Storia di Avezzano
La Storia di Avezzano spazia dal paleolitico fino ai nostri giorni.

Le prime testimonianze della presenza di cacciatori nel Paleolitico superiore e dello stanziamento a carattere continuativo delle popolazioni, circa 18-14.000 anni fa[1], si hanno con una serie di testimonianze. La più vicina è quella della Grotta di Ciccio Felice, alle pendici del monte Salviano. Si tratta di un insediamento preistorico individuato nei pressi della strada Circonfucense, in corrispondenza di Strada 6 del Fucino. Ci sono altre simili importanti testimonianze in tutta l'area del Fucino. Testimonianze più rare sono relative al Neolitico e all'età del rame[2]. Anche in questo caso i resti più consistenti giungono dalle grotte presenti attorno al Lago Fucino. Nel periodo italico, dall'età del ferro, in questi luoghi stanzieranno i Marsi[3]. Dal momento della sua costituzione il popolo sarà cantato e celebrato in tutte le epoche come uno dei progenitori e al contempo uno dei figli prediletti dell'Italia[4][5]. I Marsi occupavano le rive orientali e meridionali del Fucino.
Origine del nome
- L'etimologia più corretta farebbe derivare il nome della città di Avezzano dal prediale "ad vettianum", ovvero luogo abitato dai vetii, antica e potente famiglia patrizia romana. Il toponimo "vetiano" o "vettiano", si sarebbe trasformato linguisticamente in "Veziano" o "Vezziano", infine "Vezzano". Il nome trasformatosi linguisticamente in "Avezzano", fu scelto in onore di Caio Vettio Scatone, questore marso, citato più volte da Cicerone come abile "dux marsorum"[6]. Collaborò e supportò Quinto Poppedio Silone, durante le guerre sociali[7]. Identiche le ipotesi per l'omonima frazione Avezzano di Sessa Aurunca e per Vezzano Ligure.[8].
- Secondo altri storici l'ipotesi più verosimile sarebbe quella del toponimo prediale Avidianum (o fundus Avidianus), dal gentilizio Avidius, da cui deriverebbe direttamente Avezzano, con una sola v e la z sonora. Stando all'illustre storico Cesare Letta[9], tale gentilizio è attestato nel territorio di Alba Fucens[10]. L'epigrafe classificata come CIL IX 4024[11], in particolare, recante il nome di due liberti della gens Avidia, fu rinvenuta proprio ad Avezzano: ciò sarebbe il segno tangibile di una sensibile continuità tra la colonia romana e il suo ager publicus[12].
- L'ipotesi più suggestiva vuole che derivi da “Ave Jane”, un’invocazione posta sul frontale del tempio consacrato, in località Pantano, a Giano, il dio bifronte degli inizi, materiali e immateriali; quindi dell'inizio dell'anno, da cui deriverebbe il nome di Gennaio, della volta celeste, dell'arco della porta, agli inizi dio della città etc etc. È una delle divinità più antiche e più importanti della religione romana, latina e italica. Di solito è raffigurato con due volti, poiché il dio può guardare il futuro e il passato. Il suo culto è probabilmente antichissimo e risale ad un'epoca arcaica, in cui i culti dei popoli italici erano in gran parte ancora legati ai cicli naturali della raccolta e della semina. Stando alla leggenda attorno al tempio del dio Giano ebbe origine la borgata formata dai primi agricoltori stanziati nell'area che, all'epoca, abbracciava il lago Fucino[13][14][15].
- Altra tesi improbabile è quella legata al ricordo dell'antica città romana di Aveia (nell'agro-vestino) e della gens Aveia[16].
- Il nome designa la zona: la località, dove è sorta la città, si affacciava all'acqua del lago Fucino che (per la scarsa profondità) Virgilio chiama 'liquidi lacus' (Eneide VII, 760). Avezzano deriverebbe dall'accadico awûm (palude, stagno, acquitrino), con la terminazione -anu dei nomi di luogo che si affacciano all'acqua. L'infisso -za, con raddoppiamento dell'affricata dentale sonora, corrisponde al pronome dimostrativo accadico ša (quello) in posizione anaforica. Il significato del nome dunque è "luogo (quello) alla palude"[17].
- Ipotesi definita mirabolante sarebbe quella legata ad Avellanus, dal vicino monte Velino. Il famoso storico Ariodante Fabretti già sul finire del ‘600 la definì «Plus de fabulis quam de istoria» (Fabretti, "Corpus inscriptionum Italicarum antiquioris aevi" - 1867, con tre supplementi, 1872-78).
- Il toponimo dialettale Auzzàne è diffuso dalla valle del Salto alla valle del Liri per indicare i boschi di Ontani (Alnus glutinosa) data la vicinanza con gli ambienti umidi, fa pensare per Avezzano un'etimologia formata su alnetianus, con metafonia ALN> au. Pertanto il nome sarebbe "Auzzane" poi diventato "Avezzane" (che è ancora oggi il nome dialettale), quindi divenuto "Avezzano"[18].
- Alcuni studiosi, come lo storico Muzio Febonio, hanno legato Avezzano ad Anxantium, diventata in seguito Penna, la cui origine sarebbe di epoca molto più antica[19][20][16].
Tracce evidenti della città dell'epoca repubblicana o imperiale non apparvero numerose, e quelle rinvenute non furono sufficientemente studiate dagli storici, nel periodo anteriore al terremoto del 1915. Il toponimo Avezzano è attestato, per la prima volta in modo chiaro, nella Chronica monasterii Casinensis di Leone Marsicano[21]. Qui appare citata tra i possedimenti del monastero di Sant'Angelo di Barrea, nella seconda metà del IX secolo (anno 866) sotto Ludovico II, come riporta il preziosissimo testo:
Hic idem christianissimus imperator circa hoc tempus monasterium Sancti Angeli, quod Barregium[22] appellatur, iuxta tenorem praeceptorum antecessorum suorum Karoli atque Lotharii suo quoque precepto roboravit confirmans ibi omnia, que tam in circuitu suo quam et in pago Marsorum atque Balva, Teate, quoque et Penne atque Aprutio nec non et Asculo multipliciter possedisse antiquitus videbatur. Videlicet in Marsia cellam sancte Mariae in Fundo magno cum omnibus sibi subiectis ecclesiis vel rebus; sanctum Euticium in Arestina; sanctum Paulum super ipsam civitatem Marsicanam; sanctam Mariam in Oretino; sanctum Gregorium in Paterno[23]; sanctam Mariam in Montorone; ecclesiam sancti Salvatoris in Avezano; sancti Antimi ad Formas; sancti Angelis in Alba; sancti Cosme in Ellereto; sancti Angelis in Carseolis cum duabus cellis suis. [...].
Il toponimo ricompare senza dubbio in un diploma di Berengario II d'Ivrea del 953, in cui si riconferma il possesso del monastero di Sant'Angelo di Barregio delle due chiese di San Salvatore e Santa Maria in Vico (nominata questa anche in una Bolla di Clemente III, insieme alle chiese di San Bartolomeo e Sant'Andrea)[24][25]. Altri documenti hanno evidenziato che Avezzano come vicus esisteva agli inizi del Medioevo: in una lapide scoperta in zona si evince chiaramente che nel 1156 Avezzano era cinta di mura e che signore della città, nel 1181, era Gentile di Palearia, Conte di Manoppello[26].
I Marsi e Roma
Il destino dei Marsi incrocia quello di Roma a cominciare dal 300 a.C., quando Tito Livio scrive di alcune schiere marse alleate con i Sanniti, impegnati a contrastare la spinta espansionistica di Roma. Di tutt'altro avviso, lo storico greco Diodoro Siculo che afferma che i Marsi furono, invece, alleati dei romani guidati dal console Q.Fabius Maximus Rullianus[28]. Solo dopo la sconfitta degli Equi, si hanno notizie non contraddittorie: i Marsi, infatti, firmano un patto di alleanza con Roma[29]. Qualche anno dopo vennero edificate le colonie romane di Alba Fucens (tra il 304 e il 303 a.C.)[30][31][32] e di Carseoli (304 a.C.)[33]. Benché fedeli alleati di Roma furono esclusi dai diritti di cittadinanza e dall'assegnazione dell'ager publicus. La guerra sociale, detta anche "guerra Italia" o "guerra Marsica", è inevitabile.
Quinto Poppedio Silone, strenuo fautore dei diritti delle popolazioni italiche, fu amico del tribuno Marco Livio Druso, prima di assumere un ruolo decisivo, militare e politico, nella ribellione italica. Si batté tenacemente contro Roma alla guida degli alleati italici fino alla fine, ottenendo numerosi successi; cadde sul campo di battaglia a Boviano nell'88 a. C. Al termine della guerra ai Marsi fu riconosciuta l'agognata cittadinanza che accelerò il processo di romanizzazione del popolo. Nei decenni successivi i Marsi prenderanno parte alle sanguinose Guerre civili al fianco di Roma. Quando l'imperatore Augusto divise l'Italia in undici regioni, i Marsi furono assegnati alla Samnium Regio. Grazie agli indomiti guerrieri marsi, appoggiati in guerra solo da reparti di cavalleria latina, Roma conquistò definitivamente la Gallia Cisalpina[34]. Grazie a loro, considerati il nerbo dell'esercito, Roma riuscirà ad assoggettare le popolazioni indoeuropee dei Parti, Traci e dei Daci[35].
L'emissario di epoca romana
Nel 41 d.C. hanno inizio i lavori del prosciugamento del lago Fucino, un'opera ancora oggi considerata tra le più grandiosi imprese idrauliche. Il lago veniva adorato come un dio dai Marsi, e da essi temuto come un mostro, per l'impetuosità delle sue acque. Lungo le sue rive, oltre 30mila uomini, si affanneranno intenti al prosciugamento del lago attraverso lo scavo di un emissario che doveva far defluire le acque nel Liri. Il primo progetto sembra fosse stato approntato da Giulio Cesare[36] il cui obiettivo era quello di creare un'importante area agricola non distante da Roma. Esso troverà la sua realizzazione, dopo il disinteresse di Augusto[37], dapprima con l'imperatore Claudio, poi con Traiano, ed infine con Adriano. L'opera era talmente maestosa, e le tracce impresse nel territorio così imponenti ed ardite..
Il 52 d.C fu l'anno dell'inaugurazione dell'emissario, l'imperatore accompagnato da sua moglie Agrippina diede il via ad una grande naumachia. Prima dell'apertura dell'emissario, due imponenti flotte, composte da prigionieri rodiani e siciliani, si affrontarono per la libertà e la vita[39]. Intorno al 114 d.C. seguiranno lavori di miglioramento operati sotto Traiano e, successivamente, soprattutto con Adriano, ci saranno i definitivi adeguamenti che portarono al quasi completo prosciugamento del lago. L'assenza di opere di manutenzione verificatasi dopo la caduta dell'impero romano causò, molto probabilmente, insieme agli effetti di un disastroso terremoto, avvenuto, intorno al 500 d.C.[40], il ritorno del lago ai livelli precedenti il prosciugamento claudiano[41].
Il Medioevo
Gastaldia dei Marsi
Con l'abolizione delle regioni Augustee furono create 17 "province" e la Marsica fu inserita nella tredicesima: la Valeria, catalogata nell'ordinamento ecclesiale con il nome di Marsia[42]. La Marsica subirà, soprattutto da parte degli eserciti stranieri dei Goti, ma anche dei Bizantini, dei Borgognoni e degli Alemanni, saccheggi e violenze di ogni genere che portarono carestia e devastazioni. Nel 537 Albe, come gli altri centri più grandi della Marsica, venne depredata e occupata militarmente da Giovanni, il Magister militum dell'esercito Bizantino di Giustiniano. Seguirono le scorribande violente dei longobardi guidati da Faroaldo, tuttavia la regione acquisì un minimo di stabilità politico-militare. Nel 591 passata sotto il controllo di Ariulfo, secondo Duca di Spoleto, la Marsica venne inglobata nel ducato spoletino. Ariulfo ebbe modo di affermare che "se togli il paese de' Marsi, i nomi antichi delle contade che componevano il Ducato, erano quasi andati in disuso"[43]. Nasce la Gastaldia dei Marsi, un gastaldato locale retto da un "Gastaldius Marsorum" residente nella Civitas Marsicana (S. Benedetto dei Marsi) e nella curte comitale di Pescina[44]. Il potere del duca di Spoleto non era dei più stabili sul territorio della regione Valeria visto l'eccessivo dinamismo delle sue famiglie guerriere che, sebbene longobarde, decidevano in modo autonomo direttrici di conquista ed insediamenti nelle aree conquistate. Carlo Magno, chiamato da Papa Adriano I, dopo la metà del 700, donò la Gastaldia dei Marsi e tutte le terre del Ducato di Spoleto allo Stato Pontificio[45]. Dal 775 il territorio dei Marsi godrà di concessioni e donazioni ai monasteri e conventi e si verificherà un benefico proliferare di monasteri benedettini nell'itera area. La rinascita spirituale,culturale e materiale della Marsica favorirà la fondazione di alcuni centri che rivestiranno, in futuro, un'importanza strategica per il territorio: si tratta di Avezzano, Pescina e Tagliacozzo. Ai gastaldi si sostituiranno i primi rappresentanti della famiglia Berardi, con i quali la Gastaldia assurge definitivamente a Contea dei Marsi[46].
Contea dei Marsi
Con i Conti dei Marsi si verificherà una positiva evoluzione nei rapporti con la Chiesa: il clero insedierà stabilmente un Vescovo nel territorio, a capo della nascente Diocesi dei Marsi. Tuttavia la Contea sarà ancora interessata alle invasioni di bande armate come quella del 937, quando un esercito di seminomadi, gli Ungari, dopo aver devastato Capua e il monastero di Montecassino, entra bellicoso nel Fucino, dove si verificheranno altri saccheggi e distruzioni. Marsi e Peligni, uniti per difendere il territorio, sotto la guida di Berardo, Conte dei Marsi, li assaliranno presso Forca Caruso facendone strage[47].
Nel basso medioevo la vittoria di Carlo I d'Angiò, invece, determinò la distruzione di Albe. Gli abitanti del borgo parteggiarono in favore di Corradino: "Re Carlo, quando sappelo, Alve fece guastare. Ca troppo foro presti, fecelo ben pariare. La ecclesia della Victoria in Marsi fece fare. De llà dalle Cappelle, Francisci ce fece stare", narrò Buccio di Ranallo[48]. Negli stessi giorni e per gli analoghi motivi, Carlo, fece distruggere Pietraquaria, sul monte Salviano. Il borgo antico di Pietraquaria aveva tre chiese: S. Maria di Pietraquaria, San Pietro e San Giovanni. Gli abitanti furono costretti a scendere verso Avezzano che raddoppiò, così, il numero degli abitanti (1.200-1.400). Nel 1268, con la vittoria di Carlo D'Angiò su Corradino di Svevia, Avezzano venne elevata a centro di Contado, tuttavia continuò ad essere chiamata in modo inspiegabile "contea di Albe". Agli inizi del Trecento avrà termine il processo aggregativo: in località Pantano, che corrisponderà al centro della città, fu elevata l'importante pieve alla quale faranno capo diversi villaggi e località: San Felice alle Grotte di Claudio nei pressi della Grotta di Ciccio Felice; Castelluccio (o San Lorenzo), nelle adiacenze del monte Salviano; Arrio alle pendici del monte Aria; Cerrito (o San Leonardo) sulla via Consolare (la contemporanea via San Francesco); Vico (o Santa Maria di Vico), nei pressi del vecchio cimitero cittadino; Pescina (o San Nicola), contemporaneo quartiere di San Nicola; Perrate (o Parate) che corrisponde al contemporaneo quartiere di Scalzagallo; San Basilio nei piani Palentini; La Fonte o (San Salvatore), nella contemporanea località di Caruscino; Vicenne o Sant'Andrea, omonimi quartiere, Gagliano (o San Sebastiano), località posta all'altezza all'incrocio fra via XX Settembre e via Garibaldi; Pennerina (o SS. Trinità) in cima alla località Le Mole; Scimino o (San Simeone), nel contemporaneo quartiere della Pulcina; Le Fratte (o San Paolo), intorno alla distrutta chiesa di Santa Maria di Loreto; San Callisto, oltre via Sant'Andrea e lungo strada Circonfucense, infine Casole (o Santa Maria della Casa), nella parte bassa di Caruscino[A 1][49]. La città fu feudo dei Conti dei Marsi, dei Normanni e per un certo periodo degli Svevi.
Francesco I del Balzo, Duca di Andria, nel 1371 saccheggiò e devastò la cittadina di Avezzano, in quanto i suoi abitanti parteggiarono chiaramente in favore di Filippo, principe di Taranto, genero e al contempo nemico del Duca Francesco[50]. In una preziosa pergamena, scritta in latino e risalente al 1441, vengono elencati e descritti usi e costumi dell'epoca, le strade, le contrade, le voci, i vocaboli e addirittura i motivi di una vertenza sorta tra gli abitanti di Luco dei Marsi ed Avezzano relativa al possesso e all'utilizzo dei terreni di "La Penna", località edificata dai romani durante le operazioni di bonifica del Fucino[51].
L'età moderna
Le lotte tra gli Orsini e i Colonna
Nel XV secolo le contee marsicane sono teatro delle lotte tra gli Orsini e i Colonna, potenti famiglie romane. Nella prima metà del 1400 Giovanni Antonio Orsini divenne signore di Avezzano e delle contee di Albe e Tagliacozzo, controllando così tutte le aree ad occidente della Marsica. Con la conquista di Trasacco ebbero inizio gli scontri con i Colonna. Nel 1443, il re di Napoli Alfonso V d'Aragona riconobbe il feudo come proprietà degli Orsini. Alla morte di Giovanni Antonio, non avendo eredi, le due contee passarono al demanio regio per cinque anni[52]. Salito al trono, Ferdinando I, dopo la metà del 1400, confiscò i beni delle contee e vi pose a capo un Capitaneo con incarichi militari, ma anche penali, politici e civili. Durante la prima rivolta dei baroni, gli Orsini si schierarono dalla parte del re mentre i Colonna rimasero neutrali: la speranza di entrambe le famiglie era quella di tornare a possedere Albe e Tagliacozzo. Con la discesa di Giovanni d'Angiò nel 1459, la Marsica tornò ad essere teatro di lotte e continue rivolte. Queste ebbero fine solo grazie agli alleati di Napoli (tra cui Federico da Montefeltro), i quali cacciarono gli angioini e conquistarono Avezzano[53]. Qualche anno più tardi, allontanato definitivamente il generale angioino Jacopo Piccinino, Roberto Orsini tornò a regnare sul territorio di Avezzano ed Albe. Alla sua morte, tuttavia, i Colonna fecero partire di nuovo le ostilità per la riconquista dei feudi. Albe fu infine venduta a Fabrizio Colonna dal re che necessitava di denaro per riconquistare Otranto dai turchi, nel 1480. Re Ferdinando I alla luce dell'appoggio degli Orsini a Papa Sisto IV nella guerra con Venezia contro Ferrara, espulse la famiglia dal regno e donò Tagliacozzo ai Colonna.
Solo dopo la costituzione di una lega che comprendeva le due avversarie, Napoli e Venezia, fu concesso agli Orsini di riprendere i loro territori in Marsica. Giovanni Colonna non voleva, però, in nessun modo cedere Albe. Cosicché gli Orsini, forti dell'approvazione del Papa, devastarono i loro possedimenti di Roma, della campagna e dei castelli romani. Eletto Papa, Innocenzo VIII, che appoggiava, invece, i Colonna, la Marsica divenne per l'ennesima volta, luogo di scontro. In particolar modo Avezzano, fedele da sempre ai Colonna. Mentre Virginio Orsini invadeva l'Abruzzo, Fabrizio Colonna veniva accolto con entusiasmo dagli avezzanesi e dagli albensi. Solo dopo la pace tra Roma e Napoli, avvenuta nel 1486, Albe tornò agli Orsini e i Colonna ripresero, dunque, possesso dei loro possedimenti romani.
La politica "guerrafondaia" degli Orsini, non era ben accetta dai terrazzani della contea albense; infatti, nel 1490 Gentile Orsini trasformò il vecchio castello angioino d'Avezzano, inglobando i resti della vecchia torre medievale, in una vera e propria rocca rinascimentale[54]. Sul portale del castello fece collocare l'iscrizione «seditiosis. exitium» («a sterminio dei sediziosi»). L'avvertimento era rivolto agli agricoltori e ai pescatori avezzanesi che parteggiavano per i Colonna[55][56]. Il rifacimento dell'originario castello trecentesco in una efficiente e moderna rocca rinascimentale è sicuramente opera del celebre architetto Francesco di Giorgio Martini, che in quegli anni lavorava per gli Orsini, come testimoniano alcune lettere dello stesso Virgilio Orsini[57].
Dalla signoria dei Colonna all'abolizione dei feudi
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Sigillo dei principi Colonna
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Stemma variante degli Orsini
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"Lac Fucino et les montagnes des Abruzzes", Jean-Joseph-Xavier Bidauld
Alfonso d'Aragona diventò re di un vastissimo regno che comprendeva di nuovo anche la Sicilia con capitale a Napoli, con la conquista aragonese ed il defenestramento di Renato d'Angiò, ultimo degli angioini. La Marsica, in quel periodo, risulta divisa in due contee: Celano con i Conti di Celano cui successero i Piccolomini ed Albe con gli Orsini. Diversi diplomi di re Federico I di Napoli, databili dal 1496 al 1499, determinano, senza dubbi, la vittoria dei Colonna sugli Orsini sul finire del medioevo. La signoria dei Colonna, durata senza interruzione circa tre secoli, fu in queste terre molto amata e lasciò ricordi non spiacevoli.
Il Ducato dei Marsi
Il Ducato dei Marsi conteneva allora i seguenti castelli e terre: Ajelli, Albe, Androsciano, Altum Sanctae Mariae, Atessa, Auricula, Avezzano, Bisegna, Borgocollefegato, Capistrello, Cappadocia, Cappelle, Carseoli, Castello a Fiume, Castelmenardo, Castelnuovo nei Marsi, Castelvecchio, Castro Canistri, Celano, Cerchio, Cese, Civitandino, Civitella Val di Roveto, Cocullo, Colle, Colle Armeno, Collelongo, Corvaro, Fara Filiorum Petri, Forme, Gallo, Gioja, Lecce, Luco, Magliano, Manoppello, Marano, Massa, Meta, Morino, Morrea, Opi, Ortucchio, Orsogna, Ortucchio, Ovindoli, Pagliara, Paterno, Penna Sant'Andrea, Pereto, Pesculo Serulae, Peschio Canale, Petrella, Poggio Cinolfo, Poggio S.Filippo, Puggitello, Pretoro, Rapino, Rocca de Vivi, Rocca de Butta, Rocca di Cerro, Rocca Monte Piano, Rosciolo, Rovere, S.Donato, S.Giovanni, San Pelino, Sant'Anatolia, Santo Stefano, Scanzano, Scurcola, Sorbo, Spedino e Latuschio, Tagliacozzo, Tubione, Torano, Tornareccio, Trasacco, Tre Monti, Tufo, Val de' Varri, Verrecchie, Villa Collelongo, Villa Corcumello Villa Romana, Villa Sabinese, Villa S.Sebastiano[58].
Il distretto di Avezzano
questo distretto, una volta abitata dai Marsi, per la sua civiltà e la sua popolazione.»
Sul trono napoletano Giuseppe Bonaparte, appena fu possibile, promulgò la legge sull'abolizione dei feudi: era il 2 agosto 1806. Terminò, così, dopo tre secoli, la signoria dei Colonna ad Avezzano. Attuata dal Bonaparte una nuova ripartizione del regno di Napoli in province, in distretti e circondari, la Marsica fu suddivisa ma in modo non rispondente alla sua secolare unità politica e amministrativa, tanto che a ciò dovrà porre rimedio, cinque anni dopo, il successore Gioacchino Murat.
II 4 maggio 1811 verrà anche decretata l’istituzione del distretto di Avezzano, che diverrà il capoluogo della Marsica[60]. Il real Decreto fu firmato a Parigi da Gioacchino Murat: Avezzano è sede di sottointendenza e comprende 7 circondari (più tardi si aggiungerà quello di Trasacco). In questo periodo, nella Marsica, come nel resto d'Abruzzo, nascono le prime "vendite" carbonare che, dopo le prime sconfitte napoleoniche, consolidate le strutture operative ed accresciuti i propri ranghi, acquisteranno più fiducia nelle proprie forze.
L'età contemporanea
Dalla Restaurazione all'Unità d'Italia
Qui i movimenti carbonari saranno più che mai dinamici tanto che nel 1820 Ferdinando I si vide costretto a firmare la Costituzione (che riconosceva la provincia Marsia, in luogo all'Abruzzo ulteriore II), ritirata un anno dopo con la repressione dei moti carbonari. Il real decreto conteneva norme severissime per la repressione del brigantaggio nei territori continentali del Regno di Napoli[61]. Vi furono lunghi anni di devastazioni, saccheggi e stragi di cui furono vittime, in queste terre, soprattutto, le popolazioni della Valle Roveto. I briganti, ripetendo minacce o estorsioni, passano e ripassano la valle, calando dai monti Simbruini, Cantari ed Ernici, reduci da Magliano dei Marsi, da Avezzano o da Rocca di Mezzo, squadre mal vestite di armati o meglio bande raccogliticce di reazionari, al soldo degli improvvisati generali borbonici[62].
La recente e aggiornata ricerca storiografica illustra i numerosi avvenimenti abruzzesi in modo diverso, grazie e soprattutto alla documentazione d'archivio esaminata con approccio critico delle fonti[63]
Furono le ultime giornate dell'ottobre 1860 per la Marsica le più terribili di quell'anno, carico di avvenimenti.
L'intera Marsica si divise tra proprietari liberali, contadini, braccianti e pastori ancora fedeli alla Chiesa e al Borbone. Mentre l'armata sardo-piemontese varcava il Tronto e i garibaldini combattevano sul Volturno, Avezzano veniva occupata dalle camicie rosse di Pateras e Fanelli (1.400 uomini), che il 6 ottobre 1860, però, furono sconfitti presso Civitella Roveto dalle truppe borboniche condotte dal colonnello Teodoro Federico Klitsche de La Grange, dall'avvocato Giacomo Giorgi e dall'ex sergente borbonico Luigi Alonzi, detto Chiavone. Per rappresaglia, alcuni giorni dopo il paese di Tagliacozzo fu messo a ferro e fuoco da Pateras che, in "nome della libertà", incendiò ben 36 abitazioni compreso il teatro civico, mentre la popolazione indignata scagliava addosso ai garibaldini tegole e olio bollente dalle finestre. Tuttavia, la città sede di sotto-intendenza venne occupata il 19 dello stesso mese. Lo stesso graduato borbonico venne accolto trionfalmente dagli avezzanesi ostili ai Savoia. Scrisse in proposito l'ufficiale piemontese Alessandro Bianco di Saint-Jorioz: "La popolazione di questo distretto apparentemente sembra indifferente e noncurante di qualunque avvenimento politico, ma si sveglierebbe nemica il giorno in cui sorgesse un evento qualunque che abbattesse anche per un momento la nostra autorità (...) Nobili e plebei, ricchi e poveri, qui tutti aspirano, meno qualche onorevole eccezione ad una prossima restaurazione borbonica (...)"[64]. La gendarmeria, soldati svizzeri e napoletani tra il 20 e il 23, decisi a riconquistare il capoluogo di provincia, giunsero alla distanza di quattordici chilometri dall'Aquila, dove si erano asserragliati tutti i liberali fuggiti dalla Marsica. Poi, sopraggiunta la notizia della sconfitta del maresciallo borbonico Luigi Scotti Douglas in prossimità di Isernia, le truppe borboniche si ritirarono nello Stato Pontificio. Numerose vendette e regolamenti di conti lasciarono la zona in preda all'anarchia, preludio del "grande brigantaggio" zonale che durò fino alla Breccia di Porta Pia (in Abruzzo si contavano 183 bande armate (da 5 a 200 elementi provenienti sia dal Molise sia dallo Stato Pontificio), per un totale di circa 3.000-4.000 uomini alla macchia)[65].
Solo dopo la sconfitta subita sul valico molisano del Macerone dall'esercito delle Due Sicilie, ad opera di Enrico Cialdini, comandante delle truppe piemontesi, subentrò in tutti la certezza della fine dei Borboni e della prossima liberazione di città e paesi. Ci si avvicinava all'Unità della Patria. Re Vittorio Emanuele II fu proclamato in tutto il territorio dell'ex-Regno napoletano e sventolò per la prima volta, anche qui, nei comuni e dalle finestre delle case il tricolore d’Italia.
Circondario di Avezzano
Le mura di Avezzano furono abbattute tra il 1846 e il 1849, durante il periodo borbonico. La giunta della città, propose e fece realizzare simile provvedimento[66], in quanto si credeva che, distruggendo le mura dell'antico borgo, sarebbero state debellate le varie epidemie di tifo o di malaria con la circolazione dell'aria. L'ignoranza sulla medicina, fece credere a molti che tra gli stretti vicoli costruiti nella seconda metà del Trecento ristagnassero le continue epidemie, contratte, invece, dai contadini durante i lavori stagionali nell'Agro romano[67].
Con l'Unità d'Italia (1861) la suddivisione in province e circondari stabilita dal Decreto Rattazzi fu estesa all'intera Penisola. Da un punto di vista amministrativo il tramonto del dominio borbonico, segna oltre che la fine dei tre Abruzzi (Ultra I, Ultra II e Citra) e l'istituzione della Regione Abruzzi e Molise, la nascita del Circondario di Avezzano[68]. Si verificò, così, la trasformazione delle intendenze in prefetture, dei distretti in circondari e dei vecchi distretti in mandamenti[68]. Nel 1926, un anno prima della soppressione di tutti i circondari italiani, vennero assegnati a quello di Avezzano i comuni di Borgorose (Borgocollefegato) e Pescorocchiano, già appartenenti al soppresso circondario di Cittaducale[69].
1878: prosciugato il lago Fucino
Ad opera del banchiere Alessandro Torlonia, nella seconda metà del 1800, fu definitivamente prosciugato il lago Fucino che aveva una superficie di oltre 14.000 ettari, terzo d'Italia per estensione[70]. L'opera ancora oggi considerata colossale, seconda solo alla diga di Assuan, richiese decenni di lavoro per maestranze e tecnici[71]. Fu ripreso lo stesso progetto di 18 secoli prima, ristrutturando ed ampliando l'opera Claudiana. Come allora, imprevisti ed ostacoli vari, rallentarono, ed in alcuni casi, rischiarono, addirittura di far bloccare i lavori, ma grazie alla ferrea volontà di Torlonia, e soprattutto alle sue ingenti risorse economiche, l'opera fu portata a termine. Per i calcoli ed il progetto di prosciugamento idrico, il Torlonia si avvalse della collaborazione dei migliori ingegneri e di Carlo Afan de Rivera noto per l'ideazione e la progettazione di numerose opere pubbliche. Il Fucino che aveva una profondità massima nel "bacinetto" di 30 metri, defluì lentamente attraverso i "Cunicoli di Claudio", riversando le acque nel fiume Liri dall'emissario di Capistrello. Ai vecchi cunicoli degli imperatori Claudio e Adriano, il Torlonia fece aggiungere altri canali e sfiatatoi. L'ingegnere svizzero Frantz Mayor de Montricher diresse i lavori che iniziarono nel 1855, seguì l'opera l'ingegnere Enrico Bermont che continuò a dirigerla fino al 1869, quando gli successe l'ingegner Alessandro Brisse che portò a compimento l’opera tra il 1873 e il 1877[72]. Fu solo il 1º ottobre del 1878 che il Lago Fucino fu dichiarato prosciugato[73]. Liberata l'area dalle acque, sorse così la Piana del Fucino, una fertile superficie destinata a coltivazioni agricole. Per il prosciugamento furono realizzati una fitta rete di canali lunghi 285 chilometri, 238 ponti, 3 ponti canali e 4 chiuse. Vennero utilizzati 4.000 operai al giorno. Il territorio rubato alle acque era esattamente di 14.005,90 ettari di terreno agrario, suddivisi in 497 appezzamenti di 25 ettari ciascuno. La piana così prosciugata doveva essere quindi resa lavorabile e abitabile, e per tal motivo occorreva costruire case, fattorie e strade. Una strada di 52 km ora circonda il bacino e 46 strade rettilinee, parallele e perpendicolari, per un totale di ben 272 km. Oltre ai 24 milioni di lire spesi per il solo prosciugamento, quindi, ne vennero impiegati altri 19 per le prime opere viarie. Nel 1886 per risolvere il problema della distanza tra i paesi ed i terreni da coltivare, decisero di realizzare tra Luco dei Marsi e Trasacco, 36 aziende agricole, terminate nel 1890. Sempre in quegli anni fu costruita la strada che collega Napoli ad Avezzano e la linea ferroviaria Roma-Avezzano. Al Torlonia, fu conferito il titolo di principe del Fucino ed una medaglia d'oro. Fu elevato a titolo nobiliare di principe dal Re d'Italia, Vittorio Emanuele II. Grazie al Regio Decreto borbonico del 1852, fu accordata la concessione dello spurgo e delle restaurazione del canale claudiano: il compenso era naturalmente in gran parte costituito dalle stesse terre bonificate, così il principe, diventato proprietario delle terre emerse per 99 anni, invitò dalle Marche e dalla Puglia mezzadri ed agricoltori a cui vennero affidati gli appezzamenti[74]. Dal 1947, inoltre, il principe Torlonia ha ricoperto il ruolo di presidente della banca del Fucino. Finalmente con la Riforma agraria gli stessi mezzadri e braccianti marsicani divennero negli anni cinquanta proprietari delle terre. L'economia di Avezzano, già in fase di decollo per i servizi locali e la coltivazione di frutta, ebbe una forte impennata con le coltivazioni di ortaggi, carote, patate e barbabietole e con l'indotto venutosi a creare[75].
Il terremoto del 13 Gennaio 1915
Pochi decenni dopo la bonifica del Fucino e nel pieno dello sviluppo socio-economico della Marsica avvenne l'evento più tragico: il Terremoto della Marsica del 13 Gennaio 1915. Conosciuto anche con il nome di Terremoto di Avezzano fu un evento sismico di indicibile gravità. Colpì l'intera area della Marsica, subregione abruzzese. Il sisma del 1915, per forza distruttiva e numero di vittime, è classificato tra i principali terremoti avvenuti in territorio italiano. Causò 30.519 morti, secondo studi recenti del Servizio sismico nazionale. 10.700 vittime (più dell’80% dei residenti) vi furono nella città di Avezzano, epicentro del sisma, che contava prima della scossa di magnitudo 7.0 (Mw momento sismico) e ancora dell’11º grado della scala Mercalli (MCS), poco più di 13mila abitanti. La tragedia avvenne alle ore 7.52.48 (dato dell’INGV) del 13 Gennaio 1915.
Danni si ebbero a Roma, distante circa 100 km dall'epicentro, come pure nel Sorano, in Ciociaria e nel basso Lazio, in Molise e al confine della Campania; a Nord, nel Cicolano e nell'Aquilano e dalla Sabina alle Marche, infine verso Est, alle porte di Chieti e Pescara. La scossa fu avvertita dalla Val Padana alla Basilicata.
L'Italia era vicinissima all'ingresso nella guerra contro l’Austria (Maggio 1915). Questo causò notevoli problemi di ordine logistico nel continuare a prestare i già difficilissimi soccorsi[77]. I militari alloggiati in tende provvisorie dovettero, infatti, partire in massa per il fronte. Moltissimi furono i decessi tra i feriti costretti all'addiaccio nei paesi isolati e tra le montagne impervie della Marsica, nei giorni rigidi e nevosi di quel periodo. I soldati marsicani, anch'essi assurdamente chiamati alla "Grande guerra", combatterono per la Patria consapevoli di aver perso tutto. Molti di loro persero anche la vita sul fronte, lungo l'Isonzo e sul Carso, si disse, "per difendere l'onore e i ruderi". Oltre ad Avezzano scomparvero paesi e città bellissime, Gioia dei Marsi, Albe, Collarmele, Lecce nei Marsi, Ortucchio, Trasacco, Pescina e San Benedetto, Balsorano, Morino. Tanti i paesi gravemente danneggiati: Celano, Luco dei Marsi, Cappelle dei Marsi, Magliano dei Marsi, Meta e San Vincenzo Valle Roveto. Da Pereto a Pescasseroli, ognuno pagò il suo numero di morti[78].
I pochissimi sopravvissuti ad Avezzano (in gran parte feriti) rimasero senza tetto poiché tutti gli edifici crollarono su sé stessi, tranne il villino del cementista bolognese Cesare Palazzi, situato in via Garibaldi, non distante dalla stazione ferroviaria e diventato punto di riferimento per gli ingegneri che studiano quali tecniche adottare per difendersi dai terremoti. Al villino, ancora abitato, è stata applicata una targa commemorativa con su scritto «unica casa che ha resistito al terremoto del 13 gennaio 1915». Il terremoto isolò completamente la Marsica e l'entità e l'esatta zona geografica teatro del disastro arrivò al Governo solamente nel tardo pomeriggio, complici anche i "rudimentali" mezzi di comunicazione dell'epoca[79]. I soccorsi, partiti la sera del 13 Gennaio arrivarono il giorno dopo, a causa dell'impraticabilità delle strade causata da frane e macerie.
Più di 9000 uomini, fra militari, enti e civili tra cui la Croce Rossa Italiana, i Bersaglieri e i volontari Scout del CNGEI, vennero impegnati per i soccorsi, il trasporto dei feriti negli ospedali e la distribuzione dei viveri. A coloro che si distinsero maggiormente fra i soccorritori, venne riconosciuta, in seguito, una medaglia di benemerenza, concessa dal Duca di Genova, Tommaso di Savoia, nominato dal Re, Luogotenente Generale del Regno d'Italia. L'evento sismico mise in evidenza l'impreparazione e, in parte, l'impotenza, dello Stato dinanzi ad eventi di tale gravità. Erminio Sipari, deputato del collegio di Pescina, portò in Parlamento la protesta di quelle vittime che probabilmente si sarebbero potute salvare se i soccorsi fossero stati più tempestivi[80]. Particolare menzione merita il cittadino avezzanese Camillo Corradini a cui con riconoscenza l'Amministrazione Comunale e la cittadinanza hanno dedicato la principale strada della città ed un busto bronzeo in piazza Risorgimento. Liberale crociano, divenne ispettore generale prima (1905), e direttore generale della scuola primaria dopo (1908-1915). Nel post-terremoto fu capo di Gabinetto nel Ministero degli Affari Interni. Grazie all'impegno di Corradini, notevoli fondi furono spostati sulle opere pubbliche della città che in breve tempo fu ricostruita. Altra menzione merita Don Luigi Orione ora Santo, che giunse tempestivamente dopo il sisma ed instancabilmente si prodigò per gli orfani e le giovani ragazze di Avezzano e di tutta la Marsica rimaste senza famiglia. Indimenticabile anche l'opera instancabile di San Luigi Guanella e dell'allora Vescovo dei Marsi, S.E.Mons. Pio Marcello Bagnoli.
Il terremoto del 1915 interessò un settore della catena appenninica fino ad allora caratterizzato da una sismicità poco documentata. Come per tutti gli altri terremoti della zona, precedenti e successivi, la causa fu lo slittamento di un'importante faglia (situata a sud est della Conca del Fucino). Avezzano, prima d'allora era una cittadina dinamica e fiorente di circa 13.000 abitanti: il prosciugamento del lago Fucino, avvenuto pochi decenni prima, faceva sentire positivi influssi sull'economia dell'area, nell'agricoltura e nel settore terziario.
Avezzano perse quella vitalità e con essa i suoi monumenti importanti e, in parte, la sua identità: il Castello Orsini, la Collegiata di S. Bartolomeo, il Palazzo Torlonia, il Teatro Ruggeri, il municipio non esistevano più. Tuttavia la ricostruzione fu veloce. La Marsica fu una delle poche zone d’Italia a raggiungere tra il 1860 ed 1960 un incremento della popolazione pari al 150%, nonostante i 30mila morti del terremoto e le due devastanti Guerre mondiali. Oggi quelle città, prive per lo più del fascino antico, sono completamente rinate. Ciò grazie alla solidarietà e agli aiuti giunti da tutta Italia ma, soprattutto, alla caparbietà dell'indomito popolo marso e alla generosità delle fertili terre dell’ex Lago del Fucino. 5 anni dopo il sisma Avezzano già recupera l’indice demografico e nel 1921 sfiora i 12mila abitanti[81]. Si proietta ad essere ciò che è oggi: città territorio della Marsica.
« Amico / la città che laggiù / alla tua vista si stende / non è quella dei nostri padri / di essa non restò / pietra su pietra / nel primo mattino / del 13 gennaio 1915. / Questa ha un altro volto / nel quale l’antico / si rischiara / non nel disegno / troppo diverso / ma nella forza dell’uomo / che tosto / riprese a camminare » (epigrafe commemorativa sul memoriale del monte Salviano)[82].
Le apocalittiche immagini suscitate dal "Giorno della grande ira", come titolò lo storico Antonio Falcone, resteranno per sempre impresse nelle menti di giovani ed anziani. Nessuno potrà dimenticare la solidarietà dei paesi europei, inclusa l'Austria, nemica sul fronte, l'arrivo dell'allora Re d'Italia, Vittorio Emanuele III, le preghiere di Papa Benedetto XV, l'aiuto alle migliaia di orfani di San Luigi Orione e di San Luigi Guanella, l'opere di Ignazio Silone e Benedetto Croce.
Particolarmente impressionanti le immagini riportate dalle oramai rarissime cartoline d'epoca della collana di Furio Arrasich e i reportage e gli articoli dei cronisti e dei giornalisti dell'epoca giunti sul posto. Molto toccante il cortometraggio muto in bianco e nero, girato a manovella in Avezzano pochi giorni dopo il sisma dai cinematografi francesi dell’Istituto Gaumont, della durata di 6 minuti ed il documentario storico sul terremoto del 1915 dal titolo "La Notte di Avezzano" realizzato da Raffaello Di Domenico e proiettato per la prima volta il 13 gennaio 2011 presso il ristrutturato Castello Orsini-Colonna ad Avezzano, contenente 150 foto d'epoca pre e post-sisma, dati di sismologia storica e foto dell'ammiraglio statunitense J. Lansing Callan donate all'U.S. Geological Survey. Particolare menzione merita il cortometraggio "Marsica un terremoto che ha settanta anni", realizzato dalla regista Anna Maria Cavasinni per la Cineteca di Bologna nel 1982[83].
Nel 2015, in occasione delle celebrazioni commemorative del centenario, Poste Italiane ha emesso un francobollo speciale dedicato al terremoto della Marsica[84] e l'istituto poligrafico e zecca dello Stato ha coniato la moneta con i simboli della tragedia e la rinascita di un popolo impressi su entrambi i lati[85]. Infine l'istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha realizzato un documentario, in tre parti, dal titolo Le radici spezzate: Marsica 1915 - 2015 in cui viene raccontata attraverso immagini e testimonianze il fenomeno della delocalizzazione, ovvero della ricostruzione in altri luoghi dei borghi montani distrutti dal sisma[86].
La Prima guerra mondiale
Alcuni giovani avezzanesi ebbero salva la vita dal terremoto perché all'alba del 13 gennaio si trovarono in stazione in attesa del treno che li avrebbe condotti alla visita di leva militare. I contrari all'intervento militare dell'Italia interpretarono il terremoto di Avezzano come "un avviso salutare che la Provvidenza divina dà agli sconsigliati che vogliono la guerra"[87]. Un'intera generazione di giovani che versò, al terremoto, un altissimo tributo venne così sottoposta ad un'ulteriore prova. Sfumata la possibilità di essere esonerati, i marsicani dovettero partecipare come soldati dell'esercito alla grande guerra. Molti di loro, oltre 2.000, persero anche la vita sul fronte, lungo l'Isonzo e sul Carso, si disse, "per difendere l'onore e i ruderi"[88]. Dato il vuoto generazionale che si venne a creare, il Governo Italiano, decise di istituire un campo di lavoro per prigionieri austro-ungarici ad Avezzano nel quartiere che poi prese il nome di "Concentramento". Grazie anche al loro continuo lavoro in opere pubbliche, finalizzate a ricostruire la nuova Avezzano, la città rinacque. Tra le opere realizzate da questa comunità vanno ricordate: la realizzazione della pineta a nord della città, il rimboschimento del monte Salviano, i servizi viari cittadini e varie costruzioni architettoniche. Da menzionare la casa-comando in legno del campo di concentramento, sita dietro l'attuale chiesa di Madonna del Passo. Fin dalla istituzione del campo di concentramento era presente alla base del monte Salviano (a "Chiusa Resta", la contemporanea via Piana) anche il cimitero dedicato esclusivamente agli austro ungarici deceduti durante la prigionia. A seguito dell'espansione edilizia della città oltre la zona "Chiusa Resta", nel 2007 si è proceduto alla riesumazione dei resti e con cerimonia ufficiale e solenne alla restituzione alle autorità estere delle spoglie.
Anche in questo caso la partecipazione obbligatoria o volontaria dei fanti marsicani alla prima guerra mondiale è stata esaminata in chiave fortemente critica col fine di comprenderne il vero significato. Con il saggio Eroi, disertori e famiglie marsicane durante la prima Guerra Mondiale, lo storico Fulvio D'Amore, ha chiarito il significato dell'entrata nel conflitto dei soldati, spinti dal poeta Gabriele D'Annunzio, dai futuristi e dagli studenti verso un massacro senza fine. La guerra causò oltre ottocentomila morti, stroncando giovani vite appartenenti alle classi 1878-1900. L'età di quest'ultimi ragazzi marsicani e non solo si aggirava intorno ai 15-16 anni [89]
Avezzano sede della Diocesi dei Marsi
Fondata, secondo la tradizione, da San Marco Galileo e retta in seguito da San Rufino e suo figlio Cesidio nel III secolo, la Diocesi dei Marsi ha avuto, nei secoli, diversi spostamenti della cathedra episcopi, dall'antica sede di Marruvium fino a quella definitiva di Avezzano.
Nel 1580, con una Bolla pontificia (In suprema dignitatis, di Gregorio XIII), la cattedra venne spostata dapprima dall'antica cattedrale di Santa Sabina (sita in Marruvio, l'attuale San Benedetto dei Marsi) a Pescina, nella cattedrale di Santa Maria delle Grazie, ove rimase fino ai primi anni del XX secolo. L'ultimo trasferimento della sede vescovile fu quello definitivo, da Pescina ad Avezzano[90]. Questo fatto, sanzionato definitivamento il 16 gennaio del 1924 con la Bolla Quo Aptius di Pio XI, suscitò non poche polemiche: i pescinesi intrapresero un fitto scambio epistolare con la Curia per evitare il trasferimento. Tuttavia i prodromi per il trasferimento sembrano risalire addirittura a circa un secolo prima, nel 1816, quando Avezzano venne scelta come capoluogo di distretto: da quell'anno cominciarono i tentativi della città per diventare sede anche della Diocesi. Nel 1843 gli avezzanesi riuscirono ad ottenere il consenso da Roma e da Napoli, ma non dal vescovo appena insediato, monsignor Michelangelo Sorrentino[91]: quella del presule fu una scelta senza dubbio prudente, ma che non teneva conto della sempre più inarrestabile ascesa di Avezzano al ruolo di capoluogo politico ed economico della provincia, di cui già era il comune più popoloso (in quegli anni cominciarono, tra l'altro, i lavori per il prosciugamento del Fucino e Torlonia aveva posto il suo quartier generale proprio in città). Un altro tentativo importante fu nel 1884, quando, dopo l'Unità d'Italia, tutte le faccende amministrative della Curia cominciarono ad essere svolte dagli uffici civili di Avezzano, ma anche in questo caso le richieste degli avezzanesi non furono soddisfatte.
Finalmente, nel 1911, quando Pio Marcello Bagnoli venne ordinato vescovo, ci si rese conto che la cathedra episcopi non poteva che trovare sede nel centro principale della Marsica. Così, dopo il terremoto del 1915, il vescovo fu costretto a scegliere tra il ricostruire tutti gli uffici vescovili di Pescina o il costruirne di nuovi in Avezzano. Fu scelta la seconda possibilità, ma il braccio di ferro tra Pescina e il vescovado continuò fino al 1922, quando il "Comitato per la difesa di Pescina" diffuse un opuscolo intitolato Per la sede episcopale e per il seminario di Pescina - L'antica sede della cattedrale dell'Episcopato e del seminario dei Marsi, in cui venne giustificata la reazione dei pescinesi. Anche quest'ultimo tentativo venne ignorato dal vescovo, che rimase irremovibile nella sua decisione, confermata dalla succitata Bolla pontificia del 1924, la quale recita:
"Quo aptius dioecesis regimini prospiciatur, attentis etiam praesentis temporis adiunctis, Nos utile ac necessarium duximus episcopalem Marsorum sedem et cathedram transferre a civitate Piscina ad civitatem Aveanum, fere in medio Marsorum territorio sitam, dum Piscina in extremis est: et insuper propter vias ferreas praefata urbs Aveanum etiam faciliorem aditum commerciumque habet cum universa dioecesi. Quare, suppleto, quatenus opus sit, quorum intersit aut sua interesse praesumant, consensu, de Apostolicae potestatis plenitudine, a civitate Piscina sedem et cathedram episcopalem Marsorum, una cum Seminario et cum cathedrali Capitulo [...] ad urbem Aveanum transferimus, cum omnibus iuribus, privilegiis, honoribus et praerogativis, quibus ceterae episcopales sedes gaudent, reservato tamen antiquae ecclesiae Beatae Mariae Virginis ad Nives Piscinae titulo et honore concathedralis. Ecclesia autem Aveani exstruenda sub titulo S. Bartholomaei Apostoli, quum primum fuerit perfecta et consecrata, Cathedra erit pro Episcopis Marsorum; ibique etiam Capitulum cathedrale servitium chorale iuxta canonicas leges obibit. [...]"[92]
Cronotassi dei Vescovi dei Marsi dal trasferimento della Diocesi ad Avezzano
- Pio Marcello Bagnoli, O.C.D. † (14 dicembre 1910 - 17 gennaio 1945, deceduto)
- Domenico Valerii † (9 agosto 1945 - 10 novembre 1973, ritirato)
- Vittorio Ottaviani † (10 novembre 1973 - 22 aprile 1977, dimesso)
- Biagio Vittorio Terrinoni, O.F.M.Cap. † (22 aprile 1977 - 23 giugno 1990, ritirato)
- Armando Dini (23 giugno 1990 - 21 novembre 1998, nominato arcivescovo di Campobasso-Boiano)
- Lucio Angelo Renna, O.C. (9 giugno 1999 - 2 settembre 2006, nominato vescovo di San Severo)
- Pietro Santoro, dal 28 giugno 2007 a oggi
L'epoca fascista e la seconda guerra mondiale
Durante la seconda guerra mondiale, la vicina Celano ebbe la ventura di essere dichiarata sede ospedaliera e, come tale, immune da bombardamenti e da azioni di guerra. Senz'altro fu una fortuna la presenza di una città bianca a pochi chilometri di distanza. Dopo l'otto settembre 1943, però, la frazione di Paterno risentì del fatto che nella vicina Massa d'Albe si trovava il Quartier Generale Tedesco per l'Italia del centro-Sud sotto la guida del generale Kesselring. Massa, per questo, fu soggetta a due poderosi bombardamenti aerei da parte degli alleati e fu quasi totalmente distrutta, causando la morte di 43 civili e di circa 200 soldati tedeschi. Anche Paterno, alle porte di Avezzano, fu soggetta ad attacchi miranti a colpire i convogli militari e i depositi di bombe. Per far saltare in aria uno di questi ultimi che si trovava nei pressi della fontana di Pietragrossa, Paterno il 10 novembre 1943, subì un bombardamento violentissimo. Qualche tempo dopo, i monti sovrastanti accolsero diversi prigionieri alleati, fuggiti dal campo di concentramento di Avezzano. Durante il ventennio fascista, tuttavia, vi fu la risoluzione di problematiche ultradecennali che affliggevano il territorio della Marsica. Fu completata la bonifica del lago del Fucino per volontà di Mussolini, dato che in alcuni appezzamenti il terreno era acquitrinoso. Il Duce voleva sfruttare al meglio le potenzialità agricole dell'altopiano abruzzese anche per lo sviluppo dell'area di Avezzano. Al centro degli interessi del Vescovo dei Marsi, Mons. Bagnoli c'era la ricostruzione della Cattedrale di Avezzano, distrutta dal terremoto del 1915. I lavori, già iniziati da tempo, rimasero però sospesi per anni, fin quando il vescovo ruppe gli indugi, rivolgendosi direttamente al capo del governo fascista, in quel tempo in visita ad un campo di addestramento dei giovani fascisti non lontano da Avezzano. L’incontro, avvenuto proprio ad Avezzano tra Mussolini e il presule, sortì effetti positivi. Era il 1938. In meno che si dica furono reperiti i fondi, moltiplicate le maestranze, messe in azione diverse ditte appaltatrici e, già che ci si trovava, il vescovo cacciò dal cassetto il vecchio progetto a suo tempo bocciato dal Genio civile e, come per incanto, la cattedrale si allargò e salì d’altezza giorno dopo giorno, fino ad assumere la fisionomia definitiva. Nel 1942, presenti le autorità, capo del governo in testa, clero e fedeli festanti, la cattedrale dei Marsi venne solennemente consacrata. Scalfita dai bombardamenti aerei del 22 e 23 marzo 1944 e ripristinata nell'immediato secondo dopo guerra, la cattedrale giganteggia davanti a Piazza Risorgimento con tutta la sua imponente mole. I pesanti bombardamenti aerei, effettuati a partire dalla metà di marzo del 1944 dai "Bomber group" della 12.ma e 15.ma forza aerea degli Stati Uniti, fecero "meritare" ad Avezzano la Medaglia d'argento al merito civile. Appena ricostruita dalla devastazione del sisma, Avezzano fu distrutta al 70% da ben 19 bombardamenti[93]. Benito Mussolini visitò la città di Avezzano l'11 Agosto 1938 proveniente da Carsoli (Piana del Cavaliere) dove assisté alla fase finale delle manovre che sanzionarono il passaggio dalla Divisione Trinaria alla Binaria. Passaggio da tre Reggimenti di Fanteria e uno di Artiglieria a due di Fanteria e uno di Artiglieria potenziato. Appena caduto il Fascismo, in tutti i paesi della Marsica vi fu una naturale rivalsa da parte di coloro che, ostili al regime, avevano dovuto subire umiliazioni e persecuzioni.
Avezzano e la Provincia dei Marsi
Un capitolo caldo della storia recente di Avezzano è certamente quello della lunga e infruttuosa lotta per l'istituzione di una "Provincia dei Marsi". Già dagli anni venti del XX secolo l'avezzanese Camillo Corradini, eletto al Parlamento del Regno d'Italia, si impegnò per sostenere l'istituzione di una provincia che avesse la sua città come capoluogo. Nonostante un forte interessamento della politica marsicana e addirittura nonostante le forti pressioni del vescovo di allora, Monsignor Bagnoli, non si raggiunse il tanto agognato obiettivo. Avezzano doveva ancora ultimare la ricostruzione post-terremoto del 1915. Tra il 1926 e il 1927 vennero tuttavia istituite ben 17 nuove "province del Littorio", ma non quella della Marsica. Continue furono le istanze presentate negli anni a Benito Mussolini, ma anche nel 1932 Avezzano non venne elevata a provincia, subendo un nuovo rinvio. Nel 1938, nuovamente, la città a gran voce richiese la Provincia al Duce in persona in occasione della sua visita, l'11 agosto di quell'anno: dal palco eretto in Piazza Risorgimento, ai piedi della costruenda cattedrale, Mussolini ebbe modo di dire: "Sono venuto per vedere quello che è stato fatto e quello che si dovrà fare!". Dalla folla osannante si levò un grido: "Avezzano Provincia!"[94]. Dopo la guerra, nel 1946, i sindaci marsicani con a capo il primo cittadino di Avezzano, Antonio Iatosti, si appoggiarono invano anche a Benedetto Croce per richiedere nuovamente al Parlamento una proposta di legge atta a istituire la Provincia dei Marsi. Si continuò su tale strada ancora con due progetti di legge destinati a fallire, nel 1957 e nel 1974. Nel 1986 il sindaco di Avezzano, Sergio Cataldi, riuscì a riunire numerosissimi sostenitori del progetto per presentare una definitiva proposta di legge, di iniziativa popolare, per l'istituzione della provincia. Sottoscritta da ben più di 50.000 marsicani, tale iniziativa (unica del genere in tutta Italia) fu però, come le altre, destinata al fallimento. Nonostante tutto ci sono stati altri vani tentativi nel corso degli anni per ottenere tale riconoscimento[95]. La caparbietà nel portare avanti l'istanza di AZ provincia viene vista ancora oggi con profonda ammirazione da tutti i marsicani[96].
Avezzano odierna
Nonostante il disastro del terremoto e i bombardamenti del 1944 durante la Seconda guerra mondiale che distrussero la città per la seconda volta e che le fecero "meritare" il riconoscimento della Medaglia d'argento al merito civile, Avezzano si riprese raggiungendo in pochissimi anni un incremento demografico straordinario e un posto di rilievo nei settori produttivi. Oggi, grazie alla sua evoluzione, Avezzano è una città in piena ascesa ed espansione, tra le più dinamiche dell'Abruzzo, lo dimostra l'esplosione demografica da 1.500 individui superstiti dopo il sisma del 1915 ai circa 42.500 abitanti nel 2012. Ha valorizzato le risorse locali, potenziato l'imprenditoria agricola e incrementato il tessuto economico e industriale, creando un Nucleo Industriale e favorendo l'insediamento di importanti aziende e imprese che hanno determinato una trasformazione della vita sotto il profilo sociale, culturale, economico e turistico. L'investimento nelle strutture scolastiche ha prodotto importanti effetti: nella provincia dell'Aquila è la città che vanta la più consistente popolazione studentesca (nella media della scuola secondaria di primo e secondo grado[97]). La città ospita la sede distaccata della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Teramo e il polo formativo della Facoltà di Scienze Infermieristiche e Fisioterapia dell'Università dell'Aquila, ha potenziato il settore cultura con la nascita della Sezione di Avezzano dell'Archivio di Stato[98], favorito gli scavi archeologici presso l'ex Collegiata di S. Bartolomeo ed ha reso operativo il Teatro dei Marsi, polo culturale di riferimento per un bacino di circa 140.000 utenti marsicani, oltre all'Aia dei Musei in via Nuova. La città ha subito danni insignificanti dal Terremoto dell'Aquila del 2009. Le accelerazioni al suolo, misurate da un accelerometro presso il castello di Avezzano, sono state di circa 69–70 cm/s², un valore dieci volte inferiore rispetto alle accelerazioni misurate nell'Aquilano.
Stemma e Gonfalone di Avezzano
L'attuale stemma è il decimo nella storia di Avezzano. È stato riconosciuto nel 1994 dal Presidente della Repubblica, O.L.Scalfaro[A 2].
Stemma: d'azzurro, al San Bartolomeo di carnagione, in maestà, aureolato d'oro, capelluto e barbuto di nero, mirante verso l'alto, i fianchi e parte delle gambe drappeggiati di rosso, il braccio destro alzato, la mano destra impugnante il coltello del martirio, posto in banda, con la punta all'insù, d'argento, la spalla sinistra coperta dalla pelle del Santo, al naturale, pendente fino al fianco sinistro, attraversante il drappeggio, terminante con le mani e con il viso, rovesciati, il Santo sostenuto dalla pianura diminuita, d'oro. Ornamenti esteriori da città.[99]
Gonfalone: drappo di giallo, riccamente ornato di ricami d'oro e caricato dallo stemma sopra descritto con la iscrizione centrata in oro, recante la denominazione della città, le parti in metallo ed i cordoni saranno dorati. L'asta verticale sarà ricoperta di velluto giallo con bullette dorate poste a spirale. Nella freccia sarà rappresentato lo stemma della città e sul gambo inciso il nome. Cravatta con nastri ricolorati dai colori nazionali frangiati d'oro.[100]
Onorificenze
Il comune di Avezzano si fregia del titolo di città[A 3][101][102].
— Avezzano, 1943-1945[A 4]
Note
Fonti
- ^ Fucino, su treccani.it, Treccani.
- ^ Colombini Grottanelli de' Santi, pag.42
- ^ Safini, Marsi ed Equi, su comune.avezzano.aq.it, Comune di Avezzano.
- ^ Virgilio, v.167
- ^ Mastronardi
- ^ Cicerone, pag.644
- ^ Belmaggio, pag.7
- ^ Di Domenico, pag.40
- ^ Letta D'Amato, pag.40
- ^ Mertens, pag.114
- ^ Catalli, pag.29
- ^ Cianciusi, pag.24
- ^ Febonio, pag.70
- ^ Origine del nome di Avezzano, su comune.avezzano.aq.it, Comune di Avezzano.
- ^ Origine del nome (Giovanni Pagani), su avezzano.terremarsicane.it, Terre Marsicane.
- ^ a b Belmaggio, pag.8
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Bibliografia
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Fonti moderne
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