Storia del caffè
La storia del caffè risale molto probabilmente al Medioevo, attorno al X o più presumibilmente verso il XV secolo, ma con possibili precedenti in tutta una serie di relazioni e leggende che circondano il suo primo utilizzo.

L'albero di Coffea (la specie nativa non domesticata) è originario dell'antica provincia di Kaffa/Kefa (da cui trae il nome) situata nel Sudovest dell'Etiopia, attorno a Gimma; la leggenda più diffusa narra che un pastore dell'Abissinia notò l'effetto tonificante di quest'arbusto sul proprio gregge di capre che stavano pascolando nei suoi pressi. La coltivazione si diffuse presto nella vicina penisola arabica, dove la sua popolarità beneficiò del divieto islamico nei confronti della bevanda alcolica; prese il nome di "K'hawah", che significa "rinvigorente".

La prima prova dimostratasi valida dell'esistenza di una caffetteria e della relativa conoscenza della pianta risale al XV secolo, nei monasteri del Sufismo nell'attuale Yemen[1]. Nel XVI secolo aveva già raggiunto il resto del Medio Oriente, l'India meridionale (il distretto di Kodagu), la Persia, l'odierna Turchia, il Corno d'Africa e il Nordafrica. Attraverso l'impero ottomano si diffuse poi ai Balcani, alla penisola italiana e al resto del continente europeo, al Sudest asiatico e infine alle Americhe[2].
La sua rarità lo rese molto costoso in Europa almeno fino al primo terzo del XVIII secolo. In seguito se ne sviluppò la coltura sia nei possedimenti francesi che in quelli olandesi d'oltremare, a cui seguirono i grandi produttori nella Capitaneria generale di Cuba, nel regno del Brasile, in Venezuela, nelle Indie orientali olandesi e a Ceylon britannico nel corso del XIX secolo.

Nell'America meridionale i periodi di crisi fecero aumentare la quota delle aziende agricole contadine a scapito delle aziende basate sulla schiavitù e il lavoro forzato[3]. Il desiderio di recuperare le terre che erano state derubate alla popolazione locale provocò un'appropriazione della caffeicoltura[3], diventando così elemento costitutivo dell'identità degli "andini" venezuelani e della regione "Paisa" in Colombia[3].
Nel continente africano ha permesso ai Baulé della Costa d'Avorio, ai Bamiléké del Camerun, ai Kikuyu del Kenya e ai Chaga della Tanzania di svolgere un ruolo fondamentale nei loro paesi[3]. Assieme al Venezuela, Ceylon e Cuba, Haiti e la Colonia della Giamaica sono stati tra i 20 maggiori paesi produttori di caffè durante il XIX secolo. L'esportazione perdette in parte la sua influenza nel corso del XX secolo, quando le grandi aziende cominciarono a basarsi sulle nuove infrastrutture per ottenere il controllo commerciale, fissare i prezzi, ma anche contribuendo ad un'enorme crescita del volume di caffè venduto[4].
Crescendo in alta quota, lontano dai porti, il Coffea è particolarmente sensibile alle variazioni di temperatura, ma anche alla densità forestale (ad esempio l'ombra creata dagli altri alberi); l'apporto di pesticidi e fertilizzanti ha causato il progressivo impoverimento del suolo (e ciò con costi imprevedibili), poiché l'arbusto installato a seguito dell'opera di disboscamento dona il proprio frutto solamente dopo 4 anni di crescita e si esaurisce dopo due decenni.
La produzione mondiale è salita da 100.000 tonnellate nel 1825 a 8.9 milioni nel 2013, moltiplicandosi in tal modo più di 89 volte in meno di due secoli[5]. All'alba del XX secolo il commercio mondiale del caffè costituiva il terzo più grande per valore, dietro ai cereali e allo zucchero[4].
Nel XXI secolo è il prodotto maggiormente commercializzato a livello mondiale, preceduto solamente dal petrolio, con un'importo di 11,23 miliardi di euro[6]; per una fornitura di 400 miliardi di tazzine annue al consumo, pari a circa 12.000 al secondo. La coltivazione permette la sussistenza a 125 milioni di persone in oltre 75 paesi tropicali[6], con 5 milioni di grandi produttori[6] e 25 milioni[6] di piccoli produttori indipendenti[7]. Il caffè rappresenta il 61% delle esportazioni del Burundi, il 37% dell'Etiopia, il 35% del Ruanda, il 21% dell'Uganda, il 18% del Nicaragua e il 17% dell'Honduras[3].
La nostra "tazzina da caffè", nei diversi tipi di denominazione che assume il liquido in essa versato (caffè espresso, lungo, ristretto, corretto, caffè macchiato, cremoso) fino ad arrivare al Caffè americano, al Bicerin, al Black Russian, al Caffè turco, al Caffè filtro, al Caffè frappé, al Caffè in ghiaccio, al Caffè alla valdostana, al Caffè shakerato, al Caffelatte, al Cappuccino, al Carajillo, al Cortado, al Flat white, al Frappuccino, all'Irish coffee, al Kopi Luwak, al Latte macchiato, al Melange Viennese, al Marocchino, al Mocaccino, al Moretta fanese, al White Russian e ai "Pocket Coffee" esso contiene caffeina - un alcaloide naturale - e fa parte delle cosiddette "bevande nervine".
Infine il caffè d'orzo e il caffè decaffeinato sono privi del principio attivo di base.
Etimologia
La parola "coffee" entrò nella lingua inglese nel 1582 tramite il "koffie" della lingua olandese[8], preso a sua volta in prestito dal "kahve" della lingua turca ottomana, derivante dal "qahwah" della lingua araba (قهوة)[9].
La parola araba "qahwah" si riferiva originariamente a un tipo di vino, la cui etimologia viene proposta dalla lessicografia come una derivazione del verbo "qahā" (قها, "mancanza di fame") in riferimento alla reputazione anoressizzante della bevanda[9][10]. La parola "qahwah" è talvolta una traccia alternativa del "quwwa" arabo ("potenza, energia") o di "Kaffa", il reame medioevale etiopico da dove l'arbusto è stato esportato fino in Arabia[9]. Queste etimologie per "qahwah" sono state in ogni caso tutte variamente contestate.
Il nome "qahwah" non è generalmente utilizzato per la bacca o il prodotto della pianta, che sono noti in arabo come "bunn" e nella lingua oromonica "būn". Le lingue semitiche avevano la radice "ghh", "colore scuro", divenuta una denominazione naturale per la bevanda; secondo questa analisi la forma femminile "qahwah" (che significa anche "colorazione scura, opaco, arido, acerbo") era probabilmente scelta in parallelo al "khamr" (خمر, "vino", parola femminile in arabo) e originariamente significava "il buio" (o "nero")[11].
Primo utilizzo e leggende
Gli antenati etiopi del gruppo etnico degli Oromo furono con buone probabilità i primi ad aver riconosciuto l'effetto energizzante della pianta di caffè la quale cresceva spontanea nei loro territori[1]. Studi di diversità genetica sono stati eseguiti su molte varietà di Coffea arabica, che si sono rivelate scarsamente differenziate ma con la conservazione di una certa eterozigosità residua proveniente dai materiali ancestrali. È pertanto risultata essere strettamente correlata alle specie diploidi di Coffea canephora e Coffea liberica[12].
Tuttavia non è stata rinvenuta alcuna prova diretta che possa indicare il luogo africano approssimativamente esatto in cui il caffè sia cresciuto per la prima voltà e neppure che tra gli indigeni avrebbe potuto essere riconosciuto e usato come stimolante in un periodo precedente al XVII secolo[1]. Si pensa però che l'impianto del caffè domestico originale sia avvenuto ad Harar la cui popolazione nativa è considerata indigena dell'Etiopia, con l'aggiunta di distinte popolazioni poco oltre i confini del Sudan e in Kenya[13][14].
Il caffè è stato consumato principalmente nel mondo islamico, là ove è nato; rimase anche direttamente correlato alle pratiche più strettamente religiose, per riuscire cioè a sopportare le lunghe veglie di preghiera[15].
Ci sono diversi racconti leggendari sull'origine della bevanda; uno di questi comprende la vita del mistico del Sufismo berbero Abu l-Hasan al-Shadhili [11]; una storia etiopica narra che, osservando una vitalità insolita in alcuni volatili, provò ad assaggiare le bacche che gli uccelli stavano mangiando, sperimentandone la stessa energia[16].
Altri attribuiscono la scoperta del caffè ad un discepolo della Shadhiliyya chiamato Omar. Secondo l'antica cronaca (conservata nel manoscritto del persiano Abd al-Qadir Maraghi) questi, che era conosciuto per la sua capacità di curare i malati con la sola forza della preghiera, fu esiliato da Mokha in una grotta deserta nei pressi di Ousab[17]; provò a masticare le bacche raccolte da alcuni arbusti situati lì vicino, ma le trovò amare. Allora si mise a tritarle nel tentativo di migliorarne il sapore, ma così divennero dure. Poi provò a bollirle per ammorbidirle, il che produsse un liquido fragrante bruno. Dopo averlo bevuto Omar fu capace di rimanere senza cibo per dei giorni interi. Quando i racconti di questo "farmaco miracoloso" giunsero fino a Mokha ad Omar venne permesso di tornare e in seguito venne fatto santo[18].
Un altro racconto riguarda un cavaliere etiopico del IX secolo, Kaldi; notando gli effetti energizzanti che subiva il suo gregge dopo aver brucato le bacche di un color rosso brillante di un certo cespuglio, si mise egli stesso a masticarle; l'euforia che ne derivò lo spinse a portare le bacche ad un monaco in un vicino monastero. Questi però non approvò il loro uso e le gettò nel fuoco; subito dopo ne fuoriuscì un intenso profumo, che fece accorrere altri monaci incuriositi. Le bacche arrostite furono rapidamente tratte fuori dalle braci, polverizzate e sciolte in acqua calda: la prima tazzina di caffè al mondo era stata creata. Dal momento però che questa storia non è nota per essere apparsa per iscritto prima del 1671, 800 anni dopo rispetto al tempo in cui viene ambientata, è molto probabile che sia spuria[1].
Diffusione nel mondo arabo medioevale
L'uso del caffè era molto antico in Abissinia. Shehabeddin Ben, autore di un manoscritto arabo del XV secolo citato nella dissertazione di John Ellis Historical account of Cojfee (1774), scrive ch'esso è stato impiegato fin da epoche immemorabili; ma la pratica non si diffuse durante il periodo delle Crociate in quanto gli occidentali non ne vennero a conoscenza. Il medico del XIII secolo Ibn al-Baytar, che attraversò l'intero Nordafrica fino a giungere in Siria, non ne fa alcuna menzione[19].
La prima menzione del caffè, notata dallo speziale Philippe Sylvestre Dufour[20], parrebbe essere un riferimento al "bunchum" presente nelle opere del medico persiano Rhazes (X secolo); nelle edizioni successive però Dufour mette in dubbio la vera identità del "bunchum", parere condiviso anche da Edward Forbes Robinson in The Early History of Coffee Houses in England (London, 1893), citato da Ukers nel 1922.
Informazioni più precise sulla preparazione di una bevanda dalle bacche di caffè tostate risalgono invece a diversi secoli più tardi. Uno dei più importanti tra i primi scrittori sul caffè fu Abd al-Qadir al-Jaziri, che nel 1587 compilò un'opera che traccia la storia e le controversie legali e religiose subite dal caffè, Umdat al safwa fi collina al-qahwa (عمدة الصفوة في حل القهوة)[21][22].
Egli riferì che lo sceicco Jamal-al-Din al-Dhabhani (1470), mufti di Aden, fu il primo ad adottare l'uso del caffè nel 1454 circa. Scoprì che, tra le sue proprietà, vi era anche quella di cacciare via stanchezza e sonnolenza e di donare al contempo al corpo una certa agilità e vigore[1].
Originaria di Kaffa, territorio governato dalla Dinastia Salomonide per tutto il Medioevo[23], la Coffea arabica venne introdotta nello Yemen e qui fu coltivata ed esportata dal porto di Mokha/Mocha (da cui trarrà il nome la Moka, caffettiera ideata dall'italiano Alfonso Bialetti nel 1933[24]); il paese arabo ebbe relazioni commerciali lunghe ed intense con l'Impero d'Etiopia. Cominciarono ad essere coltivati circa 50.000 ettari nei due paesi[3]. La prima testimonianza credibile della conoscenza dell'albero di caffè appare a metà del XV secolo, nei monasteri Sufi yemeniti[1].
Furono i commercianti yemeniti ad iniziare a coltivarlo[25]. La parola "qahwa" - come detto - originariamente significava vino e i sufi dello Yemen usarono la bevanda come aiuto alla concentrazione e per creare una specie di intossicazione spirituale quando cantavano in estasi il nome di Allah[26], oltre che per mantenersi vigili durante le loro devozioni notturne.
Il "manoscritto di 'Abd Al-Qadir al-Jaziri" (XVI secolo)[27] traccia la diffusione del caffè partendo dall'"Arabia Felix" (l'attuale Yemen) verso Nord fino alla Mecca e a Medina, per giungere poi alle grandi città del Cairo, Damasco, Baghdad e Istambul[28]. Il lavoro di Al-Jaziri è di notevole interesse anche per quanto riguarda la storia del caffè in Europa; una copia raggiunse la biblioteca reale francese, dove fu in parte tradotta da Antoine Galland alla fine del XVII secolo col titolo De l'origine et du progrès du café[29]
Nel 1414 la bevanda era conosciuta alla Mecca e agli inizi del 1500 venne diffusa nel Sultanato mamelucco e nel Nordafrica dal porto di Mokha[13][26]. Associato al Sufismo, una miriade di "case del caffè" nacquero al Cairo, tutt'attorno all'Università al-Azhar. Vennero poco dopo aperte anche in Siria, specialmente nella città cosmopolita di Aleppo[26]. La prima caffetteria sul suolo europeo, chiamata "Kiva Han", aprì nel 1475 ad Istanbul. Il consumo si diffuse in tutto il mondo arabo e nel 1630 esistettero un migliaio di caffetterie nella sola Cairo.
Nel 1511 fu però proibito a causa del suo effetto stimolante dagli imam conservatori e ortodossi in un concilio teologico svoltosi alla Mecca[21]. Tali divieti tuttavia vennero completamente ribaltati nel 1524 grazie ad un ordine esplicito del sultano della Dinastia ottomana Solimano il Magnifico, con il Gran Mufti Ebussuud Efendi che emise una "fatwa" per consentire il consumo di caffè[30]. Al Cairo una simile proibizione venne proclamata nel 1532 e le caffetterie e i magazzini contenenti i chicchi furono completamente saccheggiati[31].
Nel XVI secolo aveva già raggiunto il resto del Medio Oriente, i Safavidi persiani e l'intero Impero ottomano. Da qui si diffuse verso la penisola italiana, poi nel resto d'Europa e le piante di caffè cominciarono ad essere trasportate dagli olandesi nelle Indie orientali olandesi e nelle Americhe[2].
Allo stesso modo il caffè sarà bandito anche dalla Chiesa ortodossa etiope poco prima del XVIII secolo[32]; tuttavia nella seconda metà del XIX secolo gli atteggiamenti si ammorbidirono e il suo consumo troverà una rapida diffusione tra il 1880 e il 1886: secondo l'accademico britannico Richard Pankhurst "ciò è dovuto in gran parte a Menelik II, che lo ha bevuto. Questo semplice atto contribuì in maniera determinante a far dissuadere il clero dalla credenza che fosse una bevanda prettamente musulmana"[33].
XVI secolo
Secondo il documentario televisivo "Mararna" il caffè sarebbe stato introdotto per la prima volta in Europa sull'isola di Malta nel XVI secolo, attraverso gli schiavi musulmani turchi imprigionati dai Cavalieri Ospitalieri nel 1565, l'anno dell'Assedio di Malta; ne fecero subito la loro bevanda tradizionale.
Domenico Magri citò nel suo saggio (intitolato Virtu del kafe, beuanda introdotta nuouamente nell'Italia con alcune osseruationi per conseruar la sanita nella vecchiaia) del 1671 i "turchi, i creatori più abili di questa ricetta"[34].
Il caffè venne notato ad Aleppo dal botanico tedesco Leonhard Rauwolf che stava compiendo un viaggio di studio da Tripoli (Libano) a Baghdad[35]; sarà il primo europeo a parlarne nel 1582. Egli venne ben presto seguito da altre descrizioni provenienti dai viaggiatori europei successivi[36].
Il vivace scambio mercantile attivo tra la Repubblica di Venezia e i musulmani del Nordafrica, dell'Egitto e dell'Impero ottomano portò all'introduzione di una grande varietà di beni, incluso il caffè, in direzione di Venezia, allora uno dei principali porti europei. I mercanti veneziani introdussero - con molte insistenze - la bevanda tra l'aristocrazia. In seguito passò anche nella terraferma, innanzitutto tra studenti, docenti e visitatori dell'Università di Padova[37]
Nel 1591 il botanico e medico veneziano Prospero Alpini divenne il primo europeo a pubblicare una descrizione dettagliata della pianta di caffè. Nel 1645 fu inaugurata a Venezia la prima caffetteria europea, oltre a quelle già presenti nell'Impero ottomano e a Malta[2].
Anche il viaggiatore tedesco Gustav Sommerfeldt nel 1663 scrisse: "la capacità e l'industria con cui i prigionieri turchi guadagnano soldi, specialmente preparando il caffè, una polvere del tutto simile al tabacco da fiuto, con acqua e zucchero". Il caffè rimase una bevanda popolare nell'alta società maltese, con molti negozi aperti espressamente per favorirne il consumo[38].
La nuova moda invade l'Europa
Secondo la descrizione fatta da Rauwolf il caffè sarebbe divenuto un bene disponibile in Inghilterra già entro la fine del XVI secolo, in gran parte attraverso gli sforzi congiunti della Compagnia britannica delle Indie orientali e della Compagnia olandese delle Indie orientali.
Con sicurezza entrò nel continente europeo attorno al 1600, grazie ai mercanti veneziani. Si consigliò a Papa Clemente VIII (1592-1605) di farlo proibire, in quanto avrebbe rappresentato una minaccia satanica proveniente dagli "infedeli[39]; dopo averlo assaggiato però il Santo Padre benedì la nuova bevanda affermando che lasciarne il consumo solo agli infedeli avrebbe invero costituto un autentico peccato mortale[40]. Il suo ampio utilizzo penetrò nell'Europa occidentale a partire dalla metà degli anni 1660.
Nel 1614 il commerciante di Anversa Pieter van den Broecke scoprì lo strano tipo di "acqua nera e calda" al porto di Mokha, nella costa Sudest yemenita, mentre si trovava in navigazione per conto della "Compagnia olandese"[6]; due anni dopo riuscì ad ottenerne alcuni cespugli e se li portò ad Amsterdam ove li piantò nell'orto di casa: cominciarono a crescere rigogliosi. Questo evento apparentemente minore ricevette una ben poca pubblicità all'epoca, ma ebbe un impatto decisivo sulla storia occidentale del caffè.
Nel 1615 le imbarcazioni della Repubblica di Venezia portarono in patria una borsa di chicchi di caffè provenienti da Istanbul e già nel 1660 circa ne giunsero dai territori turchi 20.000 quintali a Marsiglia[6]; considerati estremamente costosi ricevettero il loro primo nome dal porto di Mokha affacciato sul Mar Rosso, da cui vennero esportati via Suez e Alessandria d'Egitto: dalle navi attraccate a Venezia, Genova e Marsiglia cominciarono ad essere dstribuiti in tutto il continente europeo.
I chicchi che van de Broecke era riuscito ad acquisire da Mokha quarant'anni prima si adattarono alle condizioni climatiche locali nelle serre dell'orto botanico di Amsterdam e produssero numerosi cespugli di Coffea arabica sani. Nel 1658 gli olandesi li impiegarono per iniziare la coltivazione del caffè a Ceylon e più tardi nell'India meridionale (vedi India olandese). Abbandonarono poi queste colture per concentrarsi sulle loro piantagioni giavanesi in modo da evitare di far scendere il prezzo per sovrapproduzione.
Nel giro di pochi anni le sedi dell'impero coloniale olandese (Giava nelle Indie orientali olandesi e Guyana olandese) divennero i principali fornitori di caffè dell'intera Europa.
La prima caffetteria inglese venne inaugurata ad Oxford nel 1651.[41]; mentre a Londra si situò al "St. Michael's Alley" a Cornhill l'anno seguente.[42]. Il titolare, Pasqua Rosée[43][44], era un commerciante in beni turchi.
Daniel Edwards importò il caffè e assistette Rosée nella creazione della struttura. La "Queen's Lane Coffee House", fondata nel 1654, è a tutt'oggi in attività[45]. Entro il 1675 vi furono già più di 3.000 caffetterie in tutta l'Inghilterra, nonostante l'alto grado di disordine nella loro progressione durante il decennio 1660.[46].
Le prime caffetterie britanniche divennero ben presto i luoghi di ritrovo preferiti per filosofi e studiosi, per professori e autori di pamphlet e libelli. I primi ideali del liberalismo nacquero al loro interno, con profonde discussioni religiose e politiche. Nel 1675 i locali vennero per breve tempo sanzionati e fatti chiudere per "reato di lesa maestà" contro Carlo II d'Inghilterra in quanto potenziali "covi di sovversivi"; ma le vibrate reazioni di protesta costrinsero il sovrano a far revocare il decreto[47][48][49][50].
Venne posto un iniziale divieto di frequentazione nei confronti delle donne, ma questo non fu universale, in terra tedesca per esempio non esistette mai; ma sembra essere stato comune altrove in Europa, inclusa l'Inghilterra[51].
Molti in questo primo periodo credettero che il caffè potesse avere delle proprietà medicinali. Un trattato del 1661 intitolato "A character of coffee and coffee-houses", scritto da un anonimo M.P., elenca alcuni di questi vantaggi così come venivano percepiti: "è esaltato per asciugare l'acidità di stomaco e far espellere la flemma fuori dalla testa"[52].
Tuttavia questa nuova merce si rivelò per alcuni essere invece controversa; l'anonima Women's Petition Against Coffee del 1674 dichiarò: "l'uso eccessivo di quel nuovo liquore abominevole e pagano chiamato COFFEE... ha reso eunuchi i nostri mariti e ha paralizzato i nostri migliori gentiluomini, tanto che sono diventati impotenti, proprio come se fossero diventati dei vecchi"[53].
Antoine Galland (1646-1715) nella sua traduzione descrisse l'associazione dei musulmani con il caffè, i tè e il cioccolato: "siamo debitori nei confronti di questi grandi medici arabi per aver introdotto il caffè nel mondo moderno attraverso i loro scritti, così come lo zucchero, il tè e la cioccolata". Galland riferì che era stato informato da Messieur de la Croix, l'interprete del re Luigi XIV di Francia, che il caffè veniva portato a Parigi da Jean de Thévenot, che aveva viaggiato attraverso l'Oriente. Al suo ritorno nel 1657 Thevenot donò alcuni di questi chicchi ai suoi amici, uno dei quali era de la Croix.
Nel 1669 Suleiman Aga, ambasciatore del Sultano Mehmed IV, giunse nella capitale francese con il suo entourage portando con sé una grande quantità di chicchi di caffè; offrì con certezza per la prima volta la bevanda al "Re Sole"[6]. Egli non solo fornì ai suoi ospiti francesi e europei un caffè da bere, ma regalò anche alcuni chicchi alla corte reale. Tra il 1669 e il 1670 Suleiman riuscì a stabilire tra i parigini la ferma abitudine di bere il caffè.
Alcune delle altre prime caffetterie vennero aperte a Venezia nel 1683 (il Caffè Florian in Piazza San Marco fu inaugurato nel 1720[6]), a Parigi nel 1686 (con il Café Procope)[6] e a Boston nel 1689[6].
Al "Procope" Thévenot inventaòuna modalità del tutto innovativa di preparare il caffè, facendo cioè scorrere l'acqua bollente nella polvere contenuta in un filtro. Nel Regno Unito vi furono più di 2.000 caffetterie nel 1700, in piena "rivoluzione finanziaria britannica". La celebre compagnia assicurativa Lloyd's di Londra nacque originariamente all'interno di una caffetteria fondata nel 1688, la Lloyd's Coffee House[54][55].
La Borsa di Londra nella sua versione moderna nacque anch'essa in una caffetteria, la famosa "Jonathan's Coffee-House"[56], al cui interno s'incontravano i mediatari olandesi; il padrone, l'ugonotto John Castaing, pubblicò la prima lista azionaria della storia della borsa valori.
La prima caffetteria dell'impero austro-ungarico venne inaugurata a Vienna nel 1683 dopo la battaglia di Vienna, usando le forniture acquisite dopo la sconfitta dei turchi. L'ufficiale che ricevette i chicchi, Jerzy Franciszek Kulczycki - un militare polacco di origine ucraina - aprì il nagozio e aiutò a diffondere l'abitudine di aggiungere lo zucchero e il latte al caffè[57]. Il "Melange Viennese" è il tipico caffè della capitale austriaca, che viene miscelato con latte caldo schiumato e un bicchiere d'acqua.
Nel Sacro Romano Impero settentrionale di lingua tedesca le caffetterie vennero stabilite per la prima volta nei porti del Mare del Nord, comprese Brema (1673) e Amburgo (1677). Inizialmente la nuova bevanda fu chiamata "coffee" com'era in uso nella lingua inglese, ma nel corso del XVIII secolo i tedeschi adottarono gradualmente la parola "café" della lingua francese, poi passarono a "Kaffee"; questa rimase fino ad oggi. La popolarità del caffè si diffuse e venne assunta dalle classi dirigenti; fu servito alla corte di Federico Guglielmo I di Brandeburgo già nel 1675, ma la prima caffetteria pubblica a Berlino si aprì solo nel 1721.
Il compositore Johann Sebastian Bach, a Lipsia tra il 1723 e il 1750, diresse un ensemble presso il Caffè Zimmermann nella città sassone. Nel 1732-35 compose la Schweigt stille, plaudert nicht (Cantata del caffè): una giovane donna si rivolge al padre contrariato perché accetti la sua devozione al caffè. Il libretto include i versi: "Oh, come il caffè dolce ha gusto, / meglio di mille baci, / gentile quanto il vino moscato. / Caffè, caffè, devo averlo, / Oh, dammi una tazza di caffè!".
Il caffè raggiunse la Confederazione polacco-lituana nel XVII secolo, principalmente attraverso i mercanti che commerciavano con gli ottomani[58]; le prime caffetterie aprirono un secolo dopo[59]. Continuò a rimanere una merce di lusso nella Repubblica Popolare di Polonia per tutta la durata del regime comunista. Il consumo ha iniziato a crescere e stabilizzarsi solo a partire dalla trasformazione della Polonia in una democrazia aperta al capitalismo nel 1989, anche se esso ha una diffusione "pro capite" relativamente più bassa rispetto alla maggior parte degli altri paesi dell'Unione Europea[60].
XVII secolo
Gli olandesi avviano la produzione di "Mohka" a Batavia e nella Guyana olandese
Come detto nel 1614 una delegazione di commercianti e specialisti d'orticoltura olandesi visitò Aden per poter studiare come gli arabi riuscissero a creare il caffè; due anni dopo la "Compagnia" cominciò qui a rifornirsi di chicchi. Il caffè rimase un bene di lusso, anche se la sua coltivazione venne estesa nell'India olandese (a Ceylon) nel 1658 e nelle Indie orientali olandesi nel 1690[61].
Nicolaes Witsen (1641-1717)[62], presidente della "Compagnia" nonché fondatore dell'Orto botanico di Amsterdam nel 1638[63], fece acclimatare il caffè etiopico a Batavia (l'odierna Giacarta)[64], dopo di ché esportò il metodo anche nella Guyana olandese.
Nel 1696 i primi semi vennero fatti piantare nell'isola di Giava su un terreno di proprietà del governatore generale Willem van Outhoorn[23]: venne rapidamente devastato da un'inondazione[23]. Ma l'esperimento fu ripetuto nel 1706 e il primo esemplare di Coffea coltivata entrò così a far parte ufficialmente del orto botanico di Amsterdam; esso divenne il capostipite di tutte le piante di "arabica" prima dell'ex Brasile olandese e poi dell'intera Colonia del Brasile e dei Caraibi olandesi[23].
Intanto nel 1692 Luigi XIV di Francia concesse un monopolio al mercante della nascente borghesia parigina François Damame; ma per il commercio d'importazione dall'Oriente Marsiglia mantenne saldamente i maggiori utili finanziari, prima che nel XVIII secolo non si scontrasse con la formidabile concorrenza attuata da una compagna commerciale di Saint-Malo la quale andava direttamente alla ricerca della Coffea arabica nel Mar Rosso doppiando il Capo di Buona Speranza[65].
XVIII secolo
All'inizio del XVIII secolo vi sono già tre denominazioni di caffè in competizione: Java, "Mokha" (comprendente il caffè delle attuali Antille olandesi) e "Bourbon pointu" (quello di La Réunion e Saint-Domingue)[66]. Ad Amsterdam si svolse un'asta prima semestrale, poi trimestrale ed infine mensile; lo Java entro il 1790 scenderà più di 6 volte di prezzo, segnato dall'esplosione produttiva.
Le piantagioni della Coffea vennero rafforzate artificialmente grazie all'utilizzo intensivo della manodopera gratuita proveniente dalla Tratta atlantica degli schiavi africani; le principali navi negriere salparono dai principali porti francesi, mentre le colonie oltremare dell'impero britannico risultarono svantaggiate dalle forti tassazioni imposte sui prodotti coloniali.
La caffeicoltura di La Réunion e Giava decollò tra il 1726 e il 1727, spodestando lo Yemen sul mercato di Amsterdam, seguita dalla Guyana olandese negli anni 1750 quando il monopolio della Compagnia olandese delle Indie occidentali si allentò; Santo Domingo crebbe molto rapidamente a metà degli anni 1760 fino ad arrivare a schiacciare l'intero mercato mondiale negli anni 1790.
La comparazione dei prezzi del caffè di Amsterdam proveniente da Giava e Sumatra mostra un notevole divario tra il 1660 e il 1770[67], il che viene spiegato dagli storici quale effetto dei larghi margini di profitto derivanti dalla monopolizzazione messa in atto dalla "Compagnia olandese"[67].
Questo distacco risultò velocemente colmato al termine della Guerra dei sette anni (1756-63)[67] dopo che i piantatori francesi di Saint Domingue vendettero in massa le piantagioni di zucchero per acquistare terreni in quota da adibire alla caffeicoltura; approfittarono immediatamente della prima ondata di crescite alla fine degli anni 1760 con l'intento di battere la Guyana olandese e causare una prima crisi finanziaria nel 1771 e una seconda alla fine dello stesso decennio.
Entro il 1790 l'intensa caffeicoltura a Saint Domingue produsse la deforestazione dell'intera isola e l'amplificazione naturale dell'attività irrigua, in un contesto in cui si alzò esponenzialmente anche l'infiorescenza e la fruttificazione[68]; tutti i maggiori mercati globali vennero inondati di caffè: New York, Londra, Amsterdam, Trieste, Amburgo, Il Cairo, Bordeaux e Le Havre.
Gli olandesi impongono il caffè a Giava
Nel 1720 gli olandesi imposero la caffeicoltura alla popolazione della regione di Batavia e della zona montagnosa di Priangan a Giava Occidentale. Ai capi distrettuali venne richiesto per contratto di consegnare una certa quantità di caffè ogni anno; si dovettero assicurare che gli indigeni lo piantassero, ne mantennessero la coltivazione ed infine che ne fornissero la quantità necessaria e di buona qualità[23].
Durante la seconda metà del XVIII secolo la coltura venne estesa anche al centro dell'isola, seppur su scala più limitata[23]; mentre la spinta in direzione dell'intera Giava e degli altri isolotti circostanti avvenne per opera del governatore generale Daendels (1808-11) e degli amministratori che gli succedettero[23]. La produzione del "caffè Java", dopo qualche anno dal lancio, decollò definitivamente nel 1727.
1724 | 1727 | 1736 |
Un milione di libbre | 4 milioni di libbre | 6 milioni di libbre |
Nella provincia di Batavia il caffè fu coltivato con successo anche a Gambir (distretto di Giacarta Centrale), a breve distanza dal palazzo presidenziale e a Jatinegara (distretto di Giacarta Orientale)[23]; i volumi e la quantità richiesti furono consegnati tempestivamente[23]. Nelle altre parti di Giava e nelle isole esterne, Sumatra Occidentale e nelle Molucche, la popolazione si dimostrò invece maggiormente riluttante e pertanto risultarono necessari degli incentivi finanziari[23].
Nel 1724 un milione di libbre di caffè furono inviati ad Amsterdam, 4 milioni nel 1727 e 6 milioni nel 1736[23]: ai raccoglitori si consegnò una moneta da 5 centesimi per ogni libbra raccolta, dopodiché il caffè così acquistato si trasportò nei magazzini[23]. La raccolta venne organizzata dai capi villaggio; il prezzo pagato agli agricoltori fu solamente una frazione di quello ricevuto dai raccoglitori[23].
Spedizioni di Mokha e riuscito impianto a La Réunion
La caffeicoltura, al termine del monopolio olandese sulle importazioni, moltiplicò di 25 volte le sue dimensioni nei soli ultimi 8 anni. Gli inizi furono più lenti; i corrieri di Saint-Malo orgnizzarono tra il 1708 e il 1715 ben 3 "spedizioni di Mokha" bypassando l'intero continente africano. La prima permise loro di portare 1.500 tonnellate di caffè in patria. Nel 1712 il regno di Francia e la Repubblica delle Sette Province Unite prepararono gli accordi di pace che dovevano essere firmati nel corso del Trattato di Utrecht. Il borgomastro di Amsterdam De Brancas, il successore di Nicolaes Witsen, offrì a Luigi XIV di Francia una pianticella di Coffea la quale però morì rapidamente[69]. Il colonnellò dell'artiglieria di Ressons-sur-Matz riuscì a procurarsene un'altra di contrabbando.
Gli olandesi gliene inviarono ufficialmente una seconda nel 1714; il sovrano la curò personalmente nei propri giardini privati situati a Marly-le-Roi. Chiese all'ufficiale di marina Guillaume Dufresne d'Arsel di partecipare alla seconda "spedizione di Mokha" per riportarne altre. Il medico e botanico Antoine de Jussieu, sovrintendente della serra del giardino reale (il futuro Jardin des Plantes), fece pubblicare nel 1713 un'interessante descrizione della pianta nelle sue Mémoires de l'Académie des sciences[19]. Prima di morire il "Re Sole" riuscì a moltiplicare la Coffea in serra.
La corte di Versailles apprezzò il gusto del caffè, tantoché la Compagnia francese delle Indie orientali diede a Guillaume Dufresne d'Arsel la responsabilità d'impiantare gli arbusti provenienti da Mokha a La Réunion (allora chiamata "Bourbon") - nel bel mezzo dell'Oceano indiano - attraverso una terza "spedizione di Mokha"; ricevette l'ordine di partire con "L'Auguste" del capitano de la Boissière il 27 giugno del 1715[70][71].
In settembre 6 piante di "Mokha", offerte questa volta dal sultano dello Yemen, vennero fatte attecchire a Saint-Paul sotto l'autorità del governatore Antoine Desforges-Boucher. La "Compagnia" organizzò per intero la produzione, acquistò i semi, costruì depositi e strade; offrì infine concessioni gratuite a qualsiasi colono di età compresa tra i 15 e i 60 anni che accettasse di occuparsi della crescita di 100 piante.
Réunion ebbe solamente 734 abitanti nel 1704; cinquant'anni dopo erano saliti a 17.000, soprattutto a causa della tratta negriera. Il caffè cominciò a venire coltivato in quantità significative a partire dal 1726. In una lettera indirizzata al ministro della marina il governatore dell'isola Pierre-Benoît Dumas dichiarò entusiasta: "non possiamo vedere qualcosa di più bello delle piantagioni di caffè che si moltiplicano all'infinito. Quest'isola sarà in breve tempo capace di rifornire ben oltre il consumo del regno".
Arbitrati dei mercati di Amsterdam e Cairo
Sul mercato di Amsterdam il caffè venne messo all'asta ogni sei mesi, poi ogni trimestre ed infine mensilmente[4]; i mercanti olandesi confrontavano le diferenti origini: nel 1721 essi importarono il 90% di Moka, nel 1726 la percentuale si ribaltò a favore del Java[4] ed in seguito si aggiunse la Guyana olandese la cui produzione raggiunse il suo livello massimo di 7.615 tonnellate nel periodo 1772-76[4]. Prima del 1750 le importazioni dalla Guyana furono all'incirca corrispondenti alle acquisizioni giavanesi[4].
Nel frattempo i costi di produzione relativamente più bassi di Saint-Domingue resero il suo caffè più appetibile[4]. Dagli anni 1770 sostituì quasi del tutto i propri concorrenti yemeniti sul mercato ottomano del Cairo[4]. Da 12 a 15.000 tonnellate di caffè annuali prodotte dallo Yemen provenivano da piccole aziende agricole prive di qualsisi vocazione commerciale assertiva; cominciò inoltre ad essere commercializzata anche una varietà proveniente da Surat. Con lo scoppio della rivoluzione francese oltre l'80% della produzione mondiale giunse dalla Guyana olandese, dalla Colonia del Brasile e da Saint Domingue. Nel 1820 Giava fornirà solo il 6% di tutto il consumo europeo e nel 1840 lo Yemen dal 2 al 3% di quello mondiale[4].
Nella seconda metà del XVIII secolo i prezzi sul mercato di Amsterdam stabiliti su base mensile furono abbastanza simili tra le importazioni giavanesi e quelle americane[4]; ciò dimostrò come l'economia globale del caffè si stesse facendo sempre più integrata. Durante il secolo precedente i prezzi oscillarono molto di più, a seconda dell'arrivo di ogni battello di caffè, ancora abbastanza raro[4]. I prezzi yemeniti seguirono una regolarità minore, ma anch'essi entro la fine del secolo di avvicinarono a quelli di Amsterdam[4].
Martinica e Guyana francese contro Giava e Guyana olandese
Le prime piante di caffè vennero introdotte nelle Americhe tramite la Guyana olandese nel 1718. Due anni più tardi al capitano di fanteria Gabriel de Clieu fu permesso di tornare alla sua isola di Martinica con 2-4 piante olandesi; dopo un viaggio travagliato una sola singola pianta riuscì a giungere a destinazione[72][73].
Nel 1721 venne raccolto un kg di bacche. L'isola tuttavia contò solo 200 coloni nel 1726, questo almeno secondo gli scritti di Jean-Baptiste Labat[74]. Nel 1723 ne vennero affidate alcune anche al colonnello delle milizie Claude de la Garrigue de Survilliers. Il 7 novembre del 1727 una terribile tempesta distruse la maggior parte degli alberi di cacao, rendendo in tal modo provvidenzialmente disponibile la terra per il caffè, seppur questo non raggiunse mai la stessa estensione che ebbe a La Réunion.
Questi germogli si riprodussero felicemente e negli anni 1770 vi furono 18.680 alberi di caffè a Martinica i quali permisero il trapianto e la diffusionrne generalizzata della coltivazione a Saint-Domingue, in territorio messicano, a Guadalupa e in altre isole dei Caraibi.
Il successo non arrise invece alla Guyana francese. François de La Motte-Aigron, luogotenente del re e governtore di Cayenna "ad interim" (1720-22), si trasferì nella Guyana olandese nel 1725 con l'obiettivo d'acquistarvi piante di caffè da far trapiantare successivamente nelle terre di sua proprietà[19]; ne raccolse e seminò più di 1.000[74].
La coltivazione si estese pertanto anche alla Guyana francese, ma nello stesso lasso di tempo gli olandesi potenziarono le proprie piantagioni di Giava e della Guyana olandese, lasciando in tal modo ben poco spazio alle colonie francesi in un mercato mondiale ancora relativamente ristretto. Il caffè, esteso intanto fino a Guadalupa, ebbe molto più successo a La Réunion e Saint Domingo rispetto che nella Guyana francese e a Martinica. Tra il 1748 e il 1790 furono invece le colonie americane dell'impero spagnolo tra cui la Capitaneria generale di Cuba, il Vicereame della Nuova Spagna e la Capitaneria generale del Guatemala ad ottenere risultati assai proficui.
Origini del caffè brasiliano
All'incirca nel 1727 Giovanni V del Portogallo inviò Francisco de Melo Palheta nella Guyana francese per ottenere i primi semi di caffè che sarebbero diventati parte del mercato dell'impero portoghese. Francisco ebbe inizialmente notevoli difficoltà ad ottenerli ma, affascinando la moglie del governatore francese, riuscì a farsene consegnare abbastanza per iniziare la caffeicoltura nella Colonia del Brasile. Nel 1893 il caffè brasiliano sarà infine introdotto anche nel Kenya e nella Tanganyika, non molto lontano dal proprio luogo di origine in Etiopia - ove iniziò il proprio cammino 600 anni prima - terminando così il suo viaggio transcontinentale[78].
La sua coltivazione però non decollò fino all'indipendenza ottenuta nel 1822[79]; da questo momento in poi massicci tratti di foresta pluviale vennero eliminati prima da Rio de Janeiro e poi da San Paolo per lasciare il posto alle piantagioni di caffè[80].
La Réunion approfitta della fine del monopolio olandese
Nel 1735, un anno prima dell'abolizione del monopolio sulle importazioni detenuto dalla Compagnia olandese delle Indie orientali[81], il flusso di "caffè Bourbon" raggiunse la cifra di 100.000 libbre annuali, per schizzare a 2,5 milioni nel 1744[82]: l'isola acquisì parallellamente almeno 1.500 schiavi all'anno[81]. L'impianto produsse chicchi più piccoli e fu considerato una diversa varietà dell'"arabica" conosciuta: la "Bourbon pointu" venne considerata la migliore esistente al mondo. Il caffè di Santos in Brasile e quello di Oaxaca nel Messico rappresentano a tutt'oggi la progenie di quei primi alberi di "Bourbon".
I possibili lauti profitti fecero accorrere un numero sempre maggiore di coloni, ma il boom durò poco; il prezzo si ridusse gradualmente a 6 sou nel 1731, a 5 nel 1735 e a 4 nel 1744[82]; mentre il caffè fu venduto nel Regno di Francia da 11 a 12 sou per libbra[82]. Inoltre il valore d'acqusito del prodotto dal 1742 in poi dovette scendere ulteriormente a causa della dichiarata concorrenza proveniente dalle Indie occidentali[82].
I nuovi punti di produzione e vendita sostenuti dalla compagnia britannica delle Indie orientali (Gedda, Bassora, Pondicherry, Chandannagar e Patna) risultarono invece dei parziali fallimenti nonostante il noteole impegno profuso. Il governatore consigliò quindi di non incoraggiare la coltivazione del caffè, ma di aumentare quella delle colture alimentari (grano, mais, manioca) per tenere rifornito il mercato ed evitare il rischio di scarsità[82].
Infine i parassiti naturali ridussero la produzione a quasi zero nei 5 anni che seguirono[82]. Nel 1747 giunsero a danneggiare gravemente il caffè, facendo diminuire le colture e morire gli alberi; nel 1749 "il progresso dei parassiti è tale che non si osa contare su un solo carico caffè all'anno"[82]. I movimenti speculativi si diressero verso le spezie, mentre fu la Guyana olandese a passare dallo zucchero al caffè[82].
La Guyana olandese si specializza nel caffè e poi affonda nella crisi finanziaria del 1770
Il territorio della Guyana olandese venne perduto degli inglesi nel 1667 a causa dell'attacco navale sferrato da Abraham Crijnssen con la sua nave Zelanda durante le seconda guerra anglo-olandese contro una colonia che contava 175 piante e poco più di 4.000 persone[83], numero che scese a 50[83] al momento dell'arrivo del governatore olandese Cornelis Aerssen van Sommelsdijk, la cui famiglia arrivò a detenere 1/3 delle azioni sociali del nuovo possedimento; il resto fu diviso fino al 1770 tra Amsterdam e la Compagnia olandese delle Indie occidentali[83], quando cominiciarono ad essere vendute globalmente[83].
Il 1750 segna un anno di svolta e rottura; la curva della produzione di zucchero, crescente nella prima metà del secolo, iniziò a crollare[83] e verrà sostituità sempre più dal caffè, la cui coltura rappresentò circa i 3/4 delle esportazioni coloniali verso Amsterdam e Rotterdam[83] nel periodo 1772-76[4] quando ebbe un picco di 7.615 tonnellate annue. Il principale rivale tra i leader mondiali fu Saint-Domingue il quale produceva già 5 volte di più e riuscì ad immettere la propria marca nei mercati di Boston, Le Havre e la stessa Amsterdam negli ultimi tre decenni del secolo.
Il 1° maggio del 1753 il banchiere e borgomastro di Amsterdam Willem Gideon Deutz costituì una società di prestito con un capitale di un milione di fiorini olandesi, che aumentera rapidamente fino a 3,7 milioni[83]. Questo sistema sarebbe crollato dopo circa 40 anni; nel frattempo si ottennero 187 negoziati arrivando a coinvolgere un capitale totale di 50,9 milioni[83]; si scontrò con la Guerra dei sette anni, la caduta dei prezzi del caffè nel 1771, la crisi finanziaria ad Amsterdam nel 1773 e la guerra d'indipendenza americana (1776-84)[83]. La crisi ebbe luogo attorno al 1770, dopo una prima ondata di aumeno dei prezzi del caffè tra il 1766 e il 1770[83]; alla prima ricaduta del 1771 ne fece seguito un'altra tra il 1779 e il 1782[83].
Durante la crisi finanziaria di Amsterdam nel 1772-73 il 28 dicembre del 1772 la "Clifford Bank" affondò lasciando 5 milioni di passività; arricchitasi dalle proprie piantagioni nella Guyana olandese si era diversificata verso lo scambio di obbligazioni russe. L'Amsterdamsche Wisselbank tentò di cederla per 3 milioni, ma senza risultati apprezzabili e la Banca d'Inghilterra ne soppresse tutte le agevolazioni. Nella Guyana olandese i piantatori non furono più in grado di pagare interessi elevati; si videro perciò confiscare le piantagioni, che passarono nelle mani dei loro creditori[83].
I nuovi proprietari, commercianti di Amsterdam, non si stabilirono nella colonia; realizzarono una pessima amministrazione, con un deterioramento delle condizioni di vita degli schiavi i quali risultarono essere molto meglio trattati quando i loro diretti proprietari si trovavano in loco[83]. La conseguente rivolta in molte piantagioni innescò un giro di vite da parte dei coloni raggruppati in milizie e rafforzati da un contingente navale sotto il comando del colonnello svizzero Fourgeoud[83].
La "guerra contro gli schiavi" costò la vita di quasi 1.100 soldati e proseguì per 4 anni[86], perturbando in maniera significativa lo sfruttamento della risorsa rappresentata dal caffè.
Negli Stati Uniti il caffè diventa patriottico
A seguito del Boston Tea Party del 1773, preludio alla Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America e della guerra d'indipendenza americana, un gran numero di americani si mise a bere il caffè come sostituto del tè il quale era divenuto un simbolo di "collusione col nemico", assurgendo in tal modo a ideale di patriottismo[87].
Saint-Domingue controlla metà dell'offerta mondiale nel 1789
Il territorio francese oltremare di Saint-Domingue vide il primo caffè coltivato a partire dal 1734; già nel 1788 fornì metà del prodotto mondiale. La caffeicoltura avrà in seguito una grande influenza sulla geografia dell'intera America Latina[88]. Le piantagioni coloniali francesi si basarono essenzialmente sulla manodopera costituita dagli schiavi africani. Tuttavia le terribili condizioni di vita in cui si trovarono a lavoravare rappresentarono uno dei principali fattori scatenanti della rivoluzione haitiana degli anni 1790. L'industria del caffè da allora in poi non venne mai più completamente recuperata[89].
L'impero coloniale francese visse una "rivoluzione del caffè" a Saint-Domingue tra il 1755 e il 1789. In 3 decenni la produzione aumentò di 11 volte, passando da 7 a 77 milioni di livre di profitto netto[90]; da 34 a 37.500 tonnellate, con alcune fonti che arrivano ad ipotizzarne fino a 40.000[6]. Solo nel 1789 la produzioe crebbe del 15%[91], raggiungendo così la metà dell'intera offerta mondiale di caffè; l'esplosione della coltura fu interamente dovuta alla progressiva deforestazione, liberando in tal modo nuove terre. Nello stesso periodo, dal 1763 al 1789, la produzione di zucchero si attestò invece al 40% del fabbisogno mondiale[90].
La caffeicoltura era già praticata nel 1738[92] sulle colline attorno a Limonade[92] e a partire dal 1743 anche nell'area corrispondente all'attuale Dipartimento dell'Artibonite, fino a Mirebalais sulla frontiera spagnola[92]. Del tutto ignorata dall'élite del'aristocrazia[4] rappresentò invece la principale attività dei liberti - modeste persone di colore - e poi dei ricchi mercanti della Guascogna e di Saintonge (come i 4 fratelli Segiuneau giunti nel 1745)[92].
A metà del secolo la produzione assunse un ruolo orientato all'esportazione, concentandosi sull'uso della manodopera schiava. Dopo la guerra dei sette anni i coloni francesi vendettero le piantagioni di zucchero nella parte centrale dell'isola nei pressi del confine agli spagnoli. Il denaro in tal modo ottenuto venne riciclato per acquistare nuove terre, più convenienti perché di difficile acceso[93]. I vecchi mulini per lo zucchero furono sostituiti nelle cime montagnose da un'opera pianificata di massiccia introduzione del caffè, impoverendo gradualmente il suolo e incoraggiando sempre più il deflusso incontrollato delle acque[94].
La metodologia fu quella della coltivazione intensiva; si praticò l'irrigazione delle piantagioni in monocoltura e libere da foreste, con l'intento di rispondere rapidamente agli elevati prezzi mondiali[95]. Nel 1767 le esportazioni risultarono essere appena più di 1/4 rispetto a quelle dello zucchero, ma la situazione si ribaltò tra il 1787 e il 1789[4]. La mania del caffè fece esplodere il commercio schiavista (vedi tratta atlantica degli schiavi africani), i cui esecutori si mascherarono in parte per ragioni fiscali.
Delle 39.000 tonnellate importate nel regno di Francia i 5/5 (34.000 t.) provennero da Saint-Domingue, che giunse a produre tanto caffè quanto zucchero[90]. Il commercio a Le Havre, col caffè proveniente anche da Martinica, aumentò da 2.600 tonnellate nel 1666 a 6.605 nel 1777 fino a toccare le 15.000 tonnellate alla fine del XVIII secolo, più di un terzo di tutte le importazioni francesi[81]. Conclusasi la guerra d'indipendenza americana l'aumento di domanda internazionale spinse i prezzi verso l'alto, questo dal 1774 al 1785[96].
Il traffico coloniale di Bordeaux nel corso della rivoluzione americana secondo l'analisi effettuata da Paul Butel in Annales du Midi: revue archéologique, historique et philologique de la France méridionale (1967, capitolo Le trafic colonial de Bordeaux, de la guerre d'Amérique à la Révolution - Persée) rappresentò il 25% dell'intero traffico di zucchero (derivato dalla canna da zucchero), il 70% del caffè, il 30% dell'indaco. Il singolo prodotto che invece registrò un calo dei prezzi pari al 38% fu il cacao.
L'eccitazione del mercato mondiale nei confronti del caffè portò Saint-Domingue ad accelerare la tratta negriera, con la deportazione di 28.000 africani all'anno tra il 1784 e il 1789, il doppio rispetto al periodo 1766-71[97]. Per far fronte alla crescente domanda i commercianti di schiavi asservirono molti prigionieri di guerra nel Congo francese (l'attuale repubblica del Congo), nonostante il fatto venissero considerati più difficili da controllare.
Il grande vincitore fu il mercato di Bordeaux dove la riesportazione del caffè crebbe del 300% dal 1778 al 1786[96]. Le esportazioni dal porto dell'Aquitania furono del 400% superiori a quelle di Le Havre, del 300% rispetto a quelle di Nantes e del 200% rispetto a quelle di Marsiglia[96]. Nel 1786 vennero importate 65.000 tonnellate di zucchero, per un valore di 29,4 milioni di livre e 28.000 tonnellate di caffè (pari a 24,3 milioni)[96].
A Nantes, originariamente porto dello zucchero, una delle prime due fortune milionarie della fine del secolo fu quella realizzata dall'armatore e negoziante Louis Drouin, attivo nel caffè di Saint-Domingue, ove possedette le forniture quasi complete di tutti i magazzini e piantagioni.
Il caffè di Saint-Domingue venne principalmente riesportato, in Europa ma anche in Oriente, a scapito di quello di Giava. A Marsiglia il 90% del caffè riesportato prese la via dell'impero ottomano[97]. Si attuò anche il contrabbando con i porti Nordamericani, sconfiggendo i rivali della Guyana olandese e della Giamaica. Dopo la rivolta degli schavi del 1791 e le guerre che ne seguirono la produzione di caffè ad Haiti scese di 3/4 fino a 9.000 tonnellate nel 1818, facendo in tal modo montare rapidamente, ancora una volta, i prezzi[4].
I commercianti tedeschi beneficiano della rivoluzione haitiana
Traffico conquistato dai porti di Amburgo, Lubecca e Brema
Come conseguenza immediata della rivoluzione haitiana degli anni 1790 i commercianti francesi non poterono più fornire ai loro clienti europei gli approvigionamenti necessari di caffè, la cui coltura era metà di quella mondiale e proveniva perlopiù da Saint-Domingue, che producava quasi 40.000 tonnellate annuali. Le merci, con i prezzi in costante salita, cominciarono ad essere consegnate dalle navi statunitensi ed il cui traffico venne catturato dai porti principali del settentrione tedesco (Amburgo, Lubecca e Brema), per un valore moltiplicatosi di 40 volte in 10 anni; il tutto grazie alla combinazione di quantità molto maggiori e dei prezzi di vendita cresciuti in tutti i porti, per un totale di 18 milioni di dollari nel 1799[98].
I commercianti francesi come Louis Drouin di Nantes beneficiarono soprattutto di ottimi contatti mercantili con i piantatori della parte meridionale di Saint-Domingue[99]; ma da un certo momento in poi non poterono più far fronte alle richieste in quanto la rivoluzione haitiana aveva destabilizzato l'intera regione[99]. L'ultima nave inviata da Drouin salpò il 31 dicembre del 1792[99].
Tra il 1790 e il 1799 il numero annuale di navi merci entrate ad Amburgo crebbe del 43% e le tonnellate aumentarono del 42% per il cotone, del 98% per lo zucchero e del 111% per il caffè. Alcune di queste imbarcazioni statunitensi batterono bandiera britannica fino al termine della guerra d'indipendenza americana nel 1784; d'altro lato il risultato provenne da un profondo impegno volto alla costruzione di una marina mercantile da parte della giovane repubblica, finanziato perlopiù dal debito pubblico.
I mercanti tedeschi attirarono queste navi accettando di pagare fino a 2/3[98] del valore totale delle merci appena queste fossero consegnate[98], al fine di trarre profitto nella vendita al dettaglio dall'esplosione della domanda. Fino a quel momento furono pagati principalmente da commissioni. L'intensa speculazione sullo zucchero, sul caffè e sul cotone creò un eccesso di fornitura nel 1799, il che portò nelle casse degli speculatori meno denaro favorendo al contempo i maggiori commercianti. L'azienda finanziaria di Caspar Voght e del suo partner commerciale Georg Heinrich Sieveking in particolare riuscì a costruirsi un'enorme fortuna[98].
La variazione del numero di mercantili giunti nel porto di Amburgo nel corso degli anni 1790 fu, secondo la merce importata, di + 42% per il cotone, + 98% per lo zucchero e un + 111% per il caffè[98].
Occupazione francese dell'Olanda nel 1795
Anche se il commerciò cominciò a spostarsi già prima dell'occupazione francese dei territori olandesi nel 1795, la chiusura del Reno ne amplificò ancor più la consistenza in direzione dei porti tedeschi. Tra il 1795 e il 1866 39 mercanti indipendenti e 80 case commerciali britanniche si traformarono in borghesia amburghese. Il porto di Amburgo si specializzò in caffè di origine francese fin dalla metà del XVIII secolo, importando dal 1763 al 1776 circa 25 milioni di kilogrammi di caffè e 22,5 milioni di zucchero; questo grazie ai trattati stipulati tra il regno di Francia e la Lega anseatica.
Già nel 1789 Amburgo assorbì il 45% delle ri-esportazioni francesi di caffè, 2/5 dei quali passavano a Bordeaux, e il 25% di quelle di zucchero. Nello stesso anno i tonnellaggi di queste due merci provenienti dall'impero britannico furono rispettivamente il 6 e il 2% del totale; il flusso provenne principalmente dall'impero coloniale francese[100].
Dal 1791 la rivoluzione haitiana indusse la città a cercare nuovi fornitori che potessero soddisfare le richieste della clientela. Tra il 1790 e il 1795 il caffè francese transitante nel porto precipitò da 6.949 tonnellate a 439 (15 volte di meno), mentre quello inglese crebbe da 121 a 8.912 tonnellate; il caffè della Colonia della Giamaica si aprì il proprio spazio nel grande mercato tedesco da cui era rimasto fino ad allora sempre assente.
Paese d'origine | Impero coloniale francese | Impero britannico |
Caffè importato ad Amburgo nel 1790. | 6.949 tonnellate | 121 tonnellate |
Caffè importato ad Amburgo nel 1795. | 439 tonnellate | 8.912 tonnellate |
Questa rivoluzione dei mercati, assieme al boom commerciale statunitense degli anni 1790, indusse Toussaint Louverture (leader della rivoluzione haitiana) a firmare il 13 giugno del 1799 la "Convenzione commerciale tripartita" con la giovane repubblica statunitense e gli inglesi, sotto gli auspici del console generale americano dell'isola Edward Stevens; ciò produsse l'apertura al commercio dei porti di Haiti. D'altra parte ciò richiese per gli inglesi e gli americani che conducessero la pirateria nel corso del XIX secolo nei Caraibi la mancata possibilità di sbarcare ad Haiti.
Gli haitiani non disponevano quasi più di navi, mentre gli americani s'indebitarono per poter sviluppare rapidamente una propria flotta indipendente, essendo quella inglese stata rimpatriata a seguito dell'indipendenza.
XIX secolo
Il XIX secolo ha veduto l'abolizione della tratta degli schiavi sia nell'impero coloniale francese che nell'impero britannico, ma lo schiavismo persistette nella Capitaneria generale di Cuba spagnola, nel Regno del Brasile prima e nell'Impero del Brasile poi. Questi furono i due maggiori produttori emergenti i quali, l'uno dopo l'altro, fecero deprimere il prezzo del caffè in precedenza beneficiato dalle guerre e rivoluzioni scatenatesi nel primo trimestre del secolo. Londra assunse la funzione di centro delle aste del caffè, laddove nel corso del XVIII secolo Bordeaux e Le Havre si erano messe in competizione con Amsterdam[66].
Nel gennaio del 1813 il prezzo al quintale scese a 40 scellini, quando veniva precedentemente venduto fino a 500 scellini sulla borsa di Amburgo durante la corsa al rialzo a causa della sua carenza[101].
La produzione brasiliana fu superiore a quella cubana e delle Indie occidentali britanniche a partire dalla fine degli anni 1820[102]. Nelle colonie inglesi e francesi lo schiavismo fu vietato rispettivamente nel 1833 e 1848; il Venezuela assieme a Cuba e Brasile lo abolirono rispettivamente nel 1856, 1886 e 1888, beneficiando fino ad allora di una forma di "social dumping" (concorrenza data dal costo del lavoro più economico), il che suscitò l'indignazione del movimento per l'abolizionismo nel Regno Unito il quale fu in grado di mobilitarsi con 1,5 milioni di firme raccolte in una petizione presentata nel 1831.
Anni | 1825 | 1830 | 1855-59 | 1880-84 | 1900-1904 |
Produzione mondiale di caffè[103][104] | 0,1 milioni di tonnellate | 0,15 milioni di tonnellate | 0,3 milioni di tonnellate | 0,57 milioni di tonnellate | 1,02 milioni di tonnellate |
Entro il 1820 l'opinione pubblica britannica riuscì ad ottenere un maggior controllo sul trattato che vietava il commercio di schiavi attraverso il "Diritto di visita delle navi straniere" da parte della Royal Navy. La marina francese dal Rhode Island importò schiavi a Cuba da adibire alle piantagioni di caffè di proprietà degli esuli francesi. L'isola servì anche come mercato portuale per l'acquisto di schiavi da deportare negli Stati Uniti meridionali attraverso l'isola di Amelia nelle Sea Islands, grazie anche alla collaborazione degli ex coloni di Saint-Domingue[105].
Nel 1823 l'Anti-Slavery Society promosse la rivendicazione del cosiddetto "abolizionismo graduale", che permise di assoldare alla causa quella parte delle élite economiche più riluttanti le quali beneficiarono del Reform Act 1832 vincendo le elezioni. Lo Slavery Abolition Act 1833 superò lo scoglio del Parlamento del Regno Unito l'8 di agosto[106]. Le piantagioni di caffè della Colonia della Giamaica ne anticiparono la decisione riducendo la schiavitù verso la fine degli anni 1820.
Esportazioni in tonnellate: | 1821-1825 | 1826-1830 |
Indie occidentali britanniche (verso il Regno Unito)[107] | 13.300 | 12.500 |
Capitaneria generale di Cuba[108] | 10.200 | 19.800 |
Impero del Brasile[109] | 12.500 | 25.700 |
Già nel 1850 le piantagioni brasiliane produssero la metà dei raccolti di caffè del pianeta, distanziando gradualmente altre regioni con l'eccezione del continente asiatico. Nel 1855 tuttavia la Panama Railway evitò di dover bypassare Capo Horn per giungere nell'America centrale, le cui piantagioni solitamente si aprirono con una maggior facilià verso la sponda dell'Oceano Pacifico su terreni vulcanici, producendo la crescita di una delicata Coffea arabica priva d'impurità: il prodotto derivatone divenne ben presto molto ricercato[4].
Prima le aziende europee d'immigrazione e poi i commercianti tedeschi investirono nel Guatemala, ove il caffè venne coltivato dagli amerindi nativi americani, prima di passare in Messico, nella Colombia ed infine nel Burundi. La produzione complessiva afroasiatica scese a solo il 5% del totale alla vigilia della prima guerra mondiale[4]. Nel continente asiatico le piante risultarono decimate nel 1869 dalla comparsa della "ruggine del caffè", una malattia causata da fungi come l'Hemileia vastatrix, arrivando a sradicare la gran parte del caffè di Ceylon britannico[110] e Giava[23].
Ma il caffè indonesiano continuò a crescere nonostante la pubblicazione nel 1860 del romanzo parzialmente autobiografico Max Havelaar ovvero Le aste del caffè della Società di Commercio olandese[111] di Multatuli; esso ebbe un'eco clamorosa nei Paesi Bassi. Il dimezzamento della produzione nel 1870 fu comunque effetto della malattia fungina; ciò condusse ad un'inarrestabile declino entro la fine del secolo.
La coltivazione venne presa in considerazione da molti paesi dell'America Latina nell'ultima metà del XIX secolo e, in quasi tutti i casi, coinvolsero lo spostamento e lo sfruttamento su vasta scala delle popolazioni indigene dei Nativi americani. Le difficili condizioni di lavoro e di vita condussero a numerose rivolte, colpi di stato e sanguinose ritorsioni contro i contadini[112].
L'eccezione notevole a questa regola fu la Costa Rica, dove la scarsa disponibilità di forza lavoro tra i nativi impedì la formazione di aziende agricole su larga scala. Le piccole fattorie e le condizioni maggiormente egualitarie migliorarono via via la situazione durante il XIX e il XX secolo[113].
L'impero del Brasile divenne il maggiore produttore di caffè nel mondo a partire dal 1852 e ha mantenuto tale status da allora in poi. Ha sempre più dominato il mercato globale, esportando da solo più caffè di tutti gli altri paesi messi assieme tra il 1850 e il 1950. Il periodo che segue ha visto l'ampliamento del campo di offerta a causa della comparsa di diversi altri importanti produttori, in particolare la Colombia, la Costa d'Avorio, l'Etiopia e, più di recente, anche il Vietnam; quest'ultimo ha superato la Colombia diventando così il 2° produttore mondiale nel 1999 raggiungendo una quota di mercato del 15% entro il 2011[114].
La distribuzione geografica dell'offerta mondiale di caffè nel corso del XIX secolo fu la seguente:
Anni | 1830 | 1855-59 | 1880-84 | 1900-1904 |
Antille - (Capitaneria generale di Cuba, Haiti, Colonia della Giamaica) | 38% | 5% | 6% | 4% |
Indie orientali olandesi+Ceylon | 20% | 34% | 21% | 3% |
Altri paesi asiatici | 8% | 3% | 5% | 1% |
Impero del Brasile | 24% | 32% | 56% | 73% |
Grande Colombia-Nuova Granada-Confederazione Granadina-Stati Uniti di Colombia | 0% | 0% | 1% | 3% |
Altri paesi delle Americhe | 8% | 5% | 10% | 15% |
Africa | 1% | 0,5% | 1% | 1% |
Conseguenze della rivoluzione haitiana
La rivoluzione haitiana si tradusse in 3 decenni di conflitti militari, in primo luogo contro gli eserciti coloniali francesi e successivamente contro gli inglesi alla fine del XX secolo, ma anche contro gli spagnoli e le diverse fazioni del nuovo governo haitiano.
Il 21 marzo del 1805, quando Jean-Jacques Dessalines - luogotenente di Toussaint Louverture - s'impadronì dell'ex Saint-Domingue, gli assediati ricevettero rinforzi da una squadra francese giudata dall'ammiraglio Édouard Thomas Burgues de Missiessy e giunsero a costringere Dessalines a ritirarsi da Haiti; la conseguenza fu che il generale nero Henri Christophe venne proclamato leader insurrezionale assieme al mulatto Alexandre Sabes Pétion. A seguito degli omicidi di massa che si susseguirono ininterrotti si verificò una scissione che divise il paese in due regni distinti; Christophe dittatore del Nord, con ampie aree dominate dai suoi stessi parenti e una guerra civile quasi continua e Pétion governatore del Sud, ove vennero ridistribuiti i terreni a favore di un gran numero di perone.
Alla morte di quest'ultimo avvenuta il 18 marzo del 1818 per colpa della febbre gialla il comandante della sua guardia personale Jean-Pierre Boyer gli succedette e riuscì a riunire il Nord sotto il proprio controllo il 26 ottobre del 1820 a seguito di una rivolta conclusasi vittoriosamente contro Christophe.
Riscatto del caffè haitiano dopo l'abolizionismo
Già nel 1801 il caffè soppiantò bruscamente lo zucchero nelle esportazioni haitiane, rappresentando un tonnellaggio di 3 volte superiore[115]; con appena 0,65 milioni di libbre esso scomparve praticamente a partire dal 1822[116].
Con un capitale e una forza lavoro meno ristretta il caffè crebbe nuovamente dopo i conflitti militari che seguirono la partenza dei francesi da Haiti, ma al contempo cominciarono ad essere introdotti macchinari con conseguente perdita di abilità e competenza manuale. Deprivato della supervisione per l'irrigazione delle sue piantagioni il caffè haitiano cambiò modalità di coltura, passando dalla coltivazione intensiva a quella estensiva[95].
Con l'eccezione di Thiotte il caffè venne coltivato all'ombra o addirittura all'interno di strutture artificiali. "Morne Puilboreau" a 798 m di altitudine, con precipitazioni superiori a 1 metro all'anno e un versante settentrionale profondo e ricco, ne favorì la coltivazione la quale rimase però soggetta a fluttuazioni molto più forti rispetto alle altre colture haitiane[95].
I prezzi in franco francese per quintale di caffè ad Haiti tra il 1821 e il 1861 furono i seguenti:
Anno | 1821 | 1822 | 1824 | 1830 | 1843 | 1858 | 1861 |
Prezzo per quintale in franchi | 291,2 | 263,7 | 160,6 | 83,7 | 75,4 | 116-135 | 160-162 |
La Giamaica, sconfitta commercialmente dal Nordamerica, sviluppa la caffeicoltura grazie alla penuria haitiana
In una situazione totalmente fallimentare alla fine del XVIII secolo la produzione di caffè giamaicano venne improvvisamente moltiplicata di 30 volte per merito della carenza globale provocata dalla rivoluzione haitiana entro i primi 15 anni del XIX secolo, prima di essere dimezzata dall'aumento esponenziale proveniente dall'Impero del Brasile, dalla Capitaneria generale di Cuba e dal Costa Rica. La Colonia della Giamaica conobbe il caffè a partire dal 1728, anno in cui il suo governatore inglese Nicholas Lawes (1652-1731) fece acclimatare la pianta nell'isola.
L'amministrazione britannica tentò di attivare la produzione di caffè utilizzando incentivi fiscali, mentre al contempo tassò la coltivazione dello zucchero con il Sugar and Molasses Act (1733), per ridurre il potere dei distillatori di rum della Nuova Inghilterra. Ma tali vantaggi fiscali relativi non si rivelarono sufficienti per entrare in competizione diretta col caffè haitiano, sempre più economico e competitivo[117]; questo suscitò la gelosia dei piantatori giamaicani i quali incolparono la "Nuova Inghilterra" dei danni da loro subiti a causa del favoriritismo nei confronti del caffè francese[118].
Il dibattito degenerò; l'assemblea dei piantatori giamaicani dichiarò che la pratica da parte dei commercianti del Rhode Island di fare prezzi troppo bassi fosse un vero e proprio atto di "fellonia" (rottura di contratto)[118] e attivarono nei giornali di Boston una campagna pubblicitaria per lamentarsi e denunciarne il fatto; questo mentre in città si firmavano petizioni contro un sistema fiscale che, a suo dire, favoriva troppo i giamaicani[117].
Nel 1773 il langravio Federico II d'Assia-Kassel vietò l'indebitamento con tasso d'interesse sul caffè[118], penalizzano così i suoi principali fornitori rappresentati dalle Indie occidentali britanniche, da Grenada e da Dominica. I commercianti tedeschi, che tradizionalmente acquisivano gran parte del raccolto grenadino, rimasero impediti dall'assumere consegne. La colonia giamicana divenne pertanto per il 90% dipendente dal mercato inglese europeo, mentre vendette soltanto il 10% del suo caffè nelle Tredici Colonie[117].
Il Boston Tea Party si svolse quello stesso anno; il boicottaggio della Compagnia britannica delle Indie orientali si fece sempre più aspro e i marinai che tentarono di far sbarcare il tè subirono la "punizione di catrame e piume". Il caffè assurse a simbolo di libertà in contrapposizione al tè, soprattutto quando esso veniva acquistato al di fuori dell'impero inglese[119]. Sia il tè che il caffè vennero considerati in maniera prominente nelle discussioni del "Primo congresso continentale" sulle concessioni commerciali: i delegati riconobbero che entrambe le bevande "sono diventate degli elementi essenziali per tutte le classi sociali"[119].
Nel 1774 il "Primo congresso" creò una commissione composta da 3 esperti, John Jay, John Adams (futuro presidente degli Stati Uniti d'America) e Benjamin Franklin per sorvegliare i negoziati che avrebbero dovuto condurre agli accordi commerciali con i singoli paesi europei[119].
L'esportazione di caffè giamaicano mostrò un modesto aumento negli anni 1770[117], per poi ridiscendere nel corso degli anni 1780[117]. Nel 1783 il mercato londinese ridusse di 2/3 le imposte sul caffè[117], misura che produsse i suoi effetti solo dopo 5-6 anni, il tempo necessario per far riposare le piante. La conseguenza finale fu che le esportazioni di caffè giamaicano pesarono soltanto per il 2% rispetto a quelle di Saint-Domingue[117].
Anni di coltivazione e raccolta nella Colonia della Giamaica | 1761-1765 | 1771-1775 | 1781-1785 | 1791-1795 | 1801-1805 |
Produzione media in migliaia di Hundredweight (50,8 kg), sistema di unità di misura dell'impero britannico[117] | 49 | 52 | 26 | 114 | 337 |
Nell'ottobre del 1786 i francesi fecero delle concessioni comerciali accettando l'uso di navi americane per l'esportazione del loro caffè, i cui prezzi risultavano in costante decremento[119]; arrivarono nel 1791 a rifornire per più di 3/4 l'intero fabbisogno dell'America del Nord[119].
Con lo scoppio della rivoluzione haitiana nel 1791 la maggior parte dei piantatori francesi di Saint-Domingue cercò di sfuggire ai massacri e alle espropriazioni andandosi a stabilire nella Capitaneria generale di Cuba spagnola e nella Colonia della Giamaica britannica. Tra questi vi fu anche Pierre-Joseph Laborie, segretario della "Camera dell'agricoltura" e deputato; prima di morire a Kingston nel 1800 riuscì a far pubblicare in lingua inglese un manuale tecnico sulla caffeicoltura (1798)[120], che considerava ancora troppo poco sviluppata in Giamaica[121].
Spinta dall'arrivo dei piantatori francesi la colonia inglese vide la sua produzione di caffè passare da un valore di 1 milione di sterline nel 1789 a 34 milioni nel 1814. Nel 1804 raggiunse per la prima volta i 22 milioni, molto più avanti dei suoi diretti rivali Venezuela (1 milione) e Cuba (2,5 milioni), prima di essere trattenuta nel 1807 dal divieto della tratta atlantica degli schiavi africani in tutte le colonie britanniche.
L'isola vide anche la propria produzione di zucchero raddoppiare in 13 anni a partire dal 1792 il che la pose, con un picco di 110.000 tonnellate nel 1805[122], ben al di sopra dei quantitativi di Saint-Domingue (l'ex leader mondiale); tuttavia l'evoluzione del mercato dello zucchero nel 1806 condusse all'abbandono di 1/4 delle piantagionei giamaicane.
Il prezzo degli schiavi aumentò rapidamente, soprattutto dal momento in cui la maggior parte di loro venne rivenduta ai produttori di cotone del profondo Sud e del Regno Unito di Portogallo, Brasile e Algarve prima e dell'impero del Brasile poi; ciò venne causato anche dal Trasferimento della corte portoghese in Brasile nel 1808 ed il tutto provocò un deciso arrestramento dell'industria cotoniera francese (anticipando così l'abolizione inglese)[121]. Anche la Capitaneria generale di Cuba attrasse molti esuli francesi prima dell'abolizione della tratta degli schiavi[121].
Non più competitivo il caffè giamaicano vide le proprie esportazioni crollare, dimezzandosi tra il 1814 e il 1834, per tornare a 17 milioni di sterline annuali a causa delle concorrenza cubana e brasiliana e dei danni prodotti dalla massiccia deforestazione delle aree montane, che s'intensificò durante la penuria di caffè haitiano negli anni 1800-1809[123].
Il caffè giamaicano divenne gradualmente scarso, facendolo così diventare nuovamente appetibile e ricercato. Situate alle pendici delle Blue Mountains a 2.000 m sul livello del mare (della regione "Cockpit") le piantagioni di caffè fornirono un'ottima qualità, ma ad un costo eccesivo: fu la celebre varietà "Jamaica Blue Mountain".
Cuba invasa dai rifugiati francesi
La Capitaneria generale di Cuba visse anch'essa un'autentica "rivoluzione del caffè"; le esportazioni crebbero da 0 nel 1789 a 10.000 tonnellate nel 1810 a 20.000 nel 1820.
Juan Bautista Vaillant Berthier, amministratore generale spagnolo di Santiago di Cuba alla fine del XVIII secolo, organizzò l'arrivò dei rifugiati francesi da Saint-Domingue nella parte orientale dell'isola più scarsamente popolata; si installarono a Baracoa nei pressi della Baia di Guantánamo[124]. La caffeicoltura venne sviluppata fortemente tramite un concorso annunciato dalla stampa il 12 marzo del 1796[125]; Pablo Boloix, nominato in qualità di esperto dal consolato reale, visitò in seguito tutti gli stabilimenti e le migliori 5 caffetterie che trovò: 3 risultarono essere di proprietà francese[125].
Nel 1800 Prudencio Casamayor fondò la più grande azienda di caffè di Santiago; la città divenne presto un importante polo di esportazione, oltre che la capitale della pirateria caraibica del XIX secolo. Il censimento avvenuto nel 1800 contò 250 cognomi francesi tra i marinai che avevano un nome spagnolo; tra di essi vi fu anche "Pedro Lafitta" - altrimenti detto Pierre Antoine Baptiste René Lafitte - (futuro editore e giornalista), fratello del pirata Jean Lafitte[126].
I rifugiati francesi contribuirono in maniera notevole ad avviare la "rivoluzione del caffè" cubano sulle alture di Santiago, ove ancor oggi si possono vedere le imponenti rovine delle loro piantagioni sparse in tutta la Sierra Maestra[125]. Una stima condotta nel 1807 rilevò 192 aziende di caffè, che impiegavano 1.676 schiavi per 4,3 milioni di piedi di colture[127]. Con 1.540 piedi per ettaro, la densità di coltivazione rimase però leggermente inferiore a quella esistente precedentemente a Saint-Domingue[125]. Un po' alla volta le piantagioni si diressero verso la costa occidentale, soprattutto tra il 1808 e il 1810[128].
Molti immigrati giunsero poi anche dal Sudovest della Francia, in particolare da Bordeaux; si stabilirono quindi nel settore ribattezzato "Vuelta Abajo", nella parte occidentale dell'isola, per produrre tabacco[129][130]: questo secondo lo storico Bernard Lavallé[131].
Il successo fu talmente impressionante da innescare le rivolte antifrancesi del marzo 1809. Tre settimane dopo i disordini, l'11 di aprile, le autorità spagnole decisero di espellere i francesi[132], in special modo i residenti a L'Avana e tutti quelli che non disponevano di un reddito certo. Una "Giunta di rappresaglia" fu incaricata di confiscare le proprietà degli espulsi; ma anche i ricchi armatori e piantatori di Santiago fuggirono.
Anni | 1804-1805 | 1806-1810 | 1811-1815 | 1816-1820 | 1821-1825 | 1826-1830 | 1831-1835 | 1836-1840 | 1841-1845 |
Produzione cubana di caffè (in milioni di libbre) | 1,5 | 4,8 | 11,5 | 16 | 21,7 | 40 | 50,1 | 47 | 42,2 |
La fornitura di caffè cubano crebbe del 13% annuo nei primi due decenni del XIX secolo, per accelerare al +20% annuo negli anni 1820 (culminando nella prima metà del decennio e poi diminuire rapidamente), ma diminuendo di 3 volte nei successivi 20 anni sotto l'effetto di 4 nuovi fenomeni:
- l'impero del Brasile divenne leader mondiale nell'esportazione fin dall'inizio della forte crescita economica globale degli anni 1830[133].
- La caduta generalizzata dei prezzi a livello mondiale.
- A partire dagli anni 1820 il tasso d'importazione di schiavi rallentò a 8.000 l'anno a causa delle azioni della Royal Navy contro la tratta atlantica degli schiavi africani; laddove ne erano giunti 100.000 solo nel periodo 1817-20 (4 volte e mezzo in più dei tre decenni precedenti)[134].
Durante la guerra anglo-americana del 1812 all'incirca 20.000 schiavi entrarono negli Stati Uniti d'America dopo una sosta cubana e poi sull'isola di Amelia a Sea Islands. Ciò costituì uno scandalo tale da costringere il presidente degli Stati Uniti d'America James Monroe a far approvare una legge nel 1818 la quale forniva una ricompensa a chiunque avesse offerto informazioni sui luoghi di approdo delle navi negriere o che permettessero di risalire ad esse[135].
Il caso generò anche la collera del Regno Unito, che realizzò tutta una serie di trattati internazionali nel corso degli anni 1820, tra cui il "diritto di visita sulle navi straniere". La Capitaneria generale di Cuba non abolì la schiavitù fino al 1886, ma il costo degli schiavi fu in ascesa già negli anni 1820.
- Il passaggio dei piantatori cubani allo zucchero; nel 1827 1/3 di tutti gli schiavi cubani lavorava nelle piantagioni di caffè[136] e 1/4 in quelle di zucchero; ma quest'ultima coltura si affermò con prepotenza nel 1841[137]. Nel corso dei vent'anni seguenti la produzione di zucchero quadruplicò.
Medie annuali | 1841-1846 | 1855-1860 | 1862-1864 |
Tonnellate di zucchero cubano | 148 | 266 | 500 |
Massiccia riconversione delle piantagioni di cacao venezuelane
Nel XVIII secolo la Capitaneria generale del Venezuela si ritrovò in una posizione quasi del tutto monopolistica nel mercato del cacao e nei primi anni del XIX secolo coprì ancora più della metà della domanda mondiale[138][139]. La ceffeicoltura fu un'attività complementare, diffusa ma su piccola scala e confinata soprattutto nella regione di Táchira[140]; i chicchi cominciarono ad essere consegnati dai grandi proprietari[3] agli schiavi per impiantare colture a partire dal 1793[141]; rapidamente si verificò un passaggio al caffè tra i maggiori piantatori e nel 1830[142] sorpassò oramai il cacao, diventando così il 3° paese maggior esportatore mondiale di caffè nel corso di quello stesso decennio (quando il paese si era ormai separato dalla Grande Colombia.
Entro il 1810 la coltura raggiunse 13.000 tonnellate nella sola provincia di Caracas. Molti tra i nuovi piantatori venezuelani passarono dal cacao al caffè dopo la rivoluzione haitiana principalmente per 4 motivi:
- Saint-Domingue produsse la metà del caffè mondiale e la rivoluzione creò una brusca interruzione, generando una forte carenza e un susseguente aumento dei prezzi[143]. Di fronte ad un crescente declino del cacao i proprietari delle Hacienda iniziarono ad affidarsi al caffè in quanto più remunerativo.
- Il caffè rimediò ad un "collo di bottiglia" del cacao, che richiese un complesso sistema di drenaggio e irrigazione per portare od espellere l'acqua a seconda della stagione di modo che potè essere seminato solo in piccole zone pianaggianti nei pressi dei grandi fiumi[144].
- La caffeicoltura richiese solamente 3 anni per poter crescere e maturare, rispetto ai 6 anni necessari al cacao[145].
- Le élite venezuelane aspirarono ad intrattenere relazioni con altri paesi importanti oltre all'impero spagnolo il quale favorì sempre la produzione del cacao[146].
Il caffè haitiano sottoposto a ricatto per indennizzare gli ex proprietari di schiavi
Nella speranza che venissero pagate le indennità per i coloni (penalizzati dalle sommosse, dalla successiva espropriazione e dall'abolizione della tratta degli schiavi) la restaurazione francese incoraggiò la produzione haitiana; 82 navi assicurarono l'importazione già nel 1821, contro le 39 del 1817. Nel 1824 la metà dei 10 milioni di tonnellate di caffè importato in territorio francese provenne da Haiti, il 45% in più rispetto ai 3,86 milioni del 1821. Tuttavia esso costituì apena 1/3 dell'intera produzione haitiana.
L'impero britannico importò 35,1 milioni di kg di caffè da Haiti nel 1822, più del doppio rispetto alla Capitaneria generale di Cuba. Nel frattempo Ceylon britannico moltiplicò la sua produzione tra il 1820 e il 1840, giungendo ad assicurasi metà delle importazioni inglesi, mentre l'Impero del Brasile divenne uno dei leader mondiali dell'esportazione. Il prezzo del caffè haitiano a Filadelfia perse il 75% del suo valore in vent'anni, passando da 22 cent per libbra nel 1822 a 6 cent nel 1843[147].
Il prezzo di acquisto scese a soli 75 franchi per quintale nel 1843[95], l'anno della rivolta popolare contro Jean-Pierre Boyer, che si era permesso di ripristinare il lavoro forzato. Carlo X di Francia riconobbe nel 1825 la republica haitiana, ma alla condizione che venissero indennizzati tutti gli ex coloni di Saint-Domingue con 150 milioni di franchi in oro. Boyer negoziò la somma a 90 milioni, ma dovette introdurre pesanti tassazioni e ripristinare la corvè nell'economia agricola; facilitò inoltre la migrazione di 6.000 neri liberi in direzione della caffeicoltura[148].
Queste misure scatenarono un movimento insurrezionale guidato da Charles Rivière-Hérard il quale venne a sua volta rovesciato dai rivoluzionari il 3 maggio del 1844, concludendo così la propria esistenza in esilio nella Colonia della Giamaica. Poco dopo i prezzi mondiali rimbalzarono e le esportazioni haitiane aumentarono da 15 a 30.000 tonnellate tra il 1824 e il 1880, 2/3 delle quali vendute ai francesi[115].
Ancora nel 1874 il caffè rappresentava la metà di tutto il fatturato derivante dall'esportazione del paese, continuando però un irreversibile decremento causato dalla deforestazione selvaggia, mentre alcuni abitanti hanno cominciato a preferire la produzione di carbone vegetale[149] il quale costringe a periodiche operazioni di correzione e conservazione delle acque e del suolo.
Nei primi anni ottanta Haiti ha lottato per soddisfare la sua quota di 22.000 tonnellate di caffè nell'ambito dell'"Accordo internazionale sul caffè" del 1962[150]. La popolazione impegnata nel settore primario è scesa del 66% nel decennio 1980-1989[151][152]. Il terremoto di Haiti del 2010 ha lasciato alla fine l'intero paese in uno stato di completa desolazione.
I tedeschi si stabiliscono a Le Havre
I commercianti di caffè provenienti da famiglie dell'Europa centrale furono per lo più degli affiliati al protestantesimo[153] e a partire dal 1815 si stabilirono a Le Havre, trasformando la città nella principale importatrice francese. Tra questi vi fu il barone Ferdinand Kronheimer, fondatore del 1840 della "Società commerciale interoceanica" e bisnonno del futuro sindaco Antoine Rufenacht[154].
Gli anni 1830-40 videro la sua entrata nel mercato internazionale, con un picco tra il 1850 e il 1914[155]; divenne così il 2° porto europeo del caffè e questo soprattutto per mezzo delle "Hirondelles de Rio"[156], navi leggere specializzate proprio nel trasporto di caffè[155]. A partire dal 1860 il caffè del Regno del Brasile rappresentò la buona metà degli arrivi di Le Havre, questo grazie ad un trattato commerciale che le permise di confermarsi nella leadership europea dell'importazione.
La "rotta del caffè" lunga da due a tre mesi venne accorciata per mezzo d'imbarcazioni più veloci costruite dall'"Union des chargeurs", un gruppo commerciale di Le Havre. Il 17 novembre del 1866 la "Reine-du-Monde" attraccò con 10.000 sacchi di caffè, trasportati da Rio de Janeiro in appena 37 giorni, un nuovo record mondiale[81].
Sulla via dell'esilio che le avrebbe condotte negli Stati Uniti d'America[153], queste famiglie tedesche si stabilirono definitivamente come i più attivi mercanti di caffè dei porti francesi. Nel 1900 Le Havre contò tra 170[81] e 359[153] commercianti di caffè; nel 1980 erano ancora in 35[155].
Ad inizio secolo 600 lavoratrici furono impiegate nell'industria del caffè; vennero soprannominate le "dactylos du café" e pagate da 4 a 6 franchi francesi ogni 100 kg di caffè ordinato[81]. I nomi maggiori tra i negozianti di caffè vi sono gli Egloff, i Rufenacht, i Foerster e Raoul-Duval, i Loevenbruck, i Langlois, i Traumann, i Jobin e Louis Delamare.
L'America Latina incoraggia la caffeicoltura
Il Regno del Brasile-Impero del Brasile, la Grande Colombia e il Primo Impero messicano prima e la Repubblica Federale del Centro America poi, i nuovi stati sorti dalle guerre d'indipendenza ispanoamericane, svolsero un ruolo importante nel lancio del caffè (tra il 1821-22), fino a quel momento assai poco sviluppato. Essi videro il caffè come un prodotto d'esportazione orientato verso i paesi a più rapida crescita della rivoluzione industriale; ciò consentì loro di voltare le spalle agli ex colonizzatori spagnoli e di dotarsi inoltre anche di un'indipendenza economica.
Ferrovia sviluppata a Cuba da statunitensi e francesi
Gli investitori europei introdussero la ferrovia nella Capitaneria generale di Cuba, da cui trasse beneficio innanzitutto lo zucchero, ma anche in primo luogo la coltivazione del caffè la quale si estese sempre più verso Ovest tramite tecniche aggiornate. Il 12 ottobre del 1834 Isabella II di Spagna autorizzò i lavori per la prima linea che avrebbe condotto da L'Avana a Güines. Venne negoziato un prestito di 2 milioni di pesos e lo statunitense Alfred Cruger[157] fu assunto in funzione d'ingegnere capo e supervisore generale[158][159].
Il 10 novembre del 1837 la via su rotaie, la prima esistente all'interno dell'intero impero spagnolo[160], sarà inaugurata con un tratto di 27,5 chilometri che mise in collegamento la capitale con Bejucal. Alla fine del 1839 la ferrovia raggiunse finalmente la sua destinazione prefissata, la cittadina di Güines, nel cuore di una ricca regione agricola coltivata a zucchero posta a Sudest dell'Avana. Altre reti locali si svilupparrono successivamente anche a Matanzas, area di caffeicoltura, a Cárdenas, Cienfuegos e Sagua la Grande, tutte nell'Ovest e nel Centro dell'isola.
Il 10 gennaio del 1837 nel frattempo una seconda compagnia di lavori ottenne la concessione per collegare Camagüey al porto di Nuevitas. La costruzione era già iniziata nel 1836 per interessamento di Gaspar Betancourt Cisneros[161][162] e il primo troncone nelle vicinanze di Nuevitas venne completato nel 1846, ma per giungere fino alla sua conclusione a Camagüey ci vollero altri 5 anni. L'ingegnere francese Jules Sagebien[163], che investì anch'egli nell'opera di Cienfuegos, a Guantánamo e nella "West Railway" all'Avana, costruì una ferrovia a scartamento ridotto nel 1844 per servire le miniere di El Cobre nei pressi di Santiago de Cuba[164].
L'investimento diretto nelle imprese sarà patrocinato in maniera diretta anche dalla "zuccherocrazia" creola[165], nonché incoraggiato dai militari i quali intravidero nella creazione di una solida rete ferroviaria un elemento importante d'appoggio in un'eventuale necessità difensiva dell'isola[165].
La "Société Ch.Derosne et Cail" fondata il 4 marzo 1836 col compito di succedere al laboratorio del chimico industriale Charles Derosne[166], uno dei primi a lavorare industrialmente la barbabietola da zucchero sul suolo francese fin dal 1811, realizzò macchine a vapore per gli zuccherifici e locomotive sia a Cuba che altrove nella regione dei Caraibi ed ebbe pi di 1.200 operai meccanici.
Jean-François Cail[167], promotore del concetto di agricoltura industriale, acquisì una posizione dominante nella fabbricazione dello zucchero[165], in quanto a partire dal 1830 vendette i propri macchinari in tutta Cuba e a Puerto Rico. Circa 500 stabilimenti di zucchero risultarono essere equipaggiati dalla società Cail in tutto il mondo[165][168].
Avrà infine anche l'onore di venire menzionato da Jules Verne in Ventimila leghe sotto i mari ("Cail e Co." realizzò i serbatoi del Nautilus[169]), I naufraghi del Chancellor[170] e Il mondo sottosopra[171].
Sostituzione accelerata dopo il caos della guerra d'indipendenza venezuelana
Nel decennio 1810 un primo ciclo produttivo di caffè sostituì timidamente quello del cacao. Questo movimento di sostituzione godette di un'accelerazione dopo i gravi danni causati dalla guerra d'indipendenza del Venezuela (1810-23).
L'odierno Venezuela, il paese maggiormente disputato durante le "Guerre d'indipendenza", si ritrovò praticamente distrutte tutte le sue regioni del cacao (il Distretto Capitale, Aragua e la costa di San José de Barlovento) e la dispersione degli schiavi. La manodopera schiavista venne reclutata per servire negli eserciti sia realisti che patriottici; particolarmente colpita rimase la regione di Barlovento la quale vide le proprie Hacienda di cacao cambiare molte volte mani diverse con combattimenti e conseguenti esecuzioni di sequestri. Spesso infine furono lasciate in un uno stato di completo abbandono[172].
Il boom del caffè tuttavia divise la popolazione del nuovo Stato, che contunò la pratica dello schiavismo fino al 1854. A seguito dell'indipendenza ottenuta nel 1821 le 3 maggiori fonti creditizie, la Chiesa cattolica in Venezuela, le grandi fortune locali e le metropoli spagnole si prosciugarono[173]; gli speculatori esteri e le banche presero il sopravvento mettendo un tasso d'interesse dal 2 al 3% mensile alla fine degli anni 1820 al fronte di ricavi di appena l'1% ancora nel 1830[173].
La "Sociedad Económica de Amigos del País" fondata nel 1829 riuscì a promuovere la crescita economica nel corso degli anni 1830[174]. L'abolizione nel 1834 della legge spagnola atta alla protezione dei debitori accelerò il processo d'indebitamento[173]. Tra il 1830 e il 1842 la terra coltivata a caffè triplicò[173].
Protezione data alle comunità indigene da parte delle nuove autorità
Una legge del 1836 stabilì una divisione delle terre comuni indigene tra i vari clan, creando piccoli proprietari terrieri individuali i quali ricevettero la terra a seconda del numero di figli[175]. Negli anni seguenti non venne però più fatta applicare in quanto i coloni bianchi si opposero ad essa, sostenendo di essere stati volutamente lasciati da parte nelle ripartizioni[175].
Agli inizi del 1850 gli indigeni protestarono con il governo per il fatto che i bianchi entravano nelle loro terre con lo scopo di rimisurarne i confini[175] a loro favore. Diversi governi provinciali difesero gli indigeni, in particolare a Barquisimeto nel 1828 e nel 1840; ma nella tragrande maggioranza dei casi i loro diritti furono usurpati[175].
Le élite venezuelane rimasero sospettose poiché mantennero un cattivo ricordo del ruolo assunto dagli indigeni nelle grandi colture del cacao durante il secolo precedente. Dal 1730 al 1733, appena dopo la sua creazione, la Compañía Guipuzcoana de Caracas spagnola dovette affrontare una rivolta dei nativi americani e degli schiavi neri del Río Yaracuy guidati dal loro leader Andresote il quale venne sostenuto dagli olandesi e dai piccoli piantatori bianchi; essa creò gravi difficoltà finanziarie.
Nei decenni successivi metà del cacao prodotto nella valle del Rio Yaracuy continuò a scorrere attraverso il contrabbando olandese, contribuendo ad un dimezzamento netto dei prezzi.
Rapida eliminazione dei primi baroni del caffè brasiliani
La coltivazione del caffè brasiliano crebbe inizialmente non molto lontano da Rio de Janeiro in un convento dell'ordine francescano, che la presentò al vicerè portoghese nel 1774. Dopo un avvio difficile nella regione amazzonica dell'attuale Grão-Pará fu introdotto in un primo tempo nella Regione Nordest del Brasile; zona sofferente di ricorrenti siccità, essa impedì d'ottenere risultati costanti. Per mancanza d'infrastrutture di collegamento con la capitale sarà spostato nuovamente verso Rio de Janeiro.
Nel 1779 la Colonia del Brasile esportò solamente 1,2 tonnellate, salite a 120 nel 1806, un livello ancora del tutto insignificante. L'uso degli schiavi venne introdotto immediatamente in quanto lo schiavismo era già stato ben sviluppato all'interno del paese come istituzione su larga scala, causato dal primo boom minerario del XVIII secolo; durante questa evoluzione Rio, con una popolazione relativamente scarsa per tutto il XVI e XVII secolo, gradualmente venne a sostituire Salvador come maggior sede di depositi di raccolta, fornendo al giunzione alle regioni minerarie d'oro situate all'interno[102].
Nel 1763 Rio divenne la capitale e la sua regione superò Bahia nella produzione di zucchero[102]. L'arrivo di schiavi africani raggiungerà il suo picco di 43.000 all'anno tra il 1820 e il 1829. La caffeicoltura, che approfittò della crisi haitiana, fu la ragione principale della compravendita di schiavi in questo periodo; questo secondo lo studio dettagliato condotto dallo storico Herbert S. Klein[176].
A seguito della rivoluzione haitiana degli anni 1790 l'importazione di schiavi aumentò nelle regioni brasiliane che producevano cotone, zucchero e caffè[102]. La cospicua lievitazione dei prezzi di quest'ultimo nei mercati mondiali a seguito delle rivolte degli schiavi a Saint-Domingue permise al caffè di diffondersi ovunque, nell'Isola Bananal ma soprattutto nella valle del Paraíba.
Il Sud brasiliano importò un maggior numero di schiavi rispetto al Nord a partire dal 1793, ma il ritmo degli arrivi si accelerò solo dopo il 1813. Il Trasferimento della corte portoghese in Brasile nel 1808 portò alla fine delle restrizioni sulla tratta atlantica degli schiavi africani e sulle esportazioni di beni di consumo primario[102].
Anche nella Capitaneria generale di Cuba il ritmo degli arrivi accelerò dopo il 1814 fino ad arrivare a 15.000 schiavi comprati, conoscendo un brevissimo picco dopo il Trattato di Amiens quando una pausa nelle guerre napoleoniche ne permise la fornitura da parte degli inglesi[102].
Molto presto lo sfruttamento schiavista fece nascere piantagioni di 4-500.000 piedi di caffè a cui vennero adibiti 3-400 schiavi, con costi di produzioni molto bassi che causarono il calo dei prezzi mondiali. Mentre le importazioni del caffè inglese delle Antille britanniche rimarranno stabili nel corso della prima metà del XIX secolo, venendo a rappresentare metà della fornitura mondiale nel 1800[177], il Brasile oramai ex portoghese vide la propria quota d'offerta globale in aumento passando dal 18,20% nel 1820 al 40% del 1840[177].
Nel 1817 fu fondata la prima "fazenda" specializzata nel caffè; la sua produzione e smercio arricchì rapidamente l'oligarchia rurale e le città come Guaratinguetá, Bananal e Pindamonhangaba. Il caffè potè essere coltivato in piccole aziende e senza alcun bisogno delle attrezzature industriali richieste invece per la canna da zucchero, aprendo così la strada a piccole imprese con relativamente pochi schiavi; ma al contempo si svilupparono anche piantagioni con un gran numero di schiavi ad opera dei "baroni del caffè".
Il caffè si esportò e vndette esclusivamente grazie ai lunghi convogli di muli diretti a Rio de Janeiro. Grandi domini terrieri creati praticamente da zero vennero affidati alle antiche famiglie della corte reale, ai militari e ai governatori, parlanti la lingua francese[178] e che adottarono gli usi e i costumi della cultura della Francia[178][179].
Entrati a far parte della nobiltà e rapidamente arricchitisi questi "baroni" si rilevarono essere agricoltori di ben scarso valore; praticarono la monocoltura e la deforestazione con relativo dissodamento, il che non fece altro che esaurire velocemente il suolo. Dopo che una metà di essi si rovinò a causa di parecchi anni di siccità, molti preferirono rivendere le proprietà[178].
L'entusiasmo dei paesi della civiltà occidentale nei confronti del caffè provocò un rapido sviluppo delle piantagioni nella regione di Rio de Janeiro e l'organizzazione di un sistema economico originale in cui le fazendas garantirono la coltivazione, la raccolta, la torrefazione ed infine la spedizione verso i porti di Le Havre e Bordeaux[140].
Contemporaneamente nella regione di Rio le esportazioni di zucchero ebbero un decremento del 60% tra il 1829 e il 1847-50, laddove quelle del caffè schizzeranno all'83% del totale; in ogni caso nel suo complesso lo zucchero continuò comunque a progredire leggermente nel paese[177]. La quota brasiliana raddoppio tra il 1821-25 e il 1846-50[177], in anticipo sui rivali della Colonia della Giamaica e della Capitaneria generale di Cuba a partire dal 1825-30; approfittando dell'abolizione della schiavitù nel 1825 in tutte le Indie occidentali britanniche raddoppiando il volume esportato.
Già nel 1831 l'Impero del Brasile divenne il maggior esportatore di caffè a livello mondiale con 14 milioni di libbre (a fronte dei 25 milioni di Haiti nel 1820)[180] · [176]. Dopo il 1830 il caffè sorpassò lo zucchero, rappresentando il 40% dell'intera esportazione brasiliana: i 3/4 di del prodotto prese la via degli Stati Uniti d'America[181].
La veloce crescita economica degli anni 1830 accelerò la speculazione sul territorio; la deforestazione si moltiplicò. La caffeicoltura si estese a Sudovest lungo la valle del Paraíba, verso le regioni orientali di San Paolo e le sue pianure occidentali[102]. Una terza area di sviluppo si stabilì lungo il confine Sudorientale del Minas Gerais, lontano dalle regioni minerarie e geograficamente più accostate a Paraíba e Rio; un territorio densamente boscoso e gradualmente colonizzato durante gli anni 1830[102].
Ruolo pionieristico di Costa Rica e Guatemala
Tra il 1840 e il 1880 l'America centrale si dotò d'infrastrutture prima degli altri paesi dell'America Latina, con moderne vie di comunicazione dirette alle piantagioni di caffè e soprattutto si mobilitò per accogliere l'emigrazione europea, seguita dai mercanti tedeschi che investirono nel Guatemala prima di spostarsi verso il Secondo Impero messicano.
Anche francesi, belgi, argentini e colombiani contribuirono notevolmente al progredire dalla coltivazione oltre che nel Guatemala anche in Costa Rica (due paesi precursori), su terreni di origine vulcanica favorevoli ad una Coffea arabica leggera e di qualità: divenne presto molto ricercato in Europa. Le popolazioni indigene delle zone vulcaniche lo resero una specialità e nel 1892 il solo Guatemala produsse 70.000 tonnellate del caffè più caro al mondo[182].
Gli incentivi fiscali dei primi governi costaricani
Nel 1821 il Costa Rica ottenne l'indipendenza nell'ambito della Repubblica Federale del Centro America. Juan Mora Fernández, il primo dei presidenti della Costa Rica, dal 1825 al 1833 incoraggiò la coltivazione del caffè attrverso esenzioni e sgravi fiscali[183]; il terreno libero venne distribuito a coloro che si occuparono della caffeicoltura e le autorità di alcuni comuni richiesero persino il possesso di almeno un certo numero di alberi di caffè[183]. Nel 1826-27 l'inventore gallese Richard Trevithick propose la costruzione di una linea ferroviaria tra Limón sulla costa caraibica e il porto di Puntarenas situato sul versante pacifico, passando per la capitale San José e unificandola con le di derivazione ai siti minerari[183][184].
Durante gli anni 1830 il sovrano dei Miskito stanziati lungo la Costa dei Mosquito, Robert Charles Frederic, favorì le concessioni[185] ai mercanti giamaicani di origini britanniche William Hodgson e Samuel Shepherd[186], con un mandato per lo sfruttamento della regione. Il secondo si legò a George Stiepel - un ex militare - il quale nel 1832 iniziò lo sviluppo commerciale del caffè in direzione del Regno Unito attraverso i porti cileni. Già nel 1839 riuscì a controllare l'11,5% delle esportazioni dal porto di Puntarenas[187].
Gli stranieri, soprattutto spagnoli, acquistarono numerose piantagioni. Nel 1839 il paese esportò 9.000 tonnellate; la produzione costaricana levitò da 50.000 sterline di fatturato nel 1832 a 8 milioni nel 1853 fino a 20,7 milioni nel 1868, quando i commercianti britannici cominciarono ad interessarsi all'eccellente caffè prodotto nelle vallate centrali; ad un'altitudine variabile da 700 a 1.500 m su terreni fertili e ben drenati. Nel 1843 il navigatore William Le Lacheur istituì un percorso commerciale regolare e diretto tra i produttori costaricani e i compratori europei[188], contribuendo in tal modo alla creazione di punti vendita per la nuova marca "Café de Valparaiso" (dal nome del porto cileno Valparaíso utilizzato per le spedizioni)[188].
Questo fu anche l'anno in cui i produttori costaricani con un patrimonio superiore ai 1.000 pesos furono già 101, più numerosi di quelli con una somma minore e quasi quanti come i 160 proprietari in posseso di capitale ma operanti in altri campi[189].
I carri di buoi sostituiscono i sentieri mulattieri
All'inizio degli anni 1840 il leader della Costa Rica Braulio Carrillo ordinò la costruzione della "Highway atlantica" con l'intento di collegare i porti britannici. La "Sociedad Econômica Itinérante"[190] fu creata nel novembre del 1843 per opera dei coltivatori di caffè i quali aprirono una nuova strada tra il 1844 e il 1846 in direzione dello sbocco di Puntarenas[191] - questa volta sulla sponda dell'Oceano Pacifico - grazie ad un'imposta speciale applicata sul caffè d'esportazione.
I muli vennero presto sostituiti da carri trainati dai buoi; avrebbero potuto trasportare fino a 300 kg di caffè - per un tempo di viaggio oscillante dai 5 ai 6 giorni - e poi ritornare con una varietà di prodotti alimentari[183]. Ma durante la succesiva stagione delle piogge (da maggio a novembre) la strada scomparve completamente sotto il fango: il desiderio di realizzare una via diretta verso l'Oceano Atlantico però rimase e i progetti si susseseguirono a vicenda, per lo più volti alla realizzazione di strade ferrate[183].
Società d'immigrati belgi e tedeschi in Costa Rica e Guatemala
Il coltivatore Juan Rafael Mora Porras giunse a fornire nel 1849 l'8% delle esportazioni e il 16% della manifattura del caffè costaricano; in quello stesso anno venne eletto Presidente della Costa Rica. La primavera dei popoli europea e la rivoluzione francese del 1848 in particolare generò folte schiere di esuli, ma cominciarono anche ad essere stabilite le prime relazioni diplomatiche con la Confederazione germanica. Porras le rafforzò aiutando a creare numerose colonie tedesche.
Nella provincia di Heredia 37 nuclei familiari tedeschi vi si stabilirono nel 1851[192]; furono i responsabili della costruzione di una strada tra la loro colonia ("Míravalles")[193] e il golfo di Nicoya posizionato nella penisola omonima[192]. Erano partiti da Brema il 13 aprile del 1850[192]..
Nella provincia di Cartago si stabilirono nel 1853 un altro centinaio di famiglie bremesi[194] guidate dal barone Alexander von Bülow, creatore nel 1849 della "Berlin Colonial Association" in cooperazione con la già esistente "Hamburg Association for Colonisation in Central America" rivale. Assieme fondarono Angostura[195], sui fianchi del Turrialba ad un'altitudine media di 1.000 m, dedicandosi alla coltivazione di avocado, mango, cacao e caffè[196].
L'ingegnere Franz Kurtze tentò di tracciare una strada in direzione della costa atlantica per poter trasportare più facilmente i loro prodotti; purtroppo la quasi totalità del prestito destinato all'opera si esaurì in fretta gettando la colonia nella rovina finanziaria. Venne pertanto spostata verso la costa pacifica attraverso un percorso già tracciato. Nell'agosto del 1853 vi si aggiunsero immigrati provenienti dalla Pomerania condotti da "Herr" Von Chamieux originario di Konigsberg e da Franziska Bibend, una ricca ereditiera successivamente trasferitasi nel Cantone di Sarapiquí.
Nel distretto di Pavas il presidente Porras ricevette nel 1852-53 il giornalista Wilhelm Marr (futuro creatore del termine "antisemitismo") riconvertito al commercio, che fino a qui guidò tra le 80 e le 100 persone.
Porras donò anche una piantagione di caffè situata a Guadalupe all'agente consolare britannico Richard Farrer, facendogoli inoltre avere una concessione per poter attivare una strada ferrata lunga 9 miglia; divenne operativa nel 1854-55, cosicchè i vagoni ricolmi di caffè tedesco poterono venire trainati da buoi (in mancanza di una locomotiva).
Sulla costa atlantica del Guatemala la "Compagnie belge de colonisation"[197] acquistò nel 1843 Santo Tomás de Castilla grazie al sostegno di Leopoldo I del Belgio con l'intenzione di "fondare una comunità belga guatemalteca"; ma le malattie decimarono gli uomini i quali non riuscirono a sopportare le durezze climatiche[198].
La colonia fu abbandonata nel 1854[199]. Però in 144 acconsentirono a rimanere nel paese, prendendone la nazionalità[200]; diversi di loro si gettarono nella coltivazione del caffè e nella sua commercializzazione, mentre 33 finirono con il prendere la via in direzione di altri paesi centroamericani.
Due coloni francesi rimasero a Santo Tomás. Il professore di biologia nonché ricercatore scientifico Jules Rossignon creò un'enorme azienda agricola (oggi divenuto parco nazionale) battezzata "Las Victorias" e sito del futuro centro urbano di Cobán[201]; nel 1861 pubblicò un rapporto sulla necessità d'incoraggiare la caffeicoltura e rappresentò il "caffè guatemalteco" all'Esposizione universale di Parigi (1867).
Il barone Oscar du Teil s'installò nel 1854 ed impiantò 10.000 piante di caffè tra il 1856 e il 1859[202], assieme al fratello Javier, a Escuintla (nella pianura costiera pacifica); mentre nel 1867 fondò la prima società telegrafica del paese. Il miglioramento delle strade permise al versante pacifico di venire a costituire più di 3/4 di tutte le esportazioni guatemalteche nel periodo 1853-58[202].
Come sua diretta conseguenza, tutto ad un tratto il ruolo dell'impero britannico nelle esportazioni verso l'Honduras britannico si trovò a diminuire considerevolmente[202].
Nello stesso periodo la Panama Railway permise di evitare il tragitto lungo Capo Horn, in quanto le principali piantagioni centroamericane ebbero generalmente accesso alla costa pacifica. Non appena venne completata nel 1855 l'impresa commerciale tedesca "Hockmeyer & Rittscher" istituì una propria sede nel Guatemala per oraganizzare le esportazioni verso Amburgo[202].
A partire dal 1858 rappresentò la compagnia ferroviaria in tutte le proprie attività, così come l'amburghese Hapag operò tra il porto di Colón (Panama) e l'Europa[202]. Il caffè guatemalteco seguì la costa pacifica e attraversò in treno l'istmo di Panama per poi navigare alla volta dei maggiori porti europei. Venne anche esportato dalle compagnie di spedizione inglesi[202]. Fu fondata anche un'altra società commerciale tedesca, la "Rieper Augener", agente in loco della Norddeutscher Lloyd[203].
Avventurieri francesi in territorio malgascio
Il trattato di Parigi (1814) non si pronunciò sul possesso del Madagascar, lasciando pertanto direttamente alle potenze europee una libera ed autonoma azione. Il baronetto Robert Townsend Farquhar[204], governatore britannico di Mauritius, volle tentare di ostacolare l'influenza francese nell'Oceano Indiano; riuscì a convincere il sovrano del regno del Madagascar Radama I ad attaccare i principati della costa orientale dominani dai "Malata" (stirpe di mulatti discendenti da europei e donne indigene) alleati dell'impero coloniale francese nella tratta atlantica degli schiavi africani ed in seguito a far firmare il 23 ottobre del 1817 un accordo che riconoscesse di fatto la sovranità sulla regione.
L'aiuto inglese permise a Radama I di avviare una modernizzazione militare del paese in cambio dell'abolizione della tratta degli schiavi[205]. Oltre ai francesi anche i tedeschi e gli statunitensi lo ratificarono. Nel 1820 una piantagione venne nel frattempo creata nell'Île Sainte-Marie per opera dell'ufficiale d'artiglieria Jean-Louis Joseph Carayon[206][207] - a 10 km dalla costa - arrivando ad avere 100.000 piante nel 1824[208].
In quello stesso anno la coltivazione iniziò anche sull'isola maggiore grazie a Julien Gaultier de Rontaunay[209], un'importante operatore di commercio al dettaglio di Mauritius anche se registrato come residente a Saint-Denis (Riunione)[208]. Egli piantò 150.000 alberi a Manajanty, sulla costa orientale[208] e, dopo essere entrato in affari con Jean-Joseph Arnoux[210] fondò la prima attività commerciale di un qualche spessore nella regione. Diede vita per tale scopo ad una flotta commerciale che nel 1857 consisteva di 19 navi, più 47 noleggiate a tempo determinato[208].
L'avventuriero Jean Laborde[211], personaggio influente sulla monarchia Merina, impiantò il caffè negli altopiani dell'interno in collaborazione con de Rontaunay, probabilmente intorno al 1840[208].
Napoleon Lastelle - che sarà insignito del tutolo di principe dalla famiglia reale - ebbe 1.500 schiavi adibiti alla coltivazione dello zucchero, in collegamento con la società di trading di Rontaunay a Mahela, ed altri 300 per le piantagioni di caffè posizionate lungo le rive dei fiumi[208].
Gara per il profitto tra inglesi, olandesi e spagnoli
Negli anni 1830 la "Crisi di successione" nel regno di Spagna genero tutta una serie di scontri armati noti come "guerre Carliste" - in quanto condotte contro i sostenitori del Carlismo - che riguardarono il settentrione spagnolo, ma che ebbero anche le loro ripercussioni nelle colonie. Isabella II di Spagna salì al trono quando non aveva ancora tre anni: suo zio Carlo V di Spagna si autonominò imperatore e i suoi seguaci difesero strenuamente il nuovo "status quo" nelle province.
Oltremare vennero consentite le riforme richieste dagli ambienti economici locali per potersi modernizzare ed aprire maggiormente agli scambi, in particolare col commercio di caffè nella Capitaneria generale di Cuba e nelle Indie orientali spagnole (le odierne Filippine).
In tutto l'impero britannico la schiavitù fu abolita nel 1833, a fronte della forte pressione esercitata in tal senso dall'opinione pubblica nella madrepatria; l'annuncio della fine della coltivazione del caffè su base schiavista nella Colonia della Giamaica spinse un massiccio investimento in direzione di una nuova colonia di approvvigionamento, Ceylon britannico.
Nel Regno Unito dei Paesi Bassi si rese necessario trovare nuovi ricavi coloniali per poter finanziare il conflitto contro la rivoluzione belga la quale porterà il Belgio all'indipendente nel 1830 e con esso anche il grande porto del caffè di Anversa. Come diretta conseguenza il caffè olandese venne rilanciato a Giava, nelle Indie orientali olandesi, fissando nuovi e più elevati vincoli di redditività.
La Spagna apre le Filippine agli investimenti stranieri
Nelle Filippine spagnole il cacao rimase saldamente la coltura ufficiale, impedendo così lo sviluppo di piantagioni di caffè d'una qualche rilevanza, come fece notare anche Tomas de Comyn[212], direttore della "Real Compañia de Filipinas" in una sua relazione fatta pubblicare nel 1810[213]. Nonostante gli sforzi messi in atto dagli Agostiniani Elias Nebreda e Benito Varas per incoraggiarne la coltivazione[214] ancora nel 1830 l'arcipelago esportò solo 160 tonnellate, contro le 16.620 di Giava.
Il 1835 vide la dissoluzione della "Compagnia nazionale" e l'apertura alle agenzie commerciali prima britanniche e poi statunitensi[213]. Il 23 giugno del 1837 i meriti dell'azienda intestata all'esploratore francese Paul Proust de La Gironière[215][216], operante nei campi dell'orticoltura e dell'agricoltura specializzata, vennero riconosciuti tramite un premio indetto dalla "Real Sociedad Económica de Amigos del País" di Manila[217]; lo ricevette nella sua qualità di piantatore di caffè (possedette 6.000 piante)[213].
Egli visitò nell'arco di 25 anni tutte le principali società tribali tradizionali delle isole, ed entrato in contatto con esse si fece assistere nella raccolta sugli altopiani montuosi del Nord di Luzon. Il premio in seguito verrà assegnato agli spagnoli Vicente del Pino nel 1838, Azaola nel 1846 e Antonio Ortega nel 1847, proprietari di piantagioni più vaste[213].
Il caffè filippino sarà esportato in Australia e nel Regno Unito via Hong Kong a partire dal 1855 e nel Secondo impero francese dal 1859[213]; i 2/3 di Lipa (Batangas), nella parte occidentale di Luzon, furono piantati a caffè[213]. Il sito concentrò il 97% di tutte le esportazioni di caffè dell'intero arcipelago e permise la creazione delle fortune finanziarie di grandi clan familiari come gli Aguilera, i Solis e i Katigbak. Mezzo milione di chili all'anno furono esportati negli Stati Uniti d'America tra il 1860 e il 1872.
La raccolta toccherà il suo picco con 7.500 tonnellate nel 1884[218][213], ma il temporaneo "monopolio globale" del caffè filippino in direzione dell'America del Nord da quel momento in poi rischiò seriamente di essere compromesso poiché nei 3 anni seguenti il paese riuscì a produrne solo 1/3 rispetto alla quantità che gli Stati Uniti importarono annualmente[213].
Difficile debutto a Ceylon
Gli odierni alberi di caffè dello Sri Lanka e dei Nilgiri appartengono alla specie di montagna originaria dalla Coffea arabica dello Yemen; si trovano in vallate a media altitudine con notti molto fresche e asciutte. I suoi inizi risultarono essere relativamente difficili.
La Coffea venne introdotta nel subcontinente indiano ben prima del sopraggiungere degli europei, per merito di un "santone" del Sufismo denominato "Bada Budan"[219]; presto seguirono le prime colture nel distretto di Chickmagalur e nel distretto di Kodagu nell'odierno Karnataka verso il 1670[220]. Da allora le piantagioni si stabilirono nella regione estendenosi via via in direzione Sud[219].
A partire dagli 1740 gli amministratori della Compagnia olandese delle Indie orientali nell'India olandese, il barone Gustaaf Willem van Imhoff[221] e i suoi successori van Golleness e Joan Gideon Loten[222] tentarono di coltivare il caffè associandosi anche al Regno di Kandy, ottenendo però dei ben magri risultati; alla fine non fu abbastanza competitivo nei confronti di quello di Giava[223]. Nel 1762 la produzione non riuscì a superare le 50 tonnellate[224].
Ceylon passò sotto il diretto controllo degli inglesi con la "Conferenza di Kandy" nel 1815; divenne così Ceylon britannico. Nel 1823 il caffè era nuovamente coltivato - questa volta dal piantatore George Bird - a Singhapitiya, nei presi di Gampola[110]: la prima nave cargo a pieno carico potè così doppiare Gibilterra alla volta di Livorno[225].
Le piantagioni su una scala più vasta furono invece opera di Jeronis di Soysa[226][227] e 1/4 dell'intera produzione proveniva da fattorie indigene di piccoli commercianti[228], ma l'esperimento si concluderà con un fallimento a causa dell'introduzione massiccia della coltura dl tè e dell'altitudine troppo bassa la quale non favoriva certo la crescita della varietà arabica.
Successo in aree semi-montane dopo il 1836
Il caffè incrementò in maniera massiccia a partire dal 1834, col successo delle prime piantagioni create nel 1827 nella zona semi-montuosa di Candy sottomessa dagli inglesi, a 500 m di altitudine in una vallata dotata di una vegetazione lussureggiante. L'abolizione della schiavitù nelle Indie occidentali britanniche creò al caffè ceylonese una buona possibiltà di crescita. La produzione iniziò nel 1836 attraverso la distribuzione di terre demaniali[229].
A partire dal 1843 l'isola fornì metà dl fabbisogno inglese di caffè[110], grazie ad una produzione che in vent'anni decuplicò[110] e i rendimenti furono 3-4 volte superiori rispetto a quelli delle Antille britanniche[110]; piantagioni di proprietà europea con un'ampiezza media di 80 ettari fornirono i 3/4 del prodotto, accanto ad altre colture più modeste[110]. Quasi 1/3 dei campi rimase proprietà dei nativi, in seguito ridottosi ad 1/8: in totale le aziende ebbero una dimensione media di 40 ettari[230], mentre i terreni posseduti dagli europei furono da 10 a 15 volte più estesi[229].
Vi furono grandi proprietari terrieri ma anche aziende che giunsero ad una media di oltre 100 ettari. I piccoli agricoltori, soprattutto locali, rappresentarono ancora il 38% dell'attività nel 1850, ma la loro quota decrebbe fino al 6% nel 1885; essi ebbero meno accesso al credito e più spese aggiuntive[230]. La manodopera disponibile si mantenne ad un livello più che abbondante, circa 2 lavoratori per ettaro[229]; attorno ad ogni tenuta nacqueo presto dei nuovi villaggi[229].
Finanziatori indiani, manodopera Tamil
Gli indiani di Chettinad nel Distretto di Sivaganga contribuirono in maniera rilevante alla commercializzazione[110], mentre la forza lavoro Tamil arrivò a decine di migliaia alla fine degli anni 1830 e soprattutto nel 1842[110]. Anche se la schiavitù venne abolita nel 1843 nella "Presidenza di Madras" facente parte della Company Raj e nel 1855 a Travancore (ex stato princpesco dell'India britannica) la maggior parte degli agricoltori di Thanjavur rimasero vincolati dalla servitù debitoria, il che ne ostacolò la mobilità e li rese disponibili alla corvè[231].
L'eccedenza dei ricavi fu utilizzata per creare la "Cooly Transport Company" e la "Ceylon Agency" le quali si stabilirono nei maggiori porti dell'impero anglo-indiano per reclutare manovali ad infimo prezzo[230].
Tra il 1838 e il 1843 nacquero non meno di 130 piantagioni a Ceylon britannico, dove nel 1845 la forte caduta dei prezzi del caffè condusse i piantatori ad una visione più realistica dell'avvenire[232]; conclusasi la depressione finanziaria emersero i primi conflitti. Il lavoro forzato introdotto nel 1848 causò una vera e propria ribellione[229]; ma la produzione declinante iniziò a riprendersi e i prezzi crebbero.
L'Indonesia olandese utilizza il lavoro forzato
Le Indie orientali olandesi rafforzarono la loro produzione verso la metà del secolo, giungendo a rappresentare quasi 1/5 della fornitura globale attorno al 1880; poco prima che la "ruggine del caffè" non la facesse crollare da 13.000 tonnellate nel 1879 a 2.500 nel 1893. Tra il 1830 e il 1860 le casse statali olandesi ricevettero dagli insediamenti occidentali 800 milioni di fiorini olandesi i quali furono perlopiù reinvestiti in infrastrutture cittadine[233].
Poco dopo la "Restaurazione olandese" con l'istituzione del Regno Unito dei Paesi Bassi nel 1816 le piantagioni vennero rilanciate a Priangan, nella provincia di Giava Occidentale, nel Sudovest e a Sumatra Meridionale e Centrale[229]. Le esportazioni lievitarono nel 1823 con 2.000 tonnellate[229], per poi impennarsi nel corso degli anni 1830 passando a 20 e 30.000 tonnellate[229].
I conflitti militari derivanti dalla Rivoluzione belga resero necessario trovare fondi per poterli finanziare. Il lavoro forzato venne istituzionalizzato nel 1832 dopo lunghi dibattiti interni all'amministrazione coloniale la quale sostenne largamente gli abusi compiuti dai commercianti privati ai danni dei piantatori locali[23]. Questa "Cultuurstelsel" (l'obbligo di consacrare a maggior parte della produzione agricola all'export) costrinse i contadini a coltivare prodotti dedicati al mercato estero in almeno il 20% delle proprie terre o, in alternativa, fornire 60 giorni all'anno di lavoro non remunerato per "progetti pubblici rivolti al benessere comune"[23].
Quota dei piccoli proprietari in calo costante
Il governo olandese creò anche nel 1833 il monopolio del commercio del caffè a Giava e decise d'impiantare nuove colture in 1/12 delle aree già sfruttate, sia per sostituire gli alberi morti che per espandere le piantagioni[229]. L'isola contò 137.000 alberi nel 1834, i 2/3 dei quali piantati di recente. La produzione triplicò in 10 anni, da 25.000 tonnellate nel 1832 a 76.000 nel 1843[229], producendo così da 2/5 a 1/4 di tutto il caffè mondiale; per i 3/4 sotto la diretta autorità governativa e il 20% dalle grandi piantagioni indipendenti.
Come accadde anche nell'India olandese la quota dei piccoli proprietari fu molto bassa, crollando al 10% nel 1830, al 5% nel 1845 e a meno dell'1% nel 1848. Dal 1845 al 1880 il numero delle colture di caffè passò da 400 a 700.000, rappresentando il 60% del lavoro contadino totale di Giava. Tra il 1830 e il 1840 il prezzo del "caffè Java" aumentò al mercato lodinese del 12,5%, quello brasiliano del 18,5% e quello cubano del 21%[229]; ma il giavanese continuò a rimanere tra i più costosi: nel 1840 a Londra il brasiliano valeva 125 scellini al quintale, il giavanese 155 e il Mokha più di 200[229].
La caffeicoltura procurò il 65% di tutte le vendite agricole coloniali olandesi[229] e fu l'unica che non partecipò alla liberalizzazione nel corso degli anni 1860[229]. Le piantagioni fecero crescere le migrazioni interne tutt'attorno alle aree di raccolta; i giavanesi furono costretti a fornire una data percentuale di caffè ad un prezzo fisso, ossia 25 fiorini olandesi per ogni sacco da 62 kg, detraendo 10 fiorini per il mantenimento dei diritti di sfruttamento sul terreno e altri 3 per il costo dei trasporti[23].
La riscossione delle imposte venne trasferita agli agenti di raccolta pagati con le commissioni[23], il peso dei prodotti acquistati fu regolarmente falsificato; a ciò si aggiunsero i 60 giorni di lavoro non pagato, spesso prolungati o spesi per progetti privati degli ufficiali coloniali regionali o dei reggenti[23]. I funzionari intimidirono brutalmente gli agricoltori per aumentare la loro commissione, generando un diffuso malcontento, ampie sacche di povertà e una carestia generale[23].
Il prezzo di acquisto dai piantatori diminuisce nel 1844
Il prezzo di acquisto dai piantatori venne poi abusivamente abbassato fino a 8 fiorini nel 1844, durante la depressione mondiale dei prezzi. Questa decisione ridusse i rendimenti, nonostante le aree coltiate fossero in forte crescita, attraverso una frenesia di compensazione dei grandi proprietari terrieri. I contadini non protessero più le piantagioni contro le depredazioni degli animali selvatici e non tennero conto dell'invecchiamento degli alberi di caffè, trascurando infine di rinnovarli[229].
Nel 1867 la paga ai coltivatori risalì a 13,5 fiorini[229] e le raccolte aumentarono nuovamente, toccando il loro picco nel 1879 raggiungendo le 113.000 tonnellate[229].
Cambiamenti strutturali negli anni 1840-60
I coltivatori di caffè si adattano ad una nuova mappa del consumo mondiale
Nel Regno Unito e negli Stati Uniti d'America nord-orientali l'abolizionismo divenne una delle principali cause nazionali nella prima metà del secolo, quando l'impero britannico si trovò a dominare lo spazio marittimo. Il graduale passaggio degli inglesi in direzione di un decremento del consumo di tè e l'enorme crescita di popolazione degli Stati Uniti d'America condusse entrambi i paesi a dominare il mercato mondiale della fornitura di caffè.
La grande gara avviata tra i paesi dell'America meridionale contribuì a cambiare la situazione; il rapporto tra Marsiglia e Le Havre risultò invertito nel periodo 1858-62 per le importazioni di caffè nel Secondo Impero francese, da una quasi parità ad un volume due volte e mezzo maggiore per Le Havre, che quasi triplicò le proprie entrate grazie innanzitutto all'importante contributo dato dal caffè brasiliano[234].
Da parte sua Amburgo crebbe da 28.000 tonnellate nel 1840 a 115.000 (5 volte e mezzo in più) nel 1876 e a 200.000 nel 1903, disputandosi poi il passaggio attraverso l'Europa centrale con il porto di Trieste[234]. Nel corso della prima guerra mondiale i finanziatori di New York dominarono l'apertura di prestiti agli esportatori brasiliani[235]: la riesportazione di Le Havre cadde sotto le 10.000 tonnellate annuali, 1/4 del volume rispetto al 1913[235].
Il successo del caffè in Inghilterra si scontra con lo status di "bevanda nazionale" del tè
Dagli anni 1700 il "Movimento per la temperanza" idealizzò il tè inglese, un'argomentazione morale utilizzata a favore del libero mercato, ma contro l'oppio venduto ai cinesi in un mercato ancora completamente orientato verso estero[236]. Nel 1711 la Compagnia britannica delle Indie orientali istituì una propria sede a Canton per lo scambio del tè, mentre l'iterdizione al traffico d'oppio venne ribadita nel 1799 nell'impero cinese; si creò quindi un'ampio contrabbando con luogo di partenza il Bengala. Le imprese di negozianti e rivenditori inglesi come la Jardine Matheson Holdings ne rimasero largamente coinvolte.
Nei primi anni del XIX secolo la rivoluzione haitiana permise alle piantagioni inglesi di caffè della Colonia della Giamaica di beneficiare di un monopolio mondiale virtuale , presto affiancate da quelle di Ceylon britannico dove la produzione aumentò di 20 volte tra il 1820 e il 1840, mentre il consumo nel solo Regno Unito triplicò nel decennio 1820.
Anno | 1801 | 1808 | 1825 | 1851 |
consumo di caffè nel Regno Unito[237] | 1 milione di libbre | 8 milioni di libbre | 15 milioni de libbre | 55 milioni di libbre |
Il caffè non sarà soppiantato dal tè fino al 1865[234], ma la coltura continuò a progredire - seppur più lentmente - nell'impero britannico. Nel 1823 lo scozzese Robert Bruce scoprì il tè indigeno dell'Assam[238]; velocemente la Compagnia britannica delle Indie orientali costituì le prime vere e proprie fabbriche di tè[239].
Dopo il trattato di Nanchino il quale pose termine alla prima delle guerre dell'oppio nel 1848 potè avere finalmente inizio il viaggio di esplorazione e spionaggio del botanico Robert Fortune verso i territori al di là della catena dell'Himalaya. Travestitosi da cinese contrabbandò nel territorio indiano sotto amministrazione inglese 20.000 piante di tè e reclutò 8 produttori, un passo importante nella storia del tè in quanto pose termine al monopolio cinese del tè[240].
Piantato rapidamente in vaste porzioni di terreno la qualità assamese si rivelò la migliore poiché facilmente adattabile al clima del subcontinente indiano. A seguito dei Moti indiani del 1857 gli inglesi gestirono direttamente la maggior parte del territorio costituendo l'Impero anglo-indiano ed in quello stesso anno le colture di tè vennero introdotte a Ceylon britannico; gl'inglesi equipaggiarono l'isola con una fitta rete ferroviaria. Le maggiori province produttive, il distretto di Nuwara Eliya, Dambulla, il distretto di Kandy e il distretto di Galle - tutte zone montuose - furono molto ben collegate agli scali portuali per l'eportazione.
Ceylon si dedicò interamente alla coltivazione del tè nell'ultimo terzo del secolo, dopo che le malattie devastarono le sue piantagioni di caffè. I proprietari assunsero manodopera a bassissimo costo e i missionari cristiani approvarono applaudendo al riscontro positivo delle "relazioni coloniali". La seconda delle guerre dell'oppio (1856-60) vide l'impero cinese piegarsi di fronte all'impero coloniale francese e all'impero britannico: nel Regno Unito intanto il tè venne promosso a "bevanda nazionale". Lipton ebbe catene di approvigionamento "dalla piantagione alla tazza" e le forniture furono supervisionate dagli esperti inglesi più raffinati[236].
I fruitori di tè contribuirono a creare un "grande e nobile progetto, che serve le cause della famiglia, della nazione e della civiltà"[236]. Durante la seconda guerra mondiale diventerà anche un'attività sociale e densa di patriottismo che facilitava l'elevazione dei soldati. Il consumo inglese di caffè quindi diminuì con regolarità nella seconda metà del XIX secolo, passando da 1,25 libbre "pro capite" nel periodo 1846-60 a solo 0,96 sterline nel 1880[241], mentre il consumo di tè fu più che raddoppiato passando da 3,42 a 8,51 libbre "pro capite" tra il 1821 e il 1886[242].
Consumo statunitense moltiplicato di 24 volte in un secolo
L'esplosione della popolazione negli Stati Uniti d'America nel corso del XIX secolo fece sì che le importazioni di caffè si moltiplicarono di 24 volte in un secolo[4]; da solo il paese rappresentò metà della crescita del consumo mondiale[4]. A partire dalla Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America (1776) il caffè divenne la bevanza nazionale in contrapposizione al tè inglese. Gli Stati Uniti furono inoltre l'unico mercato libero da tassazione, con una fiscalità che passò da 10 cent per libbra nel 1812 a 5 nel 1814 ed infine a 0 dopo il 1823[4].
Anno | 1830 | 1850 | 1859 | 1900 |
Consumo giornaliero "pro capite" | 3 libbre[243] | 5,5 libbre[243] | 8 libbre[243] | 13 libbre[243] |
Popolazione statunitense | 16 milioni | 23 milioni | 32 milioni (nel 1861) | 76 milioni |
Il consumo dell'America del Nord decollò di colp passando da 1/18 di libbra "pro capite" nel 1783 a 9 un secolo più tardi fino a 13 alla fine del XIX secolo[4], quando il paese importò e consumò più del 40% del caffè mondiale[4]; un dato salito al 60% dopo il 1945[4]. L'accelerazione risultò essere particolarmente accentuata nel periodo 1830-59, che vide gli Stati Uniti importare 5,7 volte più caffè in soli 3 decenni e continuando poi, con volumi divenuti enormi, godendo del successo del caffè sottoposto a torrefazione a partire dal 1873.
Negli anni 1860 l'aumento esponenziale dei percorsi ferrati diede al porto di Baltimora la possibilità di sviluppare un efficiente servizio di clipper in direzione dell'Impero del Brasile[244]; meglio collegata alla rete ferroviaria la città passò dal 13 al 29% delle importazioni statunitensi di caffè a scapito di New York in cui vigevano sia un'oligopolio ferroviario[244] che problemi di corruzione nei servizi d'accettazione delle merci dei bastimenti[244].
Il prezzò raddoppiò tra il 1871 e il 1874 e questo fatto giocò un ruolo meno vantaggioso; New York riuscì a recuperare il terreno perduto fino a giungere alla quasi completa marginalizzazione di Baltimora[244]. La ferrovia consentì anche ad una nuova figura professionale, i "roaster" (torrefatori newyorkesi), di moltiplicare le scorte e i propri magazzini nell'entroterra, lungo la via ferroriaria.
Il primo di essi fu John Arbuckle (1838-1912), figlio di un immigrato scozzese aderente al presbiterianesimo, che fondò assieme al fratello e allo zio un negozio di alimentari a Pittsburgh nel 1860 e brevettò 4 anni più tardi una nuova versione della macchina per la tostatura di Jabez Burns, la "torrefazione a cilindro". Nel 1871 decise di concentrarsi su questo nuovo segmento di mercato. Nel frattempo la tassa su caffè e tè, rispettivamente di 4 e 15 cent - creata nel 1861 per finanziare la guerra di secessione americana e poi aumentata a 5 e 20 cent[244] - si ridusse a 3 e 15 cent nel gennaio del 1871[244], con un sistema di franchising nella sua attuazione[244].
Mentre in precedenza gli statunitensi acquistarono il "caffè verde", Arbuckle cominciò a commercializzare dal 1873[245] i primi pacchetti di caffè tostato sotto il marchio "ARIOSA" (A-rbuckle RIO SAntos)[245]. Rapidamente vennero istituiti 85 reparti di torrefazione tra New York e Pittsburgh. Nel 1881, dopo il fallimento speculativo sul caffè dell'anno precedente, egli divenne il primo commerciante di caffè newyorkese con 127.000 sacchi importati; il suo vantaggio divenne ancora più netto nel 1894 con 688.726, molto più avanti del secondo concessionario metropolitano WH Crossman attestato a 355.864 sacchi[246].
Porto | New York | San Francisco | New Orleans | Filadelfia |
Numero d'importatori nel 1900 | 99[247] | 28[247] | 12[247] | 6[247] |
Nella West Coast la città di San Francisco, ben disposta ad acquistare il caffè dall'America Centrale - più accessibile dalla costa pacifica - divenne il secondo porto d'importazione statunitense; durante i massicci insediamenti nella California e nelle Montagne rocciose ebbe cira 28 importatori nel 1900, guidati dai commercianti Haas Bros e Otis McAllister[247], rispetto ai 99 newyorkesi, i 12 di New Oleans e i 6 di Filadelfia[247].
Nel 1914 metà della fornitura mondiale passò ancora attraverso Amburgo e Le Havre le quali mantennero forti legami col Brasile, ma gli statunitensi scoprirono le nuove degustazioni provenienti dai paesi centroamericani. Nel giugno del 1915 un giornalista di ritorno dal Guatemala si preoccupò del fatto che "l'impero tedesco ha sempre importato almeno i 2/3 del caffè del centroamerica"; questo prima del ruolo assunto dalla California[248].
Dal 1821 al 1947 le isole dei Caraibi, l'impero del Brasile, il Venezuela e l'Asia alimentarono la sovrapproduzione mondiale la quale cominciò a scendere solo a metà degli anni 1840. Contemporaneamente la forte domanda di schiavi impose all'impero britannico un controllo sempre più stretto della tratta atlantica degli schiavi africani - con prequisizioni a sorpresa delle navi negriere per opera della Royal Navy - grazie alla stipulazione di trattati internazionali e il diritto di visita sulle imbarcazioni straniere.
L'interdizione della tratta negriera in Brasile nel 1850 e a seguire l'abolizione della schiavitù in Venezuela nel 1854 (in questo secondo paese la pratica rimase però sempre meno diffusa), sembrò rivelarsi al passo con la scelta di coltivazione del caffè per i piccoli e medi agricoltori; questo finanziando ed esportando strutture, banche, porti e ferrovie verso nazioni in cui la maggior parte dell'opinione pubblica condannava il commercio degli schiavi in una maniera decisamente vigorosa. Ma nello stesso tempo tali paesi continuarono in parte ad utilizzare ancora per un certo periodo il lavoro servile.
Lo sviluppo della ferrovia nella Capitaneria generale di Cuba, poi in tutto il centroamerica e in territorio brasiliano, insieme ad economie di scala nella navigazione a vapore (vedi piroscafo) guidate dal boom dell'immigrazione europea, venne facilitato dalla forte crescita economica degli anni 1850 e consentì di ridurre i costi di trasporto in un momento in cui il costo del lavoro risultò in aumento. L'ultimo approdo di navi negriere a Cuba viene datato al 1867. In Venezuela i piccoli agricoltori indebitati divennero una forza politica importante in un paese diviso.
Viceversa il continente asiatico rallentò, mentre il lavoro forzato fu imposto a Ceylon britannico nel 1848, un decennio dopo che nelle Indie orientali olandesi; una tale disposizione incontrò una forte resistenza da parte delle popolazioni locali e danneggiò lo sviluppo della caffeicoltura (a causa di frequenti proteste le quali a volte condussero ad autentiche sollevazioni anticolonialiste).
Cuba rinuncia al triplo commercio di zucchero, caffè e schiavi
I piantatori cubani si riciclarono nella coltivazione dello zucchero verso gli anni 1840. Le grandi piantagioni acquistarono gli schiavi adibiti precedentemente alla coltivazione del caffè[249]; la produzione di zucchero raggiunse le 148.000 tonnellate annuali nel periodo 1841-46 e le 266.000 tra il 1855 e il 1860. Salì a 500.000 nel 1862-64 e a più di 600.000 nel 1867[250]. Nel XX secolo Cuba sarà la più grande esportatrice di zucchero al mondo.
Media annuale | 1790 | 1841-1846 | 1855-1860 | 1862-1864 | 1867 |
Tonnellate di zucchero cubano | 14 | 148 | 266 | 500 | 600 |
Il risultato di quest'enorme espansione, accompagnato alla repressione sempre più rigorosa del commercio colonico schiavista da parte dei britannici, fece aumentare il prezzo degli schiavi del 150% tra il 1836 e il 1845 e poi ancora dal 1856 al 1865. Il costo in dollari fu quasi 4 volte superiore a quello prsente nell'impero del Brasile 15 anni prima.
Per l'intero periodo 1831-50 le operazioni britanniche di contrasto alla tratta negriera accrebbero drasticamente il valore del lavoro servile cubano, 300[251] dollari per intermediazione contro i 193 del lavoro brasiliano (tra il 1826 e il 1845)[251], ben al di sopra dei 230 pagati in media dai coltivatori della Colonia della Giamaica nel 1790[251].
I piantatori di zucchero dovettero quindi introdurre altra manodopera, trovata tra gli indiani Maya dello Yucatan catturati dall'esercito messicano e verso il 1860 tra i "turchi" (di fatto egiziani e siriani); in seguito, in massa, tra i cinesi (150.000 tra il 1847 e il 1874) provenienti da Macao e Canton.
Lo sviluppo della rete ferroviaria la quale collegò le regioni dello zucchero alla costa ne facilitò la crescita, così come il prezzo più alto degli schiavi spinse i coltivatori di caffè a prendere atto dell'aumento della concorrenza mondiale per realizzare il proprio patrimonio e non investire più[252].
Ciò fu accresciuto dal fatto ché le regioni del caffè situate nella metà orientale dell'isola - a Est di Santa Clara e Caibarién - beneficiarono dello sviluppo ferroviario solo molto più tardi, intorno al 1898 a differenza dell'Ovest e del Centro favorito già dagli anni 1840. L'Ovest concentrò l'80% dell'intera rete ferroviaria cubana. La produzione di caffè declinò allora rapidamente.
Quinquennio | 1831-1835 | 1836-1840 | 1841-1845 | 1846-1850 | 1851-1855 | 1856-1859 |
Produzione di caffè cubano (in milioni di libbre) | 50,1 | 47 | 42,2 | 19,2 | 13,7 | 5,1 |
Anni 1850 in Brasile, ferrovie e schiavitù più costosa minacciata dall'abolizionismo
Tra il 1822 e il 1843 il caffè venne suddiviso in 4 categorie di prezzi a seguito delle prime ondate di deforestazione eseguite nell'impero del Brasile, in America Centrale, nella Colonia della Giamaica e nella Capitaneria generale di Cuba, ma questi ebbero due cali rispettivamente negli anni 1830 e 1840; recuperarono il 50% del loro valore entro il 1858[95] per poi riprendere la discesa con una perdita del 18% fino al 1861[95].
Grazie alla forte ripresa economica globale degli anni 1850 riuscì a mantenere i prezzi in salita (fino al 50% in più)[177], con un contemporaneo aumento dei consumi nella Confederazione germanica e negli Stati Uniti d'America; le due nazioni preferirono le forniture brasiliane e centroamericane. Nel Secondo Impero francese il caffè si aggiunse alle razioni abituali individuali quotidiane all'interno delle forze armate. Tra il 1846 e il 1864 la produzione brasiliana ristagnò. Nella tabella che segue l'unità di riferimeno è il sacco da 60 kg:
Anno | 1846 | 1854 | 1864 | 1867 |
1,5 milioni | 2,5 milioni | 1,4 milioni | 2,7 milioni |
Questo recupero dei prezzi permise al leader mondiale brasilano di superare il problema dato dal forte aumento del costo degli schiavi. Gli storici constatano una caduta dei prezzi nel 1823, quando le campagne attuate contro la tratta atlantica degli schiavi africani divennero sempre più importanti per la causa dell'abolizionismo nel Regno Unito; ma a seguire vi un forte aumento verso la fine degli anni 1840, in previsione dell'abolizione della tratta degli schiavi[253]. Questa venne decisa dal gverno nel 1850[253], sebbene lo schiavismo continuò ancora fino al 1888.
Nel marzo del 1845 terminò il periodo stipulato nell'ultimo trattato tra Brasile e Regno Unito. In agosto George Hamilton Gordon, IV conte di Aberdeen fece promulgare l'"Aberdeen Acr" il quale conferì alla Royal Navy il diritto di procedere alle ispezioni delle navi negriere anche nelle acque territoriali brasiliane.
Il prezzo della schiavitù in Brasile culminò nel 1850, dopo un progressivo aumento del 30% in 10 anni, ma poi declinò[253] lentamente poiché i piantatori di palma della colonia francese di Dahomey ne decretarono il termine[253], soprattutto a seguito del blocco navale inglese nel 1851-52 atto ad impedire il commercio negriero. I britannici esercitarono forti pressioni ed intervennero a favore dell'abolizionismo per tutti gli anni 1840[254].
Il Brasile gicò allora una nuova carta, lanciandosi in audaci progetti ferroviari, che alla fine riuscirono a realizzare. Decisa nel 1852 la prima linea ferroviaria stabilta in territorio brasiliano sarà inaugurata 2 anni dopo[255]; essa venne a collegare Magé allo scalo merci portuale di Mauá[256][257], sotto l'impulso dell'imprenditore e banchiere Irineu Evangelista de Sousa (ribattezzato il "Rothschild sudamericano")[258].
Nel 1859 de Sousa (soprannominato "Barão de Mauá")[259] convinse il governo ad avviare la costruzione di una tratta lunga 79 km per poter unire le piantagioni di caffè di San Paolo a Santos, attraversando la "cordigliera del mare" con dei passaggi a più di 800m d'altitudine e pendenze di quasi il 10%. Nel frattempo venne ampliato anche il porto di Santos. Il commerciante Antonio de Lacerda[260] fondò l'omonimo gruppo nel 1860 il quale divenne rapidamente il più grande esportatore di caffè con 480.000 sacchi annuali[261], davanti alle due società tedesche Zerrener Bülow (450.000) e Berla Cotrim (240.000)[261].
Il "cammino ferrato" brasiliano nelle sue fasi iniziali rimase focalizzato sulle esigenze delle regioni a Sudovest ove operavano i coltivatori di caffè; la concessione di prestiti si mantenne relativamente difficoltosa[262], laddove invece i piantatori più ricchi investirono in azioni di società ferroviarie come la "São Paulo Railway" riuscendo in tal maniera ad opporsi agli sconti tariffari da fornire ai concorrenti[4]. A cavallo del XX secolo il trasporto via treno rappresentò in media il 15-22% dei costi di produzione[4].
Nel frattempo la repressione sempre più decisa del commercio degli schiavi e l'impoverimento progressivo del suolo influnzarono il caffè brasiliano. Tra i primi anni 1840 e la metà degli anni 1860 la produzione nel medio periodo si mantenne stabile, nonostante i relativi alti e bassi. Un milione e mezzo di sacchi da 60 kg nel 1846[263], 2,25 nel 1854 e 1,48 nel 1864, prima del decollo nel 1867 in occasione dell'apertura della "São Paulo Railway". La politica di donazione dei terreni iniziata nel 1850[264] cominciò a dare i suoi primi frutti.
La delocalizzazione ed il conseguente trasferimento del potere politico e finanziario a Sud facilitò lo sviluppo della produzione[254] in direzione di Itu e Campinas, regioni fino a quel momento dedicate alla canna da zucchero[265]. Le possibilità sempre minori di poter utilizzare il lavoro schiavista nutrì il mercato interno della manodopera proveniente dalla Regione Nordest del Brasile[254]. Studi condotti sui movimenti interni degli schiavi brasiliani hanno dato chiare indicazioni sull'importazione di schiavi dalla regione Nord del Brasile verso la zona di frontiera del "caffè Paulista"[102], anche se i dati del commercio inter ed intraregionale degli schiavi sono rari a causa dell'assenza di registrazioni regionali, provinciali o nazionali fino al censimento del 1872[102].
Per rimpiazzare gli schiavi l'impero del Brasile attrasse anche molti emigranti provenienti dal regno d'Italia, dall'impero tedesco, dal regno di Grecia, dall'Europa orientale, dal Medio oriente e perfino dal Giappone. Molti di loro divennero presto autosufficienti e finirono col comprare porzioni di piantagione dei loro primi padroni[254].
Degli investimenti a favore del caffè beneficiò tutta la regione Sudest del Brasile: ferrovie, porti, strade e città crebbero come funghi; seguirono quartieri residenziali, aziende ufficiali, teatri, piazze e rivenditori, il tutto su un modello prettamente europeo. Questa rappresentò la seconda ondata di europeizzazione, 3 secoli dopo l'approdo dei primi portoghesi[254].
La crisi finanziaria rafforza il peso politico dei coltivatori venezuelani
Le piantagioni di caffè concentrate inizialmente sulla Cordillera Central della Grande Colombia e poi ai confini del nuovo Venezuela appena costituitosi furono in prima linea quando la crisi economica causata dalla sovrapproduzione globale e il calo dei prezzi di 1/3 in 17 anni ebbe inizio nel 1840; dai 9 peso nella stagione 1831-32 caddero a 6 nel 1848-49[174]. Nello stesso periodo quelli del cacao saliranno da 13 a 16 pesos per libbra[174][173]. Le esportazioni di questi due prodotti dal Venezuela in migliaia di libbre[174] e i rispettivi prezzi medi in centesimi per libbra[174] furono i seguenti:
Anni | 1831-32 | 1833-34 | 1837-38 | 1840-41 | 1842-43 | 1844-45 | 1848-49 |
Produzione di caffè | 11.500 libbre | 11.600 libbre | 17.500 libbre | 25.600 libbre | 29.600 libbre | 39.000 libbre | 39.300 libbre |
Prezzi medi del caffè | 9 centesimi a libbra | 11 centesimi | 9 centesimi | 9 centesimi | 8 centesimi | 8 centesimi | 6 centesimi |
Produzione di cacao | 7.200 libbre | 5.300 libbre | 5.800 libbre | 7.600 libbre | 8.900 libbre | 9.200 libbre | 7.500 libbre |
Prezzi medi del cacao | 13 centesimi a libbra | 13 centesimi | 12 centesimi | 17 centesimi | 15 centesimi | 15 centesimi | 16 centesimi |
Il caffè passò dal 37% delle esportazioni venzuelane nel 1831-32 al 22% nel 1848-49. Il sovraindebitamento raggruppò i coltivatori politicamente. Il 20 agosto del 1840 il leader liberale Antonio Leocadio Guzmán[266] fondò il giornale El Venezolano e subito dopo il "Gran Partido Liberal de Venezuela".
Il paese rafforzò i propri legami con le nazioni estere e dispose di un consolato a Bordeaux, il principale porto francese d'importazione del caffè e dove il quotidiano La Gironde trasmise frequentemente notizie fresche provenienti dal Venezuela[267]: i dirigenti consolari José Antonio Carrillo y Navas, Manuel Vicente Montenegro e Pío Morales Marcano si assicurarono gli scambi cmmerciali con i francesi. Il "Partito liberale" giunse al potere 8 anni prima dello scoppio della guerra civile del 1859-63 [268][269].
I liberali rappresentarono le regioni del caffè poste ad Oriente, maggiormente modernizzate e legate al commercio internazionale; furono anche denominati federalisti in quanto desiderarono una maggiore autonomia per le province, in opposizione al partito conservatore accusato di monopolizzare le posizioni governative e le proprietà terriere rifiutando ogni tipo di compromesso per una qualsiasi riforma. I due figli dell'ex presidente del Venezuela José Tadeo Monagas divennero entrambi esponenti liberali. Nel 1854 José Gregorio Monagas aveva fatto votare la legge che abolì la schiavitù, esattamente un secolo dopo l'importazione di 2.000 schiavi africani nel Distretto Capitale. Il fratello José Ruperto Monagas abolirà la pena di morte nel 1869.
Fu la guerra civile più sanguinosa dall'epoca dell'indipendenza, amplitasi soprattutto nella forma di guerriglia e causando centinaia di migliaia di morti, spesso per fame o malattie, in un paese di 1 milione di abitanti. Il governo legittimo si raccolse attorno ad una serie di enclave nei pressi dei porti del commercio internazionale; Caracas detenne il porto di La Guaira servito dalla ferrovia, Valencia ebbe quello di Puerto Cabello, mentre Maracaibo fu di per sé un'enclave collegata mediante il sistema fluviale e quello del lago di Maracaibo con le regioni andine dei coltivatori di caffè a Táchira, a ridosso delle caffeicolture colombiane.
Dopo 15 anni di sviluppo nel 1868 la produzione stagnò a circa 7.000 tonnellate annuali[270], prima di riavviare un ciclo d'espansione tra il 1872 e il 1893[140]; il caffè venezuelano crebbe ancora per un breve periodo e il paese continuerà a rimanere il 2° produttore mondiale ancora nel 1900[103]. La fase venne guidata dalle colture in progressione nelle tre regioni andine di Táchira, Trujillo e Mérida, che insieme rappresentarono il 45% della produzione nazionale nel corso degli anni 1920 al momento del loro apogeo[140].
"Max Havelaar", il malessere del colonialismo olandese a Giava
Eduard Douwes Dekker, ufficiale coloniale olandese dal 1834[23], venne designato nel 1857 per assumere la direzione del servizio di assistenza alla reggenza di Lebak a Giava Occidentale; qui cominciò a protestare apertamente contro lo sfruttamento e gli abusi perpetrati dai reggenti e la pessima condotta delle autorità coloniali[23]. Fatto rimpatriare continuò le proprie proteste con articoli giornalistici e tramite opuscoli[23], fino a quando nel 1860 fece pubblicare il proprio libro intitolato Max Havelaar[23] sotto lo pseudonimo di Multatuli[23].
Aspramente criticato dai suoi superiori dell'amministrazione coloniale delle Indie orientali olandesi venne di colpo inscritto ad eroe indonesiano e registrato negli annali storiografici del paese[23]; otterrà in seguito il riconoscimento ufficiale anche attraverso una statua in suo onore posizionata tra i canali di Amsterdam.
Nel 1867 il prezzo d'acquisto del Java venne fortemente incrementato, anticipando l'aumento dei prezzi mondiali e rianimando le piantagioni cadute in una fase di stallo. Il desiderio di acconsentire agli interessi commerciali privati di essere maggiormente coinvolti nella produzione di colture condusse nel 1870 all'abrogazione del "Cultuurstelsel" (il consacrare la maggior parte della produzione agricola all'export). Ma a causa della sua redditività la coltivazione del caffè preminentemente da esportazione rimase in vigore fino agli inizi del 1900[23].
Compagnie di navigazione tedesche e ferrovia di Panama
Tra il 1850 e il 1880, per reagire ai "colli di bottiglia", un gran numero di compagnie europee di battelli a vapore iniziò un servizio regolare verso l'impero del Brasile dove le infrastrutture portuali vennero gradualmente migliorate, riducendo così in maniera decisiva i costi di trasporto[4].
Le navi transoceaniche trasportarono il caffè ad Amburgo, Brema e Lubecca per ripartire poi cariche d'immigrati, approfittando cos' dell'importanza assunta dall'immigrazione tedesca in territorio brasiliano, dove la prima colonia vi si stabilì poco dopo il 1824. Tra il 1825 e il 1875 da 20 a 28.000 migranti tedeschi giunsero a Rio Grande do Sul; quasi tutti si trasformarono in agricoltori.
La compagnia di navigazione HAPAG (Hamburg America Line) nata nel 1847 venne fondata da Adolf Godefroy con l'apporto di Ferdinand Laeisz, H. J. Merck, Carl Woermann e August Bolten ed a cui aderirono il secolo seguente anche Albert Ballin e Wilhelm Cuno. Essa lanciò il servizio per il porto di Colón[202], permettendo in tal modo al caffè di attraversare via treno l'istmo di Panama dopo il completamento del tratto ferroviario nel 1855 e di raggiungere il continente europeo senza l'obbligo di dover doppiare Capo Horn.
La società mercantile tedesca "Hockmeyer & Rittscher" istituì una succursale in Guatemala nel corso degli anni 1850, organizzando le esportazioni di caffè in direzione di Amburgo[202]. A partire dal 1858 rappresentò la Panama Railway. Solo più tardi le compagnie di navigazione inglesi si lanciarono anch'esse nell'affare[202]. "Rieper Augener", "casa di commercio" di Brema, fu l'agente della Norddeutscher Lloyd[203] fondata nel 1857 da Eduard Crüsemann grazie ai finanziamenti di Hermann Heinrich Meier, fondatore a sua volta della nuova borsa valori bremese nel 1861.
Poterono così essere trasportati con facilità migliaia di emigranti da Bremerhaven negli Stati Uniti d'America, caricando poi il tabacco e il cotone statunitense; la società utilizzò una rete di agenti con altre compagnie marittime bremesi; tra queste vi fu la "C. Melchers& Co." la quale aprì un ufficio ad Hong Kong nel 1866, divendo in tal modo il suo agente asiatico.
Nel 1871 11 case commerciali amburghesi fondarono la compagnia di spedizioni "Hamburg Süd" guidata da Heinrich Amsinck. Tre vapori da 4.000 tonnellate lorde servirono mensilmente oltre al Brasile anche l'Uruguay e l'Argentina. I costi di spedizione inferiori[4] inoltre aumentarono la redditività dei coltivatori della Costa Rica.
La colonizzazione tedesca si rivolse poi alle terre vergini del Guatemala, facilitata dalle lettere di presentazione del proprietario terriero Rodolfo Dieseldorff, installatosi a partire dal 1862 nel Dipartimento di Alta Verapaz e a Quetzaltenango come coltivatore di caffè. Nel 1876 iniziò a costruzione dell'originaria tratta ferroviaria guatemalteca[271]; la prima sezione si collegò nel 1880 a Puerto de San José sulla costa pacifica e a Escuintla, dove il francese Oscar Teil aveva piantato 110.000 alberi di caffè tra il 1856 il 1859[202][272]. La rete venne estesa a Città del Guatemala nel 1884. Il diplomatico tedesco Von Erckert riferì che il nuovo governo preferiva che, nel pericolo che il capitale nazionale si estinguesse, i centri urbani imprenditoriali tedeschi venissero completati al più presto possibile.
Alta Verapaz già nel 1890 ebbe i 2/3 dell'intera produzione di caffè sotto il diretto controllo tedesco[273]. Nel 1900 vi furono 1.000 persone, salite a 3.000 nel 1930, soprattutto a Cobán e nelle vicine zone montuose al confine col Chiapas messicano. Solo a seguito delle forti pressioni esercitate dal governo statunitense la maggior parte dei coloni venne espulsa nel corso degli anni 1940.
Nel vicino El Salvador si creò una "repubblica del caffè", favorendo gl'interessi dei proprietari terrieri e l'oligarchia delle cosiddette "14 famiglie".
In Nicaragua i tedeschi si stabilirono a Matagalpa, Estelí e Jinotega, ove a tutt'oggi esistono ancora molti nicaraguensi d'origini tedesche.
Apertura del canale di Suez
Nel 1867 si inaugurò la "São Paulo Railway". In quello stesso anno il tratto ferroviario Colombo-Kandy si spinse fino a Nuwara Eliya da un lato e Matale dall'altro.
Ma fu soprattutto l'apertura del canale di Suez a rappresentare un avvenimento fondamentale nella storia della caffeicoltura di Ceylon britannico, delle Indie orientali olandesi e di tutta l'area dell'Oceano indiano[229], con un forte calo dei costi di trasporto negli anni immediatamente seguenti e una completa mancanza di presa di coscienza relativa al dramma agronomico che si stava verificando. Quest'ultimo scoppiò in tutta la sua virulenza nel 1869, solo dopo 2 anni l'entrata in funzione del "Canale" e porterà alle più gragiche conseguenze nei decenni 1880-90 spargendosi ampiamente in tutta l'Asia e l'Oceania.
Redistribuzione mondiale della caffeicoltura negli anni 1870-90
I tedeschi introducono la caffeicoltura in Guatemala, Messico e Africa orientale e la ferrovia in Costa Rica
La coltura del caffè si estese durante gli anni 1880 dalla costa Nordovest del Guatemala verso Nord, attraversando le frontiere incerte del Soconusco (Sudovest del Messico) nel Chiapas. L'annessione della regione nel 1824 non venne accettata né dal Guatemala né dall'élite dominante del Soconusco. Durante i conflitti eslosi nei decenni successivi la popolazione favorì l'integrazione col Guatemala[274].
A seguito dei negoziati svoltisi nel 1877-79 venne firmato un trattato nel 1882 col tentativo di formalizzare reciprocamente il Confine Guatemala-Messico: ciò divise Soconusco - la maggior parte del quale rimase sotto il Messico - e portò ad una politica lberale di colonizzazione dei "terreni vergini", ma che in reltà appartenevano ai Nativi americani.
Il cancelliere del Reich Otto von Bismarck incoraggiò il Regno di Prussia a giocare la "carta coloniale", alleandosi con i governi filoeuropei guatemalteco e messicano; finanziò l'introduzione della ferrovia e la creazione di grandi aree depresse da coltivare a caffè lungo tutta la costa pacifica. Il negoziante di Brema
Edward Delius sostenne anche la partecipazione tedesca nella creazione della ferrovia costaricana, con l'aiuto d'ingegneri tedeschi ed in cambio di una presenza navale fissa. Franz Kurtze venne assoldato nel 1866 per dare inizio all'operazione. Il progetto sarà fortemente ostacolato dagli atti di sabotaggio perpetrati dalla pirateria statunitense; la Costa Rica si sentì pertanto in obbligo di appellarsi a John Charles Frémont, un ex alto ufficiale della guerra di secessione americana, assegnandogli il controllo organizzativo. I lavori saranno però in seguito diretti dal generale Tomás Guardia Gutiérrez dopo che questi attuò un colpo di stato nel 1870[275], ma essi si scontrarono soprattutto con le difficoltà rappresentate dalla giungla, le abbondanti piogge stagionali, le malattie tropicali e la topografia estremamente accidentata.
Nel 1871 il generale Justo Rufino Barrios Auyón partecipò ad una sollevazione di Stato nel Guatemala, l'altro paese del caffè dell'America Centrale. Eletto presidente nel 1873 lanciò tre anni dopo il progetto di costruzione della prima ferrovia; nel 1880 la strada ferrata collegò Puerto de San José a Escuintla, dove il francese Oscar du Teil aveva impiantato 110.000 arbusti di caffè tra il 1856 e il 1859[202]. Dopo che il capitale nazionale si prosciugò Barrios scelse di fare affidamento sugli aiuti tedeschi.
I mercanti teutonici cominciarono ad arrivare già dagli anni 1850 e furono i grandi vincitori nel campo delle privatizzazioni avviate nei primi anni 1870; si "ruralizzarono" acquistando ampie aree agricole e consolidarono la loro supremazia politica del tutto a scapito della formazione di una borghesia nazionale[150]. Nel 1885 controllarono l'83,5% del commercio d'importazione e nel Dipartimento di Alta Verapaz già nel 1890 i 2/3 dell'intera produzione di caffè sarà in mano tedesca[150].
Con l'istituzione dell'impero tedesco Bismarck incoraggiò le aziende nazionali a costruire per conto proprio i tratti ferroviari verso i Grandi Laghi e i vulcani dell'Africa orientale tedesca, là ove i botanici (appassionatisi per le difficoltà incontrate nelle Indie orientali olandesi) entrarono nella grande sfida imposta dalla "ruggine del caffè" rilevando piantagioni ad alto potenziale da situare tra la zona vulcanica e i laghi interni.
Espropriazione delle comunità indigene guatemalteche
Come già detto dopo aver partecipato ad un tentativo di colpo di stato nel 1871 il generale Justo Rufino Barrios Auyón venne eletto presidente del Guatemala nel 1873; fece attuare un cospicuo piano di privatizzazione delle terre: gli immigrati tedeschi ne risultarono i grandi vincitori. Sequestrò le proprietà ecclesiastiche e abolì i contratti a lunga scadenza concessi dalle autorità precedenti; creò al loro posto terreni municipali e comunali emettendo titoli di proprietà i quali saranno poi venduti ai coltivatori di caffè.
La somma totale fu di 370.000 ettari tra il 1871 e il 1883 ubicati nelle zone maggiormente fertili, innanzitutto a Flores Costa Cuca, che aveva fino ad allora servito ai Maya per la propria agricoltura di sussistenza[276]. La produzione di caffè guatemalteco raggiungerà le 24.000 tonnellate nel 1891: "l'integrazione definitiva dell'America centrale nell'economia di mercato mondiale" si basò quindi sull'esportazione di caffè su vasta scala (questo secondo l'esperto in sociologia Edelberto Torres Rivas)[277].
Ad El Salvador le legislazioni del 1881-82 abolirono il sistema indigeno delle terre comunitarie, accusato di "impedire lo sviluppo agricolo" e di "indebolire i legami familiari e l'autonomia degli individui". Anche il presidente del Nicaragua José Santos Zelaya (1893-1909) privatizzò buona parte delle terre fino a quel momento assegnate alle popolazioni dei nativi americani, con le forze militari e poliziesche poste al servizio dei proprietari terrieri e dei governi locali. Il processo si rivelò più centralizzato rispetto a El Salvador e le imprese private, piccole e medie, prima del boom del caffè, riuscirono almeno parzialmente a sopravvivere[276]. Lo sviluppo della caffeicoltura rimase limitata in Nicaragua.
Nel frattempo la privatizzazione guatemalteca accelerò tra il 1896 e il 1918. Nei 7 dipartimenti con maggior popolazione indigena, il 45% dei rivenditori di lotti terrieri furono di origine spagnola o comunque europea ed approfittarono ampiamente dei massicci investimenti nati dalle prime colture, così come fecero anche i commercianti, i venditori di liquore e i fornitori di manodopera. Già la riforma del 1873 aveva reso il caffè il prodotto principale[278], approccio questo ribadito anche attraverso la creazione del "Banco de Occidente" nel 1881[278]. Le proprietà comunali e municipali poco per volta finirono con l'essere del tutto destrutturate e scomparvero[278].
Il Ley de Jornaleros, promulgato definitivamente nel 1877, istituì il lavoro forzato gratuito. Esso costrinse i lavoratori rurali a portare con sé un documento contenente gli obblighi del loro contratto di lavoro e si distinsero principalmente in tre categorie: i lavoratori residenti, quelli stagionali ed infine gli operatori agricoli liberi (quest'ultima rimase piu che altro a livello prettamente teorico)[278].
Un decreto prescrisse la "trasmissione ereditaria dei debiti", gonfiata da varie pratiche relative quali il cibo acquistato giornalmente presso il negozio della piantagione, la paga anticipata e la gestione dei conti. Nella pratica il sistema permise di adibire gli indigeni a "servi della gleba", secondo l'istituzione coloniale del "mandamiento" la quale diede il potere di reclutare forzosamente all'interno di ogni comunità nativa squadre di 30 o 60 lavoratori.
Venne inoltre usata la forza militare - costituita dalll'esercito e dalla milizia privata dei piantatori - nelle comunità dell'Altiplano. Questa violenza "stagionale" interessò decine di migliaia di uomini, donne e bambini e condusse alla migrazione permanente d'interi villaggi verso le piantagioni di caffè del versante Pacifico.
A Salvador, più densamente popolata, s'installò una "repubblica del caffè" la quale promosse gli interessi oligarchici delle "14 famiglie". In pochi anni venne sostituito l'indaco, spazzato via verso il 1780-80 dai coloranti sintetici, e diverse colture animali in molte province. La completa privatizzazione delle terre trasformò la gran parte dei contadini salvadoregni in potenziali lavoratori giornata; stabilito quale dovesse essere il villaggio interessato dai funzionari, polizia rurale ed esercito assicurarono la loro efettiva presenza nelle piantagioni col pretesto di prevenire invasioni di terre e di vietare il vagabondaggio.
Nel 1885 il caffè determinò il 73% del valore totale delle esportazioni nella Costa Rica, l'85% in Guatemala e il 53% a Salvador[277], differenziando significativamente le strutture sociali preesistenti. Due gruppi allora si opposero all'autorità legittima - ricorrendo anche all'uso della forza come strumento di legittima difesa - in Guatemala (ove il 67% degli andini di ribellò), El Salvador, Nicaragua e Costa Rica[276]: le piccole aiende agricole a conduzione familiare e i salariati non andini.
Nella sua costante preoccupazione di modernizzazione la seconda generazione liberale guatemalteca promosse progetti d'immigrazione sia nel 1868 che nel 1877. Nel Dipartimento di Alta Verapaz nel 1890 i tedeschi inglobarono sotto il loro controllo i 2/3 della caffeicoltura nazionale[279]. Lo storico e economista Julio Castellanos Cambranes ha definito il concetto di "Stato oligarchico basato sul caffè"; negozianti e coltivatori, proprietari terrieri, commercianti e ufficiali pubblici vollero riorganizzare il paese attraverso la promozione di una rapida modernità sottomessa ai loro precisi interessi[280].
In un primo momento si scontrarono contro gli ostacoli posti dalle rivalità e le tensioni esistenti tra la vecchia oligarchia creola della capitale e l'élite provinciale di Los Altos (America centrale) (a Quetzaltenango) dall'altra. La popolazione indigena riuscì a difendere a fatica la proprietà comunitaria della terra e a conservare aree di memoria e/o cultura popolare[280]; questo almeno fino ai primi anni 1870, quando la nuova elite provinciale risultò essere necessaria al governo centrale; in un'alleanza con gli ex rivali svilupparono tutta una serie di progetti di "civilizzazione" per disciplinare gli indigeni[280].
I possidenti terrieri indigeni di Boca Costa e a Verapaz rimasero molto coinvolti nella moltiplicazione delle proteste[280] e delle azioni legali, dando luogo anche a vere e proprie ribellioni[280]. Le disuguaglinze razziali ereditate dal periodo coloniale non fecero altro che rafforzarsi grazie ai discorsi (allora considerati perfettamente "scientifici") sulla superiorità e la degenerazione della "razza" promossi dal razzismo scientifico; opinioni del tutto condivise da buona parte degli immigrati europei[280].
Scritti, lettere, racconti, rapporti di ricerca e memorie di viaggiatori ed esploratori, d'immigrati europei ed investitori (soprattutto tedeschi) giunti in Guatemala tra il 1860 e il 1920, esprimono "un forte sentimento di disprezzo nei confronti della popolazione nativa, considerata indolente e del tutto incapace di sfruttare al massimo livello possibile le risorse natutali di cui dispone"[280].
Servire militarmente nelle zone del caffè diede libero accesso a posizioni più alte nel governo regionale e nazionale, oltre che alla terra per la creazione di nuove aiende. I soldati e le milizie locali monitorarono l'analisi e l'assegnazione dei terreni, frenando e reprimendo le rivolte sobillate dagli indigeni[280]. Gli alti ufficiali assieme alle loro famiglie divennero proprietari di vasti appezzamenti ad Alta Verapaz e a Boca Costa, nel Dipartimento di Suchitepéquez e a Quetzaltenango (al tempo la seconda città gutemalteca per dimensioni)[280], le cui economie crebbero con la creazione della ferrovia a San Marcos (Guatemala)[280].
I dirigenti statali ricevettero una gran quantità di terreni, ma i villaggi indigeni resistettero e si sollevarono. Durante il "boom del caffè" le elite dei maticci che risiedevano nelle foreste di Los Altos occuparono alti incarichi sia nell'esercito che negli uffici governativi[280].
Insediamenti tedeschi a Soconusco, nel Sudovest messicano
Sotto l'impulso delle grandi piantagioni tedesche la coltivazione del caffè si duffuse negli anni 1880 dalla costa Nordoccidentale del Guatemala presso Soconusco, nel Sudovest del vicino Messico. L'élite della regione rimase però legata allo Stato confinante e la popolazione espresse il suo desiderio d'integrarsi con la società guatemalteca[281] durante i conflitti che condussero ai negoziati del 1877-79 i quali formalizzarono infine nel 1882 un trattato il quale determinò il Confine Guatemala-Messico; esso concesse alla nazione messicana la maggior parte del territorio conteso.
Nel 1847 il veneziano Geronimo Manchinelli introdusse il caffè nella parte messicana di Soconusco a Tuxtla Chico, seppur su scala modesta[282]; verrà seguito dal diplomatico e ministro Matías Romero Avendaño, ritiratosi in Chiapas nel maggio del 1872 per dedicarsi alla caffeicoltura sulla quale scrisse anche una monografia[283]. Fu eletto senatore nel 1875 e poco dopo promosse l'istituzione di una linea ferroviaria nell'Istmo di Tehuantepec.
I tedeschi giunsero a Soconusco tra gli anni 1870 e 1880[150] direttamente dall'impero tedesco o provenendo dal Guatemala, dove già possedevano delle "Finca" (aziende agricole); investirono capitali e tecnologie e finirono con il controllare il mercato delle esportazioni. Le società commerciali di Amburgo, Brema e Lubecca intanto cercarono di accrescere il proprio peso finanziario monopolizzando l'approvigionamento europeo di caffè[150]; tra questi imprenditori emigrati si segnalarono[150] i Nöttebohm di Königsberg, gli Schröder di Amburgo, i Melchers di Brema, i Wölhler Bartning stabilitisi a Mazatlán, mentre i fratelli Oetling risidettero a Manzanillo[150].
I tedeschi lavorarono e s'impegnarono diligentemente per riuscire ad acquitare grandi proprietà. L'autocrate Porfirio Díaz assunse il potere nel 1876 istituendo immediatmente il "Porfiriato" con l'intento precipuo di fare del Messico un paese "sviluppato" sulla linea data dal modello del capitalismo occidentale[284][285]; schiacciò innanzitutto con estrema brutalità le rivolte contadine e indigenere[284].
I fianchi dello stratovulcano Tacaná, il 3° più alto di tutta l'America centrale posto a 4.061 m sul confine guatemalteco[285], grazie alla loro estrema fertiltà potenziale[284] vennero considerati come proficuamente utilizzabili; i tedeschi vi operarono quindi il dissodamento del terreno boschivo piantandovi il caffè ed utilizzando a tale scopo una forza lavoro prevalentemente nativa, ma composta anche di Nanakas importati dalle isole dell'Oceano Pacifico[284][285].
Nel 1890 Díaz e Otto von Bismarck collaborarono per inviare 450 famiglie tedesche a Soconusco, nei pressi di Tapachula. Le principali aziende agricole vennero costruite nella giungla dei "Chapaneca" e presero nomi tedeschi quali "Amburgo, Brema, Lubecca, Agrovia, Bismarck, La Prussia e Hannover". Anche svariati messicani, statunitensi e giapponesi crearono le proprie coltivazioni nelle parti più alte, fino a 1.800 m di altitudine, laddove invece il cacao poteva essere impiantato solo tra i 200 e i 500 m.
Tra il 1895 e il 1900 11.500 tonnellate di caffè furono raccolte nel Soconusco; tra il 1890 e il 1910 la regione divenne quindi la più grande produttrice messicana[286]. Essa si amplierò poi verso le montagne di Veracruz sulla costa del Golfo del Messico e della foresta abitata dai Lacandòn. Uno dei primi 2 snodi ferroviari del Chiapas ad inizio secolo seguì la costa pacifica, ma il tonnellaggio rimase limitato a causa della vetustà dei traballanti ponti di legno che atraversavano i corsi d'acqua.
I mascareni registrano un lungo declino nella caffeicoltura
Il successo del Canale di Suez consentì di riprendere la coltivazione nell'area esterna dell'arcipelago costituito dalle Isole Mascarene (soprattutto Mauritius e Riunione; il proposito si svolse in 2 fasi: dal 1865 al 1871, quando s'incrementò da 2 a 4.000 ettari e poi dal 1878 al 1881, quando vennero raggiunti i 6.000 ettari coltivabili.
Fino a quel momento la produzione aveva continuato incessantemente a diminuire passando da circa 7.000 piantagioni negli anni 1817-19 a 4.000 nel biennio 1829-30, fino a toccare un fondo con meno di 3.000 nel 1850. Furono coinvolte la concorrenza proveniente da quei paesi in cui lo schiavismo sarebbe stato abolito solo in seguito nonché determinanti fattori botanici: esaurimento del suo, imbastardimento delle specie con conseguente abbassamento di qualità, malattie agricole[229].
Sviluppo del caffè in India da parte degli agricoltori delle regioni vicine
Con solo 355 tonnellate prodotte nel 1866 (a partire dalle 62 del 1857) la caffeicoltura nell'impero anglo-indiano crebbe ancora molto timidamente, ma poi cominciò a beneficiare di forti risorse finanziarie - in gran parte europee - da cui trassero il maggior profitto le grandi proprietà costituitesi nel corso degli anni 1850 nell'India meridionale tra le colline del Distretto di Hassan e quelle di Kuder nel Regno di Mysore, con rendimenti alti quasi quanto quelli di Ceylon britannico[229].
Nel periodo compreso tra il 1870 e il 1875 esse utilizzarono circa 150.000 lavoratori annuali reclutati nelle regioni limitrofe[229]. Durante gli anni 1870 le vendite si piazzarono alla 10° posizione tra tutte le esportazioni indiane[229]. La raccolta di un'ottima Coffea arabica culminerà a 25.000 tonnellate, metà di quella ceylonese dello stesso periodo. Come accadde anche a Ceylon il caffè indiano venne gravemente danneggiato dai costi intrapresi nell'intento di combattere la "ruggine del caffè".
Anche per colpa di questo fatto si giunserà alla creazione negli anni 1920 della varietà arabica "Kent", adattata specificamente per il clima indiano molto umido, il che consentirà nel decennio seguente di rimbalzare da 13 a 18.000 tonnellate[287] ripartite essenzialmente in 3 zone: Mysore col 52%, Madras col 24% e Coorg col 22%[287].
Il subcontinente indiano rimase per lungo tempo un luogo di redistribuzione del mercato; Calcutta riesportò da Ceylon e Giava e Bombay dai carghi provenienti da Mokha. Le piccole regioni tradizionali della caffeicoltura, Kerala e Tamil Nadu, vennero rapidamente raggiunte dalle nuove aree impiantate nell'Andhra Pradesh e in Orissa sulla costa orientale del paese; a queste se ne aggiungeranno altre negli Stati di Assam, Manipur, Meghalaya, Mizoram, Tripura, Nagaland e Arunachal Pradesh nell'India nordorientale (conosciuti in lingua inglese col titolo di "Seven Sister")[288].
Picco di 50.000 tonnellate a Ceylon nel 1875
La raccolta di Ceylon britannico raggiungerà un massimo di 50.000 tonnellate nella metà degli anni 1870[229], grazie allo fruttamento intensivo dell'apertura del Canale di Suez[229] e ad una maggior estensione delle piantagioni nel 1878 con 275.000 acri coltivati; il tè nel frattempo ne occupò solamente 4.700. Il seguito fu un precipizio, per colpa del diffondersi della malattia che devastò gli alberi di Coffea[110]; mentre i prezzi mondiali in fase di depressione ne minarono la redittività.
La regressione del caffè fu estremamente rapida nel 1880 e non fece che accelerare con la contemporanea crescita delle piantagioni brasiliane[229]. Ceylon pesò in maniera decisiva sul mercato per soli 3 decenni[229].
Nuovi spazi a Bali, Sumatra e Célèbes
A metà degli anni 1870, dopo l'ondata di aumento dei prezzi globali, le aree produttrici di Coffea arabica ampliarono le loro basi a Sumatra settentrionale negli altopiani vicini al Lago Toba nel 1888, come pure a Bali e Celebes ove il caffè iniziò ad essere piantato attorno agli anni 1850; infine anche a Timor Est.
Una tale diversificazione geografica ridusse gli effetti delle crisi produttive causate dalla malattia che decimò le piantagioni e che obbligherà in parte a rimpazzare l'"arabica" con la Coffea liberica e successivamente con la Coffea canephora[229]. La produzione delle Indie orientali olandesi in realtà decrebbe solamente nel quinquennio 1885-90, scendendo di 2/3 nel 1887 a 43.000 tonnellate[229] e ancora alla metà del 1893 scese fino a 24.000 tonnellate[229].
La "ruggine del caffè" ridisegna la mappa mondiale e le modalità di coltivazione
I prezzi del caffè raddoppiarono tra il 1870 e il 1876 passando da 12 a 23 centesimi per kilogrammo, per poi declinare a partire dal 1879 quando il raccolto di Java toccò una vetta storica di 120.000 tonnellate[289]. Già nel 1868 la produzione era temporaneamente diminuita sia nell'America centrale che nel Regno del Brasile, mentre il consumo continuò a progredire fortemente negli Stati Uniti d'America[115].
Emerse una vasta speculazione intesa a cavalcare l'onda finanziaria; ma un periodo del tutto improvviso di gelate decimò le piantagioni di San Paolo nel 1870. Ciò in contemporanea con l'apparizione della "ruggine del caffè", malattia che un poco alla volta estinse completamente la coltura di Ceylon britannico[290] e i 4/5 della coltivazione nelle Indie orientali olandesi (tra il 1880 e il 1893); questo anche se la resistenza delle piantagioni si trascinò più a lungo del previsto.
Il contesto del prezzi mondiali i quali si mantennero nonostante tutto altamente remunerativi consentì alla produzione di recuperare i danni e riprendere a crescere più del preventivato in tutto il Centroamerica, la Colombia, ma in particolare nell'impero del Brasile in cui si cominciò a sfruttare appieno la ferrovia. Anche le esportazioni di Haiti rimbalzarono a 30.000 tonnellate medie tra il 1824 e il 1880, i 2/3 delle quali vendute nella Terza Repubblica francese[115].
La speculazione montante fece affondare i prezzi nel 1880, provocando fallimenti a ripetizione tra i professionisti; il caffè fu costretto ad entrare nella sua "fase moderna" tramite i "Futures" (contratti a termine), una qualità d'origine maggiormente codificata, il totale evitamento della monocoltura e la ricerca di nuove speci più resistenti alle infezioni derivate dai fungi.
Il parassita dell'albero di caffè scoperto nel 1869 a Ceylon
Tra il 1865 e il 1880 i piantatori ceylonesi importarono arbusti di Coffea dalla Colonia della Giamaica, dalla Guyana francese, dalla Capitaneria generale di Cuba, dalla Liberia e da Giava[291] utilizzando il metodo del "Wardian Case" (un contenitore protettivo appositamente studiato per facilitare il trasporto e la protezione dei vegetali)[291], una specie di serra portatile inventata da Nathaniel Bagshaw Ward a Londr attorno al 1829 per il trasporto a lunga distanza.
Nel 1866 le piante di caffè selvatiche vennero importate in gran numero dalla Liberia, ove esisteva una malattia parassitaria che era con molte probabilità quella che fece nascere la "ruggine del caffè"[291].
Un parassita in un primo momento sottovalutato e poco conosciuto
Le piantagioni ceylonesi vennero rapidamente attaccate dalla nuova malattia crittogamica prodotta dai fungi Basidiomycota "Hemileia vastatrix" e "Hemileia coffeicola". Favorito dall'umidità e da una temperatura ottimale compresa tra i 22 e i 24° infett prima le foglie e quindi portò a perdite di produzione e declino della qualità[110].
Il problema venne descritto per la prima volta da Berkley e Broom nel novembre del 1869 in Gardeners Chronicle dopo aver effettuato un accurato esame degli alberi ceylonesi[292]. Tra il 1870 e il 1877 la produzione dell'isola scese di 1/3, mentre l'area coltivata aumentò di 52.000 acri[291]. Nel 1880, per poter dare aiutare gli esperti dell'orto botanico reale di Peradeniya (a Kandy), il giovane botanico inglese Harry Marshall Ward venne inviato a Ceylon britannico. Egli condusse diverse serie di studi i quali dimostrarono che la distruzione degli alberi era effetivamente dovuta alla malattia fungina[291].
Il giornale Tropical Agriculturist fondato nel 1881 propose le domande dei piantatori producendo dibattitti che cominciarono a echeggiare in tutto l'ambiente del settore; alla ricerca di una soluzione veloce si credette di poter riconoscere gli alberi malati ad occhio nudo. Si investì nella cosiddetta "poltiglia bordolese" di Pierre-Marie-Alexis Millardet, già utilizzata per combattere le malattie del vino e della patata.
Ma nel suo rapporto redatto nel 1882 Ward negò qualsiasi relazione tra la presenza di rigature e strati cerosi sulla superfice delle foglie con con l'infezione, che è invece in realtà legata alla presenza di enzimi, tossine e antitossine esistenti sia nel parassita che nell'ospite. La relazione tra la pianta e l proprio parassita durante l'infezione fu il soggetto principe della sua "Croonin Lecture" nel 1890. Le proposte di Ward furono il pasagggio dalla monocultura alla policoltura con l'intento di prevenire la diffusione di spore nel vento e di creare "schermi biologici" diversificando per l'appunto le colture.
Vennero purtroppo formulate troppo tardivamente: il fungo si era gia moltiplicato dappertutto, costringendo l'abbandono delle piantagioni ceylonesi. Dalla coltura del caffè si ritornò a quella del tè.
Diffusione della malattia del caffè in Asia e Oceania
Le piantagioni ceylonesi contribuirono ampiamente a far diffondere il male[291]. Venne rinvenuto nel 1872 in Madagascar, poi nelle piantagioni di un grande coltivatore[291] a Giava nel 1876 (allora la 2° più grande produttrice del mondo)[291]; per essere succesivamente rilevata nella Colonia del Natal nel 1878 e nelle isole Fiji l'anno seguente[291]. Nel 1903 uno scienziato di Puerto Rico richiese ed ottenne facilmente la distruzione dell'intero carico in arrivo da Giava[291].
Intorno al 1878 le regioni costiere di Giava, divenute oramai troppo esposte e sensibili alla "ruggine" dovettero essere abbandonate. La coltura si diresse verso altre zone dell'arcipelago indonesiano controllato dagli olandesi i quali si resero ben presto conto che le giovani piante installate sulle vecchie terre della monocoltura diventavano particolarmente fragili e vulnerabili alla malattia[293].
Il calo dei prezzi a livello mondiale aggravò i danni alle piantagioni[291], proprio nel momento in cui la colonizzazione inglese e francese si stava invece espandendo. La raccolta di Riunione diminuì del 75% nel corso degli anni 1880-90; quella delle Indie orientali spagnole (all'epoca il 4° esportatore mondiale con circa 32.000 tonnellate)[291] venne quasi competamente azzerata tra il 1889 e il 1892[291]. Nelle regioni di Giava Occidentale e Sumatra Meridionale fu sufficiente un'unica stagione per ridurre la produzione del 30 e 50% rispettivamente[291]. La malattia crittogamica colpì di preferenza gli alberi impiantati sotto i 1.400 m e a Giava furono abbandonati tutti quelli situati al di sotto dei 1.000 m.[291]
I tentativi di coltivare la Coffea arabica nei territori degli attuali Uganda, nelle regioni meridionali del Kenya e del Lago Tanganica rimasero seriamente compromessi[291]; si decise allora di affrontare la sfida rappresentata dalle pendici del Kilimangiaro e dalle regioni a Nordovest di Nairobi[291].
In molti luoghi le piantagioni abbandonate dai grandi proprietari europei divennero invece delle occasioni da sfruttare per gli indigeni, utilizzando modalità di colture meno estese; questo accadde specialmente in Madagascar e nelle Indie orientali olandesi. Altrove, come ad esempio a Ceylon britannico, si realizzarono al posto del caffè colture di tè o zucchero[293].
Intorno al 1900 la varietà di Coffea canephora, maggiormente resistente al male, sarà importata nel Congo belga, un pò prima che l'"Institut national pour l'étude agronomique du Congo belge" riuscisse a sviluppare un processo di selezione della "Robusta africana"[294].
Ruolo dominante del caffè nella regione Paulista
La Microregione di Vale do Paraíba Fluminense partì per prima, con 100.000 schiavi che lavorarono nelle piantagioni nel 1860, cifra che salì a 129.000 nel decennio successivo. San Paolo si unì a questa espansione a partire dagli anni 1840, quando si videro impiegati 25.000 schiavi africani[176]. I collegamenti europei vennero rafforzati quando il ventenne Théodore Wille giunse nel 1838 e quivi fondò le aziende commerciali tedesche "Wille Schimillinski and Co" a Rio de Janeiro e "Theodor Wille & Co." a Santos (il più grande porto della regione).
Gli anni 1840 videro in queste terre 400.000 schiavi[295]; l'abolizione della tratta degli schiavi venne dichiarata nel 1850, preceduta da un 30% di aumento del costo degli schiavi in parallelo al considerevole rallentamento degli arrivi delle navi negriere: tutto ciò spinse lo sviluppo in direzione del mercato interno.
Tra il 1846 e il 1864 la produzione di caffè non aumentò e fu accompagnata da un movimento dei prezzi mondiali altalenanti; 1,5 milioni di sacchi da 60 kg nel 1846[263],, 2,5 milioni nel 1854 ed 1,48 milioni nel 1864. Nel 1864 l'apertura della "São Paulo Railway", in costruzione dal 1859, permise un aumento fino a 2,65 milioni di sacchi per l'esportazione (di cui 1,43 verso l'Europa e 1,2 milioni in direzione degli Stati Uniti d'America. Costruita con capitale britannico la ferrovia fece arrivare il caffè direttamente al porto di Santos, attraversando Jundiaí, San Paolo e Paranapiacaba (costruita appositamente in montagna e con una riproduzione del Big Ben.
Grazie alla strada ferrata la coltura raggiunse poco prima del 1870 le terre rosse e fertili del Nordest dello Stato di San Paolo, nei pressi di Ribeirão Preto, vedendo presto apparire le piantagioni di caffè più vaste e maggiormente produttive al mondo. Al fine di assoldare manodopera il governo incoraggio l'immigrazione di italiani, portoghesi, spagnoli e arabi. La produzione in questa nuova zona superò quella di Rio de Janeiro alla fine degli anni 1870[296], caratterizzati da elevati prezzi mondiali. Ella beneficiò della "politica del caffè e latte". Gli enormi raccolti del San Paolo finirono con il destabilizzare del tutto i prezzi globali[297].
Nel 1888 la liberazione di 70.000 schiavi fece crollare la produzione ed in 5 anni i prezzi salirono da 18 a 31 centesimi; la coltivazione brasiliana dovette riorganizzarsi in più parti in un modo del tutto nuovo. Negli anni 1890 la popolazione del San Paolo raddoppiò. La 2° stazione di Luz e i grandi edifici di Avenida Paulista vennero costruiti nel 1891.
Radicamento del caffè colombiano grazie agli alti prezzi degli anni 1870
Il caffè colombiano è fiorito a partire dalla provincia di Santadeur nel vicino Venezuela, in risposta alla crisi dell'artigianato locale[298] e soppiantando le coltivazioni di cacao e cotone; si stabilì dapprima nel Dipartimento di Cundinamarca e nel Dipartimento di Tolima verso il 1870 approfittando degli elevati prezzi mondiali. Questo fu anche il periodo in cui ci s'interessò alla futura linea ferroviaria di Antiouqia, un progetto iniziato nel 1878 ma rimasto ad una fase incompleta.
L'avvio fu tuttavia relativamente lento; Santander continua a fornì il 90% della produzione nazionale con 10-25.000 tonnellate annue verso il 1875[299]; il caffè rappresentò però solamente il 7% delle esportazioni totali del paese nel corso degli anni 1870, rispetto al 74% tra il 1920 e il 1924. La crescita accelerò quando gli esiliati tornarono nel 1881; contribuirono alla colonizzazione delle regioni più fertili del Dipartimento di Antioquia di cui erano originari, utilizzando la loro esperienza tecnica acquisita in Guatemala[300].
Le colture si diffusero gradualmente sulle 3 ramificazioni della Cordigliera delle Ande, a 1.800 m d'altitudine in zone con clima temperato[301].
Nella Cordillera Central, più precisamente nell'are compresa tra il Sud della Valle d'Aburrá e il Nord del Dipartimento di Valle del Cauca, i terreni più fertili e meno inclini all'erosione rispetto a quelli delle catene montuose occidentali e orientali - in quanto composti da spessi strati di cenere di origini vulcaniche - favorirono la caffeicoltura[301].
La colonizzazione del Dipartimento di Antioquia, iniziata nel 1890, permise al caffè di diventare un'importante prodotto d'esportazione[302] lavorato da contadini che ne furono anche i proprietari. Nella loro qualità di eredità coloniale le "haciendas" consentirono il reinvestimento della liquidità commerciale derivante dalle miniere e dal tabacco.
Le famiglie riunite nel cartello "Ospina, Vasquez e Jaramillo" guidata da Julián Vásquez Calle - un ex leader politico di Antiouqia, possedette le miniere d'oro della regione - dovettero mettersi in salvo in Guatemala dopo lo scoppio della guerra civile colombiana del 1860-62, lasciando tutto nelle mani di Mariano Ospina Rodríguez.
Installatesi nella municipalità messicana di Cuajinicuilapa prima e a Flores Costa Cuca poi acquisirono la proprietà "Las Mercedes", prima operazione guatemalteca a scala nazionale sotto la direzione di Leon Ospina Rodríguez[303]. Riuscirono ad ottenere il permesso governativo per poter far costruire una propria strada volta ad evitare la deviazione per Retalhuleu, che allungavano il trasporto con i muli da 39 a 66 km. Prima di vendere nel 1881 e ritornare in patria importarono macchinari inglesi innovativi.
L'azienda detenne 6 pantagioni[304]. Ospina Rodríguez e Eduardo Vásquez svilupparono la coltivazione ad Antiouqia, ove si crearono i più vasti appezzamenti, e risultarono tra i più attivi nella fondazione della prima "Federación Nacional de Cafeteros de Colombia". Tra il 1888 e il 1896 piantarono più di mezzo milione di alberi a Fredonia, Amagá e a Titiribí[304].
Fin dal 1875 il caffè colombiano attraversò una grave crisi, che si mutò in catastofe a partire dal 1890: i prezzi mondiali crollarono e le guerre civili d'inizio "Regeneración" devastarono le regioni produttrici interrompendo l'opera delle granndi "haciendas" le quali fornivano la gran parte del prodotto[299].
Crisi del 1880, la trinità newyorkese fallisce
Ispirata dalla malattia del caffè la speculazione sull'aumento dei prezzi della Coffea arabica negli anni 1870 venne condotta principalmente negli Stati Uniti d'America[247] dalla cosiddetta "Trinità""[247] dei grossi commercianti: il giovane O. G. Kimball di Boston insieme a Benjamin Green Arnold (il primo "re del caffè")[305][247], e Bowie Dash (della "Scott & Meiser") di New York. Tennero sotto stretto controllo le scorte[306] per soffocare i concorrenti; tutti e 3 mantennero artificialmente il prezzo del Java, che alla fine venne spazzato via dal dilagare del caffè brasiliano nel mercato globale[307]. Tentarono di controllare maldestramente l'offerta latinoamericana, ma rimasero colti di sorpresa dalla portata delle sue dimensioni[307].
Le loro operazioni iniziarono nel 1869, quando Arnold divenne milionario grazie ai suoi cospicui acquisti di "Java"[306]. Conservò le scorte nonostante il raddoppio dei prezzi, speculando sulla diminuzione dei raccolti causata dalla "ruggine del caffè", rilevata Giava nel 1876[291] quand'era ancora la 2° produttrice mondiale. Nel 1878 le regioni costiere dell'isola, divenute molto sensibili alla malattia, dovettero essere abbandonate. Ma la produzione con cadde a picco immediatamente; nella seconda metà degli anni 1870 le piantagioni si trasferirono verso Sumatra Settentrionale, Bali, Celebes e Timor Est. I raccolti delle Indie orientali olandesi non precipitarono davvero almeno fino al 1885-90.
Per quanto riguarda Ceylon britannico le statistiche sull'esportazione mostrano che la produzione delle piccole aziende detenute dalle popolazioni locali crollò rapidamente dopo la prima apparizione della "rugggine" nel 1869, mentre la produzione totale raggiunse nonostante ciò un suo picco massimo nel 1875 e non scese irreversibilmente se non a partire dal 1881[308].
Anno | 1869 | 1870 | 1871 | 1872 | 1873 | 1874 | 1875 | 1876 | 1877 | 1878 | 1879 | 1880 | 1881 | 1882 | 1883 |
Esportazioni di caffè da Ceylon britannico | 1005 | 1014 | 955 | 728 | 988 | 700 | 989 | 689 | 927 | 627 | 824 | 654 | 452 | 564 | 263 |
Esportazioni autoctone | 169 | 128 | 140 | 151 | 128 | 191 | 115 | 85 | 76 | 56 | 49 | 43 | 38 | 37 | 14 |
Allo stesso tempo gli alberi piantati nel regno del Brasile e nelle "Indie olandesi", per approfittare dei prezzi elevati del 1876, cominciarono ad essere coltivati massicciamente con l'effetto d'inondare il mercato. Nei primi 11 mesi del 1880 i prezzi continuarono invece a diminuire[247] rifiutandosi di rimbalzare, passando a New York da 24 a 16 centesimi per libbra[247]. Il 27 ottobre l'agenzia di commercio Risley, attiva da 30 anni, entrò in bancarotta con un buco di 0,4 milioni di dollari[247]; il 14 dicembre Kimball (42enne in pefetta salute fino a quel momento)[305] morì imrovvisamente dopo una partita di carte[307], un fatto questo che disintegrò la sua società e mise in estrema difficoltà i creditori e i soci.
The New York Times l'8 dicembre[309] constatò il moltiplicarsi dei fallimenti, "mettendo in congelatore" i creditori per lungo tempo[305][307]. Si venne a scoprire che Arnold aveva 2,1 milioni di debiti e che i suoi beni ed attività si erano dimezzati[247].
Anno | 1871 | 1872 | 1873 | 1874 | 1875 | 1876 | 1877 | 1878 | 1879 | 1880 | 1881 | 1882 | 1883 | 1884 | 1885 | 1886 | |
Prezzi ceylonesi (in scellini per libbra | 63,9 | 64,9 | 72 | 88 | 90 | 100 | 106 | 106 | 107 | 107 | 104 | 100 | 81 | 81 | 80 | 80 | 91 |
La lentezza relativa con la quale la produzione di caffè diminuì a Ceylon viene spiegata dagli investimenti compiuti dai maggiori produttori dell'isola; assieme al costante aumento dei prezzi fino al 1879 e allo spettacolare miglioramento delle reti di trasporto. Rimasero accecati dalla prospettiva di profitto e continuarono a piantare caffè sempre più in nuove aree, sfruttando i margini più elevati[310]. L'aumento dei prezzi fu dovuto innnzitutto alla crescita del mercato statunitense, un nuovo sbocco per Ceylon, oltre che alle coltivazioni giavanesi e brasiliane di qualità deludente.
Alcuni piantatori tuttavia riuscirono a mantenere la lucidità, cominciando a rivolgersi prima alla Cinchona (dalla cui corteccia si estrae il Chinino) e successivamente al cacao e al tè[310]; tra di essi vi fu anche il botanico ed entomologo George Henry Kendrick Thwaites, direttore dell'orto botanico di Peradeniya a Kandy dal 1857 al 1880: egli riferì che il caffè non poteva più avere alcun futuro, ma i suoi avvertimenti rimasero del tutto inascoltati[310].
Esplosione dei mercati a termine dopo il 1880
Molti dei commercianti fallimentari[305] crearono i primi Futures (mercati con contratto a termine) del caffè per impedire agli speculatori di strangolare il mercato[4], la "New York Coffee Sugar and Cocoa Exchange" (oggi "New York Board of Trade"). Benjamin Green Arnold ospitò le riunioni nei propri uffici newyorkesi[305][247] e ne divenne il primo presidente; vennero definiti 9 tipi di Coffea arabica provenienti da tutto il mondo, classificati e riconosciuti purché se ne disponesse di quantità sufficienti. Il 9° tipo venne scartato[66], mentre il 7° trattenuto in "future"[66].
Occorreranno invece altri 50 anni per poter creare la prima "future" sulla Coffea canephora, lanciata a Le Havre negli anni 1930. Nel 1928 si darà il via ad un accordo contrattuale sul 100% del 4° tipo di Santos, sulla base di tutto il "melange Viennese"[66]; preceduto nel 1886 da un contratto che distinse 18 differenti tipi di "arabica"[66]. L'istituzione della "future" generò una rigorosa classificazione, con controlli di cassa e qualità, una piattaforma per la raccolta e la diffusione d'informazioni oltre che le opportunità di coprire i finanziameente i professionisti del settore (come sottolineano Joel, David e Ethal Schapira in The Book of coffe and tea del 1975)[306].
Inoltre i cavi, la nascente telefonia e i collegamenti transoceanici veloci ridussero le possibilità di manipolazione del mercato; i prezzi iniziarono così a riflettere lo stato effettivo dei raccolti in corso confrontandoli con le scorte dei paesi consumatori[306]. Il brasiliano Jornal do Commercio ricevette i servizi dell'alleanza Havas-Reuters con notizie sui prezzi ad Anversa e sul mercato degli scambi europei[311].. Tre linee telegrafiche collegarono New York al regno del Brasile alla fine degli anni 1880, riducendo in tal modo il prezzo dei telegrammi di una buona metà. Nella primavera del 1888 la raccoltà risultò minore del previsto, con conseguente fallimento dei commercianti europei[312].
Tuttavia almeno fino al 1914 la "New York Coffee Sugar and Cocoa Exchange" negoziò lo zucchero e poi, dalla fine degli anni 1970, anche il cacao[306]. Lo scambio del caffè newyorkese partì il 7 marzo del 1882[247]; la creazione di un mercato equivalente alla camera di commercio di Le Havre venne inaugurato il 25 agosto seguente[4]. Esso istituzionalizzò un accesso più diretto alle informazioni tra le piantagioni e l'Europa, approfittando del cavo sottomarino transoceanico che collegò Londra a Recife dal 1874. Una "cassa di liquidazione d'affari e mercantile" fu il fondo reponsabile per la compensazione tra acquirenti e venditori di Le Havre con i clienti internazionali[313].
Baltimora lanciò il proprio mercato dei "futures" nel 1883[247], ma qui esso non riuscì a decollare[247]. I prezzi dell'"arabica" quell'anno scesero a 11 centesimi, in dimezzamento dopo la crisi di sovrapproduzione dell'anno precedente[273]; per poi rimbalzare consentendo così a mercati newyorkesi e di Le Havre di prosperare. Londra non fece rinascere fino al 1888 il proprio "Coffee Terminal Market"[66], associazione che era nata nel 1858 per stabilire un contratto di grande succeso sulla "robusta ugandese non lavata" (di minor qualità)[66]: sarà fusa nel 1986 con la "London International Financial Futures and options Exchange"[66].
Nel 1887 sia Amsterdam che Amburgo ebbero i loro "future"[247], a cui si aggiunsero Anversa e Rotterdam nel 1890[247], Trieste nel 1905[247] e Santos nel 1914[247]. Per poter rimanere ad alti livelli competitivi Le Havre rimosse i dazi fiscali sull'importazione nel 1892, azione riservata tutti i caffè dell'impero coloniale francese[293]; le misure saranno estese nel 1913 a tutte le colture coloniali[293].
I prezzi del caffè ebbero una ricaduta totale del 40% dal 1875 al 1886; il deprezzamento del 33% della valuta brasiliana[4] compensò parzialmente i piantatori in deficit e la produzione aumentò di oltre il 50%[4]. L'economista Antônio Delfim Netto, ex ministro dell'agricoltura, classificò i cicli del caffè nel XIX secolo suddividendoli in 3 periodi (1857-68; 1869-1895 e 1896-1906: preventivò che nel Novecento i cicli sarebbero stati più lunghi (citato da Frederic Mauro nel suo Histoire du café).
Brasile controllato dai grandi gruppi commerciali esteri
Grazie all'avanzata della colonizzazione interna e alla creazione di grandi piantagioni nel San Paolo il Brasile raddoppierà la produzione in trent'anni. All'inizio del XX secolo fornì il 75% del raccolto mondiale, la metà del quale proveniente dal San Paolo[150]. La produzione brasiliana negli anni 1890-1910 rappresentarà la maggior parte della variazione dell'offerta mondiale.
Nel 1880 le fluttuazioni dei prezzi saranno totalmente dipendenti dai capricci climatici, le gelate nel San Paolo e a Paraná, la siccità più a Nord. Le società di negoziazione seguirono tutte le informazioni locali ed il controllo delle scorte consentì loro anche d'influenzare i prezzi internazionali[150] e sfruttarne di conseguenza le variazioni.
Il banchiere Irineu Evangelista de Sousa (soprannominato "Barão de Mauá")[259] spinse in direzione della creazione di una ferrovia lunga 79 km; essa avrebbe collegato San Paolo al porto di Santos principalmente per il trasporto del caffè. Il "Gruppo Lacerda", azienda commeciale fondata nel 1860, rimase il più grande esportatore a Santos nel 1885-86[261] con 480.000 sacchi; seguirono 2 società tedesche, Zerrener Bülow con 450.000 e Berla Cotrim con 240.000[261], seguiti da altri negozianti esteri minori.
L'impennata del porto di Santos, appositamente attrezzato per la manutenzione del caffè[150], attrasse grossi gruppi d'intermediazione e scambio stranieri[150]. La maggior parte dei primi 10 commercianti dell'esportazione brasiliana furono tedeschi e inglesi; 9 di questi entrarono nel settore del caffè dopo il 1870, essendo precedentemente impegnati nel cotone e nello zucchero[315]. Il 1°, il tedesco Théodore Wille, concentrò il 18,5% dell'export di caffè brasiliano, pari al 13,5% dell'intero commercio mondiale; le prime 5 imprese ne controllarono il 53% (39,7% globale), le prime 10 il 71% (53,25% globale)[315].
Le attuali 19 società brasiliane esportano solamente il 6,6%[315] del caffè prodotto nel paese. I maggiori gruppi d'export del caffè brasiliano nel corso della Belle Époque tra il 1895 e il 1909 furono in ordine[315]:
- Théodore Wille (Amburgo), che si era stabilito nell'impero del Brasile fin dal 1844, con 16.080.000 sacchi;
- "Neumann Kaffee Gruppe" (Amburgo) con 13.300.000;
- E. Johnson (Regno Unito) con 7.030.000;
- Hard, Rand (Stati Uniti d'America) con 5.174.000;
- Carl Hellwig (Impero tedesco) con 3.990.000;
- Prado Chaves con 3.370.000[316];
- Goetz, Hayn con 3.170.000;
- Zerrener, Bulow con 2.880.000;
- J.W. Doane con 2.400.000.
La banca privata francese "Neuflize Schlumberger Mallet" partecipa al finanziamento delle operazioni commerciali dei grandi mercanti amburghesi; queste si estendono dalla copertura dei Futures atraverso la redistibuzione[315]. Gli altri istituti bancari sono invece poco presenti. I mediatori di Le Havre del mercato internazionale dei "Futures" non sono fisicamente presenti, svolgono però un ruolo fondamentale[315]: riesportano nel continente europeo il caffè brasiliano quasi nella stessa quantità che ne importano in Francia[235].
Africa orientale tedesca, paradiso perduto dei botanici
Otto von Bismarck convocò la Conferenza di Berlino (1884) il 14 novembre del 1884 per porsi in una posizione di intermediazione nelle rivalità esistenti tra francesi, belgi e portoghesi sulla parte meridionale del bacino del fiume Congo. La regione dei Grandi Laghi, all'epoca visitata e conosciuta solamente da 10 missionari d'Africa, vide per la prima volta l'arrivo dei francesi nei territori dell'attuale Uganda e del Lago Tanganika nel febbraio del 1879.
Il 28 marzo del 1884 l'esploratore Carl Peters fondò a Berlino assieme a Friedrich Lange, editore del giornale Tägliche Rundschau, la "Società coloniale tedesca" e il 2 aprile dell'anno seguente - con il diretto appoggio di Bismarck - la "Compagnia tedesca dell'Africa orientale". Nell'autunno del 1884 firmò i primi accordi con i leader tribali, prima di far ritorno nella capitale il 5 febbraio per assistere alla conclusione della "Conferenza" la quale pose i territori sotto protettorato tedesco.
Nello stesso lasso di tempo il giornale di agronomia Der Tropenpflanzer venne fondato da Otto Warburg, un esperto di botanica di Amburgo appena tornato dai suoi viaggi nella Malesia britannica del 1885-89; donerà molte della specie vegetali che aveva raccolto all'orto botanico di Berlino fondato e diretto da Adolf Engler fin dal 1897 - allora professore all'Università Humboldt di Berlino - il quale accarezzava già da diverso tempo l'obiettivo di mettersi a studiare le piante delle nuove colonie tedesche.
Numerosi altri ricercatori contribuirono al Der Tropenpflanzer. Tra di loro vi furono anche Albrecht Zimmerman e Franz Stuhlmann, in stretti rapporti con la società commerciale amburghee "Hansing & Co" già presente sulle coste dell'Africa orientale tedesca; essi avevano già intrapreso viaggi di studio tra il 1858 e il 1865 sia nelle Filippine spagnole che nelle Indie orientali olandesi. Grazie al sostegno finanziario ricevuto dall'Accademia delle scienze di Berlino si diressero alla volta dell'Africa orientale nel febbraio del 1888.
Gli scienziati studiarono il Java nel tentativo di farlo acclimatare in posizioni strategiche; questo avvenne in special modo a Bujumbura, zona calda, umida e paludosa a Nord del Tanganika, dove vollero implementare una grande stazione di ricerca botanica, il futuro "Istituto di ricerca botanica Amani" lanciato nel 1901[317][318]. Engler, leader del progetto, convinto del grande potenziale agricolo rappresentato dai monti Usambara, s'immerse completamente nell'idea a partire dai primi anni 1890.
Dal 1892 fu effettuata un massicci dissodamento per potervi impiantare le colture. Molto rapidamente emersero però seri conflitti d'interesse tra gli investitori i quali desiderarono una redditività rapida - innanzitutto attraverso il caffè - e gli scienziati che invece spingevano per un centro di ricerche. Il loro sogno fu quello di arrivare a disegnare una mappa completa di tutte le speci vegetali presenti nel territorio, con i più alti livelli di biodiversità possibile, studiandone il loro potenziale nel punto d'intersezione tra economia, geografia ed agronomia; proprio quando l'influenza dele opere di Alexander von Humboldt e Charles Darwin cominciò maggiormente a farsi sentire.
Il "Comitato economico coloniale tedesco" venne creato nel 1896 a immagine e somiglianza dell'"Unione coloniale francese" fondata nel 1893. L'industrializzazione sembra aver dominato dopo il 1907, riunendo 1.200 aziende o enti nel 1913 e incassando 480.000 Goldmark di quote azionarie partecipative; la diffusione capillare di Der Tropenpflanzer permise inoltre la sottoscrizione di 144 istituzioni.
A partire dal 1890 il mondo coloniale tedesco reclamò a gran voce il collegamento tra l'Oceano indiano e la regione dei tre grandi laghi (Lago Vittoria, Tanganika e Nyassa-odierno Lago Malawi), per il quale vennero presentati 3 progetti. La legge del 17 aprile del 1886 pose le colonie sotto la diretta autorità dell'imperatore di Germania e del Cancelliere del Reich, mentre quella del 30 aprile del 1892 richiese il consenso del Reichstag per qualsiasi misura coloniale che avrebbe avuto un impatto sul bilancio dello Stato; divenne quindi necessario accordare la garanzia di interessi senza la quale il capitale tedesco non si sarebbe impegnato.
La ferrovia che avrebbe dovuto collegare Tanga al lago Vittoria, destinata a servire la regione di Usambara, venne giudicata assai favorevolmente e propizia alla colonizzazione europea; i lavori iniziarono nel 1892 grazie a una compagnia privata la quale impiegò 10 anni per aprire la prima linea.
Nel 1899 le piantagioni montuose di Usambara ebbero già 6,5 milioni di piedi coltivati a caffè, con ampiezze singole fino a migliaia di ettari. Ma un'anno dopo l'apertura dell'"Istituto" si ritrovarono con centinaia di migliaia di alberi malati; non si riuscì a trovare la soluzione al problema, un'eccessica acidità del suolo. Il prezzo del caffè diminuì di 3/4, passando da 175 marchi per 200 kg a 54.
Nel 1903 Engler constatò il saldo negativo tra l'imperativo alla redditivià e l'acidità del suolo e ordinò l'interuzione dei disboscamenti. Il bilancio del 1903 stimò i bilanci a metà dei costi d'esercizio della ferrovia, ma si decise ugualmente la sua estensione per altri 132 km; nel contempo il Reichstag accordò una prima rendita annuale di 1 milione di marchi.
Un altra ipotesi ferroviaria rimase però in sospeso per oltre 2 anni; avrebbe dovuto partire da Dar es Salaam e congiungersi dopo 232 km con Morogoro. Il Reichstag si sciolse senza aver voluto concedere la garanzia, anche se migliaia di coloni intrapresero un'ardente campagna di propaganda a proprio favore sostenendo che la loro linea sarebbe stato il primo passo della futura ferrovia centrale tedesca destinata a raggiungere da Tabora il Tanganika, con una propaggine anche in direzione del lago Vittoria.
La tratta Usambara-Kigoma-Dar-es-Salaam è a tutt'oggi la via d'accesso principale che collega il Ruanda-Burundi con i paesi d'oltremare; ma si dovrà attendere almeno fino al 1912 per far arrivare la strada ferrata fino a Moshi[319].
Dal momento che la foresta si rivelò molto spessa e difficile da penetrare ancora nel 1906 ne erano stati rimossi solamente 2.000 ettari tutt'attorno agli Usambara. Le nuove piantagioni attirarono gli immigrati, che si misero al lavoro su terreni di 100 ettari nella gran parte sul lato Ovest; ma il caffè si crebbe fragile e cedette molto presto a parassiti e malattie, costringendo Engler a richiedere l'immediata cessazione dell'intera coltivazione. I terreni vulcanici del Kilimangiaro e del Monte Meru si riveleranno più adatti all'impianto del caffè rispetto ai suoli acidi degli Usambara[319].
Camerun francese
Repubblica del Camerun
Avvio della caffeicoltura in Togo e Camerun
I primi commercianti tedeschi giunsero nel futuro Camerun tedesco nel 1868. Gustave Nachtigal venne iniviato a negoziare e il 14 luglio del 1884 il "Kamerun" divenne una colonia dell'impero tedesco; gli occidentali si stabilirono inizialmente a Douala e a Buéa, cittadine dal clima più mite. Quest'ultima rimase sinistrata a seguito di una violenza eruzione del Monte Camerun. A Douala la popolazione di oppose senza alcun successo all'esproprio delle loro terre ancestrali[320].
Il decollo della coltivazione caffeicola fu lenta e i suoi primi risultati all'inizio del XX secolo testimoniano di molte difficoltà sopravvenute[321]. Venne inserita al'interno di un insieme di colture tropicali tra cui cacao, banana, caucciù e olio di palma e rimase molto diversificata; mentre sulle terre di Togoland continuò ad essere decisamente privilegiato il cacao.
Il protettorato tedesco si estese dal Lago Ciad fino alle sponde del Sangha a Sudest. I tedeschi svilupparono per la prima volta colture d'esportazione su vaste piantagioni poste sui fianchi del Monte Camerun, creando infrastrutture portuali e ferroviarie[320]; fecero anche volentieri ricorso al lavoro forzato e alla deportazione nei centri agricoli.
Già nel 1894 il maggiore Hans Dominique stabilì una postazione militare a Yaoundé. L'"Unione ferroviaria camerunense" creata nel 1902 attivò una linea di collegamento tra Douala e Nkongsamba ed iniziò i lavori per quella tra Douala e Yaoundé, bozza della futura Transcamerunese che va da Douala a Éséka.
La coltura caffeicola del periodo coloniale tedesco, fino alla perdita di tutte le colonie dopo il 1919, si espanse fino a toccare le zone di Limbe (Camerun), Ebolowa, Nkongsamba e successivamente Yokadouma, Abong-Mbang, Doumé, Lomié e Akonolinga poste tutte a meridione.
Crisi del 1896
Il caffè, che rappresentava solo il 40% delle esportazioni brasiliane negli anni 1830, salì fino al 61,6% negli anni 1880 per poi tornare rapidamente al 51,3% negli 1900, segnato da un calo dei prezzi nella seconda metà del decennio. Il 1896 fu caratterizzato da un'imponente sovrapproduzione brasiliana la quale giunse a 22 milioni di sacchi[322]; il prezzo mondiale passò da 32 a 8 centesimi in 2 anni[273] e si mantenne a questo livello per tutto il triennio 1898 e il 1900.
Il caucciù cominciò a diventare maggiormente attraente, salendo dal 15% dell'export brasiliano negli anni 1890 al 28% negli anni 1900[323]. Gli investimenti stranieri risultarono esere estremamente utili, ma ciò si rivoltò contro lo stesso Brasile quando parte degli operatori andò in fallimento dopo la crisi del 1896[324].
Non meno di 8 società commerciali di Santos fallirono entro il primo trimestre del 1896[324]. L'anno seguente il "Gruppo Lacerda" accusò gli Stati Uniti d'America di cospirare contro gl'interesi brasiliani per far abbassare il prezzo di vendita comprandolo direttamente dai piantatori sui terreni[324].
Il fattore Honorio Riberiro organizzò delle audizioni di fronte alla camera di commercio e richiese la creazione di un'organismo incaricato alla difesa dei prezzi di vendita, idealmente un'agenzia finanziata dal governo. I suoi stessi argomenti furono ripresi davanti all'aula parlamentare dal ministro delle finanze Bernardino de Campo[324].
Quest'ultimo tuttavia respinse l'idea di un monopolio all'export per tale agenzia e chiese invece migliori strumenti statistici per anticipare l'evoluzione dei prezzi globali. La crisi si aggravò nel 1898 e una nuova legge autorizzò i piantatori di rivolgersi direttamente agli esportatori i quali avevano già aperto grandi magazzini nell'area portuale di Santos, in cambio di basse commissioni[324]. Questa rappresentò una minaccia diretta all'attività dei fattori, che fino a quel momento avevano sempre svolto in esclusiva il ruolo d'intermediari[324].
XX secolo
L'inizio del XX secolo vide il mercato della caffeicoltura schiacciato dal gigante brasiliano, che controllò dal 73[325] all'80% dell'intera produzione mondiale tra il 1900 e il 1909[3]; apprese inoltre in questo periodo anche l'abilità di pilotare i prezzi utilizzando appositi "piani di conservazione" rispettivamente nel 1906, 1917 e 1921. Tutto ciò fu accresciuto dalla massiccia distruzione della foresta amazzonica; questa situazione si venne a modificare in special modo solo dopo il "Martedì nero" di Wall Street nel 1929, che indusse il valore delle "bacche verdi" a precipitare.
Come diretta conseguenza tra il 1927 e il 1960 la produzione brasiliana e la sua rispettiva quota di mercato si ridusse globalmente, mentre si conobbe l'emersione dei nuovi e vecchi maggiori produttori africani, centroamericani e messicani. Perù e Venezuela, ancora tra le prime 5 posizioni nel 1927, scompariranno quasi completamente nel corso del resto del secolo.
Anni | 1900-1904 | 1925-1929 | 1940 | 1950 | 1953 | 1960 | 1970 | 1982-1984 | 1990 | 2002 |
Offerta mondiale (in tonnellate) | 1,02 milioni[325] | 1,8 milioni[103] | 2,1 milioni | 2,1 milioni[326] | 2,05 milioni[327] | 2,6 milioni[327] | 3,8 milioni[328] | 5,4 milioni[329] | 6 milioni[328] | 8,5 milioni[328] |
Brasile e Colombia continuarono a dominare il mercato mondiale fino al 1929, secondo le statistiche del 1927 le quali mostrano anche la progressiva marginalizzazione della caffeicoltura nell'impero coloniale francese; là ov'era stata introdotta nei secoli precedenti. Le raccolte della Nuova Caledonia (810 tonnellate ), di Guadalupa (593 tonnellate), dell'Indocina francese (398 tonnellate), dell'Africa Occidentale Francese (nell'odierna Costa d'Avorio, 187 tonnellate) risultarono essere assai modeste[330].
Brasile (media 1923-27) | 1.200.000 tonnellate |
Colombia | 102.000 tonnellate |
Indonesia | 79.000 tonnellate |
Venezuela | 45.000 tonnellate |
Perù | 35.000 tonnellate |
Messico | 34.400 tonnellate |
El Salvador | 33.000 tonnellate |
Haiti | 32.500 tonnellate |
Guatemala | 23.000 tonnellate |
Totale nella Zona franco | 4.900 tonnellate |
Madagascar | 2.800 tonnellate |
Nuova Caledonia | 810 tonnellate |
Guadalupa | 593 tonnellate |
Indocina francese | 398 tonnellate |
Costa d'Avorio | 187 tonnellate |
Nel periodo 1925-1929 l'America Latina, esclusi il Brasile e la Colombia, rimasero la seconda area di produzione mondiale con 260.000[103] tonnellate di caffè annuale, il 90% in più rispetto alla singola Colombia e 4 volte superiore al totale asiatico. Ma il Venezuela e l'America Centrale subiranno più di altri la crisi che seguì innescando al contempo forti contrazioni e gravi disordini sociali.
Dopo il 1929 il Brasile bruciò le scorte con l'intento di rilanciare la corsa; apparve il caffè solubile. Le ambiziose politiche coloniali permisero invece lo sviluppo della caffeicoltura tra i contadini indigeni la quale ebbe un successo più che discreto in Madagascar; mentre fu più lieve nel Congo belga il quale beneficiò comunque della migliore Coffea arabica importata agli inizi del secolo dai coloni tedeschi.
In Madagascar il sostegno dato ai contadini creò un vasto malcontento tra i coloni e i commercianti europei, ma la produzione si moltiplicò di 6 volte, il che ispirerà l'amministrazione coloniale francese in Costa d'Avorio, dove la raccolta sarà aumentato di 20 volte tra il 1945 e il 1962 attraverso una massiccia deforestazione all'interno di un contesto di prezzi mondiali più alti.
Negli anni cinquanta la prima ondata di disboscamento permise alle colonie africane, ma anche al Centroamerica, di aumentare notevolmente la loro produzione di caffè, mentre la coltivazione globale non aumentò per 5 anni[327]; questo moto si amplificherà durante il decennio seguente in Costa d'Avorio, Madagascar e nell'Angola ancora sotto dominazione portoghese.
Produzione[327] | 1953 | 1960 |
Brasile | 934.000 tonnellate | 1.009.000 tonnellate |
Colombia | 398.000 tonnellate | 356.000 tonnellate |
Zona franco | 107.000 tonnellate | 244.000 tonnellate |
Impero portoghese (odierna Angola) | 51.000 tonnellate | 126.000 tonnellate |
Congo belga | 33.000 tonnellate | 90.000 tonnellate |
Africa Orientale Britannica (odierno Uganda) | 72.000 tonnellate | 89.000 tonnellate |
Messico | 73.000 tonnellate | 83.000 tonnellate |
Guatemala | 57.000 tonnellate | 80.000 tonnellate |
El Salvador | 66.000 tonnellate | 71.000 tonnellate |
Impero d'Etiopia | 36.000 tonnellate | 55.000 tonnellate |
Costa Rica | 28.000 tonnellate | 46.000 tonnellate |
I due maggiori produttori, Brasile e Colombia, videro i raccolti stagnare o diminuire leggermente nel corso degli anni cinquanta e la loro quota di fornitura globale si ridurrà nuovamente negli anni sessanta, quando invece la produzione mondiale aumentò del 46%; il ritmo ineguale continuò, tanto più che l'effetto del "grande freddo" brasiliano nel 1975 fece ancora sentire i suoi effetti fino al 1980[331]. Ciò modificherà l'intera struttura delle piantagioni del paese.
Il relativo successo delle politiche adottate nel mercato azionario brasiliano portò alla creazione nel 1962 di un accordo internazionale che permise a produttori e consumatori di pianificare una soluzione commerciale stabile a lungo termine; essa venne però rimessa in discussione nel 1989 dimezzando la produzione nazionale e triplicando i prezzi mondiali.
Negli ultimi trent'anni del secolo la produzione mondiale è più che raddoppiata. L'ultimo decennio ha visto la rinascita di grandi operatori commerciali in un mercato liberalizzato e diversificato che la permesso la risalita delle quote di Vietnam e Indonesia coltivate a Coffea canephora.
Repubblica del caffè a El Salvador
Nel 1895 il generale Tomás Regalado, futuro presidente di El Salvador, comincia assieme alla famiglia ad acquirire il controllo di 6.000 ettari di piantagioni di caffè in 6 diverse province. Dopo la fine del suo mandato nel 1903 altri "baroni del caffè" assumeranno la stessa carica per quasi 3 decenni, adottando misure che rafforzeranno il dominio economico del caffè; contemporaneamente sorgeranno importanti patrimoni agricoli.
Nel corso di tutti gli anni 1920 e 1930 le esportazioni di caffè rppresenteranno il 90% del totale nazionale. Nel 1925 El Salvador divenne il 7° produttore mondiale, approfittando del mantenimento di alti prezzi globali. Grazie all'irrigazione meccanizzata e all'utilizzo di concime e pesticidi raccolse il 50% in più rispetto al vicino Guatemala 5 volte più esteso[332].
Piani di conservazione brasiliani del 1906, 1917 e 1921
In Brasile la sovrapproduzione divenne già evidente nel 1896, quando il paese oltrepassò la soglia dei 22 milioni di sacchi[322]. Nel 1903 San Paolo fissò imposte proibitive per le nuove aziende[295]. Nel febbraio del 1906, mentre i prezzi continuavano a diminuire, stava cominciando a crearsi una nuova crisi di sovrapproduttività; vennero quindi rafforzati e sostenuti vigorosi interventi sia statali che da parte dei professionisti con l'intento di combatterla.
L'"Accordo di Taubaté", previde un importante incremento dello stoccaggio, la sua promozione transnazionale e la lotta contro i "surrogati". Realizzato sotto l'egida del San Paolo esso fu finanziato da una tassa di 3 franchi a sacco e da un prestito di 15 milioni di sterline da parte di banche francesi e tedesche, a causa della riluttanda dei Rothschild di Francia, i principali creditori del Brasile fin di tempi dell'indipendenza.
I mercanti tedeschi Theodor Wille e Hermann Sielcken lo sostennero in cambio di un diritto d'ispezione per verificare lo stato delle scorte. Sielcken comprò intere pagine pubblicitarie nei giornali brasiliani e statunitensi per promuovere questo "piano generale di valorizzazione" del caffè brasiliano[333] e organizzò 4 grandi prestiti ai produttori[333].
Nei successivi 4 anni saranno ritirati dal mercato 8 milioni di sacchi, di cui 5 sotto il diretto controllo di Sielcken ancora nel 1911[333], quando la corsa dei prezzi ripartì[333]. Nel 1912, nell'ambito di un procedimento giudiziario per il monopolio, il paese minacciò un'azione di boicottaggio contro gli Stati Uniti d'America[333]; Sielcken s'impegnò a vendere sul mercato alcune delle sue scorte, distribuendo l'operazione in un lasso di tempo di diversi anni[333].
Vennero lanciati altri 2 "piani di conservazione" nel 1917 e 1921, finanziati questa volta dalla funzione monetaria. In tutti e 3 i casi i prezzi riuscirono a recuperare, tra la "grande sorpresa degli economisti" come osservò Georges Clemenceau durante la sua visita di Stato[295]. L'espansione del caffè brasiliano culminò in 26 milioni di sacchi nel 1937, corrispondenti ai 2/3 dell'intera fornitura mondiale. Tornò poi a 14 milioni nel 1951, quando emersero nuovi Stati produttori e mentre il consumo mondiale era entrato in fase recessiva[334].
Evoluzione delle colture nel Chiapas
Nel 1910 i coltivatori messicani si concentrarono nella provincia di Simojovel de Allende[335] nel Centronord del Chiapas, dopo l'impanto alla fine del secolo precedente in quel di Soconusco sulla costa Pacifica al confine col Guatemala. Vennero accordate concesioni di terre anche a Huitiupán, Tila, Yajalón e Tumbalá[335]. Nel 1911 furono preesnti complessivamente 167 piantagioni solo sui settori di Simojovel e Huitiupán[335].
Questo risultato si realizzò in soli due decenni grazie alla legge del 15 dicembre del 1893 fatta promulgare da Porfirio Díaz[335]; essa spinse i popoli indios a colonizzare le terre vicine alle piantagioni del Chiapas, ottenendo il diritto di aqcuisire la cittadinanza messiccana in cambio di alcuni appezzamenti da dedicare alla caffeicoltura come "temporanea sostituzione" del mais alla fine della sua stagione (con l'intento di arricchirne nuovamente il suolo)[335]; molto spesso affittati dagli stessi proprietari[335].
La "Compagnia delle terre e delle piantagioni del Chiapas", con 3 milioni di ettari, richiese quasi 18.000 lavoratori stagionali al momento del rapido impianto degli alberi, il doppio rispetto al resto dell'anno. Gli amerindi di Lingua tzotzil[335] e i Ch'ol di Tulijá[335] entrarono in affari con i piantatori; questo permetterà di aumentare di 7 volte il numero delle colture presenti nel Chiapas in 30 anni[335].
Anno | 1880 | 1896 | 1909 |
Plantagioni private nel Chiapas | 1.000 | 4.500 | 6.800 |
Quest'espansione s'accompagnò alla quella - che continuava - delle grandi piantagioni tedesche e inglesi del Sud, in aumento nei prossimi 2 decenni. Secondo quanto riferisce il consolato tedesco in Messico per il periodo 1927-28, citando il geografo Leo Waibel, la caffeicoltura di Soconusco produsse 22.000 tonnellate annuali, 2 volte in più di quanto raccolto alla fine del XIX secolo[335].
L'estensione verso il Nord del Chiapas si compiù poco prima dell'esplosione della rivoluzione messicana; tutta una serie di sollevazioni armate, colpi di stato e conflitti tra differenti fazioni verificatesi tra il 1910 e il 1920. Nel 1911 la "Bigada de la casa", un'armata amerindia organizzata dai piantatori di San Juan Chamula e fondata da quelli di San Cristóbal de Las Casas[336], venne utilizzata per combattere i sostenitori di Díaz nelle pianure. Sarà seriamente sconfitta in meno di 3 mesi con quasi 300 morti tra le file degli amerindi[336].
Il 19 ottobre del 1914 il generale Castro fece promulgare una legge la quale stabilì un salario minimo garantito e il termine del sistema della servitù debitoria acquisita ereditariamente[336]. Le truppe di Venustiano Carranza, presidente messicano dal 1915 al 1920, si presentarono nel Chiapas come forze d'occupazione; in antitesi ad esse i piantatori mobilitarono una controrivoluzione[336].
In una posizione di forza economica nazionale riusciranno a sfuggire alle riforme rivoluzionarie, tra cui quella che prevedeva lo status di piccola piantagione la quale poteva essere ottenuto fino ad 8.000 ettari. Le gravi e sempre più profonde disuguaglianze sociali pertanto persistettero; una relazione del 9 marzo del 1934 presentata dal ministero federale per gli affari amerindi descrisse le condizioni di lavoro degli indigeni presenti nelle piantagioni come "assai prossime alla schiavitù"[336].
Avventura in Nuova Caledonia
Nel 1894 il governatore della Nuova Caledonia Paul Feillet avviò un piano ambizioso: 47.000 ettari e 90.000 tonnellate di caffè per approfittare dei problemi climatici affrontati dal Brasile e dalla Colombia. Incoraggiò l'arrivo di lavoratori stranieri con intere famiglie sotto contratto, chiedendo a ciscuno di loro un capitale di partenza di 5.000 franchi; i "coloni Feillet" si occuparono sia del caffè che delle miniere di nichel in pieno sviluppo.
Nel 1896, a causa della "ruggine del caffè" e della scomparsa del "Bourbon pontu" di Riunione, la Coffea arabica lasciò il posto alla Coffea canephora proveniente dalle Indie orientali olandesi accompagnata dagli agricoltori giavanesi, tra l'euforia dei coloni e dell'intera amministrazione. La politica del "grand cantonnement" (1897-1903) spodestò delle loro terre i Kanak della costa Est, zona maggiormente adatta per la caffeicoltura in piena espansione.
Ma dal 1894 al 1905 solo 6.000 ettari furono effettivamente coltivati. Il 1912 segnò la rivelazione della fine di un sogno; 8 volte meno del previsto e i "coloni Feillet" disertarono. L'ispettore Revel constatò l'impossibilità per la metà dei piantatori di abbandonare le concessioni e la colonia per mancanza di liquidi. Se la qualità del caffè neo-caledoniano fu riconosciuta, la sua quantità rimase del tutto trascurabile.
Nel 1911 Paul Jobin scoprì che un ottimo caffè proveniente dalla Nuova Caledonia veniva venduto a Parigi dal commerciante caraibico Armogun, fondò quindi la società "Havraise Calédonienne" per svilupparne l'importazione. Dal 1920 al 1945 l'amministrazione dell'impero coloniale francese mirò a riequilibrare il settore sviluppando la coltura in ambiente melanesiano.
La politica seguente consistette nel promuovere la coltivazione tra gli stessi Kanak, concorrenti degli europei, i quali assicurarono la raccolta di 224 tonnellate nel 1932 e di 541 nel 1939. All'inizio della seconda guerra mondiale si toccò la produzione totale massima con 2.350 tonnellate, di cui 2.000 esportate; ma gli anni del conflitto causarono un irreversibile declino interromependo bruscamente il settore, con i Kanak che si misero a lavorare per le United States Armed Forces.
La presenza americana significò terra e occupazione; il sistema dell'indigénat venne abolito. Nel 1948 un coleottero parassita, lo "scarabeo del pino" (Dendroctonus ponderosae) devastò le piante e richiese severi trattamenti chimici. Il boom del nichel e del salariato provocò l'esodo rurale degli ex piantatori; le coltivazioni subirono il totale abbandono.
La produzione occidentale crollò, laddove invece quella melanesiana crebbe su piccoli appezzamenti con piantagioni di 2.000 ettari che esportarono sufficientemente bene. Verso il 1965 i pochi produttori Kanak che erano rimasti si ritirarono. Come epilogo tra il 1978 e il 1988 il "Caisse Café" promosse un'"Opération Café" nel tentativo di riequilibrare il paese, vittima della crisi del nickel. Il piano di Paul Dijoud prevedeva di piantare 2.000 nuovi ettari, 1/3 dei quali in agricoltura intensiva sulla costa orientale, sotto il sole e senza ombra. Il fallimento del "caffè di sole" è stato confermato dagli eventi della produzione 1987-1988ː da 270 tonnellate nel 1988 a 60 nel 1994.
Grande ritorno del caffè africano
Scoperta della varietà "excelsa" in Africa centrale e suo selezionamento
La coltura della Coffea canephora nel continente africano cominciò seriamente all'alba del XX secolo, anche se era già stata realizzata prima della spartizione dell'Africa nei territori del regno di Buganda[294].
La coltivazione della varietà "excelsa", scoperta nel 1902 nell'attuale Repubblica Centrafricana, si diffuse rapidamente nel Camerun tedesco ed in misura minore in quello francese, nel Neukamerun e nell'Africa Occidentale Francese (le odierne nazioni della Costa d'Avorio e della Guinea)[294].
La "robusta" africana venne trapiantata a Ceylon britannico, importata dal Congo belga, per poter affrontare il problema costituito dalla "ruggine del caffè" (Hemileia vastatrix) la quale aveva distrutto il 90% delle piante dell'isola[110]. La nuova "robusta" interessò molto rapidamente l'industria ed arriverà a pesare sul 38,6% dell'intera produzione mondiale a fine secolo[337]; il contenuto di caffeina, che dipende più dal genotipo che dai fattori ambientali, è di circa il 2,5% nella robusta rispetto all'1,5% della Coffea arabica.
Quest'ultima ha però rivelato una maggiore resistente alle malattie in quanto la base genetica della specie principale ("Bourbon pointu" e "Typica") si è allontanata dalla varietà iniziale dopo più di 3 secoli di selezionamento, con una diversità genetica estremamente ridotta[337]; questo anche se le specie originarie selvatiche etiopi costituiscono ancora un'importante risorsa per un ulteriore miglioramento delle varietà già esistenti[337].
I primi tentativi di coltivare differenti tipi di arabica vennero eseguiti con le specie spontanee dell'Africa occidentale e dell'Africa centrale[294]. La Coffea liberica oiginaria della Liberia venne introdotta e diffusa a partire dal 1881 negli attuali Costa d'Avorio e Camerun oltre che nel Congo belga[294].
La caffeicoltura africana si ampliò su larga scala durante il periodo interbellico[294] con la dffusione della canephora sia dalle varietà importate che da quelle spontanee locali come la "Koillou" avoriana, la "Niaouli" degli attuali Togo e Benin e la "Nana" scoperta nel 1926 in Centrafrica[294]; cosi come dalla robusta impiantata e selezionata dagli olandesi a Giava (il Java)[294] e reintrodotta approssimativamente nel 1916 presso l'"Institut national pour l'étude agronomique du Congo belge"[294].
Il procedimento di selezione venne accelerato quando la malattia fungina della tracheomicosi distrusse le piante di excelsa nel Centrafrica durante gli anni 1930[294] e successivamente anche in Africa occidentale nel decennio seguente[294]. L'obiettivo, la valorizzzione agricola delle colonie, rese e considerò sempre di più questo caffè un prodotto strategico; la sua coltura venne fortemente raccomandata dalle autorità amministrative. Essa beneficiò di misure speciali, come l'esenzione dai dazi doganali e dalle quote (contingentamenti)[294].
Il progetto di estendere le piantagioni condusse al trasferimento forzoso di contadini provenienti dalle popolazioni della savana o dagli insediamenti del Sahel, al fine di soddisfare le crescenti esigenze di manodopera[294].
Congo belga locomotiva della ricerca agronomica
Il Congo belga beneficiò nel corso degli anni 1920 della creazione dell'"Institut national pour l'étude agronomique du Congo belge", che reintrodusse nel 1916 il Cultivar della Coffea canephora selezionata nelle Indie orientali olandesi[294]. Una stazione per la ricerca agricola venne fondata nel 1925 nella provincia del Kivu Sud a 30 km da Bukavu; essa studiò la crescitadi diversi prodotti tropicali, tra cui la "robusta"[294]. Già nel 1930 il lavoro di allevamento e selezione venne effettuato utilizzando varietà derivanti dal Java (caffè e dalla Coffea coltivata naturalmente nelle foreste congolesi[294].
Tali studi accelerarono la diffusione della "robusta" e ridussero la sua sensibilità al "coleottero del grano" (Scolytinae) attraverso una fruttificazione maggiormente sviluppata[294]. Questa varietà rinnovata trovò il proprio spazio subito dopo la prima guerra mondiale, con una progressiva rincorsa all'interno dei mercati mondiali, in particolar modo in quello di Anversa già durante i primi anni 1920 ove la si contrattò in franchi belgi per kg[338]. Le Havre creerà invece nel 1937 i primi mercati di Futures sulla "robusta".
1919 | 1920 | 1921 | 1922 | 1923 | 1924 | 1925 | 1926 | 1927 | 1928 |
3,50 franchi belgi al kg. | 3,70 franchi al kg. | 2,35 franchi al kg. | 3,35 franchi al kg. | 5,00 franchi al kg. | 7,30 franchi al kg. | 8,85 franchi al kg. | 12,00 franchi al kg. | 10,50 franchi al kg. | 12,55 franchi al kg. |
L'operazione permise di aumentare la produttività da 250 kg. ad una tonnellata per ettaro in poco più di 25 anni, accelerando esponenzialmente la diffusione della coltivazione della "coltura robusta"[294].
Lo studioso di agronomia Edmond Leplae, "il padre dell'agricoltura coloniale belga", direttore generale del ministero dell'agricoltura dell'impero coloniale belga nonche responsabile dell'"Université coloniale de Belgique" promosse l'introduzione del lavoro forzato sin dal 1917; un atto molto controverso ispirato da ciò che aveva osservato nelle Indie orientali olandesi, ma anche nell'Africa Orientale Britannica e nell'impero portoghese (l'odierno Mozambico). Il sistema Lepleae consistette nell'imporre sia colture alimentari (come la manioca e il riso) per il mercato interno sia colture industriali (come cotone, caffè e tè) destinate all'esportazione.
Nel 1927 l'Organizzazione internazionale del lavoro recentemente creata mise all'ordine del giorno della sua XII sessione prevista per il 1929 proprio il tema del "lavoro obbligatorio"[339]. Una commissione d'inchiesta per l'acccertamento dei fatti venne reclamata nel 1930 da alcuni esponenti politici belgi; la polemica che ne seguì trovò larga eco nel quotidiano La Libre Belgique[340].
Il sostegno finanziario e istituzionale venne rivolto principalmente alla ricerca agronomica[294] e nel 1954 furono creati fondi di stabilizzazione per prodotto e territorio[294], con l'intento di limitare gli effetti della variabilità dei prezzi internazionali[294]; mentre l'abolizione della corvè obbligatoria liberò la forza lavoro la quale inizierà negli anni 1950 una propria produzione indipendente (il "Front pionnier")[294] sia nella Costa d'Avorio che nella zona del caffè in Angola; essi divennero in breve tempo i principali centri di coltivazione dell'Africa occidentale e centrale[294], partecipando così all'aumento della disponibilità mondiale[294].
Tra il 1945 e il 1962 la produzione avoriana, ancora sotto il controllo francese, aumentò di ben 20 volte. Nel corso degli anni 1970 l'Angola prima portoghese e poi indipendente risultò uno dei maggiori produttori africani. La guerra d'indipendenza dell'Angola e la seguente guerra civile devastò le piantagioni spingendo molti agronomi ad emigrare in Brasile.
La ferrovia giunge ai piedi del Kilimangiaro nel 1911
Nell'Africa orientale tedesca si scoprì rapidamente che i terreni vulcanici del Kilimangiaro e del Monte Meru (Tanzania) erano più adatti al caffè rispetto ai terreni acidi dei Monti Usambara[341]. Il "caffè Chaga" della regione del Kilimangiaro, come anche le popolazioni del Meru, quelle ruandesi e gli abitanti di Arusha saranno trasportati a Sudovest dalla ferrovia la quale condusse fino alle coste dell'Oceano Indiano.
La tratta dell'Usambara, progettata nel 1891 per collegare il porto di Tanga (Tanzania) a Sud dei monti, raggiunse Moshi situata sul versante Sudovest del Kilimangiaro nel 1911. Sarà estesa fino ad Arusha nel 1930. Tale interruzione temporale fu una delle cause che portarono ad una crescita precoce della produzione tra i Chaga, prima che tra i ruandesi e ad Arusha[341].
Ai piedi del Kilimangiaro la banana e il caffè ebbero ciascuno i propri territori; la regione creerà la prima cooperativa nel 1925[342]. I Chaga vennero descritti dalla letteratura coloniale come "persone sedntarie e malleabili che hanno adattato le loro colture, edifici, abbigliamento e religione per merito dell'influenza svolta dai missionari cristiani stabilitisi in mezzo a loro da trent'anni"[343].
La regione fu ad alta densità umana, il che richiese una produzione permanente di alimenti, assistita dal concime di fattoria e adattata ai suoli inclinati[343]. La coltivazione tradizionale della banana aiutò a stabilizzarla e diede il materiale di copertura per le capanne[343].
Ferrovia e 15.000 coloni in Kenia nel 1915
Creata inizialmente nel 1888 per servire Mombasa e diretta da William Mackinnon, la "società dell'Africa Orientale Britannica" - nazionalizzata a fine secolo dall'impero britannico - incoraggiò la difficile e pericolosa costruzione della ferrovia ugandese, che doveva collegare il porto di Mombasa con quello di Kisumu sulle rive del Lago Vittoria.
Partendo dall'alto corso del Nilo nel Sud egiziano gli inglesi cercarono di percorrerlo nel tentativo di approdare fino alle sponde del "Vittoria", là dove una linea ferroviaria provvisoria avrebbe dovuto far proseguire la traversata continentale; su una pista molto difficoltosa si cominciarono dall'altro versante a creare sezioni ferrate dalle pendici del Monte Kenya con l'aiuto di funicolari - ad un'altitudine media di 1.660 m - al Lago Turkana (450 m) per passare davanti alla Foresta Mau col monte omonimo (2.500 m) ed infine giù rapidamente al "Vittoria" (1.200 m).
Nel 1899 un'eccezionale carestia decimò la popolazione africana del Kenya centrale; i colonizzatori trasferirono pertanto dall'impero anglo-indiano più di 20.000 coolie, che verranno sterminati dalle malattie, mentre gli animali utilizzati per il trasporto delle attrezzature morirono a centinaia. Gran parte del territorio Masai venne colpito prima dalla peste bovina e poi dal vaiolo all'inizio del secolo.
Sul versante orientale del Monte Elgon il Kenya venne ribattezzato "Africa orientale britannica". Nel 1915, temendo la carenza di manodopera, l'amministrazione coloniale già dalla fine del XIX secolo contribuì a installare 15.000 famiglie europee, compresi i dirigenti e i tecnici addetti al prolungamento della ferrovia ugandese (iniziata nel 1903); fondarono il centro agricolo "White Highlands", che sarà immortalato nell'autobiografico La mia Africa di Karen Blixen e adattato cinematograficamente con La mia Africa.
Il caffè si situò principalmente ai piedi dell'Elgon, sul versante orientale del Monte Kenya e attorno a Nairobi, futura capitale. La durata delle concessioni a loro riconosiute venne prorogata nel 1915, così com'era avvenuto nel 1897 e nel 1902. Nel 1920 ottennero il diritto di far eleggere propri rappresentanti al "Consiglio legislativo"; masse di indigeni furono confinati nelle riserve, alcune delle quali diverranno in seguito parchi nazionali del Kenya (tra cui il parco nazionale di Nairobi, Masai Mara, la riserva nazionale Samburu, il Lago Nakuru, il parco nazionale del lago Manyara, l'area di conservazione di Ngorongoro, il parco nazionale del Serengeti e il parco nazionale dello Tsavo).
Il declino del porto di Le Havre spinge a tornare in Madagascar
I broker del mercato dei Futures internazioni a Le Havre svolsero un ruolo globale prima del 1914[235], quando i flussi brasiliani verso l'estero raggiunsero i 2/3 nelle importazioni della Terza Repubblica Francese[235]. Ma a seguito dello scoppio della prima guerra mondiale i finanzieri di New York soppiantarono i broker francesi nei maggiori titoli di credito rivolti agli esportatori brasiliani[235]; le riesportazioni di Le Havre scesero al di sotto delle 10.000 tonnellate annue, 1/4 della quantità del 1913[235].
Il porto venne allora spinto a sviluppare l'importazione di caffè coltivato sulla piana dell'Imerina, nel Centro-nord del Madagascar, ove stava lottando per poter decollare. Le Havre e la sua piazza di negoziazione rimase ostacolata dall'elevata tassazione; tra il 1900 e il 1910 il dazio fiscale sull'importazione di caffè fu pari al 128,5%[315], anche se era già stato ridotto a 0 dal 1892 per il caffè coloniale con l'intenzione dichiarata di promuoverne l'espansione interna[293]; la raccolta dell'isola rinacque aumentando a 3.359 tonnellate nel 1925 contro le 1.435 nel 1919[293].
Tutto ciò dopo che la produzione era andata completamente perduta per colpa dei funghi parassiti nel 1881[66]. Nel 1924 Le Havre rappresentò ancora il 37% del consumo europeo[293], mentre il mercato francese si mantenne il 2° più grande del mondo[293].
Ma il declino venne aggravato dalla scomparsa del proprio mercato internazionale dei "Futures" nella "Borsa commerciale" alla prima metà del XX secolo, alla fine del XIX secolo il maggiore d'Europa ed il solo in grado di competere con quello newyorkese[153]; in grado di fissare i prezzi delle diverse varietà a livello mondiale con un "Camera d'arbitraggio" specializzata nel compito[81].
La "Société commerciale interocéanique" venderà il proprio reparto dedicato al caffè nel 1985 alla famiglia Raoul-Duval di Le Havre[154]. Nel 1992 gli azionisti dell'impresa di Louis Delamare (creata nel 1897) rivenderanno le proprie azioni ai dipendenti i quali metteranno in piedi l'holding "Delcafé", reindirizzando l'attività ad altri mercati a termine[344]. Alla fine degli anni 1990 il fallimento di Unidad, un importante trader guidato dalla famiglia Vigan, sarà causato dal calo dei prezzi del caffè in Costa d'Avorio[81].
Caffeicoltura massiva in Africa orientale nel 1919
I coltivatori del gruppo etnico degli Haya nella regione di Bukoba, a Nordovest del Territorio di Tanganica e sulla riva Sud-occidentale del Lago Vittoria furono evangelizzati dai Missionari d'Africa alla fine del XIX secolo. Dopo di che, non avendo l'occasione di trovarsi ad affrontare l'ostilità dei piantatori europei, localmente assenti, vennero ingaggiati e incoraggiati dall'amministrazione coloniale[341]. Già nel 1919 fu intrapresa una massiccia campagna d'impianto, che richiese a ciascun produttore Haya di piantare almeno 100 alberi di Coffea[341].
Questa politica risultò ben accolta in quanto la specie di Coffea canephora utilizzata era più antica della versione Coffea arabica, introdotta già dalla fine del XIX secolo dai missionari e dai coloni[341]; essa era stata coltivata dagli Haya nell'area prospicente il Lago Vittoria, venendo presto ad assumere un ruolo rituale primordiale: rafforzava difatti il potere del re e donava la forza ai coltivatori i quali rimanevano strettamente associati alla prosperità degli alberi[341].
L'arrivo della ferrovia ugandese completò la circumnavigazione del Vittoria, facilitò lo smercio e l'arrivo di lavoratori stagionali i quali giunsero rapidamente dal Ruanda-Urundi, fermandosi proprio sulla strada ove avveniva la raccolta[345].
L'importanza dei trasporti si riflette in maniera significativa dal fatto che gli Haya esprimono ancor oggi con il numero di "macchine e camion" il volume delle proprie colture[341]; esse continueranno a crescere nel tempo. Nel 1950 vi saranno 8.000 piantagioni Haya nella Regione del Kagera, ognuna delle quali produrrà mezza tonnellata annua e 1/4 dell'intera raccolta della futura Tanzania[346]. Il 10% dei più fortunati di questo gruppo possiede a tutt'oggi 1/4 delle terre coltivate a caffè[347].
I 5 principali gruppi etnici coinvolti nella caffeicoltura nell'ex Africa Orientale Britannica sono i Chaga della Regione del Kilimangiaro, i Rwas del Monte Meru, la popolazione di Meru, gli Haya del Lago Vittoria e i Kikuyu della Provincia di Nairobi[341].
Decollo di Uganda, Tanzania e Kenya negli anni 1920
La coffea arabica posseduta dal Buganda venne introdotta direttamente dall'impero d'Etiopia[348]; essa costituisce a tut'oggi il principale prodotto d'esportazione del paese[349].
L'impero britannico incamerò l'amministrazione coloniale dell'Africa orientale tedesca alla fine della prima guerra mondiale; in Kenya s'ppoggiò principalmente agli agricoltori di origini europee, mentre il protettorato ugandese fece la scelta inversa; infine il Territorio del Tanganica attuò una via di mezzo tra le due[350].
Il decollo delle esportazioni ugandesi di caffè nel 1922 beneficiarono dell'esperienza data dalla rapida espansione della coltivazione del cotone tra il 1905 e il 1915; esse coprirono i costi operativi della linea ferroviaria che collegava il paese con l'Oceano Indiano e con le sponde del Lago Vittoria. Già nel 1915 l'industria cotoniera raggiunse un fatturato di 369.000 sterline:
Anno | 1905 | 1906 | 1907 | 1908 | 1915 |
Cotone esportato (valori in sterline) | 200 | 1.000 | 11.000 | 52.000 | 395.000 |
Il caffè ebbe un cammino più lento in quanto i contadini vi s'interessarono solo dopo il 1910, quando il suo valore incrementò. A partire dal 1912 nella Regione Orientale di Bugisu ai piedi del Monte Elgon le autorità cominciarono a distrbuire terreni e semi ai nativi; si creò così la prima caffeicoltura[351]. La raccolta fornì 1.269 tonnellate nel 1920, passando a 7.832 nel 1928.
Nel 1922 vi fu la svolta, quando i prezzi del caucciù crollarono e gli ugandesi non poterono più coltivare l'albero della gomma contemporaneamente al caffè. Nel corso degli anni venti i vivai si moltiplicarono, i semi furono ampiamente distribuiti e i coltivatori formati da istruttori e messi sotto l'autorità dei capi locali. Il caffè si coltivò principalmente nel Distretto di Masaka e sulle pendici occidentali dell'Elgon.
Tra il 1922 e il 1930 la superfice coltivata dagli africani ugandesi moltiplicò di 20 volte. La corvè venne trasformata in tassa nel 1926 e poi rimossa nel 1930 per permettere alla popolazione di lavorare autonomamente il caffè. Le autorità britanniche rimasero in competizione anche con i principali commercianti nella gestione della coltura e nel suo finanziamento, oltre che per costruire infrastrutture sul posto. La società "Gibson & Co." si evidenziò nel campo.
La coltivazione tra i Chaga della Regione del Kilimangiaro progredì fortemente dopo il 1925, mentre poco dopo si accelerò sui bordi del vulcano minore e nelle vicinanze del Monte Meru, 50 km ad Ovest. L'altro grande polo della cafeicoltura fu Bukoba, nel Nordovest della futura Tanzania e sulla sponda Sud-occidentale del Lago Vittoria, evangelizzata anche dai Missionari d'Africa (i "Padri Bianchi") alla fine del XIX secolo. La produzione di caffè a Bukoba risultò essere la seguente:
Anno | 1913 | 1917 | 1922 | 1925 | 1929 | 1932 | 1937 |
tonnellate | 403 | 1.228 | 2.738 | 4.150 | 6.794 | 10.882 | 9.540 |
La produzione totale nelle 2 zone principali di coltura tanzanese decollò effettivamente nel 1925, seppur rimanendo inferiore di 1/5 rispetto a quella kenyota la quale accelerò in quello stesso anno con un ritmo piuttosto rapido; qui i coltivatori già da tempo erano abituati ad utilizzare la tratta ferroviaria per rifornire rapidamente il mercato mondiale in tempi di aumento dei prezzi.
La raccolta tanzanese nella prima metà del XX secolo:
Anno | 1903 | 1923 | 1925 | 1930 | 1935 | 1940 | 1945 |
tonnellate | 377 | 4.115 | 6.096 | 11.786 | 18.898 | 14.681 | 15.140 |
La raccolta kenyota nel periodo interbellico:
Anno | 1914 | 1920 | 1925 | 1930 | 1936 | 1940 |
tonnellate | 375 | 5.319 | 7.468 | 15.748 | 20.777 | 8.738 |
Dal 1929 al 1945
Profonda crisi economico-sociale in America centrale travolta dalla "Grande depressione"
Il Martedì nero di Wall Street il 29 ottobre de 1929 innescò una catena di crolli finanziari (la cosiddetta "Grande depressione") che fecero affondare il prezzo del caffè di oltre la metà del proprio valore nominale tra il 1929 e il 1933[276].
Questo fatto ebbe profonde e durature conseguenze e ripercussioni negative nei paesi dell'America Latina. Tra il 1928 e il 1932 (o 1934 a seconda dei casi) il PIL "pro capite" diminuì di oltre il 20% in Costa Rica, El Salvador e Guatemala; i primi due rappresentavano i maggiori produttori di caffè dell'intera America Centrale rispettivamente con 33 e 22.000 tonnellate. Decrebbe anche del 30% in Honduras e di oltre il 40% in Nicaragua[276], senza alcuna possibilità di essere arrestato e con diverse vittime.
Nel settore caffeicolo si verificarono drastici tagli salariali e licenziamenti dei lavoratori agricoli; seguirono i fallimenti delle fattorie che non riuscirono più a rimborsare i loro debiti.
Nel Salvador alla crisi si aggiunsero anche i mancati tentativi di imporre una svolta in direzione del riformismo, disinnescati sul nascere dall'oligarchia al potere nel periodo 1927-31[276]. Il presidente Pío Romero Bosque fu costretto a concedere libere elezioni delle quali approfittò subito il suo favorito Arturo Araujo, un leader agricolo e ingengnere, che assunse il potere nel marzo 1931; influenzato dalle idee della socialdemocrazia del Partito Laburista, sarà deposto da un colpo di stato a dicembre.
L'oligarchia salvadoregna installò allora ai vertici di comando il generale Maximiliano Hernández Martínez, che mantenne la guida del paese per 13 anni. Considerando le elezioni del gennaio 1932 come inficiate da gravi brogli elettorali il movimento comunista abbandonò le sedi parlamentari legittime con l'intenzione di pianificare una rivolta. Nela notte tra il 22 e il 23 gennaio un'insurrezione di amerindi assaltò gli uffici doganali di Sonsonate; lo scontro provocò 40 morti, con i doganieri che vennero sottoposti a linciaggio, prima mutilati e poi assassinati[353].
Gli insorti posero quindi d'assedio alcuni villaggi indigeni del dipartimento di Sonsonate, Izalco, Juayúa e Nahuizalco ove i Cacicchi si trovarono ad essere alleati a fianco dei comunisti[353], minaccando così direttamente il sequestro di altre città nella regione del caffè posta ad Ovest.
Nel frattempo l'eruzione dell'Izalco in Guatemala causò il risveglio a catena di altri 2 vulcani normalmente dormienti, il Volcán de Fuego e il Santa María[354], con conseguente distribuzione delle polveri sottili per diverse centinaia di miglia[354]; causarono bassa visibilità e contribuirono a deteriorare il clima.
Il 22 gennaio alla nave britannica Skeena fu ordinato di salpare in direzione del porto salvadoregno di Acajutla "per proteggere i residenti di Sua Maestà"; si preparò a far scendere a terra una compagnia militare[354].
La repressione fu senza precedenti: da 10 a 25.000 persone massacrate secondo alcune fonti[276]. Alcune comunità indigene vennero quasi del tutto decimate[353]; le testimonianze oculari riferirono che tutti coloro che avevano un abbigliamento o un aspetto marcato riconducibile ad un'origine amerinda furono considerati come colpevoli di sovversione. Questo aiutò in seguito a rimuovere tutte le caratteristiche esterne della cultura dei gruppi indigeni (lingua, abbigliamento ecc.) dal paese.
In luglio il quotidiano El Cafe de El Salvador" dell'"Associazione dei caffeicoltori" guidata da Augustin Alvara e Henrique Fernandez[353], due tra i principali produttori nazionali, fece publicare un articolo il quale aggredì le "masse primitive" e il suo "ceto sociale infinitamente basso e ritardato" del tutto privo di una qualsiasi forma di civiltà[353].
Nella Costa Rica la rivolta non ebbe grandi emuli[276]. L'"Associazione nazionale dei coltivatori di caffè" fondata nel 1932 riuscì ad incanalare le richieste dei piccoli piantatori[276] e nel corso degli anni 1930 si attuarono riforme di grande rilevanza; la previdenza sociale, i diritti civili, nuove disposizioni del codice del lavoro vennero tutte condotte dalle alleanze politiche tra l'élite riformista della Chiesa (fortemente marcata dal cristianesimo sociale) e un Partito Comunista tra i più riformisti dell'intera America Centrale[276].
In Guatemala il Martedì nero del 1929 si trasmise anche a causa del crollo del valore mondiale dei beni di esportazione, mettendo in chiara evidenza i rischi che comportavano l'estrema specializzazione dei prodotti mantenuta dalle maggiori tenute agricole, tutte di proprietà tedesca: "Nottebohm Hnos", "Koch & Hagmann", "Schlubach & Thiemer", "Bulh" e "Lüttmann"[355]. Esse avevano acquisito vastissimi terreni in Boca Costa e sulle sponde dell'Oceano Pacifico[356], introdcendo nuove colture ed intensificando l'intero processo di produzione (la semina, la raccolta, l'essiccazione, l'imballaggio e finanche lo stoccaggio)[357].
La raccolta del caffè guatemalteco passò da 11.500 a 23.000 tonnellate annuali tra il 1910 e il 1930[358], di cui appena la metà potè essere venduta nel corso del 1931[358]. Solo le aziende agricole che riuscirono a contare su altri redditi forniti da prodotti diversificati ebbero la possibilità di salvarsi dal fallimento. Le altre finiranno con l'essere vendute e gli ingegneri agronomi, i militari (guardie private) e gli amministratori delle piantagioni approfittarono in larga parte dell'opportunità di acquisto. Un decreto consentì l'uso gratuito dei terreni statali per le colture cerealicole[278].
Nel 1934 il dittatore guatemalteco Jorge Ubico fece approvare una legge la quale, almeno teoricamente, proibiva il lavoro forzato[358]; ma un'altra disposizione inerente il vagabondaggio condusse invece nei fatti ad un suo rafforzamento[358]. Tutti i contadini e i lavoratori stagionali che non coltivarono una quantità minima di terra vennero definiti dei "vagabondi"[278]. La legislazione richiese inoltre a tutti coloro che risultarono essere del tutto sprovvisti di terra (oltre a quelli che avevano debiti da estinguere) di lavorare almeno per 150 giorni all'anno, o per i piantatori[278] oppure per lo Stato, ad esempio nella costruzione di edifici pubblici[278].
Il Venezuela perde i maggiori produttori prima e dopo il 1929
All'inizio del XX secolo il Venezuela era ancora tra i massimi produttori di caffè e cacao. Sotto l'amministrazione di Antonio Guzmán Blanco come governatore di alcune regioni dal 1871 e poi verso la fine degli anni 1880 la caffeicoltura crebbe rapidamente, beneficiando di un ulteriore sostegno sotto forma di prestiti provenienti dai paesi stranieri[359], il che consenti anche l'ampliamento della rete ferroviaria.
In seguito il paese scoprì enormi riserve di petrolio. Tra il 1920 e il 1930 il settore petrolifero crebbe dal 2,5% del prodotto interno lordo a quasi il 40%, l'agricoltura inversamente passò dal 39 ad appena il 12,2%[360]. La Grande depressione degli anni 1930 causò lo sprofondamento del valore del caffè; questo spinse la maggior parte dei paesi della regione a svalutare la propria valuta per poter mantenere la competitività nelle esportazioni[360].
Il Venezuela al contrario cedette alle pressioni della lobby commerciale e organizzò l'importazione di tutto quello che il paese consumava; tra il 1929 e il 1938 venne aumentato il valore del bolívar del 64%, serrando in tal modo le porte del commercio internazionale al settore agricolo[360]. Si passò da un'economia basata al 96% sul cacao e il caffè a un'eonomia prettamente petrolifera. La produzione di caffè venezuelano in tonnellate tra il 1874 e il 1940 seguì l'ordine seguente:
Anno | 1874 | 1894 | 1924 | 1934 | 1940 |
Caffè prodotto dal Venezuela (in tonnellate) | 30.664 | 106.338 | 56.412 | 62.195 | 71.447 |
Dopo la seconda guerra mondiale il raccolto diminuì costantemente e con estrema rapidità; altri paesi emersero tra i 20 maggiori produttori mondiali. Negli anni 1990 era meno della metà di tutti gli Stati andini. Le drupe selezionate, di un verdazzurro molto chiaro e generalmente di buona qualità[270], presero i loro nomi dalle principali città marittime: Puerto Cabello, La Guaira (o Caracas) e Maracaibo[270].
Il caffè colombiano supera le guerre civili e sfrutta il treno di montagna
Dal mantenimento del valore finanziario del caffè brasiliano trasse giovamento anche il rivale colombiano, che rappresentò il 50% delle esportazioni nazionali a partire dal 1875.
Il testo El Orinoco ilustrado y defendido del missionario spagnolo della Compagnia di Gesù José Gumilla narra di come i primi chicchi furoro seminati nella missione di Santa Teresa nel 1730 e successivamente a Popayán 6 anni dopo. Il caffè venne in seguito esteso ai versanti colombiani della Cordigliera delle Ande, tra i 2 e i 3.000 m d'altitudine nel Dipartimento di Antioquia, nel dipartimento di Caldas, nel dipartimento di Risaralda, nel dipartimento di Quindío, nel dipartimento di Tolima ed infine nel dipartimento di Valle del Cauca.
Il trasporto a rotaia del caffè lungo la linea dell'Antioquia, un progetto coltivato fin dal 1876 ma che si trascinerà a lungo, permise un'espansione del 25% annuo tra il 1888 e il 1899[361], seppur il suo peso all'interno del comercio internazionale continuò a rimanere alquanto marginale.
I proprietari, che associarono spesso la caffeicoltura con prodotti complementari in un'economia relativamente autosufficiente, furono dipendenti dalle imprese importatrici europee e statunitensi le quali facilitarono il credito al fine di superare certe condizioni del mercato interno[362].
Gli aiuti vennero implementati dai governi insediatisi sotto la presidenza di Rafael Núñez e dai presidenti della Colombia suoi successori; per lo più prestiti a tasso d'interesse molto favorevole.
Con lo scoccare del nuovo secolo le tratte ferroviarie cominciarono a trasportare la maggior parte del caffè a partire dal quinquennio 1904-09[361], subito dopo la fine della guerra civile. Il "Ferrocarril del Pacífico" e la ferrovia di Antioquia furono portate a termine in questo periodo[361]; il tragitto del caffè potè quindi passare da 783 a 122 km di percorso[361].
L'Ovest del paese offrì di meno le conseguenze del conflitto, in particolare la regione antioquiena la quale offrì buone condizioni climatiche; essa possedeva già una classe imprenditoriale dinamica che aveva prosperato grazie all'estrazione mineraria[363] e disposta a correre rischi. La caffeicoltura si stabilìzzò soprattutto in questa zona e contribuì a creare la fortuna di molti.
Anno | 1905 | 1910 | 1920 | 1933 |
Quota colombiana nelle esportazioni mondiali di caffè | 3% | 3,35% | 7,61% | 14,57% |
La ferrovia condusse fino alle rive dell'Oceano Pacifico ove il caffè veniva imbarcato al porto di Buenaventura (Colombia); il canale di Panama, aperto nel 1914, ampliò ulteriormente il mercato Atlanticio[361]. In precedenza i porti colombiani affacciati sul Pacifico non furono mai d'importanza vitale in quanto il caffè attraversava la costa Nord via Cúcuta, per giungere al poi al Golfo del Venezuela e da qui prendere la via dell'Oceano Atlantico[361].
Il paese beneficiò anche dei piani brasiliani di valorizazzione, un sistema di sostegno dei prezzi sviluppato per superare agevolmente le fluttuazioni temporanee; il primo fu quello diretto dal governo nel 1907[361]. Ciò incoraggiò anche i piantatori a creare incentivi volti all'aumento della produzione[361]. La crescita delle esportazioni di caffè permise un aumento del tasso totale pari all'11,4% annuo durante il decennio 1910-19[361].
La Colombia accrebbe la sua quota mondiale dal 3% nel 1905[361] al 3,35% nel 1910[361] al 7,61% nel 1920[361] fino al 14,57% nel 1933[361]. L'evoluzione della raccolta tra il 1874 e il 1940 risultò essere la seguente:
1874 | 1894 | 1924 | 1934 | 1940 |
30.664 tonnellate | 106.338 tonnellate | 56.412 tonnellate | 62.195 tonnellate | 71.447 tonnellate |
Il caffè colombiano rappresentò il 9,5% della superfice coltivata nel 1915 per passare al 21,9% nel 1937, impiegando un milione di agricoltori distribuiti in 150.000 aziende agricole, una buona metà delle quali concentrate nell'Antioquia. La Colombia innalzò le proprie tariffe doganali del 70% nel 1907 e passò da 1.480 km di ferrovie nel 1922 a 3.362 nel 1934; nel 1920 il paese pesò per l'11,3% dell'offerta mondiale, 2° solo al Brasile[364].
Alla fine del XX secolo la coltura colombiana è il risultato dei "simbiotici sforzi privati di pianificazione da parte di potenti imprenditori capitalisti e della spontanea migrazione contadina in cerca di terra e di lavoro, con alle spalle una politica di relativa passività statale"[3]. Gli alberi vengono coltivati da piccoli gruppi agricoli indipendenti, o viceversa da grandi proprietà denominate "hacienda"; malpagati i loro dipendenti non si prendono cura delle piante, rendendo così la loro qualità mediocre.
Scorte brasiliane bruciate e ricorso al caffè liofilizzato
Nonostante i "piani di conservazione" del 1906, 1917 e 1921 il paese ricominciò a produrre massicciamente nella seconda metà degli anni 1920. Il crollo del 1929 e il profondo rallentamento economico globale produsse una seconda contrazione nel 1930 sul mercato internazionale del caffè, i cui effetti vennero aggravati dall'invasione dello "scarabeo dei grani del caffè" (Hypothenemus hampei), un minuscolo coleottero parassita d'un colore bruno scuro denominato anche "Stephanoderes"[365]; esso rallentò significativamente la produzione a partire dal 1928[365].
Per mantenere i prezzi di vendita e prevenire la caduta verticale del mercato il Brasile si trovò obbligato non solo a distruggere le piantagioni, ma anche a gettare in mare o bruciare grandi quantità di caffè di qualità minima[365]. Nel periodo compreso tra l'aprile del 1931 e il maggio del 1944 si vide la distruzione di 78.214.253 sacchi, quasi 5 milioni di tonnellate, sufficienti a rifornire l'intero continente europeo[365]. Le raccolte vennero invece volutamente ridotte dagli altri paesi dell'America Latina.
Nel corso degli anni 1930 l'"Ufficio del caffè brasiliano" chiese anche alla Nestlé diretta dalla famiglia di Auguste Roussy di creare i "cubetti di caffè", che con semplice aggiunta di acqua calda avrebbero dovuto permettere la realizzazione del caffè istantaneo (solubile); un modo per poter smaltire le scorte di caffè grezzo. L'invenzione del caffè solubile da parte del neozelandese David Strang o dell'asioamericano Satori Kato nel 1901[6] non aveva fino ad allora ottenuto un grande riscontro nel pubblico[366].
In Svizzera venne istituita un'équipe a cui parteciparono il professor Paul Dutoit e il chimico tedesco Max Morgenthaler. I primi test effettuati risultarono inconcludenti e la direzioe generale chiese di interromperli; ma Morgenthaler proseguì privatamente la ricerca nella propria abitazione. Alla fine trovò la formula; il grano tostato e macinato venne passato in grosse caffettiere per essere disidratato, con l'aggiunta di glucidi insapori per facilitarne l'essicazione. Nescafé, che perfezionò il procedimento, fu fondata nel 1938.
I processi di liofilizzazione saranno ulteriormente sviluppati durante la seconda guerra mondiale; contribuirono indirettamente alla popolarità del caffè istantaneo. Originariamente pensati per la preparazione della penicillina, del plasma sanguigno e della streptomicina per le United States Army, questi procedimenti vennero riciclati anche per il caffè.
In Africa i coloni affrontano la crescita della caffeicoltura nativa indipendente
Contrasti tra coloni e amministrazione in Ruanda-Urundi tra il 1930 e il 1938
Creata negli anni 1880 l'Africa orientale tedesca (comprendente gli attuali Burundi, Ruanda e Tanzania continentale introdusse la coltura della Coffea arabica negli anni 1900; essa però si sviluppò compiutamente solo a partire dai primi anni 1930 sotto la colonizzazione belga del Ruanda-Urundi. Questo territorio di media altitudine venne assegnato al Congo belga a seguito del Trattato di Versailles (1919) il quale decise la spartizione della colonia tedesca africana.
L'espansione della caffeicoltura, per la quale tutte le autorità coloniali europee d'Africa si mobilitarono durante gli anni 1930 attraverso esperti di agronomia e il monitoraggio del "caffè indigeno"[367], entrò effettvamente in una fase di vigorosa affermazione nel 1950. Tutti i testi in cui si parlava di caffè, a partire da un famoso opuscolo elaborato nell'autunno del 1930, dovettero essere disponibili nelle scuole.
Come accadde anche nel Madagascar, l'ampliamento della pianta tra il 1930 e il 1938 provocò un clima di forti contraddizioni tra coloni e amministrazione[367], estendendosi anche alla vicina regione non caffeicola congolese; la posta in gioco fu la concorrenza nella crescita economica tra bianchi e neri e la questione della remunerazione del lavoro dei produttori africani[367].
Il "programma-caffè", sostenuto dal vicario apostolico monsignor Julien Gorju, attraverso cui si sperava che la promessa di guadagno tenesse ferme le popolazioni inclini ad emigrare nei paesi a maggioranza protestante[367] venne interrotto nel 1938[367]. La mappatura del flusso migratorio sfavorì proprio le regioni con presenza di aree a più elevata densità caffeicola, come Ngozi e Gitega[367]; questo almeno accadde prima degli anni 1950, quando il caffè diventò un fattore più efficace nella sedentarizzazione delle tribù[367].
A partire dai primi anni 1940 l'atteggiamento e il trattamento della popolazione nativa mutò di rotta; l'amministrazione coloniane belga sostituì i giovani tecnici europei con africani appositamente addestrati in strutture educative occidentali[367]. Tra queste l'"école d’Astrida" a Butare creata nel 1932 che impartì l'istruzione secondaria[367].
Il "circolo dei giovani astridiani" acquisì in tal modo i principi del liberalismo e dell'uguaglianza sociale, mettendosi al servizio del movimento per l'emancipazione politica sia in Ruanda che nel Burundi i quali diventarono presto focolai del moderno nazionalismo africano[367].
Rivalità tra Tanganica, Lago Vittoria e Kilimangiaro
Le amministrazioni coloniali britanniche tennero conto delle differenze d'insediamento nella loro politica del caffè sopo aver recuperato l'Africa orientale tedesca al termine della prima guerra mondiale. Il Kenya decise di affidarsi principalmente su agricoltori di origine occidentale, in particolar modo a seguito della catastrofe umaniaria causata dalla peste bovina e dal vaiolo che decimò le popolazioni Kikuyu e Masai nel 1899; laddove il Buganda scelse un percorso opposto e il territorio del Tanganica una via di mezzo[350].
Quando la coltivazione dei Chaga cominciò a dventare significativa, gà attorno al 1918-23, cominciò a scontarsi con una forte resistenza europea. Nel 1923 l'"Associazione dei piantatori del Kilimangiao" reclamò che l'agricoltura del caffè venisse vietata agli africani, proprio com'era accaduto nel vicino territorio kenyota, facendo pressioni l'anno seguente per un'annessione ufficiale all'Africa orientale britannica. Nel 1925 i piantatori bianchi del Tanganica si unirono definitivamente nelle loro richieste, ottenendo che i concorrenti si limitassero alla coltivazione meno redditizia della Coffea canephora.
Nel 1929, colpita dalla differenza di trattamento nelle 3 colonie, il governatorato britannico che sovraintendeva alle richieste dei coloni, esaminò il problema e nel 1934 accettò la situazione esistente ed anzi decise di lanciare nelle regioni kenyote le colture africane, seppur solamente in 3 distretti ad una certa distanza da quelli coltivati dagli euopei, precisamente nella contea di Kisii, attorno al Monte Meru nella regione di Arusha e nella contea di Embu; i coloni vi si opposero con veemenza.
Il risultato fu che nel 1935 le zone caffeicole britanniche orientali produssero 20.777 tonnellate su una superfice totale di 42.317 ettari.
Colture interdette ai nativi nel Congo belga
Il Martedì nero del 1929 si verificò proprio nel bel mezzo del boom agricolo che spinse la moltiplicazione delle piantagioni congolesi, in particolar modo quelle di caffè nel periodo 1928-29 da parte delle maggiori società coloniali, come ben dimostra l'attività di gruppi e società. Il gruppo Crégéco per la "banca di Bruxelles fu interessato a 3 filiali che piantarono caffè su grandi aree; la società Sécia s'impegnò a piantare alberi inserendoli ad intercalare in centinaia di acri impiantati con l'albero della gomma; la società Socouélé acquisì dicerse centinaia i ettari per coltivare caffè ed infine il Comanco si appropriò di 300 ettari destinandoli alla caffeicoltura[338].
Come già detto il Congo belga beneficiò dell'opera dell'"Institut national pour l'étude agronomique du Congo belge" il quale ripristinò nel 1916 le Cultivar di Coffea canephora selezionate nelle Indie orientali olandesi[294]. La stazione di ricerca agricola fondaa nel 1925 nella regione di Kivu studiò la crescita di diversi prodotti tropicali, tra cui il caffè "robusta"[294]. Già nel 1930 il lavoro di "allevamento" venne effettuato utilizzando le varietà selezionate del Java e di quelle cresciute spontaneamente nella foresta tropicale congolese[294]. Questo lavoro accelerò la diffusione della "robusta" e idusse la sua sensibilità al "coleottero della corteccia" grazie ad una fruttificazione maggiormente raggruppata[294].
A partire dal 1927 vi fu lo scoppio dello "scandalo del lavoro forzato" (istituzionalizzato el 1917)[368] il quale alimentò in patria numerose polemiche sia giornalistiche che politiche[340].
Dopo un primo decollo nel 1928 la produzione aumentò di 20 volte in 6 anni, raggiungendo le 12.000 tonnellate nel 1934[340]. A questo punto si scatenò la discriminazione anti-indigena; il ministro delle colonie Paul Charles volle tentare di arrestare questa progressione[340], mentre l'amministratore societario Robert Godding (senatore di Anversa e futuro ministro) reclamò che le piantagioni congolesi non si ponessero in aperta concorrenza con i coltivatori europei favoriti dalle autorità[340].
Il decreto del 20 maggio del 1933 accordò una vasta concessione all'olio di palma, sotto forma di monopolio del gigante alimentare multinazionale Unilever; si utilizzò ancora una volta il lavoro forzato.
Pierre Ryckmans, ex commissario reale del Ruanda-Urundi, divenne governatore generale del Congo belga il 14 settembre del 1934[369] e subito dopo fu decisa l'annessione del Ruanda-Urundi al territorio congolese. Rycmans era stato dal 1930 nel consiglio d'amministrazione della "Società coloniale d'Anversa" (la "Bamboli") in qualità di giureconsulto; essa piantò 200.000 alberi[340] lamentandosi però del fatto che vi fossero un milione di coltivatori congolesi nelle zone di Faradje e Mahagi (nell'odierna Provincia Orientale[340].
Ryckmans tentò di rassicurare a sua ex compagnia; l'amministrazione cedette alle pressioni della "Association des Planteurs de Café du Congo belge" presentando al Consiglio un progetto di decreto coloniale sulle licenze d'importazione, che prevedeva anche una limitazione delle superfici investite a caffè[340].
Del tutto improvvisamente la raccolta congolese cominciò a stagnare nel corso degli anni 1930, mentre quella del cotone lievitò da 220 a 370.000 ettari[340]. Nonostante la loro volontà di partecipare all'espansione del caffè le etnie congolesi ancora nel 1939 ebbero appena 3.500 ettari di caffeicoltura sui 56.000 appartenenti ai coloni[340]; tra il 1937 e il 1939 vi fu un incremento del 30%[370] nel raccolto. Ma la necessità di frenare la coltivazione per impedire un calo dei prezzi mondiali rimase all'ordine del giorno delle aziende come fronte delicato, soprattutto dal comparto del commercio coloniale belga[371] fondato nel 1894[370].
Dopo il 1940 vennero creati dei "Comitati di difesa" a Kisangani[370] nella provincia di Tshopo, il luogo più lontano che si potesse raggiungere in barca risalendo il Congo da Kinshasa e Bukavu[370] sulla riva Sudovest del Lago Kivu; i piantatori di caffè e del Cocos nucifera si dichiararono vittime della situazione accusando di passività il governo e la sua complicità con le grandi aziende[370].
Madagascar, primo sito del nuovo impero del caffè francese
Fino al 1930 i contributi coloniali contarono ben poco nelle importazioni francesi di caffè; nel 1913 le 115.200 tonnellate comprate dal Brasile ne fornirono più della metà, mentre l'impero coloniale francese solamente 945 (l'1%) ed oltretutto di una qualità molto carente, di cui 65 provenienti dal Madagascar. Nel 1922 il governatore generale dell'isola Hubert Auguste Garbit sostenne la stardardizzazione nel campo del marketing.
Egli fece avviare un'indagine per le camere di commercio dei principali porti (Le Havre, Bordeaux e Nantes) e nei maggiori centri di consumo (a Lione e Lilla), per arrivare a definire 3 tipologie di varietà del caffè a disposizione in Madagascar, la Coffea liberica, l'"excelsa" congolese e la Coffea arabica[235]. Gli intervistati risposero che la loro preferenza andava al "Congo", comunemente venduto sotto il nome di "Kouilou" o "Bourbon" malgascio; pronunciarono invece una condanna assoluta nei confronti del "Liberico"[235].
La politica brasiliana dei prezzi elevati si unì alla sottostima del valore del franco francese nel 1926-28[235] per poter permettere il flusso del caffè coloniale, anche quello di qualità modesta, a "prezzi molto remunerativi"[235]. Nel 1930 il Brasile esportò nella Terza Repubblica francese 116.000 tonnellate sulle 179.000 totali, mentre il Madagascar ne raccolse 6.671 e tutte le altre colonie francesi messe insieme toccarono le 1.720 tonnellate (quasi 4 volte in meno); in totale le esportazioni coloniali rappresentarono il 4,6% dell'importazione francese di caffè[235]. Il Camerun anglo-francese, che volle intraprendere la coltura, si rivolse al Madagascar consultandone le autorità[235].
Nel corso degli anni 1920 e 1930 i coloni francesi tentarono di proibire le piantagioni di caffè indigene sulla costa orientale[373]. Una petizione venne fatta inviare nel mese di ottobre del 1930 al governatore generale Léon Cayla, giunto a maggio, delineando "il pericolo di un [[proletariato] di stile europeo in una massa indigena che finirà per sé ridotta alla povertà, alla fame e alla delusione per aver voluto malamente imitare l'esempio occidentale"[373].
Ma l'amministrazione prese le parti dei popoli indigeni riconoscendo molto semplicemente le loro colture essere maggiormente efficaci[373]. Le strade per il trasporto radoppiarono da 12 a 25.000 km. in 9 anni sotto il mandato di Cayla, il "governatore del caffè".
Dopo il primo sforzo d'impianto del 1924-29 il Martedì nero e il conseguente forte calo dei prezzi internazionali che diedero il via alla "Grande depressione"[235] causò forti scosse tra i piantatori; a luglio 1926, durante l'"età d'oro", un kg. di caffè valeva 20 franchi; nel 1928 da 9 a 10 (considerato come il prezzo equo, equivalente a quello del 1915). Alla fine del 1929 era sceso a 5 franchi (prezzo che si affermò essere sostenuto dal costo di produzione); alla fine del 1930 da 3 a 3,5: prezzo quest'ultimo il quale non assicuro più nessun rientro-spese e che ridusse molti alla rovina. Le piantagioni cominciarono a venir abbandonate[235].
Cayla richiese alla madrepatria di poter disporre di misure eccezionali, ma il ministero per il commercio con l'estero - il quale volle mantenere buone relazioni commerciali sia con il Brasile che con Haiti - rifiutò l'incorporazione delle imposte di consumo e d'importazione nei diritti di dogana, così come reclamato da Cayla. In cambio le colonie ottennero il sistema dei "premi sul caffè" istituito dalla legge del 31 marzo del 1931 e dai decreti a seguire del 31 maggio, sulla base della redistribuzione degli esportatori coloniali; produsse una tassa speciale di 0,1 franchi al kg su tutto il caffè che entrò nel territorio francese[235].
Cayla si profuse a fondo nel 1931 coi tentativi di porgere aiuto ai piantatori, persino andando a prelevare dalle casse di riserva della colonia al fine di trovare i fondi necessari[235]. Il sostegno dato al caffè nel 1931-32 per mantenerlo ad un livello di prezzi elevati diede un'impulso decisivo alla produzione contadina. Da un anno all'altro le piantagioni indigenere aumentarono da 32 a 49.000 ettari, mentre i coloni ristagnarono a circa 20.000 ettari per tutto il decennio[235].
Il rapporto tra il prezzo del caffè venduto e il prezzo del riso acquistato, ritenuto d'interesse per le comunità quando il primo superava di almento 3 volte il secondo, si evolse alla luce del profondo e continuo calo dei prezzi del riso tra il 1926 e il 1937[235].
Come conseguenza durante gli anni 1930 il Madagascar divenne il principale esportatore di caffè dell'Africa francofona giungendo all'83% del totale, superando tutti gli altri paesi africani[373]; questa situazione si presentò per 2 volte, dalla fine degli anni 1840 al principio degli anni 1860[373] e nel triennio 1931-33.
L'ondata massiva di piantagioni sempre più vaste fece aumentare la produzione a 30.000 tonnellate annuali nel 1937-39, 6 volte maggiore rispetto al decennio precedente[235]; tale sviluppo fu quasi esclusivamente opera e merito dei contadini nativi, in quanto la produzione dei coloni rimase ancorata a non più di 7.000 tonnellate[235]. La Costa d'Avorio completò il quadro dell'Africa Occidentale Francese lievitando da 21 a 50.000 tonnellate.
Il mercato finanziario dello scalo portuale di Le Havre mantenne tuttavia 2 pratiche assi sfavorevoli per i caffè caloniali, ammessi solo nell'aprile del 1937 sul mercato dei Futures[235], in sostanza per la mancanza di quantità sufficienti corrispondenti ai tipi classificati e riconosciuti. Inoltre la classifica dei caffè, secondo la tecnica lanciata a New York nel 1880, privilegiò le varietà di Coffea arabica tra cui il "Santos brasiliano" il quale venne considerato dagli esperti di torrefazione come la base di tutti i "mélanges"[235].
L'ingegnere d'ispezione delle stazioni di prova e dei laboratori scrisse nel "Bollettino economico del Madagascar" che l'isola, con il suo "Koilou", produceva solamente caffè secondario di gusto neutro che poteva tutt'al più essere utilizzato in miscele e nel limite del 15-20%; agomentazioni queste riprese anche da Édgar Raoul-Duval e Léon Regray, dirigenti leader del "Sindacato commerciale del caffè" di Le Havre. Essi inoltre non mancarono di denunciare gli incentivi perversi e il tasso di protezione dell'80% per il "liberico" avoriano, mentre era solo del 57% per l'"arabico" malgascio. Nel 1937 crearono il primo mercato dei "futures" per la Coffea canephora[374].
Al fine di evidenziare la sua "grande riuscita" l'amministrazione coloniale diede il via ad un piano di sviluppo su larga scala per la Coffea arabica[235], che era stata introdotta da Riunione ma quasi completamente distrutta dai parassiti e pertanto abbandonata; l'obiettivo fu la scomparsa dei commercianti asiatici, tentativi che saranno interrotti a causa della guerra ma il cui risultato sarà sfavorevole[235].
La rivolta del Madagascar nel 1947-48, accompagnata da massacri di coloni francesi e malgasci non indipendentisti, fu seguita da una feroce repressione condotta dall'esercito francese la quale fece migliaia di morti e vide una drastica riduzione della produzione nel corso degli anni 1950[373]. Alcuni commercianti francesi come la "Société commerciale interocéanique" si specializzò nel caffè malgascio nel 1950[375], anticipando la ripresa della coltivazione; questa raggiungerà il suo picco nel 1979 con 69.470 tonnellate[293].
Le piantagioni si trovarono per lo più nel distretto di Manakara, mentre a caffeicoltura promossa da Georges Ancel (un altro agente commerciale di Le Havre) sarà impiantata nella provincia di Toamasina[376].
Dal 1945 al 1960
I combattimenti della seconda guerra mondiale alleviarono la pressione nella maggior parte degli insediamenti europei, che avevano fino a quel momento operato su regole molto rigide, mentre la supervisione delle piantagioni venne a volte ammorbidita.
Una delle conseguenze primarie del conflitto fu l'espropriazione del latifondismo tedesco nel Guatemala[377] in quanto il paese si schierò tra gli Alleati della seconda guerra mondiale[377]; alle elezioni legislative del novembre 1933 nella Germania nazista la comunità tedesca guatemalteca votò nel 98% dei casi a favore del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori di Adolf Hitler[377].
Piantagioni abbandonate o disorganizzate dal conflitto
Nel corso degli anni 1940-45 la separazione dell'impero coloniale francese dalla madrepatria provocò rivolte[365], a cui seguirono una grave carenza di manodopera[365] e scarsità di trasporti[365], il che contribuì notevolmente a ostacolare la crescita delle piantagioni nei paesi d'oltremare dell'Unione francese; ci si rese presto conto ch'esse erano state del tutto improvvisate, basandosi preminentemente sulle sovvenzioni statali della produzione elargite a coloni e nativi completamente ignoranti sulla migliore tecnica da adottare nella coltivazione de caffè[365].
Quando scoppiò la guerra si previde una produzione coloniale di 74.000 tonnellate per l'Africa Occidentale Francese, l'Africa Equatoriale Francese e il Madagascar nel 1940, più di 1/3 dell'intero consumo francese del tempo[365]. Nel 1948 la Quarta Repubblica francese ricevette solo 65.280 tonnellate, in diminuzione di 1/5 in 10 anni[365] e ben distanziato dal Congo belga che raccolse 85.000 tonnellate, contro le 53.540 del 1938[365], con un incremento del 60% netto.
Il Regno Unito ricevette 52.800 tonnellate, più del doppio rispetto alle 22.561[365] del decennio precedente; anche la Svizzera quasi raddoppio le importazioni, dal 19.224 a 34.740[365].
Riforme agrarie in Guatemala
Il caso "Meru Land" del 1950 in Tanzania
All'inizio degli anni 1950 la storia della caffeicoltura tanzanese venne segnata dall'espropriazione altamente conflittuale dei Rwas, che vivevano ad Est del Monte Meru (Tanzania) proprio sulle pendici della montagna; fu una battaglia di territorio che li rese famosi sotto il nome di "Meru Land Case"[341]. I britannici amministrarono il territorio del Tanganica sotto il preciso mandato dell'Organizzazione delle Nazioni Unite[341].
Al fine di meglio armonizzare la distribuzione della terra tra coloni e contadini africani intorno al Kilimangiaro e al Meru fu nominato un esperto, il giudice Mark Wilson; la sua relazione presentata nel 1947 sostenne l'espropriazione dei territori pastorali alle tribù di origini ruandesi con l'intento preciso di farvi installare al loro posto i coloni inglesi[341].
I Rwas vi si opposero fermamente dndo vita ad un movimento guidato inizialmente da intellettuali fedeli del luteranesimo[341]. Uno di loro, Kirilo Japhet, venne inviato come emissario a New York nel 1952[341] per difendere la causa del proprio popolo davanti al "Consiglio dell'amministrazione fiduciaria delle Nazioni Unite". Japhet era allora il leader del movimento "Meru Citizens Union Freemen", ma anche capo di un nuovo partito politico denominato "Tanganykan African Association"[378].
Egli fu molto attivo a partire dal 1949 presso i piantatori di caffè residenti all'altra estremità del paese, dove contribuirono alla creazione di cooperative[379]. Durante il suo soggiorno statunitense Japhet instauro contatti con i suoi correligionari luterani[341]. Attraverso queste amicizie due anni più tardi un altro giovane luterano - americano stavolta - di nome Anton Nelson e autodefinitosi "volontario del progresso" fu inviato dai Rwas perché venisse ad aiutarli a sviluppare la loro cooperativa e la relativa produzione di caffè[341].
Rivolta Kikuyu in Kenya nel 1952
Forte espansione della caffeicoltura africana
Dal 1947 al 1956 il prezzo del caffè passò da 25 centesimi a 70, quasi triplicando in 10 anni; ciò favori la crescita dell'offerta in molti paesi[150], ma in una maniera assi differente tra un continente e l'altro. Il [[[Brasile]] esportò nel 1962 più del 40% del caffè mondiale, contro il 50-60% prima del 1939; entro il 1914 la sua quota aveva invece raggiunto l'80% del caffè consumato[327].
Al contrario i paesi africani della Zona franco esportarono subito dopo il 1945 circa il 10% dell produzione globale, quando la loro quota era stata solo del 2% prima del 1939[327]. In quell'anno il volume di produzione africana rappresentava 1,6 milioni di sacchi; nel 1956 fu pari a 8,2 milioni su un totale di 42,2 milioni distribuiti principalmente tra Camerun anglo-francese, Costa d'Avorio, Guinea e Madagascar francesi, impero d'Etiopia, Costa d'Oro, Liberia, le colonie spagnole africane e il Congo Belga[380].
L'espansione africana dopo il 1945 riguardava essezialmente il 1° dei suoi 3 grandi bacini di produzione:
- Africa Occidentale Francese e Africa Equatoriale Francese (30% della raccolta complessiva): che coltivava quasi esclusivamente Coffea canephora la quale non amava le altitudini e preferiva i climi caldi e umidi di tipo equatoriale e veniva associata al cacao e alla banana. La sua produzione si sviluppava su 2 bacini principali di caffeicoltura: quella concentrata attorno alla Costa d'Avorio (Guinea, Liberia, Sierra Leone, Togo più la Costa d'Oro inglese) e con l'aggiunta di Camerun e Nigeria.
- Africa Orientale Britannica: che produceva soprattutto Coffea arabica ad eccezione di Buganda e Madagascar.
- Africa Centrale: in declino. La produzione dell'Angola scese nettamente a partire dal 1975, mentre quella della Repubblica Democratica del Congo dal 1982 entrambe a causa della forte instabilità politica prodottasi.
In Costa d'Avorio regioni pioniere e raccolto moltiplicato per 20
Ruolo dell'istruzione nella caffeicoltura togolese
La regione Nordovest del Togo possiede 30.000 ettari di Coffea canephora ("robusta" e "niaouli"), mentre la maggor parte delle colture rimanenti sono confinate al Centro-ovest del paese; altri 20.000 ettari distribuiti in un triangolo rettangolo con i lati che misurano decine di km attraversato dala via di comunicazione che congiunge Kpalimé a Atakpamé[381].
Gli alti tassi di scolarizzazione in alcune aree, l'85% solo a Kpalimé (capitale del cacao oltre che del caffè togolese), riflette una forte disparità rispetto al 10-30% delle aree rurali[382]; questo fatto facilita in molti casi l'apprendimento delle tecniche di coltivazione. Un altro forte sostegno alla "linea caffè-cacao" fu la costruzione delle rete ferroviaria nel 1907, portata avanti durante il periodo coloniale tedesco e conclusasi in 119 km tra Lomé e Kpalimé[383].
Gli anni 1930 e l'immediato dopoguerra ha assistito ll'emersione di un piccolo capitalismo nero il quale valorizzò la rendita fondiaria caffeicola dei piantatori, grazie all'aiuto della manodopera sia nativa che proveniente dalla confinante Costa d'Oro (colonia britannica)[382].
Il significativo incremento dei prezzi nel 1947 e gli sforzi compiuti dall'amministrazione del Togoland francese determinarono un notevole aumento della produzione fino a raggiungere le 2.368 tonnellate, una quantità triplicatasi entro il 1956. Ma a causa di malattie vegetali e dei ripetuti attacchi insettivori, la quota nazionale si mantenne molto modesta se paragonata alla produzione di cacao o se raffrontata a quella del Camerun francese.
Anno | 1947 | 1948 | 1953 | 1954 | 1956 |
Produzione del Togoland francese[382] | 2.300 tonnellate | 1.700 tonnellate | 2.800 tonnellate | 4.100 tonnellate | 6.400 tonnellate |
La caffeicoltura, passata a 1.700 tonnellate nel 1948, risalì a 2.843 nel 1953 e a 6.406 3 anni dopo per poi stabilizzarsi a circa 10.000 tonnellate annue nel 1975[382]; in seguito è ristagnata attestandosi a questo livello. Le piantagioni si trovano su altopiani pedemontani composti di terreno fertile e dove le precipitazioni consistono in poco più di 1.000 mm annui nel migliore dei casi, ad un'altitudine media di 7-800 m, più che sufficiente per consentire anche l'avviarsi della coltura di Coffea arabica[382] (un ibrido tra "arabica" e "kouilou" battezzato col nome di "varietà niaouli"[382]).
L'Angola portoghese è al 4° posto nel mondo e poi caos
Al momento dell'indipendenza dall'impero portoghese nel 1974 l'Angola risultava essere il 4 produttore mondiale di caffè; ma da quel momento in poi il suo raccolto è affondato[384]. La guerra civile in Angola ha devastato le piantagioni e la maggior parte degli esperti di agronomia sono dovuti emigrare in Brasile; le aree di coltivazione non tardarono molto a diventare cespugli selvatici.
Nel 1959, in pieno "boom del caffè", i piantatori coloniali portoghesi cominciarono ad essere serviti dalla tratta ferroviaria che da Luanda conduceva verso l'interno del paese; produssero 65.772[385] tonnellate suddivise per 257.962 ettari e usufruendo della manodopera di 86.360 nativi[385], per lo più Ovimbundu reclutati con la forza verso le terre espropriate ai Kongo (popolo). La "Compagnia congolese dell'agricoltura" e la "Società agricola Cassequel" detennero le più vaste piantagioni[385].
Durante la grande rivolta scoppiata nella primavera del 1961 i Kongo, con l'ausilio dei guerriglieri del Fronte Nazionale di Liberazione dell'Angola, massacrarono non solo i bianchi portoghesi e i meticci[386] ma anche molti degli stessi Ovimbundu[386]. L'Angola rimase il produttore leader africano ancora nel 1966, sebbene i guerriglieri continuassero a stazionare nella regione caffeicola saccheggiandola[387]; ciò provocò un esodo rurale non solo in direzione dei centri abitati di lingua umbundu ma anche verso le tutte le città, da Luanda, Malanje e Lubango alle altre più piccole.
Anni 1960-1980
Alcuni segni di pilotaggio del mercato mondiale da parte degli Stati appaiono negli anni immediatamente precedenti al primo "Accordo internazionale su caffè" tra i paesi produttori e i principali consumatori. Un convegno internazionale si tenne a Rio de Janeiro dal 20 al 27 gennaio del 1958 su diretta richiesta dei paesi dell'America Centrale e della Colombia, membri della "Féderacion cafetera de America".
Il Brasile attribuì la massima importanza a questa riunione al vertice, mentre l'impero d'Etiopia e la Liberia non furono presenti. La Spagna assieme ai paesi o territori ancora sotto la dominazione dell'impero britannico vi parteciparono invece solo con un ruolo di semplici osservatori[391].
Il primo accordo internazionale venne firmato nel 1962, due anni dopo l'indipendenza della Costa d'Avorio; rimase in vigore per un periodo di 5 anni. Diversi altri accordi seguirono nel 1968, nel 1976, nel 1983, nel 1994 e nel 2001 con l'intenzione di contingentare le quote d'esportazione, col prezzo riveduto annualmente e variabile per ogni tipo di caffè oltre ad un fondo di diversificazione a cui l'accordo affidò il delicato compito del finanziamento per la riconversione delle colture in caso di sovrapproduzione molto elevata.
L'accordo risultò essere il risultato di un consenso tra gli attori coinvolti nella produzione, nell'esportazione e nella lavorazione del caffè; poterono così essere riforniti i consumatori di sufficienti e regolari approvigionamenti e i produttori avere un profitto ragionevole[150]. Il trattato riuscì ad ottenere dei buoni risultati in larga parte grazie al Brasile il quale adottò politiche di stoccaggio e ad un tacito consenso realizzatosi con i paesi importatori e consumatori[328].
Indipendenza di Ruanda e Burundi
Ruanda e Burundi hanno visto crescere costantemente i loro raccolti nel corso degli anni 1950 per poi declinare all'inizio del decennio successivo, prima di recuperare. Il Burundi ha prodotto 7.842 tonnellate di caffè commercializzato nel 1948, poi quasi 4 volte di più nel 1959 toccando le 27.279 tonnellate, ma è sceso a 8.060 tonnellate nel 1963, subito dopo l'indipendenza[392].
Nonostante la piccola dimensione del territorio nel 1977 è iniziato un programma di recupero, aumentando il numero di alberi di Coffea da 60 milioni nel 1976 a 102 milioni nel 1982[392].
Nel vicino Ruanda l'indipendenza è stata ottenuta contemporaneamente, ma qui i contadini abbandonarono la caffeicoltura - assimilata al vecchio sistema del colonialismo - nell'euforia della vittoria contro l'impero coloniale belga[393]. La produzione è scesa da 19.000 tonnellate nel 1959 a 8.089 nel 1964[393]. Ma il nuovo governo, che aveva bisogno di risorse per consolidare la propria recente legittimità, ha mantenuto in piedi tutte le onnipresenti strutture precedenti di sostegno politico rappresentate dai prezzi competitivi[393].
La produzione è stata moltiplicata di 4 o 5 volte in 20 anni, da 9.979 tonnellate nel 1965 a oltre 40.000 nel 1987[393]; si è riusciti ad ottenere questo risultato senza intensificare i metodi di produzione, ma piuttosto grazie all'aumento esponenziale del numero dei coltivatori diretti, che sono passati da 284.896 nel 1964 a 713.537 nel 1989[393].
Ciò ha permesso ai ricavi da caffè di costituire oltre il 60% degli introiti in valuta estera pregiata[393].
Regioni del caffè in Camerun
La produzione camerunense di Coffea canephora è altamente concentrata nel "Bacino del Moungo", che ha beneficiato di una forte crescita fino al 1974-75 grazie all'estensione delle aree coltivate, prima di arrivare ad una relativa saturazione di terra e all'esaurimento dei flussi migratori[320].
La coltivazione in Camerun è cresciuta molto rapidamente, circa il 10% all'anno durante gli anni 1960[320] e consentendone l'estensione su circa 100.000 ettari distribuiti tra quasi 200.000 aziende[320], suddivise tra l'altopiano occidentale e Nord-occidentale secondo il censimento agricolo del 1984; ma circa l'80% degli alberi ha più di 25 anni, un invecchiamento generale la cui causa è stata il blocco delle piantagioni nel corso degli anni 1970[320].
Salita a 32.000 tonnellate annue è diminuita rapidamente dal 1973 di circa il 5% all'anno portando le tonnelate annue a solo 10.000[320]. La resa media degli anni 1980 era di 5-600 kg. per ettaro[320], che ha permesso una produzione media di 95.000 tonnellate annuali, prima di crollare a 3-400 kg. per ettaro negli anni 2010 con una raccolta media di circa 65.000 tonnellate.
La caffeicoltura è più estesa ad Est[320], regione che beneficia di una maggiore disponibilità di terreno, ma dispone di minor manodopera; le piantagioni non superano i 2-250 ettari di ampiezza[320].
Piccola OPEC del caffè negli anni 1970
Conseguenze del grande gelo del luglio 1975 in Brasile
I punti più alti e più bassi del caffè a New York a partire dal 1969[394]:
Punti alti o bassi | 2 giugno 1969 | 18 aprile 1977 | 7 settembre 1981 | 16 dicembre 1985 | 10 agosto 1992 | 25 giugno 1994 | 19 maggio 1997 | 15 ottobre 2001 | 7 marzo 2005 | 9 marzo 2009 | 2 maggio 2001 | 4 novembre 2013 | 13 ottobre 2014 |
Prezzo per libbra | 37,25 cent | 3,30 dollari | 1,10 dollari | 1,85 dollari | 37 cent | 1,99 dollari | 3,03 dollari | 38,5 cent | 1,15 dollari | 1 dollaro | 2,80 dollari | 1,01 dollari | 2,08 dollari |
Ampiezza del movimento | NC | più 886% | meno 66% | più 66% | meno 80% | più 537% | più 51,2% | meno 80,2% | più 298,7% | meno 13% | più 180% | meno 63,9% | |
Durata del movimento | NC | 7 anni e 10 mesi | 4 anni e 4 mesi | 4 anni e 3 mesi | 6 anni e 8 mesi | 1 anno e 11 mesi | 2 anni e 10 mesi | 4 anni e 5 mesi | 3 anni e 6 mesi | 4 anni | 1 anno e 2 mesi | 3 anni e 6 mesi | 9 mesi |
Anni 1980 e conclusione dell'accordo internazionale
Dall'ottobre del 1980 all'ottobre del 1989 la maggior parte della discussione nell'ambito dell'accordo internazionale sul caffè ha ruotato attorno alla "quota extra" dell'esportazione, cioè a quei paesi che non sono firmatari dell'accordo, il Nordafrica, il Medio Oriente, i paesi dell'Europa orientale e del sudest asiatico, ma anche il Giappone, dove il consumo di caffè ha fatto un notevole passo avanti.
Tra il 1980 e il 1984 il cosiddetto "mercato secondario" - dove i prezzi sono scesi - ha raddoppiato in termini di dimensioni raggiungendo il 15% del totale e finendo col seminare la discordia tra i maggiori produttori. L'Indonesia ha recuperato 1/5 di questo secondo mercato. Le correzioni sono state fatte per tener conto del gelo in Brasile[331].
Data la nuova mappa di esportatori mondiali e il desiderio dei consumatori di acquistare a basso prezzo l'accordo internazionale è stato sospeso nel 1989[328]. La critica principale rivolta ad esso era che questo accordo ha mantenuto artificialmente i prezzi ad un livello troppo alto. A partire dai primi anni 1990 la produzione mondiale è riuscita finalmente ad avanzare, anche se di poco[395].
I principali produttori di caffè nel mondo (in tonnellate e con relativa percentuale) nel 1974, 1984 e 1994[5]:
1974 | 1984 | 1994 | ||||
---|---|---|---|---|---|---|
Brasile | 1.615.300 | 33,9 % | 1.420.300 | 27,2 % | 1.307.300 | 22,8 % |
Colombia | 470.000 | 9,9 % | 807.800 | 15,5 % | 721.900 | 12,6 % |
Messico | 220.800 | 4,6 % | 239.900 | 4,6 % | 324.500 | 5,7 % |
Uganda | 199.100 | 4,2 % | 146.000 | 2,8 % | 198.400 | 3,5 % |
Costa d'Avorio | 195.900 | 4,1 % | 85.200 | 1,6 % | 145.600 | 2,5 % |
Guatemala | 157.400 | 3,3 % | 196.600 | 3,8 % | 213.900 | 3,7 % |
Etiopia | 153.400 | 3,2 % | 145.300 | 2,8 % | 207.000 | 3,6 % |
Indonesia | 149.800 | 3,1 % | 315.500 | 6 % | 450.200 | 7,9 % |
India | 86.400 | 1,8 % | 105.000 | 2 % | 208.000 | 3,6 % |
Costa Rica | 84.300 | 1,8 % | 136.900 | 2,6 % | 148.000 | 2,6 % |
Madagascar | 80.900 | 1,7 % | 81.400 | 1,6 % | 70.000 | 1,2 % |
Perù | 69.900 | 1,5 % | 83.400 | 1,6 % | 91.300 | 1,6 % |
Vietnam | 6.000 | - | 4.800 | - | 180.000 | 3,1 % |
Honduras | 45.300 | 0,9 % | 72.500 | 1,4 % | 126.200 | 2,2 % |
Cina | 6.000 | - | 9.000 | - | 3.200 | - |
Laos | 2.100 | - | 5.800 | - | 9.000 | - |
Nicaragua | 41.000 | 0,9 % | 51.300 | 1 % | 40.600 | 0,7 % |
Filippine | 53.000 | 1,1 % | 116.800 | 2,2 % | 123.600 | 2,2 % |
Venezuela | 45.900 | 1 % | 60.900 | 1,2 % | 68.400 | 1,2 % |
Tanzania | 59.500 | 1,2 % | 56.900 | 1,1 % | 34.200 | 0,6 % |
Dopo il 1989 l'accordo è diventato solo simbolico: la sua durata reale è stata poco più di 1/4 di secolo[150]. Negli anni che sono seguiti molte iniziative lo hanno sostituito, allo scopo di bilanciare l'offerta e la domanda mondiali attraverso piani di restrizione all'esportazione[328], come quelli avviati dapprima nel 1994 e successivamente nel luglio del 2000 dall'"Associazione dei Paesi produttori di caffè" (APPC), istituita nel 1993 ed entrata nel pieno delle proprie funzioni nel febbraio del 2002.
Aumento della coltura di Coffea canephora
Ritorno al libero mercato alla fine degli anni 1980
Crisi in Africa e crescita in Asia negli anni 1990
Gli anni 1990 sono caratterizzati da una crisi della produzione africana, soprattutto nella prima parte del decennio, ma più che compensata dalla forte crescita asiatica, particolarmente rilevante dopo le riforme agricole strutturali messe in atto in Vietnam. Il risultato è un continuo calo dei prezzi medi, innanzitutto della Coffea anephora, ma anche della Coffea arabica a New York:
Anno | Prezzo per libbra |
1996 | 131,23 centesimi |
1997 | 198,92 cent |
1998 | 142,83 cent |
1999 | 116,45 cent |
2000 | 102,60 cent |
2001 | 72,22 cent |
2002 | 65,26 cent |
2003 | 67,31 cent |
Rapido calo produttivo nell'Africa francofona e lusitana
Nel 1994 cocktail indigesto di gelo brasiliano e piano di conservazione
Espansione di Vietnam e Indonesia
Irrompe l'India
Il caffè indiano, coltivato principalmente nell'India meridionale nella condizione ambientale procurata dal monsone, viene anche designato come "caffè monsonico indiano"[396].
La Coffea arabica venne coltivata sulle pendici del "Baba Buban Giri" nell'odierno distretto di Chickmagalur in Karnataka già a partire dal 1670[397] da indiani, mentre la prima piantagione fissa fu stabilita nel 1840. Attualmente la coltura interessa due regioni tradizionali caffeicole, il Kerala e il Tamil Nadu. La crescita di questi 3 Stati messi assieme ha visto un progresso spettacolare nel corso degli anni 1990.
La caffeicoltua si è diffusa anche in nuove aree dell'Andhra Pradesh e dell'Orissa, sulla costa orientale del paese, oltre che in Assam, Manipur, Meghalaya, Mizoram, Tripura, Nagaland e Arunachal Pradesh nell'India nordorientale, popolarmente conosciuti come le "Sette sorelle"; qui però senza insediarsi stabilmente[288].
Già nel 1907 venne creato l'"India Coffee Board" per rimediare ai problemi dei parassiti apparsi alla fine del XIX secolo, attraverso misure di educazione agricola rivolte ai contadini. Nel corso degli anni 1920 la varietà "Kent", adattata al clima locale molto umido, crebbe grazie alla sua resistenza nei confronti della "ruggine del caffè", ma al contempo ebbe una mutazione spontanea. L'India è la nazione del mondo ove questa malattia ha il maggior numero di ceppi biologici diversi. L'S795, un'altra varietà resistente, è stata sviluppata nel 1945, con un sapore che l'avvicina alla "Mokha" originaria. Queste ultime cultivar vengono riservate per 1/3 alle piantagioni situate a più alta quota.
Nel 1991 l'introduzione di misure di liberalizzzione economica ha permesso all'industria del caffè di beneficiare di costi di produzione più bassi che altrove[398]. Quasi 250.000 persone coltivano caffè in Karnataka e il 98% di esse riguardano piccole aziende a conduzione familiare[399]. Nel 1993 la "quota di vendita interna", una nuova forma di regolamentazione, ha permesso ai coltivatori di vendere il 30% della loro produzione nel mercato interno; modificata l'anno seguente è diventata "quota di libera vendita", il che ha autorizzato i più poveri di loro a vendere dal 70 fino al 100% del raccolto a chi meglio desiderano tra esportatori e grossisti del mercato interno[400].
Lo schema è stato ultimato nel settembre del 1996 quando tali libertà sono state previste in tutto il settore, indipendentemente dalla quantità[401]. Ad accompagnare questa politica la produzione è aumentata tra il 1984 e il 1994 da 105 a 208.000 tonnellate[402], venendo in tal modo ad inscriversi alla 5° posizione tra i maggiori produttori mondiali assieme al Guatemala[403]; classifica che conserverà anche nei decenni successivi.
I piccoli agricoltori che lavorano con meno di 10 ettari coltivano il 75% dei 347.000 ettari dedicati in India al caffè, mentre il raccolto nazionale si suddivide tra il 30% di "arabica" e il 70% di Coffea canephora. Per adattarle al monsone i contadini hanno utilizzato i derivati dell'"ibrido di Timor" denominato "Arabusta", un misto naturale di "arabica" e "robusta" somigliante all'arabica[404]. Hanno inoltre piantato lungo il corso del Kaveri una varietà indonesiana detta "Catimor", incrocio tra la "Caturra" brasiliana e colombiana e l'ibrido di Timor, particolamente resistente alla "ruggine del caffè"[404].
La produzione è predominante nelle zone di media collina degli Stati meridionali, con il Karnataka che ne raccoglie il 53%, il Kerala il 28% e il Tamil Nadu l'11% del totale; il restante 8% è distribuito ad Est. Il caffè indiano sembra essere il migliore del mondo tra quello coltivato all'ombra piuttosto che al contatto diretto con la luce solare[405].
A partire dal 2009 esso costituiva il 4,5% della produzione mondiale. Quasi l'80% di questa viene esportata[406]; di essa il 70% è destinato alla Germania, alla Russia, alla Spagna, al Belgio, alla Slovenia, agli Stati Uniti d'America, al Giappone, alla Grecia, ai Paesi Bassi e alla Francia; l'Italia da sola rappresenta il 29% delle esportazioni[405]. La maggior parte viene spedita attraverso il canale di Suez[405].
Rilancio in Nuova Caledonia
Produzione nel XXI secolo
Superfice coltivata in caffè[3] | 1991 | 2005 |
Perù | 163.000 ettari | 301.000 ettari |
Honduras | 146.000 ettari | 238.000 ettari |
All'inizio del XXI secolo 3 dei 6 maggiori produttori del mondo - il Vietnam, l'Indonesia e l'India - erano asiatici, una crescita esclatante dopo le epidemie parassitarie che avevano relegato l'Asia a solo il 5% della produzione esattamente un secolo prima, come mostrato dalle statistiche di produzione per il periodo 2002-2004[407]:
Brasile | 2.367.000 tonnellate |
Vietnam | 760.000 tonnellate |
Indonesia | 701.000 tonnellate |
Colombia | 691.000 tonnellate |
Messico | 312.000 tonnellate |
India | 289.000 tonnellate |
Guatemala | 229.000 tonnellate |
Uganda | 187.000 tonnellate |
Etiopia | 220.000 tonnellate |
Perù | 172.000 tonnellate |
Honduras | 170.000 tonnellate |
Costa d'Avorio | 138.000 tonnellate |
Costa Rica | 133.000 tonnellate |
Filippine | 115.000 tonnellate |
El Salvador | 92.000 tonnellate |
Nel 2005 hanno dominato il mercato della torrefazione a livello mondiale 4 gruppi. Il maggiore di essi è Nestlé, che controlla più della metà del giro d'affari del caffè solubile istantaneo; Kraft Foods, di proprietà di Philip Morris International, rappresenta il 14% delle vendite di globali attraverso marchi come Maxwell House, Kenco, Hag e Jacobs[395].
Sara Lee Corporation, proprietaria delle marche Douwe Egberts e Superior degli Stati Uniti d'America, rappresenta l'11% del totale delle vendite al consumo, mentre Procter & Gamble occupa l'8% del mercato offrendo i suoi prodotti principalmente nell'America del Nord[395].
Carte Noire, anch'essa parte del gruppo Kraft, opera in Francia assieme a Malongo. La Senseo olandese è incorporata a "Dowve Egberts"; Nespresso è svizzera; il Kahlúa è messicano con sedi in territorio francese; Julius Meinl è austriaca.
Kimbo Caffè è italiano e smercia il prodotto brasiliano, Illycaffè è stata fondata nel 1939 a Thalwil; anche Caffè Vergnano, Vescovi Caffè, Splendid, Segafredo Zanetti, Goppion Caffè, Caffè Molinari, Emporio Artari, Hausbrandt, Zicaffè, Saicaf, Passalacqua, Ninfole Caffè e l'azienda Lavazza sono tutte imprese storiche italiane.
Il Perù gioca la carta del caffè "bio" e vince
L'Etiopia con 5.000 varietà differenti ritorna 5° nel mondo
L'Etiopia ha vissuto una crescita spettacolare della caffeicoltura, che l'ha portata nel 2005 a raggiungere il 5° posto tra i maggiori produttori mondiali[3], anche se la sua quota di esportazioni rimane relativamente bassa a causa del consumo locale il quale assorbe quasi il 50% della coltura[3].
L'equivalente di 3,6 milioni di sacchi è stato consumato a livello nazionale, pari al 71,6% dell'intero consumo di caffè nel continente africano[409] e all'8% di quello dei paesi esportatori[409]. "TO.MO.CA", il marchio più conosciuto, appartiene alla stessa famiglia da 60 anni e ha aperto la sua prima succursale a Tokyo nel maggio del 2015[409]."Gli etiopi amano socializzare e incontrare i propri soci d'affari nella caffetteria", ha spiegato Wondwossen Meshesha, la nipote ventottenne del fondatore[409].
Esistono 5.000 diverse varietà di caffè etiope[409] e l'80% di queste viene coltivata da piccole aziende[409] senza alcuna vocazione commerciale nelle regioni forestali interne[410]. Qui la resa media per ettaro è di 225 kilogrammi, la metà dei 450 ottenuti nel sistema agricolo semi-boscoso[411].
Il governo sta cercando di promuovere il prodotto per far progredire l'[export]] dalle 190.837 tonnellate nel 2013-2014 fino a 200.000[409].
La raccolta è incrementata con regolarità a partire dal 1961, da 75.000 a più di 111.000 tonnellate nel 1972[412]. Ha continuato il suo slancio anche dopo il 1974, aumentando di 1/3 tra il 1975 e il 1995, per poi continuare a crescere, sostenuta con fermezza da un ampio e ben fornito mercato interno, nonostante i vari conflitti protattisi nel tempo.
Le piantagioni contadine si trovano nei pressi delle abitazioni, in particolare a Sud e ad Est del paese[3], mentre una strada lunga 890 km collega Addis Abeba al porto di Assab in Eritrea, che può giungere a imbarcare un milione di tonnellate di merci all'anno. Circa 1/3 della produzione caffeicola viene classificata come "selvaggia" o "semi-selvatica" in quanto realizzata in ambito forestale[3].
L'espansione della Catha edulis, che si è piazzata alla 2° posizione tra le esportazioni etiopi nel 2005 rimane una valida concorrenza, dato che i prezzi pagati ai produttori sono un po' più alti di quelli per il caffè[3].
La capitale ospita anche una società calcistica, l'Ethiopian Coffee Football Club.
Coltivazione forestale a El Salvador
Evoluzione dei principali produttori mondiali nel decennio 2010
L'evoluzione dei principali produttori globali di caffè negli anni 2010 rimane dominata dal gigante brasiliano e più in generale dai paesi dell'America Latina; assieme alla Colombia, al Messico, al Perù e a quattro paesi dell'America centrale sono tutti inseriti nei primi 15 più grandi raccolti mondiali, quasi uno su due[413].
Produzione in milioni di sacchi da 60 Kg[414] | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 |
Brasile | 39,4 | 50,8 | 54,7 | 52,3 | 50,3 | 55 |
Vietnam | 17,8 | 25 | 27,6 | 26,5 | 28,7 | 25,5 |
Colombia | 8,1 | 9,9 | 12,1 | 13,3 | 14 | 14,5 |
Indonesia | 11,4 | 13 | 11,2 | 11,4 | 12,3 | 10 |
Etiopia | 6,9 | 6,2 | 6,5 | 6,6 | 6,7 | 6,6 |
Honduras | 3,6 | 4,5 | 4,6 | 5,2 | 5,8 | 5,9 |
India | 4,8 | 5,3 | 5,1 | 5,4 | 5,8 | 5,3 |
Perù | 3,3 | 4,4 | 4,3 | 2,9 | 3,3 | 3,8 |
Messico | 4,1 | 4,3 | 3,9 | 3,6 | 2,8 | 3,1 |
Guatemala | 3,8 | 3,7 | 3,2 | 3,3 | 3,4 | 3,5 |
Uganda | 2,8 | 3,9 | 3,6 | 3,7 | 3,6 | 3,8 |
Nicaragua | 1,9 | 1,9 | 1,9 | 1,9 | 2,1 | 2,1 |
Costa d'Avorio | 1,8 | 2 | 2,1 | 1,7 | 1,9 | 2 |
Costa Rica | 1,3 | 1,6 | 1,4 | 1,4 | 1,6 | 1,5 |
El Salvador | 1 | 1,2 | 0,5 | 0,7 | 0,5 | 0,6 |
Per la stagione 2016-17 l'Initial coin offering (ICO) ha aumentato la sua previsione di produzione a 153,9 milioni di sacchi, dai 151,6 milioni precedenti, in crescita dell'1,5% e con un record indonesiano e peruviano di 11,5 milioni di sacchi. La produzione di Coffea arabica è stimata dall'ICO a 97,3 milioni di sacchi, in aumento del 10,2%; mentre la Coffea robusta viene attestata a 56,6 milioni, in calo del 10,6%.
Riepilogo
Giappone
Il caffè fu introdotto in Giappone dagli olandesi già nel XVII secolo, ma rimase una "curiosità" fino al ritiro delle restrizioni commerciali avvenuto nel 1858. La prima caffetteria in stile europeo si aprì a Tokyo nel 1888, ma venne chiusa quattro anni dopo[415].
All'inizio degli anni 1930 vi erano oltre 30.000 caffetterie sparse in tutto il paese; la disponibilità durante il periodo interbellico e subito dopo il 1945 scese quasi a zero, per poi aumentare rapidamente quando le barriere all'importazione sono state rimosse.
L'introduzione del caffè solubile istantaneo e liofilizzato, del caffè in lattina e le aziende di franchising come Starbucks e "Doutor Coffee" alla fine del XX secolo ha continuato questa tendenza, fino a fare del paese uno dei principali consumatori di caffè al mondo "pro capite".
Corea del Sud
I primi appassionati coreani del caffè furono gli imperatori del XIX secolo Sunjong di Corea e Gojong di Corea, che preferivano consumarlo al termine dei lauti banchetti in stile occidentale[416].
Negli anni 1980 il caffè espresso e il caffè in lattina erano diventati piuttosto popolari, con una tradizione minore riguardanti le caffetterie di proprietà indipendente nelle città più grandi; verso la fine del XX secolo la crescita del franchising come "Caffè Bene" e Starbucks ha generato una domanda maggiore per il caffè in stile europeo[417].
Cronologie tematiche: quadro politico, commerciale e logistico della caffeicoltura
Indipendenza dei paesi produttori di caffè
- 1791-1804: rivoluzione haitiana. La colonia francese di Saint-Domingue conquista l'indipendenza col nome di Haiti.
- 1821-22: l'intera America Latina non fa più parte dell'impero spagnolo.
- 1830-31: rivoluzione belga con conseguente frantumazione del Regno Unito dei Paesi Bassi.
- 1900: la Capitaneria generale di Cuba si rende indipendente dall'impero spagnolo e diventa Cuba.
- 1945: le Indie orientali olandesi cessano di esiste, nasce l'Indonesia.
- 1946: le Filippine definitivamente libere dagli Stati Uniti d'America.
- 1947: l'impero anglo-indiano si separa, al suo posto sorgono l'India e lo Sri Lanka.
- 1960-63: nel continente africano Camerun, Costa d'Avorio e Madagascar si rendono indipendenti dall'impero coloniale francese; il Congo belga diventa la Repubblica Democratica del Congo; Ruanda, Burundi, Kenya, Tanzania e Uganda non fanno più parte dell'impero britannico.
- 1962: la Colonia della Giamaica si trasforma nella Giamaica.
- 1974: l'Angola si rende indipendente dall'impero portoghese.
- 1975: la "Guyana olandese" assume il nome di Suriname.
Lavoro forzato, tratta negriera e schiavitù
- 1792: interdizione della tratta atlantica degli schiavi africani da parte dell'impero coloniale danese e della Norvegia.
- 1794: la Francia rivoluzionaria abolisce lo schiavismo (sarà ripristinato nel 1802)).
- 1804: Haiti abolisce di fatto la schiavitù.
- 1807: divieto della "tratta negriera" nei territori sotto il dominio dell'impero britannico.
- 1808: viene proibito il commercio di schiavi nel Primo Impero francese e negli Stati Uniti d'America.
- 1833: il Regno Unito abolisce definitivamente la schiavitù.
- 1838: le "Indie orientali olandesi" stabiliscono il lavoro forzato.
- 1848: a seguito della Rivoluzione francese del 1848 il paese abolisce definitivamente la schiavitù.
- 1848: Ceylon britannico istituisce il lavoro forzato.
- 1850: il Regno del Brasile proibisce la tratta negriera (la schiavitù sarà abolita nel 1888).
- 1854: il Venezuela abolisce la schiavitù.
- 1867: termina nella "Capitaneria generale di Cuba" la tratta atlantica degli schiavi africani (la schiavitù verrà formalmente abolita nel 1886).
- 1877: in Guatemala viene introdotto il lavoro forzato.
- 1917: il Belgio istituisce il lavoro forzato (già messo in pratica di fatto nel Congo belga.
Piantatori e presidenti
- Braulio Carrillo Colina, presidente della Costa Rica dal 1838 al 1842.
- Justo Rufino Barrios Auyón, presidente del Guatemala dal 1873 al 1885.
- Tomás Regalado, presidente a El Salvador dal 1898 al 1903.
- Manuel Enrique Araujo, presidente salvadoregno dal 1911 al 1913.
- Félix Houphouët-Boigny, presidente della Costa d'Avorio dal 1960 al 1993.
Popoli del caffè
Molte popolazioni si sono appropriate della coltura del caffè, a volte dopo il periodo del colonialismo segnato da violenze e espropri delle terre indigene. La prima caffeicoltura libera dalla schiavitù, dal lavoro forzato o dalle pressioni coloniali emerse ad Haiti e nel Venezuela nei primi decenni dopo l'acquisizione dell'indipendenza, quando la diminuzione dei prezzi mondiali facilitò le intromissioni commerciali.
- I Tamil vennero fatti mobilitare in massa nel corso dell'espansione caffeicola degli anni 1840 a Ceylon britannico.
- Gli "Andini" del Venezuela e i Maya del Guatemala entrarono a far parte della manodopera di piantagione fin dagli anni 1870.
- Prima in Buganda e poi in tutta l'Africa orientale vennero fatte distribuire ai nativi sementi da parte dei Missionari d'Africa a partire dagli anni 1880.
- I Kanak della Nuova Caledonia assunsero il controllo delle colture abbandonate dai coloni francesi nel 1912.
- Nell'America Latina i coltivatori si sosterranno reciprocamente organizzandosi in aziende autogestite all'inizio del XX secolo, ispirando un modello di sviluppo che fiorì soprattutto dopo il 1945.
- I messicani di Lingua tzotzil del Chiapas rimasero coinvolti nella "rivoluzione del caffè" agli inizi degli anni 1910, riuscendo in seguito ad ottenere terre proprie nel territorio di Soconusco a partire dal 1915.
- Lo stesso fecero i "País Paisa"[3] colombiani, che nel 1927 crearono la potente "Fédération nationale des caféiculteurs".
- I Baulé avoriani furono partecipi dell'esplosione del caffè nel paese dopo il 1960.
- I Bamiléké introdussero massivamente il caffè in Camerun.
- I Kikuyu del Monte Elgon innescarono una sommossa nel 1952 contro la penuria di terreni coltivabili in Kenya.
- Gli Haya divennnero abili caffeicoltori promuovendone lo sviluppo e la rapida crescita tutt'attorno al Lago Vittoria.
- Uguale compito si assunsero i Chaga della regione del Kilimangiaro, creatori nel 1925 delle prime cooperative ad essere presenti nel territorio del Tanganica[3].
- I Rwas ruandesi e gli Arusha della regione di Arusha coltivarono alle pendici del Monte Meru, ognuno sul proprio versante, riuscendo a portare avanti le loro rivendicaioni fino all'Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1952.
Leader produttori mondiali
- Prima del 1727: Yemen ed impero d'Etiopia.
- 1727-50: Giava.
- 1750-70: Guyana olandese.
- 1770-1802: Saint-Domingue.
- 1802-26: Giamaica.
- Dopo il 1826: Brasile.
Prezzi globali, cartelli e organizzazioni di mercato
- 1700-75: Giava, La Réunion e Guyana olandese iniziano la produzione, i prezzi cominciano a scendere, esaurimento nello Yemen.
- 1736: Giava ha triplicato il suo raccolto in 12 anni.
- 1735-44, il caffè "Bourbon" francese passa da 0,1 a 2,5 milioni di libbre prodotte annualmente.
- 1739-90: ha termine il monopolio di Amsterdam, il consumo europeo si moltiplica di 10 volte[213].
- 1770 e 1779: aumento dei prezzi; la "rivoluzione del caffè a Saint-Domingue" (aumentato da 7 a 77 milioni di libbre prodotte, pari a 37.000 tonnellate)[90] spodesta la Guyana olandese e Giava.
- 1800-21: la rivoluzione haitiana crea una carenza globale, ponendo la "Colonia della Giamaica" in un'effettivo regime di monopolio e rilanciando le "Indie orientali olandesi"; il passaggio dal cacao al caffè in Venezuela viene ostacolato a causa della Guerra d'indipendenza del Venezuela.
- 1821-47: Caraibi, Brasile, Venezuela e continente asiatico risentono dell'eccesso di offerta la quale provoca un decremento dei prezzi, che alla fine toccano i minimi storici negli anni 1840; al mercato di Filadelfia il caffè haitiano passa dai 26 centesimi del 1821 ai 6 centesimi del 1844.
- 1826: il Regno del Brasile esporta 21.000 tonnellate, quasi il triplo in 6 anni[418].
- 1835: fine del monopolio del caffè nelle Filippine spagnole[213].
- 1858: i prezzi sono rimbalzati del 50% in 15 anni[95].
- 1861: i prezzi recuperano il 18% del proprio valore in tre anni[95].
- 1876: i prezzi sono raddoppiati (da 12 a 23 centesimi per libbra) in sei anni, poi sono scesi a 11 centesimi nel 1883 dopo la crisi di sovrapproduzione del 1882[419].
- 1882-1883: tre mercati a termine (Futures) vengono create nel continente europeo ed entrano nella programmazione concorrente a seguito del crollo del caffè prodotto nel 1880 dalla speculazione[297].
- 1896: sovrapproduzione di caffè dal Brasile, giunto a 22 milioni di sacchi[322].
- 1906, 1917 e 1921: "piani di conservazione" brasiliani, i mercati si riprendono tra la massima sorpresa degli economisti.
- 1928: sul mercato di Anversa un kilogrammo di Coffea canephora sale da 3,50 a 12,55 franchi belgi sullo sfondo di uno scenario d'inflazione generale.
- 1930: i prezzi scendono, i paesi dell'America Latina subiscono un lento ma costante decremento; il Venezuela scompare dal mercato. Il Brasile rimonta nel 1933 ma brucia le scorte.
- 1954: il prezzo d'acquisto aumenta di 200 franchi francesi nell'impero coloniale francese.
- 1956: il prezzo mondiale è quasi triplicato in 10 anni.
- 1958: la conferenza di Rio de Janeiro riunisce in un unico cartello quasi tutta l'America Latina caffeicola.
- 1962: firma dell'"Accordo internazionale sul caffè". La produzione è stata moltiplicata di 20 volte in appena 10 anni nella Costa d'Avorio, di 15 nel Camerun.
- 1974: "mini-OPEC" del caffè ad imitazione dell'OPEC.
- 1989: ratifica dell'accordo internazionale sul caffè.
- 2001 Il Vietnam e l'Indonesia hanno contribuito ad abbassare il valore del caffè fino a toccare il livello più basso in 150 anni.
Tre secoli di grandi porti e commercianti internazionali
Porti e luoghi commerciali
- Amsterdam domina sul Cairo e Marsiglia nel corso del XVIII secolo grazie al sistema di asta pubblica.
- Bordeaux emerge alla fine del XVIII secolo grazie alla "Rivoluzione del Caffè" compiuta a Saint-Domingue.
- Amburgo e Londra sfidano Amsterdam nella prima metà del XIX secolo.
- New York supera Londra e altri porti americani nella seconda metà del XIX secolo; Santos a partire dal 1867.
- Futures di Coffea canephora creato a Le Havre nel 1938 e a Londra nel 1958.
Principali infrastrutture relative alla coltivazione del caffè
- HAPAG (compagnia di spedizioni fondata nel 1847).
- Linea ferroviaria di Mauá nell'impero del Brasile (aperta dal 1854).
- Panama Railway (completata nel 1855).
- Norddeutscher Lloyd (compagnia di spedizioni fondata nel 1857).
- "São Paulo Railway" (aperta nel 1867).
- "Hamburg Süd" (compagnia di spedizioni fondata nel 1871).
- Ferrovia della Costa Rica (la costruzione inizia nel 1871).
- Elevador Lacerda, attrezzatura del porto di Salvador de Bahia eretta tra il 1869 e il 1873.
- Cavo sottomarino transatlantico che collega Londra a Recife, inaugurato nel 1874.
- Linea ferroviaria del Guatemala (la costruzione inizia nel 1876).
- Tratto ferroviario del Nicaragua che collega Granada a Corinto (la costruzione inizia nel 1880).
- Ferrovia del dipartimento di Antioquia in Colombia (la costruzione inizia nel 1876 ma diviene pienamente operativa solo nel 1926).
I grandi commercianti
- Benjamin Green Arnold (New York, 1868-1883).
- Théodore Wille (Amburgo e Santos)[315].
- "Neumann Kaffee Gruppe" (Amburgo e Santos)[420][421].
- Caspar Voght e Georg Heinrich Sieveking (Amburgo).
- Famiglia Delius (Brema).
- Famiglia di Rodolfo Dieseldorff (San José nella Costa Rica)[422].
- George Stiepel (Valparaíso in Cile).
- "Hockmeyer & Rittscher" (Amburgo e Guatemala a partire dal 1858)[202].
- "Rieper Augener" (Brema e Guatemala)[273].
- "Ospina, Vasquez e Jaramillo" (Colombia e Guatemala)[423].
- "Prado Chaves" (Santos)[316].
- "Gruppo Lacerda" (Santos)[260].
- Famiglia di Philippe Jobin (Le Havre)[424][425][426][427].
- Famiglia di Louise Delamare (Le Havre)[428][429].
- Famiglia Rufenacht-"Société commerciale interocéanique" (Le Havre)[373][154].
- Jacques Siegfried (Le Havre)[430].
- Charles Latham (Le Havre)[431][154].
- Georges Ancel (Le Havre)[432].
- Louis Drouin (Nantes)[433].
- Hermann Sielcken (New York e Baden-Baden)[333].
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“No sir, said she, we have renounced all Tea in this Place. I cant make Tea, but I'le make you Coffee.” Accordingly I have drank Coffee every Afternoon since, and have borne it very well. Tea must be universally renounced. I must be weaned, and the sooner, the better.»
(2) William L. Stone, Continuation of Mrs. General Riedesel's Adventures, in Mrs. General Riedesel: Letters and Journals relating to the War of Independence and the Capture of the Troops at Saratoga (Translated from the Original German), Albany, Joel Munsell, 1867, p. 147.«She then became more gentle, and offered me bread and milk. I made tea for ourselves. The woman eyed us longingly, for the Americans love it very much; but they had resolved to drink it no longer, as the famous duty on the tea had occasioned the war.»At Google Books. Nota: Fredricka Charlotte Riedesel era la moglie del generale Friedrich Adolf Riedesel, comandante in capo di tutte le truppe tedesche e indiane durante la campagna di Saratoga di John Burgoyne nonché prigioniero di guerra nel corso della "Rivoluzione americana".
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