendita del 1098, ove un Martino di Piccolomo dichiarava di vivere insieme alla moglie Rozza sotto la legge longobarda[1].

Le origini leggendarie

 
Re Porsenna. Secondo Caio Vibenna, chiese l'intervento di Bacco di Piccolomo contro i Romani
 
Orazio Coclite, antenato leggendario dei Piccolomini, in una incisione di Hendrick Goltzius

Intorno alla metà del XV secolo cominciarono a fiorire scritti sulla origine mitica della famiglia. Il poeta fiorentino, Leonardo Dati, alla corte di Pio II, tradusse, dal latino, un libretto di Caio Vibenna, in cui compariva un Bacco di Piccolomo, signore del castello di Montone, chiamato dal re Porsenna a soccorrere, Tarquinio il Superbo scacciato da Roma. "... andò in aiuto a quel re contra i romani con dugento homini a piedi e cinquanta a cavallo, [inalberando] la sua insegna di color bianco con croce azura adentro meze lune d'oro come è oggi l'arme di questa famiglia..."[2] [3]. Il papa Piccolomini, lungi dal farsi tentare da queste suggestioni mitiche, era comunque convinto, che la sua famiglia affondasse le radici nell' antica Roma, per il frequente ricorrere dei nomi Silvio, Enea o Ascanio[4] Altri scritti, conservati negli atti della consorteria Piccolomini e custoditi nell'Archivio di Stato di Siena, evocano un'ascendenza dai re di Albalonga[5], con un' improbabile salto indietro nel tempo di oltre duemila anni. È comunque certo che tutta la memorialistica genealogica concorda nell'attribuire a questa famiglia un'origine sicuramente remota.

Nel XVII secolo due fratelli Piccolomini, del ramo di Modanella si accingevano a fare un grande albero genealogico della famiglia. Per suggellare con una certificazione legale la loro antica genealogia diedero incarico ad un notaio, Alessandro Rocchigiani, di mettere ordine nelle varie fonti che dissertavano sull'origine della famiglia. Evidentemente il fascino del mito, misto alla riverenza dovuta agli illustri committenti, invece di eliminare le componenti leggendarie finì per aumentarle. Orazio Coclite, fu indicato, dallo zelante notaio, come nuovo capostipite, certo, della famiglia. Indubbiamente alcune coincidenze destano stupore. Infatti, nella colonna che ornava il Campidoglio, risaltava scolpita, nello scudo dell'antico romano, la sua impresa, identica a quella della famiglia senese[6]. Una volta agganciata ad Orazio, la stirpe dei Piccolomini aveva, nell'antica Roma il nome di Parenzi e da qui, poi un suo componente, scelse come nuova residenza la colonia Senese. Dove abbandonò il suo nome , Chiaramontese, per mutarlo in Piccholuomo.[7].

La Storia

In tempi più recenti, il riferimento più antico ai Piccolomini, emerge quando Siena non era ancora eretta a Repubblica. L'imperatore Arrigo II[8], nominò Salamone Piccolomini, suo procuratore e governatore del territorio senese, nel 1055 e secondo quanto asserisce il Bisdomini, lui e suo fratello Matteo costruirono due torri cittadine, di cui, una, sulla strada che conduceva a Roma[6].
In quel tempo il loro stemma non era ancora ben definito, e spesso nella croce azzurra apparivano più mezzelune delle cinque comunemente conosciute.

 
Tavoletta di Biccherna del 1324.
È presente un antico stemma Piccolomini con sei lune crescenti[9]

Sono ricordati come appartenenti ai Grandi di Siena e furono fra i primi ad essere ascritti al monte dei Gentiluomini. Rustichino di Orlando e Guglielmo di Piccholuomo parteciparono al governo della città come "Consoli" della giovane Repubblica nel 1160 e nel 1170. Rainerio di Montonio e Rustichino di Piccolomo nel 1178 e 1228[1].

Già da tempi molto remoti possedevano il castello di Val di Montone che sorgeva su uno dei tre colli a ridosso dei quali si sarebbe poi sviluppato il tessuto urbanistico della Siena medioevale. Nel 1220, Engelberto o Inghilberto d'Ugo Piccolomini ricevette il feudo di Montertari in Val d'Orcia dall'imperatore Federico II come premio per i servizi resi[1].

La famiglia acquisì palazzi e torri a Siena e vari castelli nel territorio della Repubblica. Alcuni fra le più antiche di queste proprietà, come Montone e Castiglione, furono venduti a Siena, nel 1321.

I Piccolomini ottennero grandi ricchezze tramite il commercio e stabilirono uffici contabili a Genova, Venezia, Aquileia, Trieste e in varie città di Francia, Inghilterra, Germania ed Austria.

 
Ufficio contabile e mercantile nel Medio Evo

Sostenitori della causa Guelfa, allorché la parte Ghibellina, nel 1260 con la Battaglia di Montaperti trionfò in Toscana, furono costretti, come tanti altri, a prendere la via dell'esilio e le loro case e possedimenti vennero devastati e distrutti. Rientrarono in patria con l'aiuto francese, ma furono nuovamente scacciati durante il breve regno di Corradino. Dopo le battaglie di Tagliacozzo (1268) e Colle val'Elsa (1269), nelle quali gli Svevi e la parte ghibellina furono definitivamente sconfitti da Carlo I d'Angiò, i Piccolomini tornarono trionfalmente a Siena e perseguirono con determinazione gli appartenenti alla fazione ghibellina[10].

Queste continue lotte tra diverse fazioni, indebolirono sensibilmente, l'influenza commerciale della Repubblica, a tutto vantaggio dei rivali fiorentini, che forti della vittoria guelfa andarono ad occupare i più importanti nodi commerciali, prima detenuti dai senesi. In questo contesto, i Piccolomini, più lungimiranti di altri si ritirarono dal commercio, evitando la lunga catena di fallimenti che coinvolse altre potenti famiglie senesi.
Mentre continuavano a dedicarsi al consolidamento delle loro ricchezze e del loro dominio terriero, seppure con discrezione e riservatezza, rimasero ai vertici dello stato e parteciparono attivamente al governo della repubblica, essendo il loro prestigio rimasto inalterato[10].

Attraverso i vari rami della famiglia, estesero, nel corso degli anni successivi, le loro signorie ad Alma, Castiglioncello, Amorosa, Roccalbegna, Torre a Castello, Porrona, Triana, Castiglione d'Orcia, Ripa d'Orcia, Batignano, Celle, Castiglion della Pescaia, Radicofani, la citata Montertari, Sticciano, Modanella, Montemarciano, Camporsevoli, l'Isola del Giglio, Castiglion del Bosco, Capestrano, Celano, Amalfi, Nacod in Boemia, Valle nel Regno di Napoli.

Inoltre possedevano Corsignano, chiamato poi Pienza, la fortezza di Castiglion Baroti, Bibbiano Cacciaconti e Bibbiano Guilleschi, Castelnuovo Berzi e vasti territori a Montalcino, Rosia, Radi, Arbiola, Asciano, Abbadia Ardenga, Montefollonico, Rapolano, Poggio S. Cecilia, Montichiello, Bettolle, Vergelle ed altri luoghi minori[10].


Discendenza di Piccolomo

Discendenza di Piccolomo

 
Discendenza di Piccolomo di Montone[11]


La discendenza di Piccolomo, tramite i numerosi figli, fin dalle origini si divise in due grandi ramificazioni. Quelle di Bartolomeo e Rustichino, all'interno delle quali si svilupparono diverse linee genealogiche. Anche un altro figlio, Ugo, ebbe numerosa discendenza. Tale linea, però non è stata illustrata da nessun genealogista, probabilmente perché estinta in tempi remoti, durante il XIV secolo.

 
Le torri di Siena in un antico dipinto

Nel basso Medioevo esistevano diversi istituti giuridici a protezione dell'integrità dei beni familiari, come i fedecomissi, la primogenitura e le commende. La costituzione della Consorteria Piccolomini, rimasta in vigore fino al 1821 e voluta da uno dei discendenti di Rustichino, il papa Pio II, rafforzò ulteriormente l'unione politica e patrimoniale della famiglia.

La consorteria, prevedeva infatti,che, ove un ramo dovesse terminare con un componente femminile, l'eventuale consorte fosse aggregato o adottato nella famiglia Piccolomini, con l' obbligo di sostituire o aggiungere il cognome e sostituire o inquartare lo stemma.

 
Un'esempio di albero genealogico della stessa epoca

Oppure era prevista l'unione matrimoniale con un componente di altra linea genealogica. In entrambi i casi dovevano essere assunti tutti gli obblighi e i benefici conseguenti all'ingresso nella consorteria, con trasferimento del patrimonio, dei titoli nobiliari e dei predicati. Nell'albero genealogico del 1688[12], era posta una puntuale distinzione, tra Piccolomini estranei, ovvero adottati, e Piccolomini aggregati. La distinzione non era solo formale. Gli aggregati, infatti, potevano partecipare alle assemblee consortili, con gli stessi privilegi e attribuzioni dei Piccolomini originari. Inoltre all'epoca le linee genealogiche erano numerosissime, per cui venne fatta una distinzione che, in pratica, divideva la famiglia in tre categorie[12].


I Piccolomini originari, che erano: Piccolomini Alamanni, Guglielmini,Turchi, Montoni, Chiaramontesi, Ugoni, Rustichini, Modanelli o di Modanella, Spinellesi o della Triana, Salmoneschi, Mandoli, i Carli.
I Piccolomini aggregati, che erano: Piccolomini Todeschini, Piccolomini d'Aragona e di Castiglia.
I Piccolomini estranei, che erano: Pieri o di Sticciano, Del Testa, Ammannati, Loli, Patrizi, Miraballi, Spannocchi, Cesarei, Bandini, Lucentini, Siverii[12].

Tale sofisticata struttura, rende, talvolta, disagevole la lettura della genealogia di questa famiglia. Per questo motivo vengono esposte le linee genealogiche storicamente più significative e quelle superstiti.

Ramo di Ugo

Come accennato, non si hanno molto notizie di questa linea genealogica. La discendenza di Ugo va comunque ricordata per alcuni importanti personaggi, ad essa riconducibili.

  • Bonicella Cacciaconti Piccolomini (1230 ca. - † 1300 ca.). Beata e originaria di Trequanda, come ricordato in una pergamena dell'Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena, andò in sposa a Ildobrandino di Ugo. Va ricordata, oltre che per le sue celebrate virtù, anche perché, con ogni probabilità, grazie a lei, la fortezza di Modanella, già dei Cacciaconti entrò nell'orbita della famiglia Piccolomini.
  • Matteo (1290 ca. - † 1341). Discendente di Ugo, tramite Toma di Alamanno, viene ricordato, insieme al cugino Meuccio, come acquirente del borgo fortificato di Castiglion d'Orcia, che poi fu rivenduto a Siena nel 1321[11].

Questa linea si estinse nella seconda metà del XIV secolo.

Ramo di Bartolomeo

Discendenza di Bartolomeo

 
Discendenza di Bartolomeo


Guglielmo di Bartolomeo detto Cencio attraverso due dei suoi figli, Conte e Salomone, diede origine ad altrettante importanti linee, denominate rispettivamente di Modanella e dei Salamoneschi. Guglielmo ebbe anche un altro figlio, detto Guglielmino, che ebbe una breve discendenza, dotata, però, di grandi mezzi. Finanziò la Repubblica in diverse occasione, divenendone largamente creditrice. In particolare durante i conflitti sostenuti nei confronti dei ContiAldobrandeschi di Santa Fiora, Siena dovette dare in pegno alcune località strategiche come Castiglion d'Orcia nel 1315[13] e successivamente per saldare un debito di 17.450 fiorini d'oro dovette vendere il Borgo e la Rocca e Pietra d'Albegna (successivamente chiamata Roccalbegna) nel 1318[14][15]. Attore di queste transazione fu Meuccio di Guglielmino[14], che non avendo mire di dominio su questi territori, di buon grado ne consentì il riacquisto da parte del Comune, rispettivamente, nel 1321 e nel 1324.
Guglielmino con i suoi figli, a cavallo del XIII e XIV secolo, si impegnarono a consolidare il loro patrimonio fondiario e immobiliare, nella zona diCorsignano.

Piccolomini di Modanella

Piccolomini di Modanella - Genealogia in sintesi

 
Genealogia essenziale - Piccolomini di Modanella[16]


Questo ramo fu originato da Conte di Guglielmo. Dopo le sanguinose guerre intercorse tra le fazioni della Repubblica durante il XII secolo, Conte insieme al padre fu tra quelli, che giurarono la pace definitiva tra Guelfi e Ghibbelini. Conte ricevette in eredità il castello di Modanella. Località dalla quale prese il nome questa linea.

 
Fortezza di Modanella - Siena (Castello della famiglia Piccolomini)

I personaggi notabili furono diversi. Se ne ricordano brevemente solo alcuni.

  • Andrea (1320 ca. - † ?) di Francesco. Nel 1347 fu Camerlengo di Biccherna.
  • Antonio (Siena 1425 ca. - Siena † 1459). Monaco dei Camaldolesi, fu il 1° Arcivescovo di Siena.
  • Andrea (1400 ca. - † ?) di Mino, detto Ciscranna, fu poeta di discreta fama[17] e ricordato in numerose pubblicazioni, tra cui il Crescimbeni.
  • Andrea (1395 ca. - † ?) di Niccolò nel 1423 fu ambasciatore presso la corte Papale.
  • Fausta (1525 ca. - † ?) discendente di Niccolò di Andrea, fu un personaggio particolarmente originale ed inconsueto per l'epoca. Durante il Lungo assedio della città di Siena, fu una delle tre nobildonne senesi che ebbe il comando di una truppa tutta femminile come ricorda Biagio di Monluch nei suoi commentari [18]. Si distinse particolarmente nella difesa del Convento di Santa Chiara. Portava come impresa una croce bianca e come motto pur che non la butto.[19]
  • Scipione (1515 ca. - † ?) di Bernardino (XVI Secolo). Dopo la caduta di Siena, andò in esilio in Francia ed al seguito di Carlo IX, combatté contro gli Ugonotti, trovando la morte nella Battaglia di Moncontour (3 ottobre 1569).
  • Francesco (1570 ca. - † ?) di Giulio. Morì giovane lasciando vedova la moglie Onorata Vieri, che divenne prima dama di corte a Vienna, al seguito della principessa Claudia de' Medici che andò in sposa all'Arciduca Leopoldo V d'Austria. La Vieri rimase presso la corte asburgica per ventotto anni, ove rivestì un ruolo influente e di prestigio. Richiamò presso di se i figli Liduino e Giulio, che passarono parte della loro giovinezza a Vienna, acquisendo benefici e riconoscimenti da parte dell'Imperatore Ferdinando III d'Asburgo[20].
  • Francesco (1606 ca. - † ?) di Francesco, Capitano del Popolo, nel 1652, insieme al fratello Giulio, letterato, in seguito al riordino delle antiche carte familiari, redasse un dettagliato albero genealogico, che per mano dei maestri incisori Antonio Ruggeri e Giorgio Vidman, divenne una vera e propria opera d'arte[21]

  Liduino - Conte del Sacro Romano Impero (1648)

  • Liduino ( n. 1615 - † 1681) di Francesco. Fu preposto della Cattedrale di Trento, curò il restauro di varie strutture, tra cui il Palazzo della Prepositura, che aveva accolto molti prelati illustri, durante il Concilio, ed in precedenza, anche lui come preposto, lo stesso Enea Silvio, poi Pio II.
     
    La cattedrale di San Vigilio, Duomo di Trento, in un dipinto d'epoca
    Personaggio colto e raffinato, viene ricordato come proprietario della raccolta d’arte [22] più prestigiosa mai sorta in territorio trentino[23],parte della quale è conservata nella Pinacoteca di Siena. Fu il procuratore dei vari vescovi che si succedettero nel Principato Vescovile di Trento. Dotato di una perizia diplomatica non comune, fu ago della bilancia nelle frequenti controversie che avvenivano tra i potenti signori feudali del territorio. Territorio che fra l'altro stava molto a cuore dell'imperatore Ferdinando III d'Asburgo. Tali uffici e i molti altri svolti, durante il suo lungo mandato, gli valsero, nel 1648, la nomina a conte del S.R.I., titolo che fu esteso ai suoi fratelli e a tutti i componenti maschi della famiglia.
    Fu anche il procuratore del cardinale Ernesto Adalberto d’Harrach, il quale durante il suo breve mandato fu quasi sempre impegnato in altre sedi. Per questo motivo Liduino ebbe un ruolo importante[22] ed esclusivo nell'organizzare l'accoglienza ed il successivo viaggio versoVienna, della Principessa Margherita, figlia di Filippo IV di Spagna, e promessa sposa dell'imperatore Leopoldo I. Circostanza questa che gli permise di acquisire visibilità nei confronti della futura Imperatrice.
    Viene ricordato con un busto marmoreo, lo stemma gentilizio e diverse epigrafi, inseriti sulla facciata del Palazzo della Prepositura. Il suo sarcofago è custodito nella cattedrale.
  • Antonio (1667 ca. - † ?), nipote (ex frate) di Liduino e figlio di Francesco, anch'egli prelato, fu preposto della Cattedrale di Taranto. Seguì lo zio, nel Principato Vescovile di Trento, dove presidiò. il territorio, occupandosi del risanamento di diversi luoghi. In particolare fu a capo dell'antico priorato di Sant'Egidio o di Ospedaletto, di cui curò il profondo restauro, così lontano dalla sua patria senese[24].
     
    Stemma Piccolomini sulla canonica di Sant'Egidio e i pochi resti di un affresco dell'Annunciazione. Ospedaletto
  • Enea (1643 - † 1689), nipote (ex frate) di Liduino e figlio di Francesco. Stabilitosi a Vienna in giovane età divenne militare di professione e nel contempo uomo di fiducia dell'Imperatore, ricoprendo la carica di Cavaliere delle Chiavi d'Oro e Ciambellano. Ebbe un ruolo importante nella Battaglia di Mohács del 1687, ove, come tenente generale e al comando di alcuni reggimenti, riuscì al impedire l'accerchiamento dell'ala sinistra dell'esercito imperiale, da parte della potente cavalleria turca Spahi. Successivamente nella campagna dei Balcani, contro gli Ottomani, guidò un esercito che si spinse fino in Macedonia. Alcune fonti, gli attribuiscono l'incendio che distrusse Skopje, nel 1689, che egli avrebbe ordinato per contrastare l'epidemia di colera, esplosa nel capoluogo macedone.
    Mentre conduceva le trattative per ripristinare l'autorità del patriarca Arsenije III Čarnojević, fu colpito dalla malattia ed in breve tempo morì[25].
  • Francesco Maria (1695 - † ?) di Niccolò fu l'ultimo vescovo di Pienza, allorché questa diocesi nel 1772 fu unita a quella di Chiusi.
  • Enea (1703 - † ?) di Niccolò, al servizio dell'imperatore, divenne Generale Imperiale. Morì in battaglia inTransilvania.

I Piccolomini di Modanella si estinsero con due femmine entrambe con il nome di Caterina.

  • Caterina (1750 - † ?) di Antonio si unì in matrimonio con il barone Giuseppe Spannocchi nel 1774, che entrò a far parte della consorteria, con partizione dello stemma gentilizio, l'acquisizione del titolo comitale e l'anteposizione al proprio del cognome Piccolomini. I Piccolomini Spannocchi si estinsero nel XIX secolo.
  • Caterina (1760 - † 1803) di Muzio si unì in matrimonio con Flavio Naldi, nella seconda metà dell'ottocento. Il nonno di Flavio era un Piccolomini Salamoneschi, ma rinunciò al cognome, assumendo quello di Barbara Naldi, sua moglie, inquartandone anche lo stemma. Ciò al fine di adempiere alle disposizioni testamentarie dello zio di Barbara, monsignor Mattias. In questo modo potè succedere nella eredità legata alla primogenitura di questa famiglia, acquisendone il patrimonio.[19]. Due generazioni dopo, Flavio, sposando Caterina di Modanella, ottenne il rientrò nella consorteria, e aggiunse a quello dei Naldi, il cognome Piccolomini Vedi

Piccolomini Salamoneschi

Piccolomini Salamoneschi - Genealogia in sintesi

 
Genealogia essenziale Piccolomini Salamoneschi poi d'Aragona[26][27], con le diramazioni dei Piccolomini della Triana e dei Piccolomini Naldi Bandini


È questa una delle ramificazioni, che ha dato alla famiglia diversi personaggi illustri, tra capitani di ventura, notabili e uomini di chiesa.

Gli uomini d'arme di questa linea si sono espressi specialmente nel XIV secolo, quando il potere e la stabilità della Repubblica, non si erano ancora consolidati. Tre figli di Salomone Spinello, Pietro e Tommaso furono condottieri dotati di grande carisma tra la popolazione. Dotati di cospicui mezzi, ebbero con le loro milizie, un ruolo di primaria importanza nei territori della Toscana meridionale, tanto da essere temuti, per le loro iniziative personali, non sempre in linea con le direttive delle autorità centrali.

 
Perugia. Nel 1412 affidata alla difesa da Nanni Piccolomini
  • Tommaso (1316 ca. - †  ?). Detto Prete Grasso [28], dopo alcune iniziative non gradite, fu bandito da Siena e come soldato di ventura, passò al soldo di Fra' Moriale, condottiero francese, di dubbia fama,
     
    che era di passaggio in Toscana. Effettuò numerose scorrerie, pretendendo consistenti riscatti per la liberazione dei territori occupati. Questa sua attività gli fruttò 13.000 fiorini, che la Repubblica fu costretta a pagargli[29].
  • Spinello (1310 ca. - †  ?). Nel 1363, si impadronì, insieme ai fratelli, Pietro e Tommaso, del castello di Batignano, di notevole importanza strategica, e lo restituì a Siena, solo dietro pagamento della considerevole somma di denaro di 6.400 fiorini[30]. Durante questa controversia Spinello, fu imprigionato e rinchiuso a Castiglioncello, da dove però riuscì a fuggire[31].

I figli di Spinello continuarono la tradizione militare della famiglia. Uno dei due, Niccolò, seguì le vicende belliche nel territorio senese, inizialmente affiancato dal fratello Nanni.

  • Nanni di Spinello[34] (Al battesimo, Giovanni) (1370 ca. - † 1425), Capitano di ventura, ebbe una personalità variegata e turbolenta. Bandito dalla Repubblica, si unì ad Angelo Tartaglia, altro condottiero italiano. Con questi occupò Radicofani, per poi venderlo ai Senesi.
     
    Veduta del castello di Triana
    Nel 1412 si pose a difesa dei territori di Perugia insieme a Ceccolino Michelotti e riuscì a battere Braccio da Montone, che difendeva gli interessi papali. Rimarrà, per qualche anno a difesa di questa signoria al comando di 150 lancieri. Si cimentò nuovamente contro Braccio da Montone, questa volta contro Perugia e a fianco di Muzio Attendolo Sforza, entrambi al servizio di Ladislao re di Napoli. Sempre nel 1417 passò senatore a Roma[35] e successivamente, sempre affiancando Attendolo Sforza, si mise al servizio di Martino V. Ancora una volta affronta Braccio da Montone nella battaglia di Montefiascone (1419), nella quale però questa volta viene sconfitto. Durante tutte queste vicende belliche ed i continui rivolgimenti di fronte, grazie all'intervento del re di Napoli, venne riammesso a Siena, con il ripristino del suo status di cittadino della repubblica.

Nel 1421, insieme ad altri condottieri italiani, passò al servizio degli Angiò. A Cosenza, al comando di Francesco Sforza, combatté una lunga campagna contro le truppe di Alfonso d'Aragona.
Nei brevi periodi di pace, decise di mettere a frutto i larghi guadagni ottenuti nelle numerose campagne militari, acquistando insieme al fratello Niccolò il Castello di Triana[36], che con i territori di pertinenza rappresentava un importante marca di confine rispetto ai domini del papato.

  • Salamone (1385 ca. - † ?), figlio di Niccolò e nipote di Nanni, ottenne dalla Repubblica l'esenzione dei tributi, e la costituzione della Signoria della Triana, che prese la fisionomia di un vero e proprio dominio feudale.
  • Spinello (1380 ca. - † ?), fratello di Salomone, diede origine ad una linea che si perpetuò fino al XVII secolo. I suoi discendenti furono impegnati prevalentemente nella vita economica, culturale e politica di Siena, ma non produssero personaggi di particolare rilievo storico. Di questi è da evidenziare un prelato, vissuto i tempi dei due pontefici della famiglia: Aldello.
  1. Aldello (1450 ca. - † 1510). Vescovo di Sovana dal 1492 al 1510[37], fu particolarmente vicino al cugino Francesco Piccolomini Todeschini, papa Pio III, che nei suoi pochi giorni di pontificato, lo chiamo subito presso i Palazzi Vaticani[38] e gli fece dono della commenda del monastero di Santa Maria di Monte Oliveto, in Lombardia[39]. L'investitura di questa Abbazia (da non confondere con l'Abbazia di Monte Oliveto Maggiore di Asciano), con la morte dell'ultimo titolare era stata concessa, nel 1459, da Pio II, al nipote Francesco, quando era agli inizi della sua carriera ecclesiastica. Da quasi cinquant'anni, il monastero aveva perso le sue funzioni ed era solo fonte di reddito. Aldello decise di ripristinare la natura religiosa dell'abbazia. Reintrodusse i monaci cistercensi, cedendo loro il monastero, la chiesa e i beni posseduti nelle numerose pievi di pertinenza[40], riservando per se, la possibilità di abitarci in caso di necessità. La donazione ed il ripristino del monastero, nelle sue funzioni religiose, fu approvato e sancito nel 1504 da papa Giulio III[41]. Aldello continuò la sua attività nella diocesi di Sovana, fino alla sua morte avvenuta nel 1510.
Francesco Piccolomini della Triana, VIII Preposito generale della compagnia di Gesù
  • Niccolò (1470 ca. - † ?). Questo componente della famiglia ebbe due figli, uno dei quali,
  1. Girolamo(1510 ca. - † ?), si distaccò creando una nuova linea, che prese il cognome di Piccolomini della Triana, l'altro,
  2. Spinello (1510 ca. - † ?), continuò la linea dei Salamoneschi per altre quattro generazioni, allorché uno dei suoi discendenti, altro Niccolò, creò la linea dei Piccolomini Naldi Bandini. Dopo sette generazioni, sempre partendo da Spinello, con Giulio Cesare, i Piccolomini Salamoneschi, per effetto dell'eredità d'Aragona, cambiarono, definitivamente il cognome, in Piccolomini d'Aragona.
Piccolomini della Triana

Questo ramo, scaturito dalla linea dei Piccolomini Salamoneschi, utilizzò, nello stemma, il capo dell'impero con l'aquila bicipite, anzichè quella tradizionale ad una testa, usata dal resto della famiglia. Si perpetuò per altre sei generazioni, fino alla metà delXVII secolo. Periodo, durante il quale, diversi personaggi diedero lustro alla famiglia, tra i quali, di rilievo è stato un padre gesuita, Francesco: teologo, filosofo e insigne prelato.

La linea dei Signori della Triana, si sarebbe estinta, se l'ultima nata, Agnese, sempre in ossequio del patto consortile, non si fosse sposata, (nel 1640 ca.) con il cugino ultragenito Spinello appartenente all'originario ramo dei Piccolomini Salamoneschi. Nel 1895, però, anche questa linea si estinse con Nicolò, che lasciò erede dei suoi beni, che comprendevano anche il Palazzo di Pienza, il lontano cugino Silvio dei Carli Piccolomini, che portò così la signoria e il predicato della Triana nell'altro grande ramo della famiglia, generato da Rustichino.

Piccolomini Naldi Bandini
  • Niccolò (1675 ca. - † ?).Da questi inizio la linea Naldi, poi Piccolomini Naldi ed in seguito Piccolomini Naldi Bandini- Vedi.
Piccolomini d'Aragona (già Piccolomini Salamoneschi)

Dopo il distacco dei Piccolomini della Triana e dei Piccolomini Naldi Bandini, il ramo dei Piccolomini Salamoneschi continuò, ma mutò il cognome per effetto dell'eredità dei Piccolomini d'Aragona.

  • Giulio Cesare(1750 ca. - † ?) ereditò, nel 1807, dai lontani cugini napoletani Piccolomini d'Aragona, il cognome d'Aragona, il ducato d'Amalfi, i principati di Nachod e di Valle e la baronia di Scafati.


Nel corso del XX secolo, questa linea dei Piccolomini, si è estinta nel 1985, con il conte Alberto che dal matrimonio con Elda Ciacci non ebbe discendenza maschile.

Ramo di Rustichino

Piccolomini Ramo di Rustichino - Genealogia in sintesi

 
Genealogia essenziale Piccolomini ramo di Rustichino[50]


Il ramo di Rustichino, a differenza di quello di Bartolomeo, si distingue per aver prodotto diverse ramificazioni, ricche di grandi personaggi che hanno reso illustre il nome dei Piccolomini, al di fuori della patria senese, Oltre i noti pontefici, si annoverano prelati di alto rango, uomini d'arme al servizio dell'Impero e del Papato, oltre uomini di scienze, di lettere e d'arte. Tra i figli di Rustichino, che fu Console nella nascente Repubblica nel 1228, troviamo Ranieri.

  • Ranieri (1180 ca. - † ?), compare nel 1207 come Camerlengo del Comune di Siena. Nel 1213 partecipò all'atto di pacificazione tra la Repubblica e i conti dell'Ardenghesca[51], dai quali, in seguito, la famiglia avrebbe acquisito diverse proprietà, tra cui il castello di Sticciano, che era stato il centro del piccolo, ma potente regno maremmano di quei feudatari[52]. Ebbe diversi figli, dei quali, Rustichino continuò la linea primogenita partirono, mentre da Rinaldo si distaccò la linea dei Piccolomini della Torre a Castello
  • Rustichino, detto Metita, altro figlio di Ranieri fu al governo della Repubblica. Nel 1251 curò l'arbitrato tra i Conti di Santa Fiora e Grosseto. Nel 1254 presenzia all'atto di pace tra Siena, Firenze, Orvieto, Montepulciano, Conte Guglielmo di Maremma e Pepo della Rocca Tederighi[53]. Ebbe numerosi figli, tra cui il più importante da ricordare è in dubbiamente Tommaso, non tanto per le opere compiute in vita, ma per il fatto che diede origine al Ramo di Pio II e delle Papesse
  • Gioacchino (1258 - † 1305).
    File:Gioacchino Piccolomini - Beato dell'Ordine dei servi di Maria.png
    Beato Gioacchino
    Conosciuto anche come Giovacchino, al battesimo era iscritto come Chiaramonte. Risulterebbe figlio di Rustichino[51], ma, tra i suoi biografi, c'è disaccordo. Viene attribuito alla famiglia Pelacane e, dopo l'estinzione di quest'ultima, a quella dei Piccolomini[54]. Entrò nell' Ordine dei Servi di Maria, non ancora adolescente, all'età di 14 anni, con speciale dispensa. La leggenda vuole, che per liberare un'infermo dalla grave e incurabile malattia dell'epilessia, abbia chiesto al signore di trasferire su stesso quest'infermità. Esaudito, nella sofferenza e nella pazienza, portò, nella vita, questo male. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1305, si sono susseguiti numerosi miracoli a lui attribuiti. Quattordici, come vuole la tradizione. Ad otto anni dalla sua morte la sua fama di taumaturgo, si espande in tutta la Toscana e varca gli Appennini per approdare in Romagna e nel nord di Italia. Paolo V autorizzava il 21 marzo 1609 l'iscrizione di Gioacchino come beato nel Martirologio Romano[54].
  Lo stesso argomento in dettaglio: Gioacchino Piccolomini.
  • Ranieri (1238 ca. - † ?). Figlio anch'egli di Rustichino, durante i conflitti tra Guelfi e Ghibellini, si oppose alla città, a capo di un gruppo di fuoriusciti. Nel 1260, decise di sottomettersi a Siena, cominciando a partecipare alla attività di governo della Repubblica. Nel 1259 diventa podestà di Montepulciano. Anche suo fratello, Arrigo si oppose strenuamente ai ghibellini, ma anche lui nel 1280, finì per capitolare[51].
    * Mocata (1295 ca. - † ?). Figlio di Gabriello di Ranieri, presenziò[51] alla stipula della convenzione che affidava la signoria di siena per cinque anni al Duca di Calabria Carlo d'Angiò[55]. Con i figli di Mocata e dei suoi fratelli, il patrimonio della famiglia si incrementò notevolmente , ma la sua discendenza si estinse alla fine XIV secolo[51].
  • Gabriello di Rustichino di Ranieri,insieme ai suoi figli, Carlo, Neri, Gualtieri e Tato, accumulò una ragguardevole ricchezza. La famiglia, alla fine del XIII secolo, aveva diversi possedimenti a Rapolano, Casole, Santa Regina, Asciano, Armaiolo, Follonica, Fornicchiaia, Rencine, S. Mamiliano,Radi, Capraia, San Viene, Arbiola e Valdimontone.
  • Carlo di Gabriello diede inizio alla linea che si distinse dalle altre per l'aggiunta patronimica del suo nome di battesimo. Ebbe diversi figli tra i quali vanno ricordati, Biagio, Francesco e Bandino. Le rispettive line genealogiche sono riportate nella sezione dedicata ai Carli Piccolomini

Piccolomini della Torre a Castello

Piccolomini della Torre a Castello - Genealogia in sintesi

 
Piccolomini della Torre a Castello - Genealogia in sintesi[56]

Questa linea discende direttamente da Ranieri di Rustichino e si estinse nel XIX secolo. Non mancò di produrre insigni personaggi.

  • Rinaldo (1205 ca. - † ?) di Ranieri, aveva dei possedimenti vicino ad Asciano ed un castello nella località Torre a castello, dalla quale prese il nome la sua prosapia[57].
  • Enea (1235 ca. - † ?). Figlio di Rinaldo, dimostrò grandi capacità, sia in campo militare che diplomatico. Di parte guelfa, fu ambasciatore sia presso il papa Gregorio X (1271), che presso l'imperatore Rodolfo I d'Asburgo (1272). Partecipò all'arbitrato che porto la pace con i Salimbeni e fu partecipe degli atti che conclusero la pace tra guelfi e ghibellini. I suoi discendenti, nel corso dei secoli successivi, parteciparono attivamente alla vita della Repubblica.
    Questa linea, prima della sua estinzione, diede i natali ad alcuni personaggi notabili e di rilevanza storica:
  • Archangelo o Arcangelo Piccolomini (Siena 1525 - † Roma 1586). Nativo di Siena, divenne cittadino di Ferrara per privilegio[58]. Compì i suoi studi, nel campo della medicina e della filosofia a Ferrara ed é stato ritenuto uno dei più valenti scienziati anatomici del XVI secolo.
     
    Archangelo Piccolomini

    In giovane età, nel 1550, si recò in Francia ove ebbe presso l'Accademia di Bordeaux, la cattedra di filosofia. Nel 1556 compilò, dedicandolo al Vescovo di Ceneda, Michele della Torre e nunzio apostolico a Parigi, un ampio commentario del trattato di Galeno De Humoribus. Libro, a quei tempi molto raro, di cui aveva curato personalmente la traduzione dal greco al latino.
    Nel 1557, rientrò in Italia, ove, preceduto dalla sua fama, fu chiamato a Roma dal papa Paolo IV, che lo nominò Archiatra Pontificio. Carica che mantenne anche sotto i successivi papi Pio IV e Gregorio XIII. Nel periodo romano, ottenne la cattedra di medicina ed anatomia allo Studio della Sapienza. Nel 1586 pubblicò il trattato di anatomia Anatomicae praelectiones explicantes mirificam corporis humani fabricam, che dedicò a Papa Sisto V, che si era appena insediato. Lo stesso anno morì e fu sepolto nella chiesa di Santa Maria della Minerva.
    Da un punto di vista scientifico, descrisse dettagliatamente il pannicolo adiposo, il diaframma e i muscoli addominali, isolò e descrisse i nervi cerebrali, ponendo una netta distinzione tra materia grigia e tessuto midollare[59].
     
    Enea Silvio Piccolomini 1709 -1768

Questo personaggio, anche se non ci sono, attualmente, riscontri genealogici certi, dovrebbe trovare collocazione in questa linea genealogica, unica fra le altre, dove il nome Arcangelo ricorre più volte.

  • Tommaso (1708 - † ?). Gestì il difficile periodo di transizione, tra i Medici ed Lorena. Fu inserito da Francesco Stefano nel "Conseil intime pour les affaires de Toscane", a Vienna dove curò gli interessi dei ceti di governo locali nel processo di amalgama tra la classe dirigente viennese e quella toscana[60]. Rientrato in patria divenne ministro degli esteri del Gran Ducato fino al 1785[61].
  • Enea Silvio ( Siena 1709 - † 1768. In età giovanile scrisse commedie e poemi che ebbero una certa fortuna letteraria[51]. In seguito fu chiamato al sacerdozio. Divenne canonico della Chiesa di Santa Maria di Provenzano ed in questo periodo approfondì gli studi, acquisendo il dottorato in filosofia ed in teologia. Nel 1729, si trasferì a Roma, dove, favorito da amicizie importanti, divenne famigliare di Clemente XII, il quale, nel dicembre 1730, lo nominò ciambellano pontificio d'onore e fu introdotto anche nella corte imperiale di Carlo VI d'Asburgo[51] dove come ablegato apostolico portò l'investitura cardinalizia a Girolamo Grimaldi[62]. Successivamente ricevette diversi incarichi dai pontefici, fino a quando Papa Clemente XIII lo elevò al rango cardinalizio nel 1761. Fu nominato legato in Romagna, dove, a Rimini, morì nel 1768.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Enea Silvio Piccolomini (cardinale).

Ramo di Pio II e delle Papesse

Piccolomini - Ramo di Pio II e delle Papesse - Genealogia in sintesi

 
Ramo di Pio II e delle Papesse



Questa linea discende direttamente da Rustichino, tramite altro Rustichino di Ranieri. Dotata di grandi mezzi, finanziò il comune di Siena in diverse occasione, divenendone largamente creditrice. Tolomeo insieme ai cugini Ranieri di Rinaldo e Bartolomeo di Guglielmo Salamoneschi, viene ricordato nel 1258, come creditore di Corrado d'Hochstadt, Arcivescovo di Colonia, per l'importante cifra di 4600 marche sterlinghe[63], destinate, probabilmente, ai lavori della Cattedrale di Colonia dei Santi Pietro e Maria. I suoi figli Gabriello e Corrado, a cavallo del XIII e XIV secolo, si impegnarono a consolidare il loro patrimonio fondiario e immobiliare, nella zona diCorsignano. Da Corrado dopo tre generazioni troviamo Silvio che nel 1405 sposa Vittoria Forteguerri. Da questo matrimonio nacque Enea Silvio, divenuto poi Papa Pio II.

  Pio II 210º papa della Chiesa cattolica (1459 - 1464)  

  • Enea Silvio (Corsignano 1405 - Ancona 1464). Fu il maggiore di 18 fratelli. Iniziato agli studi di giurisprudenza per volere del padre, fin da giovanissimo fu attratto dagli studi umanistici e dal ridondante fascino di Filelfo e di altri umanisti del tempo.
     
    Enea Silvio Piccolomini parte per il Concilio di Basilea
     
    Callisto III eleva Enea Silvio Piccolomini a Cardinale
    Di grande livello fu la sua cultura nelle lettere latine e classiche. Compositore di poesie in latino e in volgare[64].
    Come laico, sin dall'età giovanile, divenne segretario di diversi alti prelati. Nella disputa scaturita durante il concilio di Basilea, tra numerosi padri conciliari ed il papa Martino V prima, ed il suo successore Eugenio IV, dopo, si schierò, apertamente, contro quest'ultimo[65]. Tenne nel 1439 la cura esterna del conclave che elesse l'antipapa Felice V (al secolo Amedeo VIII di Savoia), di cui divenne segretario. Al servizio di Bartolomeo Visconti, Vescovo di Novara, tentò lo stesso anno, di favorire l'arresto di papa Eugenio, che era esule a Firenze, ma scoperto, prese la via dell'esilio[65].
    Al seguito del cardinale Niccolò Albergati, si rifugiò i Borgogna e per conto dello stesso, si recò in Scozia, per poi tornare a Basilea, dove, come scrittore e resocontista del concilio, continuò la sua lotta antipapale. In questo periodo ottenne, per le sue capacità, importante visibilità, ribadita dalla pubblicazione di un un Libellus [66], in cui difese con ardore e determinazione (1440), l'autorità e la supremazia del concilio nei confronti del papa.
    Nel 1442 accadde un episodio importante nella sua vita: inviato alla dieta di Francoforte, fu onorato con la corona di poeta, dall'imperatore Federico III, che, soprattutto, lo assunse come segretario della cancelleria imperiale. Negli uffici di corte, iniziò un nuovo percorso, che mutò profondamente il suo atteggiamento sulla questione conciliare. Questo nuovo corso lo portò a preferire allo scontro diretto, la via diplomatica e della composizione[64]. Fu inviato nel 1445 ambasciatore a Roma, dove ritrattò con convinzione tutte le teorie sostenute in passato, ottenendo l'assoluzione ed il perdono di Eugenio IV[67]. L'anno successivo, nel marzo del 1446, decise di abbandonare la vita laica e preso da autentico fervore religioso, fu ordinato diacono, poi prete per andare, come canonico, nel duomo di Trento.
    Nel 1453, grazie ai numerosi servigi diplomatici resi, ottenne dall'imperatore Federico, il titolo di conte palatino, esteso a tutti i componenti maschi della famiglia, nonché il privilegio di aggiungere nello stemma gentilizio il capo dell'impero[68].
    Nella sua attività di pontefice, non dimenticò mai la sua famiglia, che volle mantenere potente ed unita, istituendo l'accennata Consorteria. Non nascose mai il suo atteggiamento nepotistico[67], combinando prima il matrimonio del nipote Antonio con una figlia naturale di Re Ferrante d'Aragona, dando poi la porpora cardinalizia al nipote Francesco (futuro papa Pio III), distribuendo feudi agli altri figli della sorella Laudomia, sposa di Nanni Todeschini Piccolomini. Per citare solo gli esempi più eclatanti.
    Va inoltre ricordato il suo amore per l'arte. A Siena fece costruire le logge dette del papa, il grande Palazzo delle Papesse e diede inizio alla costruzione del palazzo Piccolomini. Trasformò, sotto la guida del Rossellino la sua nativa Corsignano, in quello che sarebbe diventato un gioiello del fiorente rinascimento italiano: Pienza[68].
  Lo stesso argomento in dettaglio: Papa Pio II.

Dalle due sorelle di Pio II, che, per effetto dei vincoli consortili, portarono, ai rispettivi mariti, il cognome Piccolomini, nacquero due ramificazioni importanti, volgarmente dette delle Papesse. Qualificazione onorifica, assegnata alle sorelle[69], dallo stesso pontefice. Il predicato delle Papesse, in effetti non fu mai ufficialmente usato, anche se i senesi, solevano attribuirlo ai signori di Sticciano, discendenti di Caterina[70][69][71], che avevano assunto come dimora, il palazzo dedicato alle due sorelle del papa.

Piccolomini Todeschini

Questa linea discende da Laudomia e Nanni Todeschini di Sarteano, che fu adottato nella famiglia da Pio II, con assunzione dello stemma piccolomineo ad esclusione del proprio. Quest'ultimo divenne nel 1460 Governatore dell'Umbria per conto della chiesa[72]. Ebbe oltre Pio III altri tre figli, che generano altrettanti rami.

Pio III

  Pio III 215º papa della Chiesa cattolica (1503 - 1503) 

  • Francesco (Siena o Sarteano 1439 – Roma 1503). La sua educazione, fin dai primi anni, fu curata con particolare attenzione dallo zio materno. Questi, nei suoi viaggi in europa, portò con se il nipote, appena adolescente, che già a quattordici anni cominciò a frequentare l'università di Vienna.
     
    Incoronazione di Pio III

    Continuò i suoi studi, umanistici e giuridici, a Ferrara e a Roma, con insegnati di prim'ordine, come Giacomo Tolomei e Andrea Benzi, per poi conseguire il dottorato a Perugia[38]. Subito dopo l'ascesa dello zio al soglio pontificio, a soli ventitré anni, nel 1460, quando già era amministratore della diocesi arcivescovile di Siena, fu nominato Cardinale e, caso assai inconsueto, non essendo stato ordinato sacerdote, intraprese la sua carriera ecclesiastica come diacono[73]. Successivamente ebbe l'investitura di numerose prepositure e diaconati, in Italia e all'estero, con la successiva nomina a legato pontificio nella Marca di Ancona[74]. In realtà in questi anni risiedette quasi sempre a Roma, dove aveva un palazzo, di recente acquisizione, che divenne una sede sontuosa dotata di una ricchissima biblioteca e ornata di diverse opere d'arte, in particolare da una ricchissima collezione di statue antiche[75]. Nel1464, quando lo zio lasciò Roma, per preparare la crociata contro i Turchi, fu nominato vicario generale "in temporalibus", in un primo tempo di Roma e successivamente di tutto lo Stato Pontificio[76]. Tutte queste prerogative facevano intravedere una minuziosa preparazione ad una probabile successione di Francesco allo zio, sul soglio pontificio.
    L'improvvisa e prematura morte di Pio II colsero, il cardinale ed il partito piesco, di sorpresa. La politica nepotistica e la simonia, sempre praticate dallo zio, avevano creato non pochi malumori nella curia. Di fatto, dopo l'elezione del nuovopontefice, Francesco fu allontanato dal potere e relegato nella sua città natale[77].
     
    Libreria Piccolomini nel Duomo di Siena, voluta da Pio III - Un affresco

    La sua fama di uomo probo, la sua cultura giuridica ed ecclesiastica, la sua fine diplomazia gli consentirono di tornare gradualmente in gioco, guadagnandogli una posizione da protagonista nella composizione degli scismi religiosi che scuotevano l'Europa centrale. La sua buona conoscenza della lingua e delle problematiche tedesche, svolsero un ruolo di primo piano nel conseguimento di indiscutibili successi. Dopo la morte di Pio II, nei quaranta anni che seguirono, salirono sul trono di Pietro quattro pontefici e ad ogni conclave il nome del cardinale senese fu sempre tra i papabili. Si seppe destreggiare tra le numerose insidie che scuotevano le fazioni capitoline, appoggiate da una parte dagli Spagnoli e dall'altra dai Francesi. Fu inviso a questi ultimi e da sempre simpatizzante dei sovrani spagnoli e della dinastia aragonese del regno di Napoli. In considerazione della sua comprovata rettitudine, nel 1503, nonostante le divergenze e dopo un periodo di gravi turbolenze fu eletto papa con il nome di Pio III. Le sue precarie condizione di salute, favorirono la sua nomina, in previsione di un pontificato di transizione,[78] che, in effetti, sebbene inaspettatamente, durò solo pochi giorni.
    Visse in fama di uomo mite e di pietà, ricordato per la sua onestà di vita e per amore dell'arte, scevro da tentazioni nepotistiche e simonia[79]. Nei suoi ultimi anni diede inizio alla costruzione della Libreria Piccolomini, affrescata dal Pinturicchio[80], dove avrebbe conservato oltre gli importanti codici ereditati dallo zio, la sua importante biblioteca a cui si aggiunsero altre acquisite in seguito. Grazie al suo intervento, la Cattedrale di Siena fu arricchita di dodici statue commissionate a Michelangelo[81] e impreziosita dall'Altare Piccolomini, commissionato ad Andrea Bregno. Frutto del suo mecenatismo furono altre opere commissionate a Siena , Pienza e Roma.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Papa Pio III.
Ramo di Antonio - Piccolomini d'Aragona

  Duchi di Amalfi,   Marchesi di Deliceto e Capestrano,   Conti di Celano e Gagliano,   Baroni di Balsorano, Pescina, Scafati e Carapelle

Genealogia essenziale Piccolomini d'Aragona

 
Genealogia essenziale Piccolomini d'Aragona
  • Antonio (Sarteano 1437 - Napoli 1493). Dopo i primi anni dedicati agli studi a Sarteano, si rivolse al mestiere delle armi, come molti altri componenti della sua famiglia. Sotto la guida dello zio Pio II, curò gli interessi della chiesa, nella ancora fragile monarchia aragonese di Ferdinando I (Ferrante) d'Aragona.
     
    Affresco murale dello stemma Piccolomini d'Aragona
     
    La città medievale di Amalfi nel XVII secolo. Sullo sfondo la torre di avvistamento Piccolomini d'Aragona
    Quest'ultimo, figlio naturale del defunto Alfonso V, fu favorito dal papa, che sancì il suo diritto successorio nella monarchia partenopea, ai danni del pretendente angioino Giovanni di Lorena. In questa situazione di instabilità politica e nella necessità di consolidare l'alleanza con il papato, fu deciso il matrimonio tra Antonio e Maria figlia naturale del re aragonese[82]. Circostanza che aprì alla famiglia senese, nuovi orizzonti nel sud della penisola. Il primogenito di Laudomia, ottenne così la nomina a Duca d'Amalfi e poté aggiungere al suo, il cognome degli Aragona ed inquartare il proprio stemma con le insegne reali[83]. Nello stesso anno, il 1458, fu nominato anche Gran Giustiziere del Regno di Napoli e la famiglia fu aggregata al patriziato napoletano nel Seggio di Nilo, uno dei sette Sedili di Napoli[84]. Le aspettative non furono deluse e il Piccolomini, con le sue milizie, ebbe un ruolo determinante nell'acquisizione, alla monarchia, di Castellammare di Stabia e Scafati. Il 18 agosto del 1462 sotto il comando di Alessandro Sforza, ed alla guida di 2000 fanti e 26 squadre di cavalli, prende parte alla battaglia di Troia.[85][86]. Il rivale angioino di Ferrante I venne definitivamente sconfitto, insieme ai feudatari ribelli del regno. Fu così dato al movimento anti aragonese, la cosiddetta Congiura dei Baroni, un colpo di grazia dal quale non riuscirà, più a risollevarsi[82].
    Dopo la vittoria di Troia, beneficiò della distribuzione di numerosi feudi che il Ferrante assegnò ai difensori della sua causa. Nel 1463 ottenne il titolo di marchese di Capestrano e di Deliceto, il titolo di conte di Celano e Gagliano, il titolo di barone di Balsorano, Pescina e Carapelle; nel 1465 infine divenne barone di Scafati[87].
    Contemporaneamente a questi avvenimenti nel 1462, nelle continue controversie che interessavano i territori marchigiani, il Malatesta perse definitivamente la Signoria di Senigallia ad opera di Guido di Montefeltro, che la restituì allo Stato della Chiesa. L'allora pontefice Pio II la diede in dominio, insieme alla signoria di Moldavio al nipote Antonio[88].
    Nel 1474, però, in tali feudi subentrò Giovanni della Rovere, nipote di Sisto IV, che nei vari giochi nepotistici, risultò vincitore[78].Gli interessi del Piccolomini ormai gravitavano nel regno di Napoli, dove le cariche politiche, l'amministrazione degli innumerevoli feudi, che fra l'altro, portavano ritorni economici di non poco interesse, lo assorbivano completamente. Durante i vent'anni di pace che seguirono, fece costruire i castelli di Balsorano, Celano e Ortucchio e restaurare diversi altri di sua proprietà che, poi, distribuì tra i suoi discendenti.
    Va sottolineato che la figura di Antonio ha una dimensione esemplare. Unico in tutta la sua famiglia dimostrò grande sensibilità nei confronti dello sviluppo manifatturiero amalfitano. In virtù della sua cultura operosa, ereditata nel territorio senese, ed anche alla politica inaugurata da Alfonso il Magnanimo, importò, da diversi luoghi delle penisola, maestri in grado di dare impulso alla costruzione di diversi opifici. Primo fra tutti fu quello per la lavorazione della lana "all'usanza di Siena e Firenze", nonché diverse gualchiere e tintorie nel territorio amalfitano: a Scala, Pontone, Ravello, Strani e Maiori. Rilanciò ed implementò gli stabilimenti siderurgici preindustriali, le ferriere, già presenti ad Amalfi[89].

Antonio ebbe diversi figli di cui:

 
Castello Piccolomini di Balsorano
  • Francesco (1460 ca. - † 1530). Fu Vescovo di Bisignano dal 1498 fini alla sua morte. Di fatto, fino al 1518, in assenza dei Sanseverino, signori del territorio, gestì il principato in autonomia, con saggezza e lungimiranza. Viene ricordato tra le altre cose, per la difficile mediazione tra gli abitanti del luogo ed i flussi migratori dei cristiani albanesi in fuga dall'occupazione musulmana[90].
  • Alfonso I (1462 ca. - † 1503). Condusse una vita, all'ombra della grandezza dl padre, non riuscendo mai ad esprimere la sua personalità. Compare spesso negli eventi legati alla vita di corte e nelle cerimonie più importanti, come il matrimonio di Eleonora d'Aragona con Lionello d'Este o l'incoronazione di Federico I re di Napoli, a testimonianza di come la famiglia fosse considerata nei più alti ranghi della nomenclatura aragonese. Subito dopo la morte del padre, si vide togliere il ducato di Amalfi[91] e la gran parte dei feudi caduti sotto il controllo transalpino, durante la disastrosa conquista di Napoli, da parte di Carlo VIII. Conquista che cercò di contrastare, militando nelle fila dell'esercito aragonese. Feudi che comunque riebbe, subito dopo la ritirata delle truppe francesi nel 1495. Morì giovane nel 1503, seguito a poca distanza dalla moglie Giovanna d'Aragona, non riuscendo a trasmettere, ai suoi figli l'educazione e quella tradizione familiare, che avrebbe voluto.
  • Giambattista (1464 ca. - † 1530). Secondogenito di Antonio, divenne Marchese di Deliceto acquisendone il feudo, con a capo lo storico castello. Ebbe in moglie Costanza Caracciolo, appartenente ad una delle più illustri famiglie di Napoli. Personaggio storicamente non importante, si dedicò essenzialmente alla gestione delle sue proprietà.
     
    Castello di Deliceto
    Di indole mite e religiosa, volle ristrutturare e dotare, di cospicue rendite, la cappella di Santa Maria dell'Olmitello, nei pressi del castello, dove la tradizione narra il ritrovamento, dopo l'apparizione della madonna, di una statuetta lignea tra i rami di un olmo. Statuetta che anche in età moderna si conserva all'interno della chiesa[92]. Inoltre donò un vasto terreno per la costruzione da parte dell'ordine dei frati francescani del convento e chiesa di Sant'Antonio da dove l'occhio spazia su un vastissimo territorio, dal Tavoliere delle Puglie e dal Gargano fino alle alture della Basilicata[93].
  • Alfonso II (1500 ca. - † Nisida 1563). Figlio di Alfonso I. Con l'uscita di scena degli Aragona, cominciò un lento, quanto inarrestabile declino della famiglia, nella gestione del potere. L'avvento degli spagnoli, non comportò tuttavia, un'inversione di tendenza nei rapporti con i sovrani.
     
    Stampa dell'isola di Nisida (1700) con il castello di Alfonso Piccolomini
    La tradizionale fedeltà dei Piccolomini alla casa degli Asburgo, vide confermare i rapporti di stima e fiducia da parte di Carlo V, che era subentrato al posto dello sconfitto Federico I. Divenne generale imperiale e Giustiziere del regno[83]. Elesse a sua abitazione, la grande torre sulla sommità dell'isola di Nisida, già nel feudo dei Duchi di Amalfi, che trasformò in palazzo, dove tenne feste, ricordate per il grande sfarzo e grande profusione di denari[94]. Non riuscì a dimenticare le sue origini senesi e in quel periodo (1528), in cui la repubblica era agitata da gravi scontri tra le diverse fazioni, non seppe rinunciare all'offerta ricevuta, grazie alla sua riconosciuta autorevolezza, di divenire Capitano del Popolo, super partes a Siena[95].
    Questa posizione gli creò non pochi problemi, in quanto la repubblica toscana, sempre di più, contesa, nei giochi di potere della politica europea, per assicurare la propria sopravvivenza, tenne sempre più le parti della monarchia francese.
    In questa tentazione venne coinvolto anche l'irreprensibile Duca di Amalfi, che perse i favori di Carlo V, il quale lo costrinse a lasciare la Repubblica, esautorandolo, anche degli incarichi ricoperti nel Regno di Napoli.
    Si ritirò a Nisida dove condusse una vita ritirata, estraniandosi progressivamente, dalla vita sociale ed anche da quella familiare, abbandonando, di fatto, a se stessi la moglie Costanza d'Avalos e i suoi figli. Tra questi, Iñigo e Giovanni continuarono la discendenza[96].
  • Iñigo (1523 - † Roma 1566). Le notizie su questo componente della famiglia non sono numerose. Divenne Duca di Amalfi per rinuncia del fratello Giovanni alla primogenitura. Sposò una Piccolomini, Sivia, ultima rampolla del ramo di Andrea ed ultima signora del Giglio e di Castiglion della Pescaia. La vita di Iñigo fu segnata da un infausto episodio che lo vide accusato dell'assassinio di un uomo nel reame di Napoli. Fu costretto a rifugiarsi, esule, nello Stato Pontificio. Nel corso della sua permanenza a Roma, decise di vendere a Cosimo dei Medici, il feudo toscano portatogli dalla moglie. È sepolto nella chiesa di Santa Maria del Popolo, dove la sua lastra tombale fu ricavata da una cornice delle Terme di Agrippa[97].

In questo periodo della storia della famiglia, la società napoletana fu interessata da una vera e propria rivoluzione dei costumi. Alle lotte tra baroni che si contendevano feudi e territori, in quello, che era stato ormai il tramonto del medioevo, subentrava un periodo di stabilità sociale ed economica, obiettivo questo coincidente con gli interessi della snuova monarchia spagnola.

 
Playing dress renaissance
 
La Corte Napoletana dei Viceré nel XVI Secolo

Alcuni fenomeni nuovi, come la forte e fino ad allora sconosciuta spinta inflazionistica, che interessò parte del XVI e del XVII secolo, unita alla formazione di una classe operosa ed industriosa quale la borghesia, mostrarono l'inadeguatezza di una classe aristocratica, ingessata. Inadeguatezza dalla quale neanche i Piccolomini d'Aragona riuscirono ad essere immuni. L'amministrazione del nuovo regno, seppur fortemente accentrata a Napoli, lasciava tuttavia gli antichi diritti feudali, quasi inalterati. In questa fase di forti cambiamenti, i Piccolomini, non riuscirono a gestire il proprio patrimonio, composto da opifici, miniere e tenute fondiarie. Inoltre subentrò la consuetudine di dare in affitto le proprietà per non essere costretti ad effettuare controlli amministrativi, che in realtà non erano in grado di fare[89]. Così i Duchi di Amalfi si allontanarono sempre più dalle loro realtà produttive, parte delle quali, non potevano essere vendute, in quanto legate da vincoli giuridici alla famiglia. Nel contempo la corte spagnola, introdusse i fasti di un eleganza e di una grandezza fino ad allora sconosciuti nell'aristocrazia napoletana, trasformando la partecipazione alla vita di corte in una necessità quasi imprescindibile e strettamente connessa alla propria posizione sociale[98]. Un elegante ed esclusivo abito cinquecentesco arrivava a costare quanto la rendita annuale di un fondo agricolo. Tutto questo, insieme alle cospicue donazione e atti di munificenza e prodigalità, strettamente legati al proprio rango, portarono ad un aumento vertiginoso delle spese di rappresentanza, con la necessità pressante e continua di nuova liquidità. Ben presto, nonostante la cessione diffusa delle mastrodattie[99] e dei diritti feudali in genere, i soli affitti non furono più sufficienti. Le ingenti spese profuse da Alfonso II da una parte e i suo figlio Iñigo dall'altra, portarono ad una stagione di indebitamento, di cui gli affittuari divennero, i principali finanziatori, con progressivo sgretolamento del patrimonio familiare. L'ultima erede del ramo primogenito, Costanza, si ritrovò, nel corso della sua vita, in condizioni economiche notevolmente diminuite[100] ed enormemente distanti da quelle fondate dal bisnonno Antonio, primo Duca di Amalfi.

  • Costanza (1553 - † 1610 Napoli) e Alessandro (1555 - † 1617). Nel 1566, alla morte del padre Iñigo, il patrimonio dell'ultima nata della linea primogenita, rimaneva comunque formidabile. Per tamponare le posizioni debitorie più urgenti, fu venduta alla zio Giovanni, il fratello del padre, l'isola di Nisida con il castello di famiglia. Inoltre sempre allo zio donò diversi e numerosi feudi, tra cui il castello di Ortucchio, quello di Pescina e quello di Balsorano[101][102].
    Quando ancora era in possesso di un larghissimo patrimonio, per volontà della famiglia, che era legata a quella politica di endogamia, tipica, della consorteria Piccolomini, fu costretta, non ancora ventenne, a sposare, nel 1572, il cugino Alessandro. Cugino che era l'ultimo discendente dei marchesi di Deliceto, linea secondogenita del bisnonno Antonio. fondatore della casata.
    Non fu questo un matrimonio fortunato. Alessandro infatti, conosciuto come VII Duca d'Amalfi, non ebbe buona fama, dopo aver dilapidato tutto il suo cospicuo patrimonio, si diede a pratiche magiche e sortilegi, tanto da subire un processo per bestemmie ereticali da parte del Santo Officio. Aveva sofferto 12 anni di carcere a Castel dell'Ovo, condanna inflittagli dalla giustizia vicereale del Conte d'Olivares, a cui se ne dovevano aggiungere altri 10 nel Castello dell'Aquila[103].
 
Castel dell'Ovo, Luogo di detenzione di Alessandro Piccolomini - Ultimo Marchese di Deliceto
 
Santa Maria alla Sapienza, nel cui monastero entrò Costanza Piccolomini d'Aragona, VI Duchessa d'Amalfi

In quegli anni la povera Costanza fu costretta a vendere, gran parte di quello che rimaneva dei suoi averi: il Castello di Capestrano e la sua signoria andò al Granduca di Toscana, la contea di Celano fu venduta ai Peretti, la famiglia del papaSisto V[95]. Nel 1600 il marito Alessandro, con l'abiura ottenne da Clemente VII la grazia che, accompagnata a quella ottenuta dal nuovo viceré, Conte di Lemos, gli ridonò la libertà, con l'obbligo di condurre una vita militare, che al servizio della Repubblica Veneta durò per molti anni a seguire[104]. Costanza ottenne con potestà pontificia, l'annullamento della sua unione. Fu costretta a mettere in piazza le miserie di un matrimonio fallito, ufficialmente non consumato e costellato di tradimenti, adulterio e umiliazioni. Si tolse il marito di torno a dure condizioni: dovette cedergli il Ducato di Amalfi e concedergli un vitalizio di 2400 ducati annui.[105]. Nel 1596, divenne monaca dell'Ordine delle Clarisse nel monastero di Santa Maria della Sapienza. Negli ultimi atti della sua vita mondana, fece molte donazioni, di notevole entità, ad opere pie situate sia a Napoli che a Siena. Inoltre donò, all'Ordine dei Teatini[106], il palazzo romano che era stato di Pio III, con all'interno, gli inestimabili arredi. L'Ordine, in ossequio alla volontà della duchessa, costruì una chiesa, adiacente al palazzo e dedicata a Sant'Andrea, santo protettore di Amalfi. Chiesa che poi fu chiamata Sant'Andrea della Valle[107].
Costanza morì nel 1610, seguita nel 1617 dal ex marito Alessandro, ultimo marchese di Deliceto ed ultimo duca napoletano di Amalfi.
Il ducato, infatti, benché, fortemente impoverito, fu donato dal re di Spagna, Filippo III, al principe Ottavio Piccolomini, della linea dei signori di Sticciano[108].


  Principi di Valle di Casale, Nachod e Maida   Grandi di Spagna   Duchi di Laconia   Marchesi di Montesoro

Dopo le turbolenze che hanno caratterizzato la fine dei due rami principali della famiglia e cioè i Duchi di Amalfi e i Marchesi di Deliceto, terminati con Costanza e Alessandro, i Piccolomini d'Aragona continuarono la loro permanenza nel reame di Napoli, con la linea di Giovanni, fratello di Iñigo, che abbiamo visto in precedenza. Portavano con sé il titolo ed il feudo della baronia di Scafati e la signoria di Boscoreale, nonché le vaste proprietà pervenute dalla duchessa Costanza, che però vennero in parte vendute da Alfonso figlio di Giovanni. La famiglia continuò a ricoprire un ruolo di primo piano nell'aristocrazia napoletana, continuando una politica di intese matrimoniali che li vedeva uniti con le principali famiglie del regno, come i Caracciolo , i Carafa, i Pignatelli, i d’Avalos d’Aquino d’Aragona, i Ruffo di Calabria e altre. Giovanni, figlio di Alfonso, si sposò con Gerolama Loffredo uno dei nomi più illustri dell'epoca. La linea continuò con un altro Alfonso che rinnovò il peso e la visibilità della famiglia.

  • Alfonso (1630 ca. - † 1694). Ottenne da Filippo III, re di Spagna e di Napoli, il titolo di Principe di Valle di Casale, grande signoria che dalle pendici del Vesuvio si estendeva nel territorio di Pompei. Inoltre sposò Eleonora Loffredo, che portò in casa Piccolomini, Il principato di Maida, feudo in Calabria, il Marchesato di Montesoro, feudo in Sicilia ed il ducato di Laconia. Si occupò essenzialmente dell'amministrazione delle sue proprietà, ricostituendo l'equilibrio economico perduto.
  • Giuseppe (1656 ca. - † 1733). Secondogenito di Alfonso, sposò Anna Colonna. Ben introdotto nella corte vicereale di Napoli, ben presto entrò nella considerazione della monarchia spagnola. Impegnato nella professione militare, divenne Maestro di campo del re di spagna, comandante del Tercio di Napoli. Le sue indiscusse capacità ed il valore dimostrato nelle campagne militari gli fecero ottenere numerosi riconoscimenti e Filippo V, nel 1711, introdusse la famiglia tra i Grandi di Spagna[110].
  • Pompeo (1694 - † 1765 Nachod - Boemia).Figlio di Giuseppe, all'estinzione della linea dei Signori di Sticciano, fu depositario[110] di un vasto patrimonio, accumulato per secoli ed ingrandito da quel grande personaggio che fu Ottavio Piccolomini. Aggiunse ai suoi numerosi titoli e feudi, quelli toscani dei Piccolomini detti delle Papesse. Divenne principe del Sacro Romano Impero ed ereditò la prestigiosa signoria del principato di Nachod, con il maestoso palazzo, assimilabile, più ad una reggia che non ad una residenza privata. Lasciò definitivamente Napoli, per ritirarsi in Boemia dove morì.
    Con suo figlio Giuseppe, questa grande casata napoletana si estinse, in grandiosa opulenza, e tutti i titoli e signorie, passarono alla linea dei Piccolomini Salamoneschi, che da allora in poi (1807), subentrarono nei loro diritti, assumendone il cognome[111].


In questo modo ebbe storicamente fine la dinastia napoletana dei Piccolomini d'Aragona, iniziata da Antonio Todeschini Piccolomini.

Nel territotio campano, è, tuttavia, ancora presente la sua prosapia, in virtù di alcuni figli naturali legati alla sua discendenza. Tra questi, vanno ricordati, come continuazione parallela dei Baroni di Scafati e Principi di Valle, Antonio e Vittoria, che cugini tra loro, si unirono in matrimonio, conservando il cognome Piccolomini d’Aragona. La loro discendenza, se pur non omologata, dalla memorialistica genealogica tradizionale, rimane, tuttavia, la depositaria dei ricordi storici e culturali di questo illustre ramo della famiglia.

Ramo di Giacomo - Piccolomini di Castiglia e d'Aragona

  Duchi di Montemarciano e Signori di Camporsevoli

Piccolomini d'Aragona e di Castiglia Duchi di Montemarciano, Signori di Camporsevoli - Genealogia in sintesi

 
Piccolomini d'Aragona e di Castiglia Duchi di Montemarciano, Signori di Camporsevoli

Questo ramo beneficiò, nel nome di Giacomo, del dono da parte dello zio Pio II, del Ducato di Montemarciano nelle Marche e della signoria di Camporsevoli nei pressi di Chiusi[112]. L'avvento sul soglio pontificio di Sisto IV, dei della Rovere, rese quantomai problematica la gestione, da parte dei Piccolomini, del feudo di Montemarciano.

  Giacomo - Conte del Sacro Romano Impero (1458)

  • Giacomo (1441 - † 1507). Con decreto imperiale di Federico III nel 1458 fu nominato conte del S.R.I. Successivamente, nel 1478 ebbe la facoltà di aggiungere i cognomi di Castiglia e d’Aragona da Re Enrico IV di Castiglia. In precedenza, nel 1472, cercò di riprendere, con un colpo di mano e l'aiuto di fuoriusciti, la signoria di Senigallia[113] , dalla quale, il fratello Antonio Piccolomini d'Aragona, che n'era il legittimo signore, fu scacciato subito dopo la morte di papa Pio II[114]. In queste contese, intervenne infine papa Sisto IV, concedendo il feudo rivendicato, al nipote diciassettenne, Giovanni della Rovere, contro il volere dell'allora cardinale Francesco Piccolomini (poi Pio III)[115]. Giacomo, riuscì, a stento ad evitare la condanna a morte inflittagli dal pontefice. A torto o a ragione, a differenza del fratello Antonio, preso dai suoi copiosi interessi nel regno di Napoli, questo ramo della famiglia, si sentì defraudato e non sopì mai il desiderio di riconquistare quella signoria, senza la quale, in effetti, Montemarciano si trovava ad essere una roccaforte isolata in territorio ostile.
    A questo Giacomo, inoltre, si deve l'ultimazione dell'austero e grandioso Palazzo Piccolomini di Siena[116].
  • Antonio Maria (1490 - † ?). Alla Morte del cugino cardinale Giovanni, entrò in conflitto, anche lui, con lo Stato della Chiesa, occupando i territori di giurisdizione del prelato.
     
    Palazzo Piccolomini, voluto da Giacomo duca di Montemarciano e suo fratello Andrea, a Siena
    Si rinnovò un'aspra contesa ed alla fine papa Paolo III ne ingiunse ed ottenne la restituzione. Suo figlio Scipione morto nel 1608, fondò il Priorato di Pisa nell'Ordine di Santo Stefano. Fu l'ultimo signore di Camporsevoli[116].
  • Alfonso ( 1550 - † Firenze 1591). Figlio di Giacomo e nipote di Antonio Maria fu l'ultimo duca di Montemarciano. È passato alla storia come famigerato bandito.
 
La foresta della Faiola - Luogo dell'ultima schermaglia di Alfonso Todeschini Piccolomini

Sembra che l'abbandono della tranquilla e onorata vita nella repubblica di Siena sia stato originato da un'omicidio avvenuto ai danni di un componente della famiglia Baglioni, di Perugia. In un primo periodo si limitò, dalla sua signoria, a dare asilo ad avventurieri del territorio di Senigallia e della Romagna, nella rocca di Montermarciano[117]. Dopo una serie di alterne vicende, durate fino al 1579, dovette desistere, per l'intervento massiccio di forze militari inviate da Gregorio XIII. I suoi beni furono confiscati ed i familiari arrestati. Solo con l'intervento di Francesco I de' Medici, Granduca di Toscana, ottenne, nel 1584, il perdono papale ed il reintegro nel suo stato[116]. Per un certo periodo, militò al servizio della Repubblica di Venezia, nella guerra contro gli Uscocchi. La sua indole turbolenta, però porto a dei contrasti insanabili con quella Repubblica[118]. Successivamente, forse, spinto da promesse politiche ricevute da francesi e spagnoli, si mise a capo del malcontento che agitava le campagne dei territori laziali e senesi, a causa della grande carestia del 1590. Formò un esercito, composto per lo più di contadini mal addestrati, ma stretto tra papalini e medicei, fu facilmente sbaragliato. Riuscì a sfuggire all'arresto e continuò nelle sue scorribande, unendosi al bandito Marco Sciarra e con lui continuò ad imperversare, infestando un territorio che andava dalle Marche fino alle e pendici delVesuvio. La mossa sbagliata del Piccolomini si consumò nella foresta della Faiola, poco distante da Roma e sulla strada per Napoli, dove era giunto in soccorso dell'alleato Sciarra, che in questo frangente riuscì a salvarsi. Non fu così per il Piccolomini, che ebbe il suo manipolo decimato. Braccato e in fuga, fu, alla fine, catturato in una casa di coloni a Forlì. Di lì fu condotto a Firenze, dove il 2 gennaio 1591, fu giustiziato.
Il ducato di Montemarciano passò agli Sfondrati, famiglia dell'allora Papa Gregorio XIV[116].

Ramo di Andrea Signori del Giglio e Castiglione della Pescaia
Piccolomini Todeschini Signori del Giglio e di Castiglione della Pescaia - Genealogia in sintesi

 
File:Genealogia essenziale Piccolomini Todeschini Signori del Giglio e di Castiglione della Pescaia

Questo è il ramo, meno noto fra quelli generati da Laudomia. Gli appartenenti furono Signori di Castiglione della Pescaia e dell'Isola del Giglio. Comunemente vengono individuati, insieme a Pio III, come Piccolomini Todeschini, in misura maggiore rispetto agli altri fratelli.

  • Andrea (1445 ca. - † 1505). Ebbe un'indole diversa dai due fratelli. Non fu uomo d'armi ed è probabile avesse un'inclinazione per lettere[119]. Insieme al fratello Giacomo volle e costruì il Palazzo Piccolomini nella sua città, diventato nel XIX secolo, sede del Archivio di Stato di Siena. Lo zio papa Pio II ottenne per lui, da parte del re di Napoli, Ferrante d'Aragona, la signoria del Giglio e di Castiglion della Pescaia, con il titolo di marchese di quelle terre[120].
     
    Andrea Todeschini Piccolomini e Agnese Farnese con la figlia Montanina nell'affresco del Pinturicchio
    Dal re Ferdinando di Spagna fu fatto Cavaliere dell'Ordine di San Jago[120]. Nel1460 sposò Agnese Farnese, che sarebbe divenuta poi, cugina del papa Paolo III[121]. La sua discendenza, poteva vantare, con ogni probabilità, la più alta concentrazione di caratteri ereditari legati a pontefici.
    Andrea dovette affrontare uno dei periodi più difficili della Repubblica. Ascritto al Monte dei Gentiluomini, come il resto della famiglia, si trovò ad affrontare lo strapotere dei Noveschi, che avevano a capo Pandolfo Petrucci, il quale aspirava a diventare, come poi fu, Signore di Siena. Andrea ebbe con lui profondi contrasti ed al fine, fu costretto ad abbandonare Siena, per ritirarsi nella sua signoria. Da Agnese ebbe diversi figli, di cui Vittoria, contro il volere dei genitori, che però ormai erano morti, fu fatta sposare a forza da Pandolfo Petrucci a suo figlio Borghese[120]. Con questa azione il Petrucci volle sanzionare l'alleanza dei Noveschi con i Gentiluomini, cercando, così, di favorire la successione della sua famiglia nella signoria.
    Andrea tra l'altro fu, nella famiglia, uno dei finanziatori, degli affreschi del Pinturicchio nella Libreria Piccolomini[121]. L'artista ci ha tramandato, nella decorazione pittorica raffigurante Enea Silvio, vescovo di Siena, che presenta Eleonora d'Aragona all'imperatore Federico III, la sua immagine, che si scorge alle spalle della consorte Agnese, con il corpetto a righe bianche e nere[121] e, probabilmente, della figlia maggiore Montanina, nelle vesti di damigella, che sorregge le vesti della principessa aragonese.
  • Giovanni (Siena 1475 – † Siena 1537). Nominato Cardinale da Papa Leone X, fu arcivescovo di Siena. Durante il Sacco di Roma, nel 1527, fu umiliato dai lanzichenecchi di Carlo V, che lo portarono in giro per la città, legato sul dorso di un mulo. Il suo palazzo fu completamente saccheggiato[120]. Quello che nelle aspirazioni della famiglia doveva essere il terzo papa Piccolomini, si ritirò ed ebbe incarichi minori.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Giovanni Piccolomini.
  • Pier Francesco (1478 - † 1525). Non si hanno molte notizie di questo componente della famiglia. Prese a differenza del padre, le parti dei Petrucci e fu grande amico e sostenitore del cognato Borghese. Nel 1513 fu capitano del Popolo a Siena. Con lui il ramo si estinse e la figlia Silvia portò in dote la signoria di Castiglion della Pescaia ad Inigo Piccolomini d'Aragona.
  • Montanina (Siena 1476 - † ?). Alla fine degli anni novanta del XVI secolo, Sposò Sallustio Bandini, appartenente ad una delle più illustri famiglie di Siena.
Ramo di Montanina - Bandini Piccolomini

Il ramo di Montanina, diede alla luce due uomini illustri, che rivestirono un ruolo di primo piano, negli ultimi anni della storia della Repubblica di Siena e aggiunsero per se e la loro discendenza, il cognome dei Piccolomini, entrando così nella consorteria.[122]

  • Mario (1500 - † Montalcino 1558). Era il primogenito di Montanina Todeschini Piccolomini e Sallustio Bandini, signore di Castiglioncello ed originario di Massa di Maremma, dove la famiglia possedeva vasti territori fondiari e doveva la propria ricchezza allo sfruttamento delle miniere di argento e di rame della zona[123].
    Duranre la giovinezza dovette assistere impotente alla tirannia della famiglia di Pandolfo Petrucci giunto al potere, dopo le lunghe ed estenuanti lotte intestine di Siena. Combattute, essenzialmente, tra popolari, di parte ghibellina ed i Noveschi, di parte guelfa
     
    La vittoria di Porta Camollia - 1527
     
    Pandolfo Petrucci entra a Siena - 1487
    . Circostanza che accrebbe, nel Bandini, l'ansia di libertà, radicata sia nei sentimenti familiari che nella gioventù senese in genere. Entrato nel supremo magistrato in età giovanile, come d'altra parte, era d'uso tra gli aristocratici del tempo. A differenza degli altri, in gioventù, partecipò attivamente alla vita politica della Repubblica. Nel 1524, già cancelliere di Balìa, partecipò in prima linea, alla violenta insurrezione che, scacciò Fabio, il mediocre erede di Pandolfo, estromettendo, così, dalla Repubblica, sia i Petrucci, che i Noveschi[123]. Episodio che, insieme ad altri cruenti, svoltisi, nei mesi successivi, ai danni delle forze guelfe, gli valse la personale ostilità di Clemente VII, che organizzò contro i senesi, un esercito insieme ai Fiorentini ed ai fuoriusciti Noveschi. Gli alleati, molto superiori di numero, dopo aver occupato le fortificazioni costiere della Repubblica, Talamone e Orbetello, minacciavano ormai Siena, ma inaspettatamente, la guerra si risolse ai danni, della Repubblica di Firenze, che subì una grave sconfitta alla porta di Camollia [124]. Il Bandini, che ormai aveva sempre un maggior peso, nel presidio delle libertà cittadine, partecipò anche in questa occasione in modo determinante, al comando di una compagnia di armati Lucignanesi[123], come capitano di cavalleria[125].
    In questo periodo, Mario e la sua famiglia raggiunsero il massimo prestigio. Nel 1526 Carlo V lo nominò Cavaliere Aurato, gratificandolo anche con il titolo di Conte Palatino.
    Successivamente, la repubblica gli permise di acquisire il feudo della Marsiliana confiscato ai figli ribelli del Petrucci[123].
    Il Bandini, divenuto uno degli uomini più potenti di Siena, dopo questi anni di successi, fu costretto a seguire le alterne vicende del declino della Repubblica. L'alleanza con gli Imperiali si rilevò un fallimento. Il Bandini con rammarico dovette assistere al rientro e reintegro dei Noveschi. Inoltre in sostituzione del deposto Petrucci si avvicendarono, inviati del Imperatore, ora in veste di agenti, ora di consiglieri o in alternativa come Capitani generali delle armi, personaggi che altro non erano, che una sorta di viceré di Carlo V. Ultimo di questa serie fu Don Diego Hurtado de Mendoza con il suo duro e repressivo governo[123]. Il Bandini, continuò a ricoprire incarichi militari e politici importanti, sia a Siena che all'estero. In patria, si impegnò per il ripristino della legalità e la sottomissione dei vassalli ribelli, dopo i guasti causati dalla guerra contro i Fiorentini. All'estero, si adoperò, come diplomatico, presso il Regno di Napoli, la corte di Carlo V, il Ducato di Milano e lo Stato Pontificio. Il suo entusiasmo, però, non era, più, quello giovanile di un tempo. Progressivamente si ritirò a vita privata curando gli interessi economici della famiglia.
    Dopo la Cacciata degli Spagnoli, quando, nel 1553, una nuova guerra minacciava la libertà della patria, sollecitato dal fratello Arcivescovo, tornò attivamente nella vita politica e militare[123]. Fu del magistrato degli Otto della guerra e fu l'ultimo Capitano del Popolo della Repubblica di Siena. Nel giorno della sconfitta, denso di significato politico, quanto eroico, fu il gesto, di portare con se in esilio, il sigillo pubblico, simbolo del potere della Repubblica[126]. Dichiarato ribelle dal governo mediceo, dal 1555 fino al giorno della sua morte, fu al governo e alla difesa della Repubblica di Siena Ritirata in Montalcino. I suoi beni furono confiscati[123] e solo dopo la Pace di Cateau-Cambrésis del 1559, furono restituiti alla famiglia.
    * Germanico (1532 - † 1569) di Mario divenne Cavaliere Ordine dello Speron d'oro e Conte del Sacro Palazzo Lateranense. Nel 1560 divenne Vescovo di Corinto[125].
    * Sallustio (1544 - † 1570) di Mario. come il fratello fu Cavaliere Ordine dello Speron d'oro e Conte del Sacro Palazzo Lateranense. Inoltre fu gentiluomo del Granduca Cosimo I de' Medici. Morì senza lasciare discendenza[125].
  • Francesco (Siena 1505 - † Roma 1588). Fratello minore di Mario, ebbe una buona educazione letteraria, ma non completò un vero e proprio curriculum accademico. Nel 1525 concorse nella fondazione dell'Accademia degli Intronati a Siena, assumendo lo pseudonimo di Scaltrito. Fin dall'età di tredici anni, fu preso sotto la protezione dello zio cardinale Giovanni , che gli diede la facoltà di aggiungere il cognome Piccolomini, che Francesco accettò, per sé e la sua famiglia. Essendo molto forte l'attaccamento alle sue tradizioni familiari, non volle rinunciare allo stemma di famiglia. Il cardinale, gli diede allora la possibilità di inquartarlo con quello piccolomineo.[127]
    Fu molto combattuto tra la scelta di una vita laica, per la quale si sentiva maggiormente portato, e una vita clericale, alla quale lo zio voleva introdurlo. Nel 1529, dopo le nefaste turbolenze del Sacco di Roma, il cardinale decise di ridurre la sua presenza, e, mediante resignazione, passò la propria arcidiocesi di Siena al nipote, ordinandolo frettolosamente sacerdote. Francesco, ancora una volta non sicuro delle sue scelte, accettò la consacrazione episcopale, solo dieci anni dopo, nel 1538, dopo aver ricevuto il pieno possesso della diocesi, alla morte dello zio cardinale. Non rinunciò, in questo periodo alla attività politica tesa a preservare la libertà della Repubblica, sempre più precaria negli equilibri internazionali dell'epoca.
    Pur essendo stato ambasciatore presso Carlo V, progressivamente entrò in contrasto con gli interessi imperiali. Tale ritrosia fu manifestamente confermata quando l'imperatore, che nel 1546 non volle riceverlo nella sua missione a favore di Siena. Tali rapporti irrimediabilmente incrinati, gli costarono, nel concistoro del 1551, la porpora cardinalizia[127].
     
    Il Concilio di Trento 1545 - 1564
     
    Il Parco di Villa d'Este, Carl Blechen

    Messo da parte ogni indugio, partecipò attivamente alle guerre contro gli spagnoli, promosse dai maggiorenti della Repubblica, partecipando manu militari al sostegno dell causa senese[128].
    La convinta partecipazione alla vita politica della Repubblica lo portò ad occuparsi solo marginalmente della sua arcidiocesi e della vita clericale. Ciò nonostante, sollecitato dal cardinale Cervini, senese e futuro papa Marcello II, partecipò al Concilio di Trento, ma più di una volta se ne assentò per curare gli interessi in patria, perdendo una chiara occasione di rilancio nella vita ecclesiastica, offertagli dal futuro pontefice. A guerra ormai finita, difese la Repubblica di Siena ritirata in Montalcino insieme ai suoi compagni di lotta ed alleati più vicini. Con la morte del fratello Mario, si allontanò definitivamente dalla patria perduta, tornandovi solo saltuariamente.
    Successivamente si trasferì a Roma dove visse per quasi trent'anni. Inizialmente per un lungo periodo fu ospite dei Cardinali d'Este, Ippolito e Luigi, stabilendo la sua residenza in Villa d'Este. Ormai ben introdotto nell'ambiente della società romana, si fece costruire un palazzo a Tivoli, con un ampio giardino all'italiana ed un monumentale portale attribuito a Sebastiano Serlio[129]. Ottenne il governatorato di Roma, assumendo diversi incarichi nella Curia romana e nello stato della chiesa.
    Nel 1575, ormai rassegnato e provato dagli eventi, volle riconciliarsi con i Medici, incoronando Giovanna d'Austria, Granduchessa di Toscana. Negli anni che seguirono, con nomina da parte del pontefice Paolo IV e coadiuvato dai nipoti Ascanio e Alessandro Piccolomini, tenne una serie ininterrotta di sinodi diocesani, per l'applicazione dei decreti conciliari, fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1588. Dal punto di vista bibliografico, non lasciò però una visibile traccia del suo operato. Dal punto di vista culturale, però, non mancò di lasciare il suo erudito ricordo. Fondò, nel 1571, sul modello della sua vecchia accademia senese, l'Accademia degli Agevoli, che ben presto divenne palestra di idee, di studi e di sapere. Tuttora sopravvive, sebbene ne sia mutato il nome.[130]
    Ottenne la sepoltura nella Basilica di San Pietro, vicino alla tomba dei due papi Piccolomini
Il fedecommesso Bandini e la successione Piccolomini Naldi Bandini
Il fedecommesso Bandini e la successione Piccolomini Naldi Bandini - Riscontro genealogico

 
Il fedecommesso Bandini e la successione Piccolomini Naldi Bandini - Riscontro genealogico

I Bandini, appartenenti ad una delle più antiche e illustri famiglie senesi, come accennato ,entrarono nella Consorteria Piccolomini, per effetto del matrimonio tra Montanina Piccolomini Todeschini e Sallustio Bandini, i cui figli furono Mario e Francesco.

Nel 1570, i due figli maschi di Mario, erano ormai morti senza lasciare discendenza e tutto il cospicuo patrimonio della famiglia si concentrò nelle mani dell'Arcivescovo Francesco[131]. Le figlie superstiti Berenice e Montanina, erano entrambe sposate con prole.

 
Arme dei Bandini
 
Arme dei Bandini Piccolomini

L'epilogo più logico sarebbe stato di farle entrare, con le loro famiglie, nella consorteria Piccolomini, come auspicato dallo zio, ma l'arcivescovo, prese una decisione, che comunque era già maturata qualche anno prima.
La nipote Montanina era, a suo tempo, rimasta vedova del suo primo marito Cerbone Bourbon del Monte Santa Maria, per cui il prelato aveva deciso il suo ingresso in convento, onde poter disporre dell'intero patrimonio a favore dell'altra figlia del fratello, Berenice. In questo modo Montanina doveva rinunciare oltre alla sua parte di eredità, anche alla sua vita mondana. Soluzione questa che non la vide completamente d'accordo. Infatuatasi di un amico e alleato della famiglia, il Cav. Amerigo Amerighi, nel 1562, decise di sposarlo segretamente, in condizioni burrascose e disdicevoli per l'Arcivescovo e l'ambiente aristocratico, al quale entrambi gli sposi appartenevano. Tale evento fu contrastato, in tutti i modi, da Francesco, che vedeva compromessi i suoi piani per la successione. Minacciò sanzioni severe e dispose l'annullamento del matrimonio. Ne nacque una controversia, che divenne pubblica, con l'intervento del governatore di Siena che ne informò il Granduca[132]. Alla fine vinsero le ragioni di Montanina, ma i rapporti con lo zio furono definitivamente compromessi. Il prelato si limitò a liquidare la nipote con una dote di oltre seimila fiorini[133]. Importo che, se riferito alle dame del suo rango, era notevolmente superiore all'uso corrente del tempo[134]. Rimase, tuttavia, fermo nelle sue decisioni, escludendo Montanina dall'asse ereditario. Quindi, al fine di preservare la continuità del nome, uscì dalla consorteria Piccolomini e adottò nella famiglia Fedro, figlio di Agostino Bardi e della nipote Berenice, costituendo un fedecommesso, in cui fare confluire tutto il patrimonio Bandini, con l'obbligo di sostituire il cognome e lo stemma[131]. Al fine di evitare, qualsiasi contraddittorio legale, allegò, nel testamento, la copia autentica di tutte le bolle, con le quali, l'arcivescovo aveva avuto dal papa facoltà di testare[127]. Tale scrupolosa stesura era motivata dal fatto che, la nipote esclusa, con l'istituzione del fedecommesso, si trovava ad essere l'ultima della famiglia a portare il cognome e lo stemma Piccolomini. Per questo motivo era possibile l'introduzione del nuovo coniuge nella consorteria. Circostanza, questa, che avrebbe potuto inficiare la validità del fedecommesso e smembrare il patrimonio della famiglia Bandini.

Tutto ciò non avvenne, ma tuttavia, due secoli dopo, le aspettative dell'Arcivescovo andarono deluse.

Nel 1777 l'ultimo Bandini del ramo primogenito di Berenice, l'arcidiacono Giuseppe, moriva, riaprendo la successione nel fedecommesso[135]. L'Arcivescovo aveva indicato, come beneficiario alternativo, la famiglia Piccolomini. La consorteria scelse, un discendente della linea secondogenita dei Salamoneschi, Fabio, che in virtù del matrimonio del nonno Niccolò con Barbara Naldi, aveva assunto il cognome Naldi Piccolomini[135]. Per adempiere alla volontà del testatore, avrebbe dovuto abbandonare la consorteria, il cognome e lo stemma Naldi Piccolomini, per assumere quello dei Bandini[135]. In caso di mancato adempimento delle clausole fedecommissorie, il patrimonio, avrebbe avuto un'altra destinazione, non ultima la Mensa Arcivescovile di Siena. Flavio, non essendo la sua famiglia dotata di grandi beni di fortuna, decise a favore della successione, assicurandosi, il patrimonio, così, come deciso dalla assemblea consortile. Tuttavia, con l'abolizione dell'istituto fidecommissorio, avvenuta alla fine del XVIII secolo i discendenti di Flavio, non avendo più vincoli, che potessero mettere in pericolo i beni ereditati, ottennero dalla consulta la possibilità di assumere nuovamente il cognome e lo stemma Piccolomini a danno di quello Bandini[135]. Il nuovo assetto che ne scaturì, fu una nuova linea familiare che ebbe il cognome Piccolomini Naldi Bandini, che tuttavia non fu omologata dalla consorteria, che non ne legittimò il reintegro. Circostanza singolare, in quanto questi Piccolomini, a tutti gli effetti, sono da considerare come originari.[135].

Piccolomini Pieri Signori di Sticciano detti delle Papesse


Piccolomini Pieri, Signori di Sticciano detti delle Papesse - Genealogia in sintesi

 
Genealogia essenziale Piccolomini Pieri, Signori di Sticciano detti delle Papesse


Questa linea discende da Caterina, altrimenti chiamata , secondo alcune fonti, Costanza, che sposata con Bartolomeo Guglielmi, diede alla luce un unica figlia di nome Antonia. Quest'ultima andò in sposa a Bartolomeo Pieri, signore di Sticciano, che, anch'egli, come il Guglielmi, entrò nella consorteria Piccolomini, assumendo lo stemma piccolomineo, ad esclusione del proprio[136]. Da questa coppia, nacque Enea e da questi Silvio, che assunse anche il cognome d'Aragona. Nacque poi Enea Silvio.

  • Enea Silvio ( 1515 ca. - † Montalcino 1555). Conosciuto con il predicato della Papesse[137], fu un personaggio, carismatico, di grande rettitudine morale. Ebbe un ruolo determinante quanto sfortunato nella difesa delle libertà repubblicane. Fu ambasciatore presso Enrico II, e tenne le parti degli Amerighi nella congiura contro gli Spagnoli. Dopo la prima effimera vittoria, contro le milizie di Carlo V nel 1552, il popolo per acclamazione lo voleva nuovo signore di Siena. Enea per amore di quelle libertà repubblicane, per le quali appunto si era sempre battuto, rifiutò e continuò a combattere, in modo risoluto, la guerra contro gli invasori spagnoli, fino alla fine. Alla caduta di Siena, non volle arrendersi e, con gli altri irriducibili difensori della patria, si ritirò a Montalcino, dove continuò a combattere nel territorio, ancora libero, della repubblica. Morì, in una delle tante battaglie, nel tentativo di ripristinare la Repubblica.
  • Ascanio I (1548 - † 1597) Fratello di Silvio, fu giurista e poeta. Già Arcivescovo di Rodi divenne, nel 1588, V Arcivescovo di Siena, succedendo allo zio Francesco Bandini Piccolomini, di cui fu coadiutore in quella serie di sinodi, indetti per la corretta applicazione dei decreti conciliari di Trento. La sua rigida ortodossia, non mancò di provocare forti tensioni col clero e col governo mediceo[144]. In gioventù scrisse diversi sonetti, di cui si ha ricordo in un libello stampato dal Bonetto nel 1594: Rime del Monsignor Ascanio Piccolomini. A lui si deve il restauro del Palazzo delle Papesse, la cui facciata fu deturpata fino al tetto, da un incendio nel 1523[145].
Ascanio I Piccolomini V Arcivescovo di Siena Ascanio II Piccolomini X Arcivescovo di Siena

Con l'intervento del Bernini, fu edificata, in cattedrale , la cappella intitolata all'Immacolata Concezione. Inoltre l'Arcivescovo assicurò una serie di interventi, rendendo possibile, l'attuale sistemazione della Piazza del Duomo e del Palazzo Arcivescovile. Al fine di ottenere una maggiore visibilità ed un maggiore effetto scenografico, l'edificio della Cattedrale venne isolato, con la demolizione degli edifici adiacenti, che ospitavano appunto il palazzo Arcivescovile. Palazzo che Ascanio fece ricostruire nelle immediate vicinanze[147].
L'episodio forse più significativo che segnò l'attività di questo Piccolomini, fu il suo rapporto con il Galilei. Quando lo scienziato, venne condannato al carcere nel 1633, vista la stima e l'antica amicizia, che a lui lo legavano e contro le decisioni del Santo Uffizio, si adoperò, presso il Granduca Ferdinando, per ottenere dal pontefice, il suo trasferimento a Siena[146]. Dopo l'esito positivo di questo suo intervento e sotto la sua responsabilità, lo accolse nel palazzo di famiglia, detto delle Papesse. Galileo fu sempre riconoscente nei confronti dell'Arcivescovo e ne conservò grata memoria. Confidava all'amico Elia Diodati, che grazie alla serenità restituitagli dalla premurosa amicizia del prelato riuscì a comporre "... un trattato di un argomento nuovo, in materia di meccaniche, pieno di molte specolazioni curiose ed utili”. Alludeva ai ”Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze" che sarebbe stato pubblicato a Leida nel 1638[148] .
Da ricordare, qui, per inciso, ciò che accadde in una tranquilla serata di quella Siena del '600. Ascanio donò una memorabile serata ad una congrega di eruditi, docenti ed allievi. Invitati a palazzo, assistettero ad un'inaspettata lezione di astronomia tenuta dal Galileo. Con il suo nuovo Occhiale diede l’emozione di un incontro ravvicinato con Luna e le stelle alla sua colta quanto sbalordita piccola platea. Episodio che a lungo fu oggetto di dibattiti e relazioni nelle accademie e salotti della città[149].
L'Arcivescovo fu richiamato a Roma nel 1671, dove nello stesso anno morì.

  Ottavio Piccolomini, Principe del S.R.I., e di Nachod, Feldmaresciallo dell'Impero, e Cavaliere dell'Ordine del Toson d'oro,  Grande di Spagna,   Duca di Amalfi[150]

  • Ottavio (Pisa 1600 - † Vienna 1656)[151].
     
    Ottavio Piccolomini - Battaglia di Nördlingen
    Ammirato, dai successi militari del padre Silvio e dei suoi maggiori, volle intraprendere, già da adolescente, il mestiere delle armi. Inizialmente, più per censo che per meriti militari, divenne Cavaliere dell'ordine di Malta e Priore di Pisa dell'Ordine di Santo Stefano.[152] Non ancora ventenne, nelle armate spagnole, che esercitavano in Italia, si distinse nelle battaglie di Asti, Vercelli e Mantova. [151] Nel 1620, fu inviato dal Granduca di Toscana, come capitano di una compagnia di cavalli, in Transilvania, per partecipare, al comando del conte Charles Bucquoy, alla battaglia della Montagna Bianca[153]. Dopo un breve periodo passato sotto gli Spagnoli, nel 1627, tornò al servizio degli imperiali, come colonnello della guardia personale di Albrecht von Wallenstein , duca di Friedland, con il quale però non riuscì mai ad avere buoni rapporti. Tuttavia il Wallestein continuò a servirsene, per le sue entrature diplomatiche, visto che il vescovo Ascanio, suo fratello, era stato segretario del Nunzio Apostolico a Parigi, cardinale Francesco Barberini[147].
    Dopo diversi mesi di assenza, in cui continuò, in Italia, la sua attività militare contro i Francesi in Monferrato, venne richiamato dall'Imperatore Ferdinando III, quando Gustavo Adolfo di Svezia invase la Germania. Nel 1632, durante le alterne fasi della Battaglia di Lützen, alla testa dei corazzieri imperiali, ebbe una parte determinante nella distruzione dei due più importanti reggimenti svedesi, composti quasi esclusivamente da veterani[154][155]. Tuttavia la battaglia era incerta ed il Wallenstein, quando arrivarono al fianco degli imperiali, le forze di fanteria di Pappenheim, contro l'opinione di molti suoi ufficiali superiori, decise di abbandonare la battaglia, ritirando il suo esercito in Boemia. Nella battaglia morì il re svedese Gustavo Adolfo, ed il Piccolomini, riportò all'imperatore, il collare di pelliccia che indossava al momento della morte[156]. Dopo questo importante evento fu nominato Comandante Generale della cavalleria imperiale. Al tempo stesso, la mancata vittoria nella Battaglia di Lutzen, fece cadere la fiducia che l'imperatore aveva il Wallenstein, ed anzi tale episodio fu considerato come un atto di tradimento. Ottavio fu mandato a destituirlo[156]. Ma, nelle fasi dell'arresto, nel castello di Cheb, dove si era rifugiato, il Wallenstein fu assassinato, da alcuni suoi stessi ufficiali.
     
    Castello di Nachod, donato da Federico III a Ottavio Piccolomini
    Così fu eliminato un grande rivale, ostile al Piccolomini, che, tuttavia, non riuscì ad ottenere il grado di maresciallo di campo, desiderato, che invece andò al generale Heinrich Holk .
    La riconoscenza dell'Imperatore, comunque, si concretizzò nella grossa ricompensa in denaro di 100.000 fiorini e la prestigiosa signoria di Nachod[156], già residenza del Wallenstein. Nel 1634 alla testa della cavalleria spagnola, nella Battaglia di Nördlingen, svolse un ruolo decisivo, per l'esito finale della battaglia, respingendo ben quindici cariche della cavalleria svedese, per poi, nel contrattacco degli imperiali, inseguire gli svedesi in fuga, facendo molti prigionieri, tra cui il generale Gustav Horn, uno dei due comandanti in capo dell'esercito svedese.
    Non era assolutamente soddisfatto della sua carriera militare, ma continuò nelle sue azioni, ottenendo diversi successi. Con un piccolo esercito occupò il Belgio. Divenuto comandante in capo delle forze militari nelle Friande, difese Ratisbona dagli attacchi francesi, ottenendo poi a Thionville una grande vittoria nel 1639[151] . Dopo queste affermazioni, il re di Spagna lo fece grande di Spagna e lo chiamò anche alla successione del Ducato di Amalfi, rimasto vacante, dopo l'estinzione del ramo primogenito dei Piccolomini d'Aragona[156]. A Vienna, la nomina a Feldmaresciallo dell'Impero tardava a venire. Il Piccolomini ottenne solamente la nomina a luogotenente dell'arciduca Leopoldo Guglielmo d'Austria che affiancò nella seconda e sfortunata Battaglia di Breitenfeld (1642). Dopo questa cocente sconfitta passò per qualche anno al servizio della Spagna, dove il sovrano lo insignì del cavalierato del Ordine del Toson d'oro[156]. La nuova minaccia portata all'Impero, dagli Svedesi, uniti ai Francesi, dopo i rovesci subiti alla Battaglia di Zusmarshausen, indusse l'imperatore a richiamare Ottavio Piccolomini, che finalmente ottenne la carica, tanto agognata, di Feldmaresciallo e comandante generale nell'esercito imperiale[151] . Risollevò le sorti del conflitto e sotto il suo comando ebbe termine la Guerra dei trent'anni. Fu nominato Commissario Imperiale e curò gli interessi degli Asburgo, nel Congresso di Norimberga, che portò poi alla pace di Vestfalia[151]. Federico III, per riconoscenza di tutti i servizi resi, lo nominò Principe del Sacro Romano Impero[151]. Nel 1656, a Vienna, per una malaugurata caduta da cavallo, Ottavio Piccolomini morì senza lasciare figli legittimi. Tutti i suoi titoli, possedimenti ed il castello di Nachod, passarono a Francesco, figlio del fratello Enea.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Ottavio Piccolomini.
  • Ottavio Enea (1698 - † 1757). Francesco di Ottavio, ebbe diversi figli di cui solo Lorenzo lasciò seguito. L'ultimo nato fu Ottavio Enea, che, come il prozio, intraprese la carriera militare. Divenne generale delle truppe imperiali e governatore della Moravia. Morì nel 1757, lasciando eredi il cugini , Pompeo e Giuseppe, napoletani ed ultimi Piccolomini d'Aragona, ai quali, andarono, per il breve periodo di una generazione, tutti i titoli e possedimenti, accumulati dalla linea della Papessa Caterina, compreso il ducato di Amalfi. Anche la linea, che fu della Papessa Laudomia, con gli accennati Pompeo e Giuseppe, si estinse e tutti i possedimenti, i titoli e la storia del ramo papale passarono nella linea dei Salamoneschi[157].

Carli Piccolomini

Questa linea nasce da Carlo, di Gabriello di Rustichino e si divise subito agli inizi del XIII secolo in tre ramificazioni.

  1. Biagio, da cui scaturì il ramo, che prese il nome di Piccolomini del Mandolo detti anche Piccolomini Mandoli.
  2. Bandino, da cui nacque una larga progenie, le cui diramazioni si estinsero nel XVIII secolo.
  3. Francesco, da cui continuò il ramo primogenito dei Carli Piccolomini, dopo l'estinzione di quello di Bandino.
Ramo di Biagio - Piccolomini del Mandolo
Piccolomini del Mandolo - Genealogia in sintesi

 
Genealogia essenziale Piccolomini del Mandolo[158]

Come accennato, Biagio, figlio di Carlo diede inizio a questo ramo, i cui componenti, pur non essendo noti per rilevanza storica, sono stati molto presenti nelle cronache senesi, per il loro alto livello sociale e culturale. Inoltre questa genealogia conta un numero considerevole di vescovi e arcivescovi.

 
Decorazioni. Loggiato Palazzo Piccolomini del Mandolo

Furono da sempre dotati di grandi mezzi e nei primi anni del XVI secolo acquistarono il prestigioso Palazzo Marescotti, uno dei più prestigiosi di Siena, situato nei pressi di Piazza del Campo. A loro si deve la committenza delle decorazioni pittoriche in stile raffaelliano, presenti nel loggiato esterno ed anche il fregio istoriato rappresentate storie di Pio II nonchè altri diversi affreschi che si trovano distribuiti in numerose stanze. Diedero all'austero palazzo medievale, l'assetto rinascimentale che ancora si conserva.

  • Niccolò (1400 ca. - † 1467). Inizialmente Canonico senese, fu chiamato alla corte pontificia da Pio II. Nel 1461 fu eletto Accolito Pontificio, divenendo Cameriere Segreto. Nel 1462 ottenne il suddiaconato e fu familiare e commensale del papa[159]. Il 3 agosto 1464 divenne Arcivescovo di Benevento.
     
    Palazzo Piccolomini del Mandolo
    Su di lui scrisse un panegirico il Papiense (Cardinale Giacomo Ammannati Piccolomini)[159]. Deve la sua notorietà ad una bolla pontificia, con la quale Paolo II, vietò l'uso del Triregno e del Camauro, che, in modo anomalo, egli stesso usava, secondo l'uso consolidato della Arcidiocesi. Nella stessa bolla fu altresì negato l'uso di far precedere, nelle visite pastorali alla diocesi, la Santissima Eucaristia[160] .
    Nel 1451 l'Arcivescovo si recò nella diocesi di Montalcino dove consacrò la chiesa del Convento dell'Osservanza. Nel 1467 fu qui sepolto nel sepolcro scolpito dal Vecchietta[161].
  • Niccolò (1439 - † ?) Decano della Sacra Ruota. Nominato da Papa Clemente VII.
  • Girolamo I (1465 ca. - † 1520]). Nel 1498 fu eletto vescovo di Pienza e Montalcino. Non fu molto presente nella diocesi. Nel 1510 lasciò l'incarico ad un altro componente della famiglia. Mori nel 1520.
  • Girolamo (1494 ca. - † 1550). Uno degli uomini politici e di governo più influenti di quel tempo. Fu strettamente legato ad Alfonso duca d'Amalfi, durante il governatorato di quest'ultimo a Siena. Fu dotto in filosofia e in letteratura. Accademico intronato con lo pseudonimo di L'Astratto,[162]. viene citato da Alessandro Piccolomini nell’Institutione come esempio di magnificenza filosofica e culturale[163]. Fra le sue opere viene ricordato il Dialogo sulla quistione se sia meglio amare o essere amato[164]. I suoi impegni di governo, nella delicata fase politica della Repubblica, non gli permisero di coltivare questa sua vocazione letteraria e filosofica. Durante una missione diplomatica a Roma presso Giulio III, atta a scongiurare l'aggressiva prepotenza di Carlo V, di fronte all'esito negativo dell'intervento, morì per un malore[163].
  • Francesco (1572 ca. - † 1622. Fu vescovo di Grosseto dal 1611 al 1622.
  • Alessandro II (1607 ca. - † 1661). Fu vescovo di Chiusi dal 1657 al 1661.

Questo ramo della famiglia si estinse alla fine del XVII secolo, quando un altro Girolamo[165] prese in moglie Giuditta Amerighi, che gli diede una numerosa progenie, della quale, però, solo due figlie si sposarono, Agnese Rosa che andò in sposa a Vicenzo Frosini e Caterina che andò in sposa a Pandolfo Pannellini[158], mentre i sei figli maschi morirono, senza discendenza. Nel 1770 il prestigioso palazzo di famiglia, passò ai Saracini e successivamente ai Chigi. Guido Chigi Saracini, lo conferì, nel 1932, alla Fondazione della Accademia Chigiana per la Musica.

Ramo di Bandino - Prima linea dei Carli Piccolomini
Carli Piccolomini Ramo di Bandino - Genealogia in sintesi

 
Genealogia essenziale Carli Piccolomini ramo di Bandino[166][167]

Questa linea è stata quella primogenita di Rustichino. Assunse il cognome patronimico di Carli Piccolomini dal padre di Bandino, Carlo.

  • Bandino (1285 ca. - †  ?) ebbe due figli Carlo ed Angelo, dai quali scaturirono due linee che si estinsero rispettivamente nel XVIII e XIX secolo, che, tuttavia, produssero numerosi prelati e personaggi notabili.

Da Carlo di Bandino discesero:

  • Girolamo II (1470 ca. - † 1535) Eletto vescovo di Pienza e Montalcino, fu il primo nella diocesi a fregiarsi del titolo di Abate di Sant'Antimo. Ebbe molti incarichi pontifici. Partecipò al Concilio Lateranense V. La repubblica non mancò, nonostante i suoi impegni ecclesiastici, di affidargli incarichi politici e diplomatici. Fu governatore di Orvieto[168]. Durante il suo episcopato divise le due diocesi che amministrava, affidando quella di Pienza al fratello Alessandro.
  • Alessandro (1510 ca. - † 1563) Senese, fratello del predecessore Girolamo e già vescovo di Pienza, alla morte di questi divenne vescovo anche di Montalcino, riunendo le due Diocesi momentaneamente separate. Partecipò al Concilio di Trento. Nel 1554 rinunciò al governo delle Diocesi e morì nel 1563[144].
  • Francesco Maria (1515 ca. - † 1599) Vescovo di Pienza e Montalcino, nel 1554 subentrò, al fratello Alessandro, nel governo della diocesi. Fu l'ultimo Piccolomini ad amministrare Montalcino, dove rimase, durante il suo lungo episcopato, fino al 1599. Partecipò al Concilio di Trento. Nel 1561 fu chiamato a Roma per la consacrazione della chiesa di Santo Spirito,[169]. Nel Museo d'Arte Sacra della Diocesi di Grosseto esiste una sua sua immagine ritratta nel dipinto di Alessandro Casolani, La Crocifissione con la Madonna, i santi Girolamo, Andrea e Francesco, da lui donato a quella diocesi.
  • Francesco di Niccolò (Siena 1522 - † Siena 1604). Da non confondere con altro Francesco di Lelio, filosofo e generale dei Gesuiti.
    Francesco di Niccolò, fu un insigne filosofo aristotelico. Svolse i suoi studi a Padova, discepolo del Zimara. Fu professore di filosofia, presso le università di Siena, Macerata, Perugia, e Padova. Studiò profondamente la filosofia aristotelica, rivendicando, in senso cristiano e spiritualistico, la centralità dell' uomo e del suo universo, opponendosi con determinazionee a qualsiasi forzatura filologia e teorica voluta dalle interpretazioni erudite dell'aristotelismo contemporaneo. Accese furono le dispute con altri filosofi del tempo, come, per esempio Zabarella. Le sue numerose opere filosofiche furono pubblicate in quattro volumi, con il titolo di Opera philosophica (1600)[170] .
     
    Alessandro Piccolomini
    Nella sala della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova, in riconoscimento della suo operato, si conserva un suo ritratto.[171].
  • Giovanni Battista (1555 ca. - † 1637) Nipote di Francesco Maria, fu vescovo di Salamina, poi vescovo suffraganeo di Santa Sabina ed infine vescovo di Chiusi dal 1633 al 1637.[172].

Da Angelo di Bandino discesero:

  • Alessandro (1420 ca. - † ?) Laico e maestro di casa del Pontefice Pio II. Fu da questi fatto senatore di Roma nel 1460. Scoprì una congiura condotta da alcune famiglie romane, per estromettere il papa dal soglio pontificio. Assicurò alla giustizia molti cospiratori, alcuni dei quali furono messi a morte. Tornato in patria, nel 1481 lo troviamo impegnato nell'amministrazione politica e governativa di Siena.[53]
  • Alessandro (1508 - † 1578) Insigne personaggio, figlio di Angelo del precedente Alessandro ed accademico intronato, fu professore di filosofia e astronomo, nonché coadiutore dell'Arcivescovo Francesco Bandini Piccolomini. Divenne Vescovo di Patrasso, anche se non si occupò effettivamente della diocesi greca. In età giovanile si dedicò al teatro comico. Ha lasciato diverse opere sia in campo filosofico che letterario. Diversi sono i suoi trattati di astronomia.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Alessandro Piccolomini.
Ramo di Francesco - Seconda linea dei Carli Piccolomini
Carli Piccolomini Ramo di Francesco - Genealogia in sintesi

 
Genealogia essenziale Carli Piccolomini ramo di Francesco[173]


Questa linea, secondogenita e poi unica sopravvissuta del ramo di Rustichino, visse, prevalentemente, a Siena ed i suoi componenti, generati da Francesco (1300 ca. - † ? ) si dedicarono alla vita politica della Repubblica, dove furono presenti, con diversi Capitani del Popolo, consiglieri e provveditori. Sono presenti, anche, due cavalieri di Santo Stefano e un cavaliere di Malta, nonché artisti ed eruditi.

  • Pietro (1418 - † 1484). Aveva predisposto l'acquisto del castello di Ripa d'Orcia, già feudo dei Salimbeni, il cui territorio era compreso tra i fiumi Asso e Orcia, da una parte e le corti di Vignoni e San Quirico, dall'altra. Acquisto che fu poi perfezionato nel 1484 dalla moglie Francesca[174].
  • Bartolomeo (1503 - † 1535 o 1538). Coetaneo di un altro grande erudito della famiglia, Alessandro, ebbe una educazione particolarmente intensa, sotto la guida di maestri notabili di Siena ed anche provenienti da altre città. Ne uscì un giovane colto e preparato, in diversi campi accademici, che spaziavano dal latino e greco, alla storia, all'astrologia, alla cosmografia e alla matematica.
     
    Accademia Senese degli Intronati
    Non tralasciò neanche musica e pittura[175]. Nella sua breve vita, si impegnò in campo politico, divenendo, consigliere del Capitano del Popolo ed avendo alcuni incarichi diplomatici. Entrò, di prepotenza ed in età giovanile, nell'Accademia degli Intronati, assumendo lo pseudonimo di l' Attaccato. L'ambiente dell'accademia gli permise di esprimere le sue convinzioni ed il suo pensiero filosofico. Importante fu il sodalizio con Aonio Paleario e Claudio Tolomei, dei quali fu allievo, divenendo strenuo sostenitore delle loro convinzioni dottrinali. Scrisse diverse opere, non tutte passate alla stampa. In esse emerge convinta e consapevole una strategia volta a promuovere il volgare, in tutte le zone della cultura e vita sociale. Nella sua poliedrica produzione letteraria, diventa paladino di questa esigenza e, al riguardo, si impegna direttamente, come, per esempio, nella traduzione del IV Canto dell'Eneide. Il volgare viene comunque promosso in tutte le sue opere, siano esse, orazioni, trattati, poemi o poesie liriche scanzonate. Come esempio della sua consapevole strategia, si può citare l'orazione religiosa in lode di San Giovanni Battista, che fu la prima, composta in lingua Italiana, e non latina, ad essere recitata in Duomo[176]
    Indubbiamente è questo un personaggio, da poco riscoperto dai ricercatori, che mette in luce l'afflato culturale ed il potenziale che avevano i giovani senesi, in tutte le discipline. Potenziale che invece, all'alba del rinascimento, con la perdita dell'identità nazionale, da parte della Repubblica, non riuscì ad esprimersi, compiutamente, come nel passato.
 
Castello Piccolomini di Ripa d'Orcia
  • Bandino (1548 ca. - † ?). Viene ricordato per il suo estro artistico, con il quale si dilettò, a fare piccole sculture, che venivano utilizzate per lo più per decorare presepi. Le più famose, quelle raffiguranti San Bernardino e Santa Caterina, furono donate alla Chiesa di Santa Caterina da Siena dell'omonima Arciconfraternita[177] di Roma. Inoltre realizzò numerose statuette per il presepe di quella chiesa, ispirandosi a dame e cavalieri della corte, i quali, nelle visite che effettuavano, vi si potevano riconoscere, provocando curiosità ed ammirazione. Fino al punto, che il cardinale Gonzaga, rimasto ammirato dalla naturalezza, di una statuetta raffigurante un'ostessa, volle acquistarle tutte e portarle alla reggia di Mantova[177]. Delle statue dei santi è rimasta solo quella di Santa Caterina, scampata ai numerosi danni, causati dalle piene delle Tevere. È conservata nell'oratorio dell'arciconfraternita, al primo piano dell'edificio annesso. Un altro presepe fu fatto da Bandino per la famiglia Falconi di Piazza Capranica.
  • Celio (Siena 1609 – † Siena 1681). Si laureò a Siena in giurisprudenza, subito dopo si recò a Roma accolto dai cugini Celio e Alessandro Bichi, che lo introdussero nella curia. Entrò ben presto nella stima di Urbano VIII, che lo nominò luogotenente dell'Auditore della Camera Apostolica. Fu utilizzato dal papa per brevi nunziatura presso la corte francese. Dopo la morte di Innocenzo X, il cugino Alessandro Bichi. divenuto cardinale, lo nominò suo conclavista e quindi poté essere presente nel conclave che elesse nel 1654, il senese Fabio Chigi, al soglio pontificio, col nome di Alessandro VII. Da questi, fu nominato Arcivescovo di Parigi e, contemporaneamente, nunzio apostolico a Parigi. La sua nunziatura, però non fu fortunata, per i conflitti sorti tra lo Stato Pontificio e la Francia. Dovette sopportare non pochi disagi. Richiamato in patria, nel 1664 ottenne la porpora cardinalizia, con il titolo di San Pietro in Montorio. Fu nominato legato in Romagna e nel 1670, tornò a Siena, come Arcivescovo e vi rimase fino al 1681, anno della sua morte[178].
  Lo stesso argomento in dettaglio: Celio Piccolomini.
Piccolomini Clementini
Piccolomini Clementini - Genealogia in sintesi

 
Genealogia essenziale Piccolomini Clementini[173]
  • Emilio (1690 ca. - † ?). Nella prima metà del XVIII secolo, era uno dei discendenti dei Carli Piccolomini e sposò Maddalena Febei
     
    Marietta Piccolomini Clementini
    Quest'ultima divenne erede del fedecomesso istituito nella famiglia Clementini, dal conte Francesco. In virtù di questa eredità Emilio, divenne Patrizio d'Orvieto, con l'obbligo di aggiungere, al proprio, il cognome Clementini. Con donna Maddalena si estinsero anche i Febei. I due figli di Emilio, Francesco Maria e Innocenzo, oltre il largo patrimonio della famiglia, si divisero, così, anche quello delle due famiglie dei Febei e dei Clementini, aggiungendo ciascuno i rispettivi cognomi[179].
  • Francesco Maria (1736 ca. - † ?). Iniziò la breve linea dei Piccolomini Febei
  1. Giovanni Battista di Francesco Maria, sposò la fermana, Cecilia Adami, anche lei, ultima della sua famiglia. Quindi, ereditò il Patrimonio Adami e i suoi figli cambiarono il loro cognome in Piccolomini Febei Adami[180],
  2. Pietro di Giovanni Battista (1810 ca. - † ?) ebbe una figlia, Maria Cristina, che non avendo discendenti, con testamento del 7 settembre 1891 nominò erede universale del patrimonio Febei, un ospizio di beneficenza, con lo scopo di provvedere gratuitamente al ricovero, al mantenimento e all'assistenza di persone povere e malate. L'Istituto, prese il nome del padre e assunse il nome di Istituto di beneficenza Pietro Piccolomini Febei a Orvieto[179].
  3. Lorenzo, altro figlio di Giovanni Battista, depositario del patrimonio Adami, non ebbe discendenza e con lui si estinse il ramo dei Piccolomini Febei Adami. Come indicato, in seguito, adottò il nipote Giorgio Piccolomini Clementini, che aggiunse il cognome Adami.
  • Innocenzo (1735 ca. - † ?). Continuò la linea dei Piccolomini Clementini, originari, che poi si estinse alla fine del '900.

Nella discendenza di Innocenzo Piccolomini Clementini, sono da ricordare:

  • Maria Teresa Violante (1834 - † 1899) di Carlo di Innocenzo. Fu un soprano italiano, che ebbe un ragguardevole successo nel XIX secolo. Il suo nome d'arte era Marietta, riuscì, a dispetto dei pregiudizi aristocratici del tempo, ad ottenere dal padre, l'autorizzazione ad intraprendere la carriera artistica. Ed i genitori non ebbero a pentirsi. La sua carriera fu travolgente. Iniziata all'età di diciotto anni, a Roma, continuò, in un irresistibile ascesa, attraverso tutte le principali città d'Italia, per poi raccogliere trionfi a Parigi e Londra e Dublino. Nel 1857 fece una tournée che percorse tutta l'Europa. Si ritirò nel 1863[181].
  Lo stesso argomento in dettaglio: Marietta Piccolomini.
  • Pietro (1860 ca. - † ?) di Niccolò di Pietro di Innocenzo. Alla fine del XIX secolo, questo componente della famiglia, particolarmente colto e sensibile, nonchè appassionato di architettura e belle arti, decise, con ampio dispendio di denaro, di sottoporre a dei lavori conservativi l'antico castello di famiglia di Ripa d'Orcia. Era un castello molto antico, edificato dai Salimbeni, probabilmente nel XI secolo, anche se le prime notizie emergono nel XII secolo. Pietro si avvalse di valenti professionisti, che ne curarono il restauro[174], sotto la sua personale sovraintendenza. Curò in modo quasi maniacale tutti i particolari. Non solo il mastio con le annesse abitazioni padronali, fu restituito all'antico splendore, ma tutte le abitazioni del borgo fortificato, vennero ripristinate nella loro architettura originaria. Per quasi tutto il XX secolo è stato così conservato, con la sua caratteristica museale. Solo negli anni '90, ne è stata cambiata la destinazione, senza che però venisse alterata la sua fisionomia storica e culturale.
  • Giorgio(1880 ca. - † ?) di Innocenzo di Carlo di Innocenzo. Discendente ultragenito dei Piccolomini Clementini, fu adottato da Lorenzo Piccolomini Febei Adami, visto in precedenza. Questo ramo beneficiò del patrimonio Adami, lasciatogli dal padre adottivo Lorenzo. La linea Piccolomini continuò, mutando ancora una volta il cognome, che divenne Piccolomini Clementini Adami[180].
Piccolomini della Triana (già Carli Piccolomini)
Piccolomini della Triana (Già Carli Piccolomini) - Genealogia in sintesi

 
Genealogia essenziale Piccolomini della Triana[26][182][27]
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  • Nicolò Piccolomini della Triana (Roma 1913 - † Napoli 1942) Fu l'ultimo nato del ramo dei Piccolomini della Triana (già Carli Piccolomini), ma non l'ultimo in ordine di tempo. Morì, infatti, prima del padre nel 1942. Personaggio poliedrico, ha lasciato dietro di sé, per il suo carattere volitivo e indipendente, un ricordo eroico non privo di romantico fascino. Sua madre figlia di un ricco costruttore romano del XIX secolo, influenzò molto la sua educazione. Visse fin dall'infanzia in una famiglia divisa. Il padre Silvio infatti viveva a Pienza e la madre a Roma. Quindi passava sei mesi nella dimora paterna immerso nella rigida e austera educazione Pientina, consona a quello che doveva diventare il quindicesimo conte e signore della Triana.
     
    La Casa del Sole. Fondazione Nicolò Piccolomini per l'Accademia d'Arte Drammatica
     
    Nicolò Piccolomini con i genitori 1917
    Gli altri sei mesi, li passava con la madre, moderna e scanzonata con la sua new system education. Dal 1916 Nicolò passa sempre più tempo a Roma; trascorre le sue giornate tra il Pincio, Villa Borghese e il Palatino, e i monumenti antichi della capitale. Dopo la divisione definitiva dei genitori, si trasferisce definitivamente nella Casa del Sole che la madre possedeva, nei vasti possedimenti vicino alla Città del Vaticano. Da lei, attinse quello spiritò libero che, poi, lo accompagnerà nel corso della sua breve vita. Da bambino, effettuò numerosi viaggi, che gli consentirono di imparare fluentemente inglese, francese e tedesco. Dopo la morte dell'adorata madre, avvenuta nel 1932, completò i suoi studi e, finito i liceo, volle iscriversi alla Regia Accademia d'Arte Drammatica diretta da Silvio D'Amico, contro il fermo diniego del padre. Ma in questa sua avventura ebbe l'appoggio dell'illustre amico di famiglia Guido Chigi Saracini. Nello stesso periodo prende il brevetto di pilota. Fonda, con l'amico Alessandro Brissoni, la compagnia teatrale Il Carro dell'Orsa Minore. Si cimenterà come attore, produttore e regista, ottenendo un buon successo sia di pubblico che di critica, Questa, però fu una breve stagione. Chiamato alle armi, non volle stare dietro una scrivania, come avrebbe potuto. Nel inverno del 1942, perse la vita. Poco dopo il decollo, l'aereo, sul quale volava, esplose nel cielo di Napoli, per cause mai accertate. Conscio del pericolo al quale lo esponeva la guerra, dispose, che, il suo maestro, Silvio D'amico, procedesse alla fondazione di una casa di riposo per attori anziani ed indigenti. Nasceva, così, nel 1943 la Fondazione Nicolò Piccolomini per l'Accademia d'Arte Drammatica, nella quale confluì la Casa del Sole ed il grande parco che la circondava, nel cuore della capitale. Entrambi, madre e figlio, riposano nel mausoleo di famiglia di Pienza[183][184].
  • Silvio Piccolomini della Triana (1875 ca. - † Pienza 1963). Ultimo discendente della linea Carli Piccolomini. Questa linea non fu mai coinvolta nei grandi lasciti, che la consorteria aveva riservato agli altri rami della famiglia. Nel 1895, si estinsero i Piccolomini della Triana scaturiti dai Salamoneschi.
     
    Chiesa di Santa Maria delle Grazie nel Castello della Triana
     
    Palazzo Piccolomini a Pienza
    Niccolò l'ultimo nato, nominò erede, questo Silvio che, insieme ai fratelli Girolamo, Alessandro e Ascanio e le sorelle Bianca e Giulia, rappresentava l'ultima discendenza dei Carli Piccolomini. Unico obbligo, imposto dal testatore, era quello di assumere il cognome Piccolomini della Triana. Tale successione, portò in questo ramo, corposi possedimenti, tra cui lo storico Palazzo Piccolomini di Pienza, voluto da Pio II, e la vasta corte dell'altrettanto storico Castello della Triana[185]. Il potere della famiglia Piccolomini, dopo una formidabile serie di vescovi, che occuparono la cattedra di Pienza, diminuì notevolmente dopo l'accorpamento della diocesi con quella di Chiusi e Montepulciano. Dall'inizio dell'ottocento, Pienza perse quel ruolo di centralità che aveva acquisito a partire dal XV secolo con il pontefice piccolomineo. Silvio, volle con ogni mezzo rilanciare la città dei suoi avi. Lavorò a lungo con la moglie Anna Menotti al progetto estetico e sociale per riportare Pienza ai fasti di un tempo. Fu quattro volte sindaco della città, dai tempi dell'Italia liberale a quella fascista fino a quella democratica. Le ampie diatribe che lo ponevano ora in campo fascista, ora in campo antifascista, a distanza di quasi un secolo risultano del tutto sterili. Silvio Piccolomini, amò la sua Pienza al di sopra di tutto e si batté sempre per la sua ricostruzione ed il suo rilancio[186] . Inoltre portò a termine un opera di risanamento dell'antico Castello della Triana, in cui, tuttavia, abitò poco e solo saltuariamente.
    Agli inizi degli anni '60 del XX secolo, Silvio, dopo la morte della moglie ed il figlio, vide morire intorno a se tutti i fratelli. Non avendo discendenza e non più legato ai vincoli della consorteria, ormai sciolta nel lontano 1821, decise di dare il suo vasto patrimonio in beneficenza. Destinataria fu la Società Di Esecutori Di Pie Disposizioni di Siena, che tuttora, negli anni [[XXI Secolo|2000], gestisce le diverse proprietà ed il Palazzo di Pienza, trasformato in museo, ove si tengono eventi culturali e concerti.


L'Alienazione, degli ultimi antichi presidÎ familiari, sancisce, in definitiva, la fine di un'epoca, nella storia dei Piccolomini. Nel XXI secolo, sopravvivono entrambi i rami di Bartolomeo e Rustichino. Rimangono depositari della straordinaria memoria storica e culturale di questa grande famiglia italiana. Sono rispettivamente la linea dei Piccolomini Naldi Bandini e quella dei Piccolomini Clementini Adami,

Prelati

  Pontefici Cattedra Ramo Periodo
Enea Silvio Piccolomini Pontefice Massimo con il nome di Pio II Piccolomini (1459 - 1464)
Francesco Piccolomini Pontefice Massimo con il nome di Pio III Piccolomini Todeschini (1503 - 1503)
  Cardinali
Giovanni Piccolomini Arcivescovo di Siena. Cardinale del titolo di Santa Balbina Piccolomini Todeschini (1517 - 1537)
Celio Piccolomini Cardinale del titolo di San Pietro in Monte d'Oro Carli Piccolomini (1664 - 1681)
Giacomo Piccolomini Cardinale di Babbo Balbina e di San Marco[187] Piccolomini d'Aragona (Già Salamoneschi) (1845 - 1861)
Enea Sivio Piccolomini Cardinale diacono di Sant'Adriano al Foro Piccolomini della Torre a Castello (1766 - 1769)
  Vescovi
Giacomo Piccolomini (Beato) Vescovo di Sarzana e di Luni[188] Piccolomini (1380 - 1383)
Antonio Piccolomini I Arcivescovo di Siena[189] Piccolomini di Modanella (1458 - 1459)
Gabriele Piccolomini Vescovo di Chiusi Arcivescovo di Siviglia[188][190] Non determinato (1463 - 1483)
Niccolò Piccolomini Arcivescovo di Benevento[191] Piccolomini del Mandolo (1464 - 1468)
Andrea Piccolomini Vescovo di Siracusa (cit. anche come Andrea Tolomei(?))[188] Non determinato (1463 - 1468)
Aldello Piccolomini Vescovo di Grosseto e di Sovana [192]. Piccolomini Salamoneschi (1492 - 1510)
Agostino Piccolomini Amministratore apostolico di Fermo[188] Non determinato (1494 - 1496)
Girolamo I Piccolomini Vescovo di Pienza[193]. Non determinato (1498 - 1510)
Francesco Piccolomini Vescovo di Bisignano[194]. Piccolomini d'Aragona (1498 - 1530)
Girolamo II Piccolomini Vescovo di Montalcino e poi di Pienza[195]. Carli Piccolomini (1510 - 1535)
Francesco Bandini Piccolomini IV Arcivescovo di Siena[196]. Bandini Piccolomini (1529 - 1588)
Alessandro Piccolomini Vescovo di Pienza e Montalcino[197]. Carli Piccolomini (1535 - 1563)
Francesco Maria I Piccolomini Vescovo di Montalcino e di Pienza[198]. Carli Piccolomini (1554 - 1599)
Pompeo Piccolomini Vescovo di Tropea[199]. Piccolomini d'Aragona (1560 - 1562)
Germanico Bandini Piccolomini Vescovo di Corinto[200]. Bandini Piccolomini (1560 - 1574)
Alessandro Piccolomini Arcivescovo di Patrasso[201]. Carli Piccolomini (1574 - 1578)
Ascanio I Piccolomini Vescovo di Rodi e poi V Arcivescovo di Siena[202]. Piccolomini di Sticciano (1588 - 1597)
Francesco Piccolomini Vescovo di Grosseto[203]. Piccolomini del Mandolo (1611 - 1622)
Fabio Piccolomini Vescovo di Massa e Populonia [204]. Piccolomini Salamoneschi (1615 - 1629)
Ascanio II Piccolomini X Arcivescovo di Siena[205]. Piccolomini di Sticciano (1628 - 1671)
Giovanni Battista Piccolomini Vescovo di Salamina (Cipro) e poi di Chiusi[206]. Piccolomini del Mandolo (1630 - 1637)
Alessandro II Piccolomini[206]. Vescovo di Chiusi Non determinato (1657 - 1661)
Ambrogio Maria Piccolomini Vescovo di Trivento e Arcivescovo di Otranto[207]. Piccolomini d'Aragona (1666 - 1682)
Niccolò Piccolomini Arcivescovo di Tessalonica[208] Non determinato (1706 - 1710)
Francesco Maria II Piccolomini Vescovo di Montalcino e di Pienza e poi di Perge (Turchia)[209] Piccolomini di Modanella (1741 - 1784)
Federico Piccolomini Vescovo di (?)[188] Piccolomini d'Aragona (?) (?)
Giulio Piccolomini Arcivescovo di Rossano[188] Piccolomini d'Aragona (1611 - ?)
Altri Prelati Incarico Ramo Periodo
Francesco Piccolomini 8° Preposito generale della Compagnia del Gesù  Piccolomini della Triana (1649 -1651)
Nicolò Piccolomini Uditore della Sacra Romana Rota [188] Carli Piccolomini (1531)
Nicolò Piccolomini Segretario dei Memoriali di Alessandro VII[188] Salamoneschi (1628)
Gaspare Piccolomini Cameriere del Pontefice Pio II[190] Piccolomini (1459 - 1464)

Beati

  • Giacomo Piccolomini (XIV secolo), Vescovo, citato nella sezione Prelati.
  • Giovacchino Piccolomini (XIII secolo), citato nelle sezione Ramo di Rustichino.

Note

  1. ^ a b c Vittorio Spreti - Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana 1928-1936 (Ristampa Anastatica Forni Editore Bologna -1981) Vol. V, pag. 325 Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "Spreti0" è stato definito più volte con contenuti diversi
  2. ^ Roberta Mucciarelli , L'archivio Piccolomini:Alle origini di una famiglia magnatizia: discendenza fantastiche e architetture nobilitanti - (edito in “Bullettino Senese di Storia Patria”, CIV, 1997, pp. 357-376), (pagg. 1 e 2 del doc. rtf)- Fonte
  3. ^ O. Malavolti, Dell’historia di Siena, Venezia, 1599, [rist. anastatica Bologna, 1968] III, parte prima, p. 23
  4. ^ Roberta Mucciarelli, op. cit.. pg. 2 doc. rtf - Fonte
  5. ^ Roberta Mucciarelli, op. cit. pag. 10 doc. rtf- Fonte
  6. ^ a b Roberta Mucciarelli, op. cit. pag. 6 doc. rtf- Fonte
  7. ^ Roberta Mucciarelli, op. cit. pagg. 1 - 7 doc. rtf- Fonte
  8. ^ Arrigo II detto il terzo - Noto come Enrico III il Nero - Sebastiano Fantoni Castrucci, Istoria della Citta' d'Avignone, e del contado Venesino - Gio: Giacomo Hertz, Venezia 1678 Fonte
  9. ^ Si scorgono nella croce blu, sei mezze lune d'oro, anziché cinque. Numero omologato dal XV secolo in poi
  10. ^ a b c Vittorio Spreti Op. cit. Vol. V, pag. 326
  11. ^ a b A. Lisini, A. Liberati, Genealogia dei Piccolomini di Siena. - Enrico Torrini editore - Siena 1900. Tav. I- Fonte Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "LisiniAmmirati" è stato definito più volte con contenuti diversi
  12. ^ a b c Roberta Mucciarelli, op. cit. pag. 5 doc. rtf- Fonte
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  19. ^ a b Vittorio Spreti - Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana 1928-1936 (Ristampa Anastatica Forni Editore Bologna -1981) Vol. pag. 331 Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "spreti" è stato definito più volte con contenuti diversi
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  70. ^ Il nome Caterina da alcuni è indicato come una attribuzione errata. Il nome esatto sembrerebbe Costanza, ma al fine di non generare confusione, si preferisce continuare, sulle indicazioni dello Spreti e di Ludwig von Pastor nella sua Storia dei Papi, ad usare il nome Caterina
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  102. ^ Alcune fonti parlano di vendita
  103. ^ Luigi Amabile, Fra Tommaso Campanella : la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia. Volume secondo, narrazione, parte seconda pag. 266. 267 - Napoli - Cav. Antonio Morano Editore - Napoli 1888 - Fonte
  104. ^ Luigi Amabile op, cit., Volume secondo, narrazione, parte seconda pag. 266. 267- Fonte
  105. ^ Elisa Novi Chavarria, Op. cit. pagg. 106 - 108 -Fonte
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